Visit South Sudan
Africa in movimento: la prima pilota donna del Sud Sudan Aluel Bol Aluenge è salita alla posizione di capitano con la principale compagnia aerea americana Delta Air Lines dopo aver lavorato con Ethiopian Airlines e FlyDubai.
Il tuo duro lavoro e la tua perseveranza sono stati ripagati. Congratulazioni!
https://www.facebook.com/casetteSudSudan/
⤵️ Una visione fotografica con belle immagini, consigliamo di fare copia incolla del link qui sotto:
https://www.facebook.com/visit.s.sudan
"Questa è la nostra Pasqua. Espressione di partecipazione e cura gli uni degli altri."
Padre Christian Carlassare
Fonte: IL CITTADINO Settimanale cattolico di Genova
Tutte le Chiese hanno invitato le parti dell’attuale conflitto a fermare la guerra e aprire la strada a una pace duratura nel paese.
Sud Sudan. Elezioni di dicembre, cresce il timore di violenze
Secondo il presidente del Parlamento Nathaniel Oyet Pierino, dirigente dell'opposizione, servono almeno due anni
08 Marzo 2024
FONTE: NIGRIZIA rivista italiana mensile dei missionari comboniani dedicata al continente africano e agli africani nel mondo
Articolo di Bruna Sironi
All’inizio del mese Nathaniel Oyet Pierino – vicepresidente della maggior forza di opposizione, il Sudan People’s Liberation Movement in Opposition (SPLM-IO), e vicepresidente del parlamento di questo periodo transitorio – ha tracciato un percorso preparatorio, basato su una valutazione della realtà del paese, molto più lungo di quello che prevederebbe il voto alla fine dell’anno.
Durante una conferenza stampa a Juba, capitale del Sud Sudan, ha presentato un calendario della durata di 24 mesi, necessari per raggiungere i requisiti minimi indispensabili «per tenere elezioni pacifiche, trasparenti, democratiche, libere, imparziali e credibili».
Tra le numerose scadenze, ha dichiarato che due anni servirebbero per scrivere la costituzione definitiva; otto mesi per completare gli accordi che riguardano le istituzioni che devono garantire la sicurezza (l’esercito, i servizi di intelligence e quelli di polizia); 16 mesi per svolgere un censimento accurato; 8 mesi per la riforma del sistema giudiziario. Tutti provvedimenti che, nell’accordo di pace firmato nell’agosto del 2018, erano considerati concordemente come passi da realizzare necessariamente prima delle elezioni. Perció, ha concluso Nathaniel Oyet, «non ci impegneremo in nessun processo che mini l’accordo di pace. Ci rifiutiamo di partecipare ad elezioni che riteniamo non credibili, mancanti di libertá e imparzialitá».
L’SPLM-IO, dunque, boicotterà le elezioni fortemente volute dal partito del presidente Salva Kiir, l’SPLM-IG (IG sta per in government) anche, e forse soprattutto, per legittimare il proprio potere, da troppo tempo provvisorio e in transizione.
Durante la stessa conferenza stampa Oyet ha elencato anche diversi nodi che minano la fiducia tra le due parti. Al primo posto il controllo delle risorse petrolifere. L’accordo di pace assegna il ministro incaricato all’opposizione, ma un ordine presidenziale ne ha fortemente limitato i poteri passandoli al direttore generale dell’autorità per il petrolio, in forza alla maggioranza, in flagrante violazione dell’accordo di pace. E non è che un esempio. Un altro è il dimissionamento unilaterale della ministra della Difesa Angelina Teny, autorevole esponente dell’opposizione e moglie del suo capo, Riack Machar; La crisi é rientrata mesi dopo con la sua nomina a ministra dell’Interno.
Questi ripetuti atti di contrapposizione politica, e tra le elitè del paese, in violazione di quanto ratificato nell’accordo di pace, contribuiscono non poco alla percezione di un clima poco favorevole allo svolgimento di elezioni pacifiche e credibili.
Durante una conferenza stampa a Juba, capitale del Sud Sudan, ha presentato un calendario della durata di 24 mesi, necessari per raggiungere i requisiti minimi indispensabili «per tenere elezioni pacifiche, trasparenti, democratiche, libere, imparziali e credibili».
Tra le numerose scadenze, ha dichiarato che due anni servirebbero per scrivere la costituzione definitiva; otto mesi per completare gli accordi che riguardano le istituzioni che devono garantire la sicurezza (l’esercito, i servizi di intelligence e quelli di polizia); 16 mesi per svolgere un censimento accurato; 8 mesi per la riforma del sistema giudiziario. Tutti provvedimenti che, nell’accordo di pace firmato nell’agosto del 2018, erano considerati concordemente come passi da realizzare necessariamente prima delle elezioni. Perció, ha concluso Nathaniel Oyet, «non ci impegneremo in nessun processo che mini l’accordo di pace. Ci rifiutiamo di partecipare ad elezioni che riteniamo non credibili, mancanti di libertá e imparzialitá».
L’SPLM-IO, dunque, boicotterà le elezioni fortemente volute dal partito del presidente Salva Kiir, l’SPLM-IG (IG sta per in government) anche, e forse soprattutto, per legittimare il proprio potere, da troppo tempo provvisorio e in transizione.
Durante la stessa conferenza stampa Oyet ha elencato anche diversi nodi che minano la fiducia tra le due parti. Al primo posto il controllo delle risorse petrolifere. L’accordo di pace assegna il ministro incaricato all’opposizione, ma un ordine presidenziale ne ha fortemente limitato i poteri passandoli al direttore generale dell’autorità per il petrolio, in forza alla maggioranza, in flagrante violazione dell’accordo di pace. E non è che un esempio. Un altro è il dimissionamento unilaterale della ministra della Difesa Angelina Teny, autorevole esponente dell’opposizione e moglie del suo capo, Riack Machar; La crisi é rientrata mesi dopo con la sua nomina a ministra dell’Interno.
Questi ripetuti atti di contrapposizione politica, e tra le elitè del paese, in violazione di quanto ratificato nell’accordo di pace, contribuiscono non poco alla percezione di un clima poco favorevole allo svolgimento di elezioni pacifiche e credibili.
Sud Sudan Elezioni 2024
Sud Sudan Elezioni 2024
Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha intrapreso la carriera politica rinviando le elezioni, consentendogli di rimanere presidente di fatto dal 2005, anche se gli era stato concesso un mandato di soli 4 anni in seguito al voto per l'indipendenza del Sud Sudan nel 2011. Da allora, ha estensioni esplorate nel 2015, 2018, 2020 e 2022.
Degno di nota è quindi l'annuncio di Kiir secondo cui ci saranno le elezioni nel 2024. La sua intenzione di candidarsi, invece, non sorprende. È l'unico presidente che questo paese di 11 milioni di abitanti, il più giovane dell'Africa, abbia mai conosciuto. Spinto alla leadership politica nazionale dopo la prematura morte nel 2005 del leader indipendentista del Sud Sudan, John Garang, il 72enne ex comandante dell'esercito di guerriglia sembra intenzionato a mantenere il potere a tempo indeterminato. Oltre a rinviare le elezioni, Kiir beneficia di una Costituzione transitoria del 2011 che non include un limite ai mandati presidenziali (sebbene un Dialogo nazionale del 2020 ne abbia chiesto all’unanimità l’adozione).
Il Sud Sudan ha dovuto affrontare gravi disordini da quando è precipitato in un conflitto civile nel 2013, risultato di una lunga rivalità politica tra Kiir e il primo vicepresidente Riak Machar, con forti connotazioni etniche dato che ciascun leader ha mobilitato il sostegno delle rispettive basi etniche. , Dinka e Nuer, i due più grandi del Sud Sudan.
Milizie armate vagano per le campagne scatenando violenza e saccheggiando impunemente.Si stima che il conflitto sia costato più di 400.000 vite umane. Anche se ora è considerato un conflitto a bassa intensità, le milizie armate (spesso su base etnica) vagano per le campagne scatenando violenza e saccheggiando impunemente. Il trauma e la paura di questa violenza sono profondamente radicati nella popolazione, con il Sud Sudan che detiene l’ignominioso primato di avere una percentuale maggiore di rifugiati (42%) rispetto a qualsiasi altro paese africano. In genere, i rifugiati torneranno a casa non appena sarà sicuro farlo. Il fatto che resistano a farlo in Sud Sudan, quindi, è significativo.
A queste tensioni si è aggiunto lo scoppio del conflitto in Sudan nel 2023. Ciò ha costretto oltre 400.000 rifugiati sudsudanesi a tornare nell’insicurezza del loro paese d’origine, dal quale avevano tentato di fuggire. Con tre quarti della popolazione sud sudanese bisognosa di assistenza umanitaria, questi ultimi sfollamenti imporranno ulteriori oneri agli sforzi di assistenza già tesi.
Il Sud Sudan rappresenta probabilmente il contesto elettorale più difficile che l’Africa abbia dovuto affrontare negli ultimi anni. Il Paese si colloca in fondo o quasi a livello globale nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, nel Global Freedom Index di Freedom House e nell’Indice di percezione della corruzione di Transparency International.
Il Sud Sudan è un vasto paese senza sbocco sul mare, grande quanto l’Afghanistan, con terreni accidentati e pianure basse. Il reddito pro capite del Sud Sudan si è contratto a circa un quarto di quello che era al momento dell'indipendenza, nonostante le considerevoli entrate petrolifere, che sono in gran parte controllate dalle élite sud sudanesi legate al governo.
Forse il più grande ostacolo allo svolgimento delle elezioni in Sud Sudan è la mancanza di volontà politica: tenere elezioni, creare organi di controllo indipendenti, controllare la corruzione o costruire un esercito professionale.Nonostante queste sfide logistiche ed economiche, forse il più grande ostacolo allo svolgimento di elezioni realizzabili in Sud Sudan è la mancanza di volontà politica, non solo di tenere elezioni ma anche di creare organi di controllo indipendenti, controllare la corruzione o costruire forze militari e di polizia professionali. Le istituzioni politiche democratiche rimangono deboli o assenti, perpetuando una limitata condivisione del potere o responsabilità. Oltre all’insicurezza generalizzata, i leader politici dell’opposizione, i leader della società civile e i giornalisti sono regolarmente minacciati di violenza o detenzione.
Le elezioni del 2024 sono inoltre soggette a un censimento da parte del governo e all’adozione di una nuova costituzione : esercizi istituzionali formidabili in ogni circostanza. Tali precondizioni potrebbero tuttavia servire da pretesto per ulteriori ritardi elettorali e proroghe di fatto del mandato.
Nonostante queste gravi sfide, il Sud Sudan ha una società civile resiliente che continua a chiedere riforme, maggiore trasparenza e responsabilità del governo. La rete di chiese del Sud Sudan è stata nel corso degli anni una fonte particolarmente importante di capitale sociale e un mezzo per facilitare il dialogo tra le diverse comunità del Paese.
Un obiettivo chiave dei riformatori è stato l’ approvazione della legge sulle elezioni nazionali nel 2023, che istituisce una maggiore rappresentanza geografica e una soglia del 35% di rappresentanza femminile ricavata dalle liste dei partiti. La legge mira a garantire l’inclusività e a ridurre la monopolizzazione del potere da parte di un unico partito. Una seconda legge di interesse è la Legge sui partiti politici, che fornisce meccanismi per regolamentare i partiti politici del Sud Sudan, notoriamente guidati dalla personalità, sostenendo la governance democratica interna e gli standard di responsabilità all'interno delle costituzioni dei partiti.
Il paese ha anche intrapreso uno sforzo, a lungo rimandato, per creare un esercito nazionale unificato composto da 83.000 uomini , integrando le forze delle milizie dell’opposizione. I primi dispiegamenti di questa forza unificata si sono verificati alla fine del 2023.
Dato il contesto difficile in Sud Sudan, qualsiasi progresso democratico nel 2024 sarà probabilmente incrementale. Tuttavia, gli sforzi volti a promuovere organismi di controllo più indipendenti, come una commissione elettorale, un comitato per la stesura della costituzione, un censimento, una banca centrale e un consiglio di supervisione della sicurezza, sarebbero determinanti per costruire istituzioni politiche che rispondano alle aspirazioni dei cittadini sudsudanesi. Ciò
sarà essenziale per allontanare la classe politica altamente polarizzata del Sud Sudan dalla mentalità di governance del “chi vince prende tutto” che è stata così distruttiva.
Degno di nota è quindi l'annuncio di Kiir secondo cui ci saranno le elezioni nel 2024. La sua intenzione di candidarsi, invece, non sorprende. È l'unico presidente che questo paese di 11 milioni di abitanti, il più giovane dell'Africa, abbia mai conosciuto. Spinto alla leadership politica nazionale dopo la prematura morte nel 2005 del leader indipendentista del Sud Sudan, John Garang, il 72enne ex comandante dell'esercito di guerriglia sembra intenzionato a mantenere il potere a tempo indeterminato. Oltre a rinviare le elezioni, Kiir beneficia di una Costituzione transitoria del 2011 che non include un limite ai mandati presidenziali (sebbene un Dialogo nazionale del 2020 ne abbia chiesto all’unanimità l’adozione).
Il Sud Sudan ha dovuto affrontare gravi disordini da quando è precipitato in un conflitto civile nel 2013, risultato di una lunga rivalità politica tra Kiir e il primo vicepresidente Riak Machar, con forti connotazioni etniche dato che ciascun leader ha mobilitato il sostegno delle rispettive basi etniche. , Dinka e Nuer, i due più grandi del Sud Sudan.
Milizie armate vagano per le campagne scatenando violenza e saccheggiando impunemente.Si stima che il conflitto sia costato più di 400.000 vite umane. Anche se ora è considerato un conflitto a bassa intensità, le milizie armate (spesso su base etnica) vagano per le campagne scatenando violenza e saccheggiando impunemente. Il trauma e la paura di questa violenza sono profondamente radicati nella popolazione, con il Sud Sudan che detiene l’ignominioso primato di avere una percentuale maggiore di rifugiati (42%) rispetto a qualsiasi altro paese africano. In genere, i rifugiati torneranno a casa non appena sarà sicuro farlo. Il fatto che resistano a farlo in Sud Sudan, quindi, è significativo.
A queste tensioni si è aggiunto lo scoppio del conflitto in Sudan nel 2023. Ciò ha costretto oltre 400.000 rifugiati sudsudanesi a tornare nell’insicurezza del loro paese d’origine, dal quale avevano tentato di fuggire. Con tre quarti della popolazione sud sudanese bisognosa di assistenza umanitaria, questi ultimi sfollamenti imporranno ulteriori oneri agli sforzi di assistenza già tesi.
Il Sud Sudan rappresenta probabilmente il contesto elettorale più difficile che l’Africa abbia dovuto affrontare negli ultimi anni. Il Paese si colloca in fondo o quasi a livello globale nell’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, nel Global Freedom Index di Freedom House e nell’Indice di percezione della corruzione di Transparency International.
Il Sud Sudan è un vasto paese senza sbocco sul mare, grande quanto l’Afghanistan, con terreni accidentati e pianure basse. Il reddito pro capite del Sud Sudan si è contratto a circa un quarto di quello che era al momento dell'indipendenza, nonostante le considerevoli entrate petrolifere, che sono in gran parte controllate dalle élite sud sudanesi legate al governo.
Forse il più grande ostacolo allo svolgimento delle elezioni in Sud Sudan è la mancanza di volontà politica: tenere elezioni, creare organi di controllo indipendenti, controllare la corruzione o costruire un esercito professionale.Nonostante queste sfide logistiche ed economiche, forse il più grande ostacolo allo svolgimento di elezioni realizzabili in Sud Sudan è la mancanza di volontà politica, non solo di tenere elezioni ma anche di creare organi di controllo indipendenti, controllare la corruzione o costruire forze militari e di polizia professionali. Le istituzioni politiche democratiche rimangono deboli o assenti, perpetuando una limitata condivisione del potere o responsabilità. Oltre all’insicurezza generalizzata, i leader politici dell’opposizione, i leader della società civile e i giornalisti sono regolarmente minacciati di violenza o detenzione.
Le elezioni del 2024 sono inoltre soggette a un censimento da parte del governo e all’adozione di una nuova costituzione : esercizi istituzionali formidabili in ogni circostanza. Tali precondizioni potrebbero tuttavia servire da pretesto per ulteriori ritardi elettorali e proroghe di fatto del mandato.
Nonostante queste gravi sfide, il Sud Sudan ha una società civile resiliente che continua a chiedere riforme, maggiore trasparenza e responsabilità del governo. La rete di chiese del Sud Sudan è stata nel corso degli anni una fonte particolarmente importante di capitale sociale e un mezzo per facilitare il dialogo tra le diverse comunità del Paese.
Un obiettivo chiave dei riformatori è stato l’ approvazione della legge sulle elezioni nazionali nel 2023, che istituisce una maggiore rappresentanza geografica e una soglia del 35% di rappresentanza femminile ricavata dalle liste dei partiti. La legge mira a garantire l’inclusività e a ridurre la monopolizzazione del potere da parte di un unico partito. Una seconda legge di interesse è la Legge sui partiti politici, che fornisce meccanismi per regolamentare i partiti politici del Sud Sudan, notoriamente guidati dalla personalità, sostenendo la governance democratica interna e gli standard di responsabilità all'interno delle costituzioni dei partiti.
Il paese ha anche intrapreso uno sforzo, a lungo rimandato, per creare un esercito nazionale unificato composto da 83.000 uomini , integrando le forze delle milizie dell’opposizione. I primi dispiegamenti di questa forza unificata si sono verificati alla fine del 2023.
Dato il contesto difficile in Sud Sudan, qualsiasi progresso democratico nel 2024 sarà probabilmente incrementale. Tuttavia, gli sforzi volti a promuovere organismi di controllo più indipendenti, come una commissione elettorale, un comitato per la stesura della costituzione, un censimento, una banca centrale e un consiglio di supervisione della sicurezza, sarebbero determinanti per costruire istituzioni politiche che rispondano alle aspirazioni dei cittadini sudsudanesi. Ciò
sarà essenziale per allontanare la classe politica altamente polarizzata del Sud Sudan dalla mentalità di governance del “chi vince prende tutto” che è stata così distruttiva.
Il NAS rimane forte e unito sotto Thomas Cirillo
Nonostante la campagna diffamatoria sponsorizzata da Juba e orchestrata da ex membri caduti in disgrazia, recentemente licenziati e ora al servizio dei nemici del popolo del Sud Sudan, la leadership del Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) rassicura i suoi membri e il pubblico in generale che tutti i suoi organi e strutture rimangono intatti sotto la guida saggia e leadership incrollabile del generale Tommaso Cirillo.
La NAS ha inoltre ribadito e rafforzato il suo impegno rivoluzionario nei confronti del popolo del Sud Sudan, sottolineando che “nessuna propaganda a buon mercato, ricatto, menzogna o intimidazione può scoraggiare il Movimento dalla sua determinazione nel perseguire la nobile causa della lotta per la libertà, i diritti e la dignità dei cittadini”
NAS ha fornito queste rassicurazioni in una dichiarazione in 8 punti intitolata " Dichiarazione sulla propaganda in corso contro la NAS" rilasciata e firmata dal signor Suba Samuel, il portavoce ufficiale.
Il 5 febbraio 2024, una banda di ex membri licenziati tra cui il Magg. Gen. Robert Lado Marko, Briga. Il generale Loku Mario Thomas Jada e il colonnello Stephen Lukaja hanno pubblicato un documento soprannominato dichiarazione del cosiddetto “Consiglio del comando rivoluzionario” in uno stratagemma disperato per seminare discordia, indebolire il movimento popolare e diffondere disinformazione.
Nonostante questi tentativi orchestrati da Juba di creare divisioni, il NAS ha affermato di rimanere una forza unita, dedita alla causa della libertà, dei diritti e della dignità del popolo sudsudanese.
La NAS ha inoltre ribadito e rafforzato il suo impegno rivoluzionario nei confronti del popolo del Sud Sudan, sottolineando che “nessuna propaganda a buon mercato, ricatto, menzogna o intimidazione può scoraggiare il Movimento dalla sua determinazione nel perseguire la nobile causa della lotta per la libertà, i diritti e la dignità dei cittadini”
NAS ha fornito queste rassicurazioni in una dichiarazione in 8 punti intitolata " Dichiarazione sulla propaganda in corso contro la NAS" rilasciata e firmata dal signor Suba Samuel, il portavoce ufficiale.
Il 5 febbraio 2024, una banda di ex membri licenziati tra cui il Magg. Gen. Robert Lado Marko, Briga. Il generale Loku Mario Thomas Jada e il colonnello Stephen Lukaja hanno pubblicato un documento soprannominato dichiarazione del cosiddetto “Consiglio del comando rivoluzionario” in uno stratagemma disperato per seminare discordia, indebolire il movimento popolare e diffondere disinformazione.
Nonostante questi tentativi orchestrati da Juba di creare divisioni, il NAS ha affermato di rimanere una forza unita, dedita alla causa della libertà, dei diritti e della dignità del popolo sudsudanese.
8 Febbraio: Giornata Mondiale di Preghiera e Riflessione Contro la Tratta
<Cari fratelli e sorelle,
oggi, 8 febbraio, memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, la Suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta, le Unioni delle Superiore e dei Superiori Generali degli Istituti religiosi hanno promosso la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Incoraggio quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga, una piaga indegna di una società civile. Ognuno di noi si senta impegnato ad essere voce di questi nostri fratelli e sorelle, umiliati nella loro dignità. Preghiamo tutti...>
Papa Francesco, Preghiera dell'Angelus 8 febbraio 2015
M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo.
Bakhita venne a conoscere un ‘padrone’ totalmente diverso, che, nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava ‘paron’ il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi, che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal ‘Paron’ supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Anzi, questo Padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora la aspettava «alla destra di Dio Padre»”. A questo “bon Paron” Bakhita, dichiarata ormai libera perché in Italia, si sentì chiamata a consacrare tutta la sua vita come canossiana. Per quarantacinque anni servì la comunità svolgendo lavori umili, conquistando il cuore di tutti con la sua dolcezza e accoglienza, dettando, ma solo su insistenza delle consorelle, le sue memorie e portando la sua testimonianza, in dialetto veneto, su e giù per l’Italia
Lezioni da St. Josephine:
Perdono - Josephine ha sopportato difficoltà inimmaginabili nella sua vita, ma ha mostrato misericordia. ...
Identità - Il rapimento di Josephine è stato così singolarmente traumatico, che poi ha raccontato, che ha dimenticato il suo nome di battesimo...
Diversità - Proposito concreto: Nella preghiera, cerco di ripensare a quegli eventi che mi hanno portato più vicino a Gesù ed esprimo al Padre la mia gratitudine. Lo ringrazio anche per le persone che, nel bene e nel male, sono state strumenti di ogni mia crescita nella fede!
Libertà - Bakhita venne a conoscere un ‘padrone’ totalmente diverso, che, nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava ‘paron’ il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi, che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal ‘Paron’ supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Anzi, questo Padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora la aspettava «alla destra di Dio Padre»”. A questo “bon Paron” Bakhita, dichiarata ormai libera perché in Italia, si sentì chiamata a consacrare tutta la sua vita come canossiana. Per quarantacinque anni servì la comunità svolgendo lavori umili, conquistando il cuore di tutti con la sua dolcezza e accoglienza, dettando, ma solo su insistenza delle consorelle, le sue memorie e portando la sua testimonianza, in dialetto veneto, su e giù per l’Italia
Fede - A tutti consegnava questo semplice messaggio: «Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio». E avrebbe voluto lei stessa poter volare presso la sua gente “e predicare a tutti a gran voce la Tua bontà: oh, quante anime potrei conquistarti! Fra i primi, la mia mamma, il mio papà, i miei fratelli, la mia sorella, ancor schiava…. tutti, tutti i poveri negri dell’Africa, fa’ o Gesù, che anche loro ti conoscano e ti amino!” Bakhita è per me una vera apostola della gratitudine
Fonte: Apostole della Vita Interiore - https://www.it.apostlesofil.com/santa-bakhita-apostola-della-gratitudine/
ECUMENISMO Inghilterra e Galles: due giorni di fraternità per i vescovi cattolici e anglicani
30 Gennaio 2024
Monsignor Alex Lodiong Sakor, vescovo di Yei, in volo per la Gran Bretagna dove prenderà parte alla Conferenza Episcopale.
Una due giorni di intenso dialogo ecumenico per pregare, parlare e socializzare. Due giorni insieme. I vescovi cattolici e anglicani di Inghilterra e Galles si ritroveranno da martedì 30 a mercoledì 31 gennaio, a Norwich, città medioevale nella parte orientale del Regno Unito e capitale del Norfolk, regione ricca di spiritualità, che ospita l’unico santuario mariano inglese: Nostra Signora di Walsingham.
Una due giorni di intenso dialogo ecumenico per pregare, parlare e socializzare. Due giorni insieme. I vescovi cattolici e anglicani di Inghilterra e Galles si ritroveranno da martedì 30 a mercoledì 31 gennaio, a Norwich, città medioevale nella parte orientale del Regno Unito e capitale del Norfolk, regione ricca di spiritualità, che ospita l’unico santuario mariano inglese: Nostra Signora di Walsingham.
29 gennaio 2024 - Italia-Africa. Più di 5,5 miliardi per il Piano Mattei
La premier, Giorgia Meloni ha aperto nell'Aula del Senato il vertice organizzato dal governo per discutere del futuro del continente. "Il nostro destino è interconnesso"
"Il Piano Mattei può contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti operazioni a dono e garanzie". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni, aprendo la conferenza Italia-Africa nell'Aula del Senato. Meloni ha aggiunto che dei 5,5 miliardi, "circa 3 miliardi arriveranno dal fondo italiano per il clima e circa 2,5 miliardi dalle risorse della cooperazione allo sviluppo. Certo, non basta - ha aggiunto - per questo vogliamo coinvolgere le istituzioni internazionali e altri stati donatori".
L'Africa "avrà un posto d'onore nell'agenda italiana di presidenza del G7", questa "è una "scelta di politica estera precisa", ha sottolineato Meloni. "Siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri continenti sia interconnesso, e che è possibile immaginare e scrivere una pagina nuova nelle nostre relazioni, una cooperazione da pari a pari, lontana da ogni tentazione predatoria e approccio caritatevole", ha aggiunto.
ADVIl vertice Italia-Africa è stato domenica sera dalla cena al Quirinale. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto nel salone delle Feste i leader di 25 paesi africani, il presidente del Consiglio Meloni, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, i vertici della Ue, Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel, il presidente dell'Unione africana Azali Assoumani, il presidente della Commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki, il vice segretario Generale delle Nazioni Unite Amina Jane Mohammed, la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva e 25 capi di Stato e di governo africani.
Al tavolo siedono circa 70 ospiti. Tra loro, i presidenti di Comore, Congo, Eritrea, Ghana, Guinea Bissau, Kenya, Mauritania, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Senegal, Somalia, Tunisia, Zimbabwe, i vicepresidenti di Benin, Burundi, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea Equatoriale, i primi ministri di Cabo Verde, Eswatini, Etiopia, Gibuti, Libia, Marocco, Sao Tomé e Principe, Uganda, i ministri degli Esteri di Algeria, Angola, Congo, Ciad, Egitto, Malawi, Madagascar, Ruanda, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania, Togo, Zambia, Sud Africa, gli ambasciatori di Botswana, Camerun, Mauritius, Lesotho, Namibia, Seychelles. Tra le organizzazioni multilaterali sono presenti: l'African Development Bank, l'Unione africana, l'European Bank for Reconstruction and Development, la Bei, i vertici della Ue, della Fao, di Ifad, Fmi, Oim, Irena, Oecd, il vicesegretario generale dell'Onu, i vertici di Unesco, Unhcr, Unicef, Unido, Undp, Unodc, World Bank. Come osservatore è stato invitato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano.
Mattarella: "Un'amicizia salda e sincera unisce i nostri popoli"
"L'intendimento e l'auspicio sono quelli di poter realizzare, dopo il dialogo intenso avviato negli anni scorsi con le conferenze ministeriali Italia-Africa, un rapporto ancora più forte e strutturato tra il continente africano e il nostro Paese". Con queste parole Sergio Mattarella ha rivolto il suo benvenuto al Quirinale ai capi di Stato e di governo africani e ai vertici delle organizzazioni internazionali riuniti a Roma per il vertice, "la vostra presenza qui stasera - numerosa e qualificata - conferisce espressione concreta all'amicizia, salda e sincera, che unisce i nostri popoli: la Repubblica Italiana ve ne è riconoscente. Si tratta di legami alimentati anche dalla presenza in Italia di numerose comunità di origine africana, che sono parte attiva e vitale della nostra società e che, con il loro prezioso lavoro, contribuiscono alla crescita economica e culturale del nostro Paese".
"Ci sfidano cause comuni che vedono a rischio il valore della pace e, quindi, del destino dell'umanità", ha continuato Mattarella, "esplorare lo straordinario potenziale di sviluppo delle relazioni tra Africa ed Europa sul terreno politico, per spegnere i focolai di tensione e di conflitto, sul terreno economico, per realizzare una produzione sostenibile e un'equa distribuzione delle risorse, per accrescere il patrimonio delle nostre rispettive culture, è il compito che sta dinanzi a noi". "ll prezzo di una nostra incapacità a questo riguardo verrebbe pagato dalle future generazioni, alle quali non possiamo consegnare società impoverite, ambienti degradati, migrazioni come dolorosa risposta a problemi irrisolti", ha aggiunto.
"Il Piano Mattei può contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti operazioni a dono e garanzie". Lo ha detto la premier Giorgia Meloni, aprendo la conferenza Italia-Africa nell'Aula del Senato. Meloni ha aggiunto che dei 5,5 miliardi, "circa 3 miliardi arriveranno dal fondo italiano per il clima e circa 2,5 miliardi dalle risorse della cooperazione allo sviluppo. Certo, non basta - ha aggiunto - per questo vogliamo coinvolgere le istituzioni internazionali e altri stati donatori".
L'Africa "avrà un posto d'onore nell'agenda italiana di presidenza del G7", questa "è una "scelta di politica estera precisa", ha sottolineato Meloni. "Siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri continenti sia interconnesso, e che è possibile immaginare e scrivere una pagina nuova nelle nostre relazioni, una cooperazione da pari a pari, lontana da ogni tentazione predatoria e approccio caritatevole", ha aggiunto.
ADVIl vertice Italia-Africa è stato domenica sera dalla cena al Quirinale. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto nel salone delle Feste i leader di 25 paesi africani, il presidente del Consiglio Meloni, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, i vertici della Ue, Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel, il presidente dell'Unione africana Azali Assoumani, il presidente della Commissione dell'Unione Africana, Moussa Faki, il vice segretario Generale delle Nazioni Unite Amina Jane Mohammed, la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva e 25 capi di Stato e di governo africani.
Al tavolo siedono circa 70 ospiti. Tra loro, i presidenti di Comore, Congo, Eritrea, Ghana, Guinea Bissau, Kenya, Mauritania, Mozambico, Repubblica Centrafricana, Senegal, Somalia, Tunisia, Zimbabwe, i vicepresidenti di Benin, Burundi, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea Equatoriale, i primi ministri di Cabo Verde, Eswatini, Etiopia, Gibuti, Libia, Marocco, Sao Tomé e Principe, Uganda, i ministri degli Esteri di Algeria, Angola, Congo, Ciad, Egitto, Malawi, Madagascar, Ruanda, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania, Togo, Zambia, Sud Africa, gli ambasciatori di Botswana, Camerun, Mauritius, Lesotho, Namibia, Seychelles. Tra le organizzazioni multilaterali sono presenti: l'African Development Bank, l'Unione africana, l'European Bank for Reconstruction and Development, la Bei, i vertici della Ue, della Fao, di Ifad, Fmi, Oim, Irena, Oecd, il vicesegretario generale dell'Onu, i vertici di Unesco, Unhcr, Unicef, Unido, Undp, Unodc, World Bank. Come osservatore è stato invitato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano.
Mattarella: "Un'amicizia salda e sincera unisce i nostri popoli"
"L'intendimento e l'auspicio sono quelli di poter realizzare, dopo il dialogo intenso avviato negli anni scorsi con le conferenze ministeriali Italia-Africa, un rapporto ancora più forte e strutturato tra il continente africano e il nostro Paese". Con queste parole Sergio Mattarella ha rivolto il suo benvenuto al Quirinale ai capi di Stato e di governo africani e ai vertici delle organizzazioni internazionali riuniti a Roma per il vertice, "la vostra presenza qui stasera - numerosa e qualificata - conferisce espressione concreta all'amicizia, salda e sincera, che unisce i nostri popoli: la Repubblica Italiana ve ne è riconoscente. Si tratta di legami alimentati anche dalla presenza in Italia di numerose comunità di origine africana, che sono parte attiva e vitale della nostra società e che, con il loro prezioso lavoro, contribuiscono alla crescita economica e culturale del nostro Paese".
"Ci sfidano cause comuni che vedono a rischio il valore della pace e, quindi, del destino dell'umanità", ha continuato Mattarella, "esplorare lo straordinario potenziale di sviluppo delle relazioni tra Africa ed Europa sul terreno politico, per spegnere i focolai di tensione e di conflitto, sul terreno economico, per realizzare una produzione sostenibile e un'equa distribuzione delle risorse, per accrescere il patrimonio delle nostre rispettive culture, è il compito che sta dinanzi a noi". "ll prezzo di una nostra incapacità a questo riguardo verrebbe pagato dalle future generazioni, alle quali non possiamo consegnare società impoverite, ambienti degradati, migrazioni come dolorosa risposta a problemi irrisolti", ha aggiunto.
"L'Unione Europea è portatrice di una visione basata sul valore di un multilateralismo efficace, fondato su principi universali. Principi che l'Italia ha saputo tradurre nella costruzione di partenariati equilibrati e rispettosi dei diritti di ciascun popolo, secondo un modello che seppe bene interpretare un leader come Enrico Mattei, uno dei protagonisti della lotta per la libertà del popolo italiano e, proprio per questo, attento sostenitore del percorso di indipendenza e liberazione dei popoli africani", ha detto ancora il capo dello Stato secondo il quale, dunque, "possiamo e dobbiamo lavorare a una visione elaborata insieme".
"Un proverbio africano di grande saggezza recita: 'Se vuoi andare veloce corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno'. Affinché il nostro sia un cammino comune, verso gli obiettivi del benessere e della pace in Africa, in Europa e nel mondo, occorre mettere in campo congiuntamente le nostre rispettive volontà", ha concluso.
Meloni: "Un approccio nuovo, né predatorio, né caritatevole"
"L'obiettivo è presentare ai Paesi africani la nostra visione di sviluppi dell'Africa", ha affermato Meloni, illustrando la conferenza al Tg1. In Africa, l'Italia vuole avere un "approccio da pari a pari per crescere insieme", ha sottolineato. "Alla base del piano Mattei" c'è "un approccio nuovo, non predatorio, non paternalistico, ma neanche caritatevole", ha ribadito, "un approccio da pari a pari, per crescere insieme. Abbiamo stabilito delle materie prioritarie sulle quali lavorare e dei Paesi pilota nei quali avviare i primi progetti".
"E poi vogliamo dialogare con tutti gli altri" Paesi, "i vantaggi per l'Italia sono innumerevoli: tutto quello che accade in Africa in qualche modo ci coinvolge, dalla migrazione alla sicurezza, passando per le catene di approvvigionamento. Per noi è fondamentale uno sviluppo adeguato del continente africano", ha concluso la premier.
Come proseguirà il vertice
Lunedì 29 gennaio inizieranno i lavori al Senato che termineranno a tarda sera. L'Italia, che tra l'altro ha appena avviato il semestre di presidenza del G7, ha spiegato Meloni, si candida a essere un ponte tra l'Europa e l'Africa, con l'obiettivo di arrivare a un approccio 'globale' e 'non-predatorio' nei confronti del Continente africano. E la presenza dei tre presidenti delle istituzioni Ue viene considerata nel governo come un segnale importante della volontà di Bruxelles di fare da sponda al piano Mattei che il presidente del Consiglio Meloni illustrerà a palazzo Madama. Nella convinzione che quella del piano è una sfida che non interessa solo l'Italia, ma l'Europa e tutta la comunità internazionale.
La giornata di lunedì sarà aperta, dopo la foto di famiglia, dal saluto istituzionale del presidente del Senato, La Russa, e proseguirà con la sessione plenaria in cui sono programmati gli interventi della premier Meloni, del vicepremier e ministro degli Esteri Tajani, del presidente dell'Unione Africana, Assoumani, del presidente della Commissione dell'Unione Africana, Faki, del presidente del Parlamento Europeo, Metsola, del presidente del Consiglio Europeo, Michel, del presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, del vice segretario Generale delle Nazioni Unite Mohammed.
Cinque le sessioni di lavoro. La prima, incentrata su 'Cooperazione in campo economico e infrastrutturale', prevede gli interventi introduttivi del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Salvini, del responsabile dell'Economia Giorgetti, del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Urso.
La seconda è sulla 'Sicurezza alimentare': interverrà il vicepremier e ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Tajani, e il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Lollobrigida. La terza sessione è sulla 'Sicurezza e transizione energetica' con la partecipazione del ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin.
Si parlerà poi di 'Formazione professionale e cultura', con gli interventi del ministro dell'Istruzione e del merito, Valditara, del ministro dell'Università e della Ricerca, Bernini, del ministro della Cultura, Sangiuliano. Infine i lavori saranno chiusi dalla sessione su 'Migrazioni, mobilità e questioni di sicurezza' con gli interventi del ministro dell'Interno, Piantedosi e del ministro della Difesa Crosetto. E dalla conferenza stampa finale. Le direttrici di intervento del piano Mattei sono istruzione/formazione; sanità; acqua e igiene; agricoltura; energia; infrastrutture. L'obiettivo del governo è coinvolgere nel Piano tutto il 'Sistema Italia', a partire dalle realtà che a vario titolo si occupano e si stanno occupando di Africa (il sistema delle aziende partecipate dallo Stato in primis). A febbraio si svolgerà poi la prima cabina di Regia prevista dal decreto che istituisce la governance del Piano, che è stato convertito dal Parlamento, e allo stesso tempo inizieranno le missioni della struttura del Piano Mattei in Africa.
FONTE: Ultime notizie AGI - Agenzia Giornalistica Italia: News online di Cronaca, Economia, Politica, Estero, Spettacolo, Sport, Cronaca Locale - AGI.it.
Lunedì 29 gennaio inizieranno i lavori al Senato che termineranno a tarda sera. L'Italia, che tra l'altro ha appena avviato il semestre di presidenza del G7, ha spiegato Meloni, si candida a essere un ponte tra l'Europa e l'Africa, con l'obiettivo di arrivare a un approccio 'globale' e 'non-predatorio' nei confronti del Continente africano. E la presenza dei tre presidenti delle istituzioni Ue viene considerata nel governo come un segnale importante della volontà di Bruxelles di fare da sponda al piano Mattei che il presidente del Consiglio Meloni illustrerà a palazzo Madama. Nella convinzione che quella del piano è una sfida che non interessa solo l'Italia, ma l'Europa e tutta la comunità internazionale.
La giornata di lunedì sarà aperta, dopo la foto di famiglia, dal saluto istituzionale del presidente del Senato, La Russa, e proseguirà con la sessione plenaria in cui sono programmati gli interventi della premier Meloni, del vicepremier e ministro degli Esteri Tajani, del presidente dell'Unione Africana, Assoumani, del presidente della Commissione dell'Unione Africana, Faki, del presidente del Parlamento Europeo, Metsola, del presidente del Consiglio Europeo, Michel, del presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, del vice segretario Generale delle Nazioni Unite Mohammed.
Cinque le sessioni di lavoro. La prima, incentrata su 'Cooperazione in campo economico e infrastrutturale', prevede gli interventi introduttivi del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Salvini, del responsabile dell'Economia Giorgetti, del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Urso.
La seconda è sulla 'Sicurezza alimentare': interverrà il vicepremier e ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, Tajani, e il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Lollobrigida. La terza sessione è sulla 'Sicurezza e transizione energetica' con la partecipazione del ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, Pichetto Fratin.
Si parlerà poi di 'Formazione professionale e cultura', con gli interventi del ministro dell'Istruzione e del merito, Valditara, del ministro dell'Università e della Ricerca, Bernini, del ministro della Cultura, Sangiuliano. Infine i lavori saranno chiusi dalla sessione su 'Migrazioni, mobilità e questioni di sicurezza' con gli interventi del ministro dell'Interno, Piantedosi e del ministro della Difesa Crosetto. E dalla conferenza stampa finale. Le direttrici di intervento del piano Mattei sono istruzione/formazione; sanità; acqua e igiene; agricoltura; energia; infrastrutture. L'obiettivo del governo è coinvolgere nel Piano tutto il 'Sistema Italia', a partire dalle realtà che a vario titolo si occupano e si stanno occupando di Africa (il sistema delle aziende partecipate dallo Stato in primis). A febbraio si svolgerà poi la prima cabina di Regia prevista dal decreto che istituisce la governance del Piano, che è stato convertito dal Parlamento, e allo stesso tempo inizieranno le missioni della struttura del Piano Mattei in Africa.
FONTE: Ultime notizie AGI - Agenzia Giornalistica Italia: News online di Cronaca, Economia, Politica, Estero, Spettacolo, Sport, Cronaca Locale - AGI.it.
Rapporto: Il servizio di polizia del Sud Sudan (SSPS), afflitto dal tribalismo, manca di professionalità
Rapporto: Le forze di polizia tribali in Sud SudanJuba 06 gennaio 2024
Il rapporto delinea tutti e sette gli IGP e i deputati dal 2005 in poi, mostrando una rappresentanza sproporzionata di Dinka e Nuer nelle posizioni di leadership.
Secondo il rapporto, dal 2005 ad oggi, gli ispettori generali di polizia (IGP) della SSPS e i loro sostituti sono stati nominati in gran parte sulla base dell’affiliazione tribale e dei rapporti con il presidente, il vicepresidente o gli ex IGP, non sul merito, sulle qualifiche o esperienza.
“Alla maggior parte degli agenti di polizia competenti ed esperti vengono negate le promozioni, vengono retrocessi o costretti al pensionamento e inseriti nell’elenco dei non attivi”, afferma il rapporto.
Dall’Accordo di pace globale del 2005, i membri del gruppo etnico Dinka hanno dominato l’IGP e le posizioni di alto livello nella polizia nella maggior parte degli stati, con i membri Nuer che generalmente servono come vice in quella che il rapporto chiama una “forza di polizia tribale”.
Il rapporto denuncia la SSPS che mette da parte ufficiali qualificati non Dinka/Nuer formati in Sudan e privi di professionalità e capacità di proteggere la sicurezza pubblica in modo sostenibile.
"La SSPS si è guadagnata la reputazione di essere una 'forza di polizia tribale' priva di professionalità e competenza nelle attività di polizia", afferma.
Nel frattempo, il presidente ha ampi poteri costituzionali per nominare funzionari non qualificati e inesperti a posti chiave. Le elezioni previste per il 2024 vedranno presumibilmente la polizia tribale intimidire gli elettori e nascondere le irregolarità per mantenere il presidente in carica al potere.
Il gruppo Dinka domina in modo schiacciante l’esercito, la polizia, la sicurezza nazionale e altre forze organizzate per promuovere la propria agenda tribaleLa limitazione dei poteri presidenziali e il decentramento della polizia tra stati e contee potrebbero migliorare la professionalità e la responsabilità, raccomanda il rapporto.
Il rapporto è in linea con le frequenti critiche mosse dal Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) alla dominazione tribale negli organi di sicurezza del Sud Sudan.
"Il gruppo Dinka domina in modo schiacciante l'esercito, la polizia, la sicurezza nazionale e altre forze organizzate per promuovere la loro agenda tribale", ha detto recentemente il portavoce del NAS Suba Samuel.
“La professionalità e una vera rappresentanza nazionale nelle nostre istituzioni di sicurezza sono essenziali”, ha aggiunto.
Rapporto: Le forze di polizia tribali in Sud Sudan
Il rapporto delinea tutti e sette gli IGP e i deputati dal 2005 in poi, mostrando una rappresentanza sproporzionata di Dinka e Nuer nelle posizioni di leadership.
Secondo il rapporto, dal 2005 ad oggi, gli ispettori generali di polizia (IGP) della SSPS e i loro sostituti sono stati nominati in gran parte sulla base dell’affiliazione tribale e dei rapporti con il presidente, il vicepresidente o gli ex IGP, non sul merito, sulle qualifiche o esperienza.
“Alla maggior parte degli agenti di polizia competenti ed esperti vengono negate le promozioni, vengono retrocessi o costretti al pensionamento e inseriti nell’elenco dei non attivi”, afferma il rapporto.
Dall’Accordo di pace globale del 2005, i membri del gruppo etnico Dinka hanno dominato l’IGP e le posizioni di alto livello nella polizia nella maggior parte degli stati, con i membri Nuer che generalmente servono come vice in quella che il rapporto chiama una “forza di polizia tribale”.
Il rapporto denuncia la SSPS che mette da parte ufficiali qualificati non Dinka/Nuer formati in Sudan e privi di professionalità e capacità di proteggere la sicurezza pubblica in modo sostenibile.
"La SSPS si è guadagnata la reputazione di essere una 'forza di polizia tribale' priva di professionalità e competenza nelle attività di polizia", afferma.
Nel frattempo, il presidente ha ampi poteri costituzionali per nominare funzionari non qualificati e inesperti a posti chiave. Le elezioni previste per il 2024 vedranno presumibilmente la polizia tribale intimidire gli elettori e nascondere le irregolarità per mantenere il presidente in carica al potere.
Il gruppo Dinka domina in modo schiacciante l’esercito, la polizia, la sicurezza nazionale e altre forze organizzate per promuovere la propria agenda tribaleLa limitazione dei poteri presidenziali e il decentramento della polizia tra stati e contee potrebbero migliorare la professionalità e la responsabilità, raccomanda il rapporto.
Il rapporto è in linea con le frequenti critiche mosse dal Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) alla dominazione tribale negli organi di sicurezza del Sud Sudan.
"Il gruppo Dinka domina in modo schiacciante l'esercito, la polizia, la sicurezza nazionale e altre forze organizzate per promuovere la loro agenda tribale", ha detto recentemente il portavoce del NAS Suba Samuel.
“La professionalità e una vera rappresentanza nazionale nelle nostre istituzioni di sicurezza sono essenziali”, ha aggiunto.
Rapporto: Le forze di polizia tribali in Sud Sudan
20231206-report-the-tribal-police-force-in-south-sudan.pdf | |
File Size: | 259 kb |
File Type: |
ìSabato mattina, 30 settembre, in Piazza San Pietro, in Vaticano, Papa Francesco ha presieduto una cerimonia di concistoro, durante la quale ha nominato 21 nuovi cardinali provenienti da tutto il mondo. Lo scopo è di rafforzare un’immagine di diversità e, al contempo, di universalità della Chiesa Cattolica, che il Pontefice ha paragonato a un’orchestra sinfonica, dove ognuno è chiamato a fare la propria parte:
“Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ogni persona dà il proprio contributo, a volte da solo, a volte unito ad un altro, a volte con l’intera formazione. La diversità è necessaria, è essenziale”.
Tra i nuovi cardinali c’è l’arcivescovo di Juba (o Giuba) nel Sud Sudan, mons. Stephen Ameyu Martin Mulla, che ha accolto il Papa lo scorso febbraio durante la sua visita nel Paese africano. Ameyu ha 59 anni e ha iniziato il suo impegno religioso nel pieno della seconda guerra civile sudanese nel 1991, quando aveva solo 27 anni: divenne sacerdote a Torit, capitale della sua regione natale, l’Equatoria orientale, dopodiché andò a studiare a Roma, dove dedicò la sua tesi di dottorato in teologia allo studio del “dialogo religioso e della riconciliazione in Sudan”. Nominato arcivescovo di Juba nel 2019, sempre da Papa Francesco, Stephen Ameyu non ha esitato a denunciare le atrocità commesse contro i civili sudsudanesi e la lentezza del processo di pace, un discorso che ha ripetuto anche durante la messa celebrata dal Papa al Mausoleo di John Garang, di fronte al presidente Salva Kiir e al suo rivale Riek Machar. Il Sud Sudan ha due Cardinali: Sua Grazia Wako e Sua Grazia Mulla.
“Una sinfonia vive della sapiente composizione dei timbri dei diversi strumenti: ogni persona dà il proprio contributo, a volte da solo, a volte unito ad un altro, a volte con l’intera formazione. La diversità è necessaria, è essenziale”.
Tra i nuovi cardinali c’è l’arcivescovo di Juba (o Giuba) nel Sud Sudan, mons. Stephen Ameyu Martin Mulla, che ha accolto il Papa lo scorso febbraio durante la sua visita nel Paese africano. Ameyu ha 59 anni e ha iniziato il suo impegno religioso nel pieno della seconda guerra civile sudanese nel 1991, quando aveva solo 27 anni: divenne sacerdote a Torit, capitale della sua regione natale, l’Equatoria orientale, dopodiché andò a studiare a Roma, dove dedicò la sua tesi di dottorato in teologia allo studio del “dialogo religioso e della riconciliazione in Sudan”. Nominato arcivescovo di Juba nel 2019, sempre da Papa Francesco, Stephen Ameyu non ha esitato a denunciare le atrocità commesse contro i civili sudsudanesi e la lentezza del processo di pace, un discorso che ha ripetuto anche durante la messa celebrata dal Papa al Mausoleo di John Garang, di fronte al presidente Salva Kiir e al suo rivale Riek Machar. Il Sud Sudan ha due Cardinali: Sua Grazia Wako e Sua Grazia Mulla.
Un cardinale per la pace in Sud Sudan
Con un nuovo gesto di attenzione verso il più giovane tra i Paesi africani, ferito da un conflitto civile che fatica a ricomporsi, papa Francesco ha scelto l’arcivescovo di Juba mons. Ameyu Martin Mulla tra i 21 nuovi cardinali annunciati oggi. Con la sua nomina diventano ben 23 i Paesi africani rappresentati nel Collegio cardinalizio
Anche il Sud Sudan – il più giovane Paese africano, indipendente dal 2011 – avrà un proprio cardinale. Tra i nomi dei 21 nuovi porporati annunciati oggi da papa Francesco – insieme tra gli altri al patriarca latino di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, e al vescovo di Hong Kong mons. Stephen Chow Sau Yan – figura anche quello del giovane arcivescovo di Juba, mons. Stephen Ameyu Martin Mulla. Riceverà la porpora nel Concistoro che si terrà il 30 settembre. Si tratta di un nuovo gesto di grande attenzione di papa Francesco verso il Sud Sudan, Paese insanguinato dalla guerra civile che Francesco ha visitato nello scorso mese di febbraio dopo essersi speso per la riconciliazione, fino al punto di baciare i piedi dei leader dei suoi leader politici in conflitto quando nel 2019 li convocò per un ritiro in Vaticano.
Proprio in occasione del viaggio del Papa mons. Ameyu Martin Mulla disse nel suo discorso di ringraziamento al pontefice: «È scoraggiante che il processo di pace sia andato avanti così lentamente. Santità, condividiamo la Sua paterna preoccupazione per il ripristino della pace nel nostro Paese. La guerra ha portato alla distruzione indiscriminata di vite umane e alla distruzione di beni come case e bestiame. Abbiamo subito saccheggi, stupri, deterioramento economico e lo sfollamento di innumerevoli persone, molte delle quali sono fuggite nei Paesi vicini. Di fronte a questi impatti negativi della guerra civile sul nostro popolo innocente, si può dire che è meglio la pace che la guerra, perché la guerra distrugge mentre la pace costruisce».
Con il Sud Sudan diventano ben 23 i Paesi africani rappresentati da almeno un porporato nel Collegio cardinalizio. Stephen Ameyu Martin Mulla è nato il 10 gennaio 1964 a Ido, nella regione dell’Equatoria orientale, in Sudan. È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Torit il 21 aprile 1991. Dopo il lavoro pastorale nella capitale sudanese Khartoum, ha studiato presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma conseguendo il dottorato nel 1997 con una tesi intitolata “Verso il dialogo religioso e la riconciliazione in Sudan.
Ha poi insegnato al seminario di Juba, capitale del Sud Sudan, di cui è stato anche rettore. Dal 2013 ha lavorato anche nell’amministrazione dell’Università Cattolica del Sud Sudan. Il 3 gennaio 2019 Papa Francesco lo ha nominato Vescovo di Torit dopo che la diocesi era rimasta vacante per oltre cinque anni dalla morte del vescovo Akio Johnson Mutek nel 2013. Il 12 dicembre 2019, papa Francesco lo ha nominato arcivescovo di Juba mantenendo anche la guida della diocesi di Torit come amministratore apostolico.
Proprio in occasione del viaggio del Papa mons. Ameyu Martin Mulla disse nel suo discorso di ringraziamento al pontefice: «È scoraggiante che il processo di pace sia andato avanti così lentamente. Santità, condividiamo la Sua paterna preoccupazione per il ripristino della pace nel nostro Paese. La guerra ha portato alla distruzione indiscriminata di vite umane e alla distruzione di beni come case e bestiame. Abbiamo subito saccheggi, stupri, deterioramento economico e lo sfollamento di innumerevoli persone, molte delle quali sono fuggite nei Paesi vicini. Di fronte a questi impatti negativi della guerra civile sul nostro popolo innocente, si può dire che è meglio la pace che la guerra, perché la guerra distrugge mentre la pace costruisce».
Con il Sud Sudan diventano ben 23 i Paesi africani rappresentati da almeno un porporato nel Collegio cardinalizio. Stephen Ameyu Martin Mulla è nato il 10 gennaio 1964 a Ido, nella regione dell’Equatoria orientale, in Sudan. È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Torit il 21 aprile 1991. Dopo il lavoro pastorale nella capitale sudanese Khartoum, ha studiato presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma conseguendo il dottorato nel 1997 con una tesi intitolata “Verso il dialogo religioso e la riconciliazione in Sudan.
Ha poi insegnato al seminario di Juba, capitale del Sud Sudan, di cui è stato anche rettore. Dal 2013 ha lavorato anche nell’amministrazione dell’Università Cattolica del Sud Sudan. Il 3 gennaio 2019 Papa Francesco lo ha nominato Vescovo di Torit dopo che la diocesi era rimasta vacante per oltre cinque anni dalla morte del vescovo Akio Johnson Mutek nel 2013. Il 12 dicembre 2019, papa Francesco lo ha nominato arcivescovo di Juba mantenendo anche la guida della diocesi di Torit come amministratore apostolico.
Sud Sudan: l’ultimo addio a mons. Paride Taban
10 Novembre 2023
Mons. Paride Taban, deceduto il 1° novembre, festa di Tutti i Santi, mentre era in cura a Nairobi, era stato il primo vescovo della diocesi cattolica di Torit nel Sud Sudan, dove prestò servizio dal 1983 al 2004.
Il primo vescovo della diocesi di Torit è stato sepolto nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo.
Ricordandolo, l’arcivescovo emerito di Khartoum Gabriel Zubeir ha invitato la nuova generazione di vescovi a seguire il cammino di pace e riconciliazione da lui tracciato
Mons. Paride Taban, deceduto il 1° novembre, festa di Tutti i Santi, mentre era in cura a Nairobi, era stato il primo vescovo della diocesi cattolica di Torit nel Sud Sudan, dove prestò servizio dal 1983 al 2004.
Il primo vescovo della diocesi di Torit è stato sepolto nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo.
Ricordandolo, l’arcivescovo emerito di Khartoum Gabriel Zubeir ha invitato la nuova generazione di vescovi a seguire il cammino di pace e riconciliazione da lui tracciato
Da quando si era ritirato dal suo servizio ministeriale, si era prodigato per la pace tra i sudsudanesi, ed era stato mediatore tra le autorità governative dell’SPLA e David Yau Yau, leader dell’insurrezione dei Murle conclusasi con un accordo di pace nel 2017.
Mons. Taban è stato sepolto il 7 novembre a Torit, nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, dove era stato trasportato dopo la messa funebre a Juba, presieduta da Sua Eminenza Gabriel Zubeir, arcivescovo emerito di Khartoum.
Il cardinale Zubeir, durante la celebrazione di sepoltura, ha incoraggiato la nuova generazione di vescovi a seguire il cammino di mons. Taban. «Il Signore – ha detto il pastore – prende i vescovi anziani per fare spazio ai nuovi vescovi, clero e religiosi, per iniziare una nuova era».
«La Chiesa si prepara a celebrare il 50° anniversario dell’istituzione della gerarchia in Sudan e Sud Sudan» e ha aggiunto: «Il primo è stato mons. Makara, che aveva oltre 80 anni, e ora mons. Paride Taban, il più anziano vescovo vivente. Il terzo di loro potrei essere io che presto compirò 80 anni».
Sua Eminenza Zubeir ha affermato che la scomparsa dei vecchi vescovi deve essere vista come un messaggio del Signore agli attuali vescovi, al clero e ai fedeli mentre continuano nel loro impegno al servizio della Chiesa e del Regno di Dio.
«La scomparsa di mons. Paride – ha detto il cardinale – segna per noi un nuovo inizio. Stiamo assumendo la sua eredità come seguaci del suo servizio devoto al Signore con uno spirito rinnovato».
Il pastore ha aggiunto che, mentre la Chiesa cattolica inizia una nuova era, i giovani dovrebbero testimoniare la presenza di Cristo in questo Paese.
«Gettando via le armi dalle loro mani, l’odio, l’egoismo e l’avidità dai loro cuori – ha ammonito il cardinale -, permettiamo all’amore di Cristo di diffondersi ancora una volta attraverso di noi».
Riflettendo sulla vita del defunto vescovo Paride, il cardinale Gabriele lo ha descritto come un padre umile, di profonda spiritualità e che non si perdeva in troppe parole.
Insegnava ai fedeli e ai religiosi ad essere buoni ascoltatori, ma anche a essere pronti a mettere in pratica ciò che insegnavano e credevano.
Vescovi, sacerdoti e religiosi, infatti, per l’emerito vescovo di Torit, dovevano essere non solo predicatori del vangelo ma operatori che davano testimonianza con la vita.
Mons. Taban è stato sepolto il 7 novembre a Torit, nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, dove era stato trasportato dopo la messa funebre a Juba, presieduta da Sua Eminenza Gabriel Zubeir, arcivescovo emerito di Khartoum.
Il cardinale Zubeir, durante la celebrazione di sepoltura, ha incoraggiato la nuova generazione di vescovi a seguire il cammino di mons. Taban. «Il Signore – ha detto il pastore – prende i vescovi anziani per fare spazio ai nuovi vescovi, clero e religiosi, per iniziare una nuova era».
«La Chiesa si prepara a celebrare il 50° anniversario dell’istituzione della gerarchia in Sudan e Sud Sudan» e ha aggiunto: «Il primo è stato mons. Makara, che aveva oltre 80 anni, e ora mons. Paride Taban, il più anziano vescovo vivente. Il terzo di loro potrei essere io che presto compirò 80 anni».
Sua Eminenza Zubeir ha affermato che la scomparsa dei vecchi vescovi deve essere vista come un messaggio del Signore agli attuali vescovi, al clero e ai fedeli mentre continuano nel loro impegno al servizio della Chiesa e del Regno di Dio.
«La scomparsa di mons. Paride – ha detto il cardinale – segna per noi un nuovo inizio. Stiamo assumendo la sua eredità come seguaci del suo servizio devoto al Signore con uno spirito rinnovato».
Il pastore ha aggiunto che, mentre la Chiesa cattolica inizia una nuova era, i giovani dovrebbero testimoniare la presenza di Cristo in questo Paese.
«Gettando via le armi dalle loro mani, l’odio, l’egoismo e l’avidità dai loro cuori – ha ammonito il cardinale -, permettiamo all’amore di Cristo di diffondersi ancora una volta attraverso di noi».
Riflettendo sulla vita del defunto vescovo Paride, il cardinale Gabriele lo ha descritto come un padre umile, di profonda spiritualità e che non si perdeva in troppe parole.
Insegnava ai fedeli e ai religiosi ad essere buoni ascoltatori, ma anche a essere pronti a mettere in pratica ciò che insegnavano e credevano.
Vescovi, sacerdoti e religiosi, infatti, per l’emerito vescovo di Torit, dovevano essere non solo predicatori del vangelo ma operatori che davano testimonianza con la vita.
L’instancabile operatore di pace Paride Taban, primo vescovo di Torit
Nato nel 1936, riceve l'ordinazione nel 1964, al momento dell’espulsione dei missionari dal Sudan. Nel gennaio 1980 è stato nominato Vescovo Ausiliare dell'Arcidiocesi di Juba ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 4 maggio 1980 da San Giovanni Paolo II. Nel luglio 1983 è stato nominato primo vescovo di Torit. Le prove della guerra costrinsero Mons. Taban all’esilio in Uganda, Kenya e Repubblica Centrafricana nel 1984
“Sono stato felice di essere stato vescovo in tempo di guerra perché ero lì per consolare e incoraggiare le persone e a condividere le loro sofferenze ” ha affermato il vescovo defunto in un’intervista rilasciata nel luglio 2022 a Radio Tamazuj.
Mons. Taban ricordava inoltre che era stato incarcerato una prima volta nel 1965 dal governo di Khartoum e poi ancora nel 1989 dall’SPLA (Sudan’s People Liberation Army, il movimento che si batteva per l’indipendenza del Sud Sudan). “Sono stato messo in carcere dalla mia stessa gente, dall’SPLA” ricordava con un sorriso. “I ribelli mi imprigionarono perché quando presero Torit ero rimasto lì con la popolazione e pensavano che fossi un agente governativo. Ma sono rimasto solo per essere accanto alla gente”.
Per favorire il dialogo tra le realtà sudanesi nel 1990 Mons. Taban è stato tra i fondatori e il primo presidente del Consiglio delle Chiese del Nuovo Sudan (NSCC), del quale fanno parte la Chiesa cattolica, la Chiesa episcopale del Sudan, la Chiesa presbiteriana del Sudan, l’African Inland Church, la Chiesa pentecostale del Sudan e la Sudan Interior Church. Sotto la sua guida l'NSCC ha agito come facilitatore nei negoziati di pace durante la seconda guerra civile sudanese e di posto come difensore dei diritti umani. Nella sua costante ricerca della pace, Paride Taban su mandato dell’AMECEA (la Conferenza che riunisce i vescovi dell’Africa orientale) si era recato in Ruanda nel 1994, l’anno del genocidio perpetrato contro la popolazione Tutsi.
Nel 2005 fonda a Kuron, il villaggio della pace della Santissima Trinità in Sud Sudan, una comunità che accoglie persone di diverse origini etniche vittime di conflitti. Questo villaggio è diventato un simbolo di speranza e guarigione
“Sono stato felice di essere stato vescovo in tempo di guerra perché ero lì per consolare e incoraggiare le persone e a condividere le loro sofferenze ” ha affermato il vescovo defunto in un’intervista rilasciata nel luglio 2022 a Radio Tamazuj.
Mons. Taban ricordava inoltre che era stato incarcerato una prima volta nel 1965 dal governo di Khartoum e poi ancora nel 1989 dall’SPLA (Sudan’s People Liberation Army, il movimento che si batteva per l’indipendenza del Sud Sudan). “Sono stato messo in carcere dalla mia stessa gente, dall’SPLA” ricordava con un sorriso. “I ribelli mi imprigionarono perché quando presero Torit ero rimasto lì con la popolazione e pensavano che fossi un agente governativo. Ma sono rimasto solo per essere accanto alla gente”.
Per favorire il dialogo tra le realtà sudanesi nel 1990 Mons. Taban è stato tra i fondatori e il primo presidente del Consiglio delle Chiese del Nuovo Sudan (NSCC), del quale fanno parte la Chiesa cattolica, la Chiesa episcopale del Sudan, la Chiesa presbiteriana del Sudan, l’African Inland Church, la Chiesa pentecostale del Sudan e la Sudan Interior Church. Sotto la sua guida l'NSCC ha agito come facilitatore nei negoziati di pace durante la seconda guerra civile sudanese e di posto come difensore dei diritti umani. Nella sua costante ricerca della pace, Paride Taban su mandato dell’AMECEA (la Conferenza che riunisce i vescovi dell’Africa orientale) si era recato in Ruanda nel 1994, l’anno del genocidio perpetrato contro la popolazione Tutsi.
Nel 2005 fonda a Kuron, il villaggio della pace della Santissima Trinità in Sud Sudan, una comunità che accoglie persone di diverse origini etniche vittime di conflitti. Questo villaggio è diventato un simbolo di speranza e guarigione
da un articolo del 27/08/2015 fonte: settimanale diocesi di Padova " La difesa del popolo"
Monsignor Paride Taban è il vescovo emerito della diocesi sud-sudanese di Torit, ha 79 anni. Sua l’idea di costruire una luogo in cui le famiglie potessero vivere insieme, senza divisioni e in amicizia. La scelta è caduta su Kuron, in Equatoria orientale, nei pressi del confine sudest del Paese. Un sogno diventato realtà e un esempio per la futura convivenza.
A un Paese tormentato dai conflitti ha voluto offrire un esempio di pace
Monsignor Paride Taban è il vescovo emerito della diocesi sudsudanese di Torit, ha 79 anni. Nel corso della sua vita, quello che oggi è il Sud Sudan ha attraversato tre grandi guerre civili: due tra il governo di Khartoum, capitale del Sudan allora unito, e i combattenti indipendentisti (1955-1972 e 1983-2005) e una che, dopo la nascita della nuova nazione con capitale Juba, continua ad opporre le truppe fedeli al presidente sudsudanese Salva Kiir ai ribelli guidati dal suo ex vice, Riek Machar. Ma mons. Taban non si è mai rassegnato alla prospettiva della divisione permanente.
Fonti d’ispirazione
“Fin dai tempi del colonialismo - ragiona - il Sudan meridionale è stato sfruttato usando la logica del divide et impera, del tribalismo, e anche la guerra attuale ne risente. Quindi se vogliamo farla finita col conflitto, dobbiamo creare un posto dove tutti possano vivere come una sola comunità, un’unica famiglia”.
Dal 2005 questo luogo, in effetti, esiste, per iniziativa dello stesso vescovo: è il ‘villaggio della pace’ di Kuron, in Equatoria orientale, nei pressi del confine sudest del Paese.
L’ispirazione è la comunità dove lo stesso mons. Taban è nato e cresciuto: “Ci vivevano famiglie provenienti da ogni parte del Sudan, non sapevamo neanche cosa fosse il tribalismo. - ricorda oggi il presule - Così durante la guerra contro il regime di Khartoum ho deciso che, se un giorno si fosse arrivati a firmare un armistizio, avrei lasciato il mio incarico per creare anch’io un villaggio della pace”.
La conferma che il progetto fosse realizzabile arrivò qualche anno più tardi, durante un pellegrinaggio in Terrasanta e una visita alla località di Nevé Shalom (o, in arabo, Wahat as-Salam): una “oasi di pace”, come recita il suo nome, con lo scopo di tenere insieme famiglie che non vogliono essere divise dal conflitto mediorientale.
“Israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei e musulmani hanno creato un insediamento fondato sul principio della cooperazione. - ricorda mons. Taban - È stato un modello per me quando finalmente, nel 2005 si è arrivati all’accordo di pace in Sudan: allora, come mi ero ripromesso, ho chiesto a papa Giovanni Paolo II di essere messo a riposo, e lui me lo ha concesso”.
Incrocio di culture
Niente, nella genesi di Kuron, è stato casuale, neanche la scelta del luogo dove farlo sorgere. Quell’angolo di Equatoria orientale, infatti, è un punto d’incrocio naturale per molte popolazioni. “È vicino all’Etiopia, nei pressi del Nilo Superiore e anche i pastori Turkana del Kenya e Karimojong dell’Uganda sono sempre arrivati qui durante la stagione del pascolo”, nota il vescovo.
La convivenza non sempre risultava facile, le razzie contro le mandrie altrui erano frequenti: anche per questo, racconta mons. Taban, si è cercato di fornire, attraverso la creazione di un programma agricolo, imperniato su alcune nuove fattorie, una possibile alternativa economica per gli abitanti del luogo che fino a quel momento avevano vissuto solo vendendo latte o bestiame.
In seguito, sono nate una scuola e una clinica: senza cibo, senza una qualità della vita accettabile, è la convinzione di mons. Taban, è impossibile parlare di pace e avviare iniziative concrete, che possono passare anche da gesti e da pratiche semplici, come lo sport.
“Persino il calcio ci ha aiutato a dar vita a una cultura della pace: giovani di diverse popolazioni che depredavano le greggi altrui, si sono trovati a gareggiare insieme e persone che prima si chiamavano “nemici” ora si definiscono fratelli, al punto che grazie ad un ex generale kenyano abbiamo insegnato loro ad occuparsi, come una polizia locale, della stessa sicurezza del villaggio”, testimonia il vescovo. Che non perde la speranza neanche nel mezzo del conflitto ancora in corso, in ore in cui il governo ha accettato di ratificare formalmente l’accordo di pace appena concordato, dopo mesi di trattative, ad Addis Abeba.
Mons. Taban, che nella capitale etiope era presente, vuole anzi rilanciare il suo ideale di convivenza. In coincidenza col decimo anniversario del ‘villaggio della pace’, specifica, “è stata convocata una conferenza di donatori: il progetto è quello di far nascere a Kuron un’accademia della pace”, che aiuti il Paese a ripartire dopo l’ennesimo conflitto.
A un Paese tormentato dai conflitti ha voluto offrire un esempio di pace
Monsignor Paride Taban è il vescovo emerito della diocesi sudsudanese di Torit, ha 79 anni. Nel corso della sua vita, quello che oggi è il Sud Sudan ha attraversato tre grandi guerre civili: due tra il governo di Khartoum, capitale del Sudan allora unito, e i combattenti indipendentisti (1955-1972 e 1983-2005) e una che, dopo la nascita della nuova nazione con capitale Juba, continua ad opporre le truppe fedeli al presidente sudsudanese Salva Kiir ai ribelli guidati dal suo ex vice, Riek Machar. Ma mons. Taban non si è mai rassegnato alla prospettiva della divisione permanente.
Fonti d’ispirazione
“Fin dai tempi del colonialismo - ragiona - il Sudan meridionale è stato sfruttato usando la logica del divide et impera, del tribalismo, e anche la guerra attuale ne risente. Quindi se vogliamo farla finita col conflitto, dobbiamo creare un posto dove tutti possano vivere come una sola comunità, un’unica famiglia”.
Dal 2005 questo luogo, in effetti, esiste, per iniziativa dello stesso vescovo: è il ‘villaggio della pace’ di Kuron, in Equatoria orientale, nei pressi del confine sudest del Paese.
L’ispirazione è la comunità dove lo stesso mons. Taban è nato e cresciuto: “Ci vivevano famiglie provenienti da ogni parte del Sudan, non sapevamo neanche cosa fosse il tribalismo. - ricorda oggi il presule - Così durante la guerra contro il regime di Khartoum ho deciso che, se un giorno si fosse arrivati a firmare un armistizio, avrei lasciato il mio incarico per creare anch’io un villaggio della pace”.
La conferma che il progetto fosse realizzabile arrivò qualche anno più tardi, durante un pellegrinaggio in Terrasanta e una visita alla località di Nevé Shalom (o, in arabo, Wahat as-Salam): una “oasi di pace”, come recita il suo nome, con lo scopo di tenere insieme famiglie che non vogliono essere divise dal conflitto mediorientale.
“Israeliani e palestinesi, cristiani, ebrei e musulmani hanno creato un insediamento fondato sul principio della cooperazione. - ricorda mons. Taban - È stato un modello per me quando finalmente, nel 2005 si è arrivati all’accordo di pace in Sudan: allora, come mi ero ripromesso, ho chiesto a papa Giovanni Paolo II di essere messo a riposo, e lui me lo ha concesso”.
Incrocio di culture
Niente, nella genesi di Kuron, è stato casuale, neanche la scelta del luogo dove farlo sorgere. Quell’angolo di Equatoria orientale, infatti, è un punto d’incrocio naturale per molte popolazioni. “È vicino all’Etiopia, nei pressi del Nilo Superiore e anche i pastori Turkana del Kenya e Karimojong dell’Uganda sono sempre arrivati qui durante la stagione del pascolo”, nota il vescovo.
La convivenza non sempre risultava facile, le razzie contro le mandrie altrui erano frequenti: anche per questo, racconta mons. Taban, si è cercato di fornire, attraverso la creazione di un programma agricolo, imperniato su alcune nuove fattorie, una possibile alternativa economica per gli abitanti del luogo che fino a quel momento avevano vissuto solo vendendo latte o bestiame.
In seguito, sono nate una scuola e una clinica: senza cibo, senza una qualità della vita accettabile, è la convinzione di mons. Taban, è impossibile parlare di pace e avviare iniziative concrete, che possono passare anche da gesti e da pratiche semplici, come lo sport.
“Persino il calcio ci ha aiutato a dar vita a una cultura della pace: giovani di diverse popolazioni che depredavano le greggi altrui, si sono trovati a gareggiare insieme e persone che prima si chiamavano “nemici” ora si definiscono fratelli, al punto che grazie ad un ex generale kenyano abbiamo insegnato loro ad occuparsi, come una polizia locale, della stessa sicurezza del villaggio”, testimonia il vescovo. Che non perde la speranza neanche nel mezzo del conflitto ancora in corso, in ore in cui il governo ha accettato di ratificare formalmente l’accordo di pace appena concordato, dopo mesi di trattative, ad Addis Abeba.
Mons. Taban, che nella capitale etiope era presente, vuole anzi rilanciare il suo ideale di convivenza. In coincidenza col decimo anniversario del ‘villaggio della pace’, specifica, “è stata convocata una conferenza di donatori: il progetto è quello di far nascere a Kuron un’accademia della pace”, che aiuti il Paese a ripartire dopo l’ennesimo conflitto.
Celebrazione per il nuovo Cardinale della Diocesi di Juba (SudSudan)
Conferenza stampa presso la segreteria dell'Arcidiocesi di Juba del presidente del Comitato organizzatore della celebrazione del nuovo cardinale nella storia della nostra Chiesa e del Paese.
Sua Eccellenza il Vescovo Santo Laku Pio, Vescovo ausiliare di Juba, parla oggi nel suo ufficio ai media del piano del grande ricevimento e della celebrazione di Sua Eminenza il Cardinale Dr. Stephen Ameyu Martin Mulla
I leader del Sud Sudan chiedono armonia istituzionale alle elezioni
2 ottobre 2023 (JUBA) – Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il primo vicepresidente Riek Machar hanno chiesto l'armonia istituzionale in vista delle elezioni del prossimo anno.
Intervenendo alla cerimonia di giuramento del ministro degli Interni Angelina Teny e della sua vice Marial Gumke, Kiir ha esortato i due leader a lavorare insieme e garantire che l'istituzione adempia al suo mandato.
“Lavorare insieme in armonia è fondamentale. Ciò vi consentirà di portare a termine il vostro mandato”, ha osservato Kiir.
Da parte sua, Machar ha esortato i nuovi funzionari a preparare un ambiente favorevole allo svolgimento delle elezioni.
Durante l'occasione presieduta dal Presidente della Corte Suprema ha prestato giuramento anche il nuovo vice governatore dello Stato dei Laghi, Isaiah Akol Mathiang.
Nel frattempo il ministro degli Interni ha accolto con favore il suo incarico e ha promesso che avrebbe collaborato con i funzionari del ministero per migliorare le prestazioni.
Nell’agosto dello scorso anno, i leader del Sud Sudan hanno firmato una proroga di due anni del governo di transizione, una mossa che i partner stranieri hanno avvertito come priva di legittimità.Questa è stata la seconda volta che i partiti hanno prolungato il periodo transitorio del Paese.
Machar in precedenza aveva affermato che l’attuazione delle disposizioni chiave della tabella di marcia era in ritardo.
A luglio, il rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite in Sud Sudan, Nicholas Haysom, ha affermato che la giovane nazione potrebbe ancora fare passi significativi verso l’obiettivo di dicembre 2024 di tenere elezioni con volontà politica, risorse adeguate e impegno per creare un ambiente politico appropriato.
Sahel: firmato un accordo di mutua difesa tra Mali, Burkina Faso e Niger
I firmatari si sono impegnati ad assistersi a vicenda, anche militarmente, in caso di attacchi: “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”
Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato un patto di mutua difesa contro minacce di rivolte armate interne o aggressioni esterne. L’accordo, denominato Carta del Liptako-Gourma (la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi, devastata dal jihadismo negli ultimi anni), è stato firmato ieri a Bamako e istituisce l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).
I firmatari si sono impegnati ad assistersi a vicenda, anche militarmente, in caso di attacchi: “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel documento, articolato in 17 punti. Le parti si sono impegnate anche a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate, a combattere il terrorismo in tutte le sue forme e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’Alleanza.
L’obiettivo è “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, ha dichiarato sul social network X il colonnello Assimi Goita, presidente di transizione del Mali. “La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”, ha affermato sullo stesso social network l’omologo burkinabé, capitano Ibrahim Traoré.
Tutti e tre gli Stati erano membri, insieme al Ciad e alla Mauritania, del quadro di cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuto dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis). Tutti e tre i Paesi hanno subito colpi di stato dal 2020; l’ultimo golpe è stato compiuto a luglio in Niger, dove è stato deposto il presidente Mohamed Bazoum. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) ha condannato l’accaduto e minacciato un intervento militare. La Francia ha ritirato le sue truppe dal Mali e dal Burkina Faso, mentre c’è ancora una situazione di stallo in Niger. Dal Mali si sta ritirando anche la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma.
I firmatari si sono impegnati ad assistersi a vicenda, anche militarmente, in caso di attacchi: “Qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti”, si legge nel documento, articolato in 17 punti. Le parti si sono impegnate anche a collaborare per prevenire o sedare le ribellioni armate, a combattere il terrorismo in tutte le sue forme e a contrastare la criminalità organizzata nello spazio comune dell’Alleanza.
L’obiettivo è “istituire un’architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni”, ha dichiarato sul social network X il colonnello Assimi Goita, presidente di transizione del Mali. “La creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel segna una tappa decisiva nella cooperazione tra Burkina Faso, Mali e Niger. Per la sovranità e lo sviluppo dei nostri popoli, guideremo la lotta contro il terrorismo nel nostro spazio comune, fino alla vittoria”, ha affermato sullo stesso social network l’omologo burkinabé, capitano Ibrahim Traoré.
Tutti e tre gli Stati erano membri, insieme al Ciad e alla Mauritania, del quadro di cooperazione regionale G5 Sahel, sostenuto dalla Francia, per contrastare i gruppi armati legati ad al Qaeda e allo Stato islamico (Isis). Tutti e tre i Paesi hanno subito colpi di stato dal 2020; l’ultimo golpe è stato compiuto a luglio in Niger, dove è stato deposto il presidente Mohamed Bazoum. La Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao) ha condannato l’accaduto e minacciato un intervento militare. La Francia ha ritirato le sue truppe dal Mali e dal Burkina Faso, mentre c’è ancora una situazione di stallo in Niger. Dal Mali si sta ritirando anche la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma.
Salva Kiir ha incontrato il suo omologo russo al Cremlino e ha rafforzato le sue relazioni, mentre la Russia è alla ricerca di nuovi alleati
Un asse tra Mosca e Giuba. Il presidente russo, Vladimir Putin, e il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, sembrano aver rafforzato le loro relazioni dopo un incontro a Mosca, con l'obiettivo di espandersi nei settori dell'energia, del commercio e, soprattutto, del petrolio.
I due leader hanno discusso di questioni politiche e di sicurezza in Sud Sudan, dove ci si prepara alle prime elezioni presidenziali del prossimo anno. La nazione africana ha ottenuto l'indipendenza dal vicino Sudan nel 2011 e da allora Kiir è alla guida del Paese.
Secondo il Cremlino, Putin ha affermato che lo sviluppo di raffinerie di petrolio in Sud Sudan con la partecipazione di aziende russe rafforzerà i legami. "Questo è solo l'inizio. Abbiamo molte buone opportunità in diversi campi, compreso quello energetico", ha dichiarato Putin.
Attualmente, il gruppo russo Safinat sta lavorando a una raffineria di petrolio in Sud Sudan.
L'incontro tra i due presidenti è arrivato mentre le potenze mondiali continuano a chiedere sostegno alle nazioni africane per l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
Il Sud Sudan è sotto pressione da parte degli Stati Uniti e di altri alleati per accelerare l'attuazione di un accordo di pace firmato nel 2018 che mira a porre fine a una guerra civile durata cinque anni e a preparare le elezioni.
Da parte sua, il paese africano vuole che gli embarghi sulle armi vengano rimossi. La Russia, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, potrebbe - in teoria - contribuire ad aiutare Giuba.
Durante l'incontro, Kiir ha dichiarato: "Il mondo dice che nessuno può sopravvivere o avere successo da solo", chiedendo a Putin di aiutare il giovane Paese. Putin e Kiir avrebbero anche discusso di pace e sicurezza in Africa e di questioni internazionali più ampie.
Il conflitto nel vicino Sudan ha spinto migliaia di persone nel Sud Sudan, le cui risorse umanitarie e di altro tipo erano già fortemente ridotte.
Questa è la seconda volta che il presidente sud sudanese visita la Russia. Kiir aveva partecipato al primo vertice Russia-Africa nel 2019.
Putin ha dichiarato che la Russia assisterà il Sud Sudan nella gestione della situazione politica interna e nel garantire la sicurezza.
"Faremo del nostro meglio per sostenervi in questo campo", ha detto Putin, promettendo il sostegno del Paese ai suoi nuovi alleati.
I due leader hanno discusso di questioni politiche e di sicurezza in Sud Sudan, dove ci si prepara alle prime elezioni presidenziali del prossimo anno. La nazione africana ha ottenuto l'indipendenza dal vicino Sudan nel 2011 e da allora Kiir è alla guida del Paese.
Secondo il Cremlino, Putin ha affermato che lo sviluppo di raffinerie di petrolio in Sud Sudan con la partecipazione di aziende russe rafforzerà i legami. "Questo è solo l'inizio. Abbiamo molte buone opportunità in diversi campi, compreso quello energetico", ha dichiarato Putin.
Attualmente, il gruppo russo Safinat sta lavorando a una raffineria di petrolio in Sud Sudan.
L'incontro tra i due presidenti è arrivato mentre le potenze mondiali continuano a chiedere sostegno alle nazioni africane per l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
Il Sud Sudan è sotto pressione da parte degli Stati Uniti e di altri alleati per accelerare l'attuazione di un accordo di pace firmato nel 2018 che mira a porre fine a una guerra civile durata cinque anni e a preparare le elezioni.
Da parte sua, il paese africano vuole che gli embarghi sulle armi vengano rimossi. La Russia, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, potrebbe - in teoria - contribuire ad aiutare Giuba.
Durante l'incontro, Kiir ha dichiarato: "Il mondo dice che nessuno può sopravvivere o avere successo da solo", chiedendo a Putin di aiutare il giovane Paese. Putin e Kiir avrebbero anche discusso di pace e sicurezza in Africa e di questioni internazionali più ampie.
Il conflitto nel vicino Sudan ha spinto migliaia di persone nel Sud Sudan, le cui risorse umanitarie e di altro tipo erano già fortemente ridotte.
Questa è la seconda volta che il presidente sud sudanese visita la Russia. Kiir aveva partecipato al primo vertice Russia-Africa nel 2019.
Putin ha dichiarato che la Russia assisterà il Sud Sudan nella gestione della situazione politica interna e nel garantire la sicurezza.
"Faremo del nostro meglio per sostenervi in questo campo", ha detto Putin, promettendo il sostegno del Paese ai suoi nuovi alleati.
Putin ha anche sollevato la questione della cooperazione umanitaria
“Le persone della vostra nazione vengono formate nelle istituzioni educative del nostro paese. Intendiamo ampliare questa collaborazione. So che esiste un’interazione simile con le regioni della Federazione Russa, compreso il Tatarstan. Spero che quest’area di attività possa solo svilupparsi”, ha detto..
“Le persone della vostra nazione vengono formate nelle istituzioni educative del nostro paese. Intendiamo ampliare questa collaborazione. So che esiste un’interazione simile con le regioni della Federazione Russa, compreso il Tatarstan. Spero che quest’area di attività possa solo svilupparsi”, ha detto..
da un articolo di J. C. Okechukwu (Lagos, Nigeria) - Regista | Consulente Mediatico | Attore | Autore | Attivista| Pan-Africanist:
BREAKING: Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir è a Mosca per colloqui bilaterali con il suo omologo russo Vladmir Putin, ha detto mercoledì il suo ufficio. Il ministro della Presidenza, Barnaba Marial Benjamin, ha detto che Kiir discuterà del processo di attuazione della pace e dei preparativi per le elezioni del 2024. Kiir, che avrebbe discusso anche di economia, stabilità regionale e sicurezza, è stato precedentemente ricevuto da Putin che ha affermato: “La Russia sosterrà il Sud Sudan nell’affrontare le sue sfide politiche interne e nel garantire la sicurezza”. Aprendo l'incontro, il presidente russo ha affermato che le relazioni tra i due paesi si stanno sviluppando in modo molto intenso. "Siamo stati uno dei primi Paesi a riconoscere la sovranità e l'indipendenza del Sud Sudan. Devo dire che crediamo che resti ancora molto da fare, innanzitutto nel campo dello sviluppo economico", ha affermato. Secondo il presidente russo, lo scorso anno il commercio bilaterale è leggermente diminuito, ma quest'anno è in aumento. "E questo è solo l'inizio. Abbiamo molte buone opportunità in vari settori, compreso l'energia. Spero che il lavoro che abbiamo svolto - intendo la costruzione di una raffineria nel vostro Paese in coordinamento con le nostre aziende, e il prevede di costruire una seconda fase di questa raffineria - andrà a beneficio dello sviluppo dei nostri legami commerciali ed economici", ha affermato. Putin ha anche sollevato la questione della cooperazione umanitaria. “Le persone della vostra nazione vengono formate nelle istituzioni educative del nostro paese. Intendiamo ampliare questa collaborazione. So che esiste un'interazione simile con le regioni della Federazione Russa, compreso il Tatarstan. Spero che quest'area di attività possa solo svilupparsi", ha detto.
È nata una nuova AFRICA in un nuovo #multipolar mondo! Il Sud Sudan è completamente russizzato e ne sono molto contenti. Questo è probabilmente il motivo per cui la Gran Bretagna e l’Occidente si oppongono alla russizzazione dell’altro Sudan, che ora è in guerra con se stesso. Ma è solo questione di tempo.
Viva l'Africa!
BREAKING: Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir è a Mosca per colloqui bilaterali con il suo omologo russo Vladmir Putin, ha detto mercoledì il suo ufficio. Il ministro della Presidenza, Barnaba Marial Benjamin, ha detto che Kiir discuterà del processo di attuazione della pace e dei preparativi per le elezioni del 2024. Kiir, che avrebbe discusso anche di economia, stabilità regionale e sicurezza, è stato precedentemente ricevuto da Putin che ha affermato: “La Russia sosterrà il Sud Sudan nell’affrontare le sue sfide politiche interne e nel garantire la sicurezza”. Aprendo l'incontro, il presidente russo ha affermato che le relazioni tra i due paesi si stanno sviluppando in modo molto intenso. "Siamo stati uno dei primi Paesi a riconoscere la sovranità e l'indipendenza del Sud Sudan. Devo dire che crediamo che resti ancora molto da fare, innanzitutto nel campo dello sviluppo economico", ha affermato. Secondo il presidente russo, lo scorso anno il commercio bilaterale è leggermente diminuito, ma quest'anno è in aumento. "E questo è solo l'inizio. Abbiamo molte buone opportunità in vari settori, compreso l'energia. Spero che il lavoro che abbiamo svolto - intendo la costruzione di una raffineria nel vostro Paese in coordinamento con le nostre aziende, e il prevede di costruire una seconda fase di questa raffineria - andrà a beneficio dello sviluppo dei nostri legami commerciali ed economici", ha affermato. Putin ha anche sollevato la questione della cooperazione umanitaria. “Le persone della vostra nazione vengono formate nelle istituzioni educative del nostro paese. Intendiamo ampliare questa collaborazione. So che esiste un'interazione simile con le regioni della Federazione Russa, compreso il Tatarstan. Spero che quest'area di attività possa solo svilupparsi", ha detto.
È nata una nuova AFRICA in un nuovo #multipolar mondo! Il Sud Sudan è completamente russizzato e ne sono molto contenti. Questo è probabilmente il motivo per cui la Gran Bretagna e l’Occidente si oppongono alla russizzazione dell’altro Sudan, che ora è in guerra con se stesso. Ma è solo questione di tempo.
Viva l'Africa!
Il Presidente del Sud Sudan incontra Putin a Mosca
28 settembre 2023Giovedì il presidente sudsudanese Salva Kiir avrà un colloquio con il suo omologo russo Vladimir Putin a Mosca.
Il presidente sudanese è alla sua prima visita ufficiale in Russia su invito di Putin.
Kiir è arrivato mercoledì nella capitale russa ed è stato ricevuto dal viceministro degli Esteri Andrey Rudenko Yurevich.
Secondo il servizio stampa del Cremlino, i due leader dovrebbero discutere della cooperazione tra i loro paesi in vari campi, nonché di questioni regionali e internazionali.
Il presidente Putin ha ospitato diversi leader africani a Mosca in diverse occasioni quest’anno, mentre la Russia continua a corteggiare l’Africa per una maggiore cooperazione.
Nel suo discorso virtuale al vertice BRICS del 2023 tenutosi a Johannesburg in agosto, il leader russo ha affermato che Mosca intende approfondire i legami con i paesi africani e che rimarrà un partner affidabile per le forniture di cibo e carburante.
Il presidente sudanese è alla sua prima visita ufficiale in Russia su invito di Putin.
Kiir è arrivato mercoledì nella capitale russa ed è stato ricevuto dal viceministro degli Esteri Andrey Rudenko Yurevich.
Secondo il servizio stampa del Cremlino, i due leader dovrebbero discutere della cooperazione tra i loro paesi in vari campi, nonché di questioni regionali e internazionali.
Il presidente Putin ha ospitato diversi leader africani a Mosca in diverse occasioni quest’anno, mentre la Russia continua a corteggiare l’Africa per una maggiore cooperazione.
Nel suo discorso virtuale al vertice BRICS del 2023 tenutosi a Johannesburg in agosto, il leader russo ha affermato che Mosca intende approfondire i legami con i paesi africani e che rimarrà un partner affidabile per le forniture di cibo e carburante.
Le memorie di suor Regina e suor Mary, uccise in un agguato il 16 agosto scorso in Sud Sudan
Il 23 maggio sono state solennemente introdotte nell’altare dei Nuovi Martiri africani, nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola, i sandali, le vesti e la croce pettorale di suor Regina e suor Mary uccise in Sud Sudan il 16 agosto 2021. Le due religiose, appartenenti alla congregazione diocesana delle Sacred Heart Sisters della famiglia comboniana, sono state colpite a morte nel corso di un agguato al pulmino su cui viaggiavano di ritorno da una celebrazione. Alla cerimonia, presieduta da S. E. Mons. Vincenzo Paglia, sono intervenute le consorelle sud-sudanesi, impegnate nell’educazione delle bambine di questo Paese, che ancora soffre a causa del grave conflitto esploso.
Di seguito l’omelia pronunciata da S. E. Mons. Vincenzo Paglia
Care sorelle e cari fratelli,
signori ambasciatori degli Stati Uniti e del Giappone, ci troviamo assieme in questa Basilica di San Bartolomeo che san Giovanni Paolo II volle fosse dedicata ai Nuovi Martiri. E accogliamo la veste e i sandali di Suor Regina e di suor Mary, uccise in Sud Sudan il 16 agosto 2021 sulla strada per Juba mentre tornavano, insieme a molte altre persone, dalla celebrazione per il centenario della parrocchia di Loa, nella diocesi di Torit. Uomini armati hanno attaccato l’autobus dove viaggiavano. Tutti i passeggeri, comprese le due suore, sono riusciti a scendere dall’autobus e fuggire, ma gli assalitori hanno mirato appositamente alle due religiose e le hanno uccise. Con questa preghiera ricordiamo l’ora della loro testimonianza, come abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni. Due discepole di Gesù hanno dato la loro vita per il Signore e per le sorelle e i fratelli. Suor Regina e Suor Mary si uniscono al numero dei testimoni e delle loro reliquie che arricchiscono questa Basilica. Per noi e per coloro che da oggi la visiteranno sono una testimonianza che edifica – non solo in senso figurato, ma reale – perché possiamo crescere nell’amore per il Vangelo con quella generosità che distingue coloro che hanno testimoniato sino al sangue la fedeltà al vangelo. Oggi sentiamo la grazia di applicare anche noi quanto scrive la Lettera agli Ebrei: “Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta”(12, 1-2). Potremmo dire, care sorelle e cari fratelli, che la testimonianza di suor Regina e suor Mary ci esorta a continuare a camminare – anzi a correre – sulla strada della comunicazione del Vangelo. Mi torna in mente l’inizio di una omelia che mons. Oscar Arnulfo Romero – che possiamo considerare il primo dei Nuovi Martiri – pronunciò al funerale di un prete ucciso dagli squadroni della morte: “Il Concilio Vaticano II – disse l’arcivescovo – chiede a tutti i cristiani di essere martiri, ossia di dare la propria vita per i fratelli. Ad alcuni, come a questo sacerdote, gliela chiede sino al sangue. A tutti comunque chiede di dare la propria vita gratuitamente per la salvezza degli altri”. Questa Basilica dedicata ai Nuovi Martiri ci ricorda che il Vangelo va vissuto con quella dimensione di “eroicità” propria di Gesù. In questo tempo – segnato in maniera così radicale dall’individualismo – c’è bisogno della testimonianza di un Vangelo senza aggiunte, radicale. IL vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato ci ricorda che è lo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, che guida i cristiani. E noi di questo Spirito dobbiamo essere testimoni: un amore gratuito che spinge a donare gratuitamente la propria vita per la salvezza di tutti. Per questo il “mondo” – o meglio il principe di questo mondo – non vuole la pace. E non può non odiare i discepoli di Gesù che ne sono i testimoni. Per questo Gesù dice: “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Care sorelle e cari fratelli, oggi deporremo l’abito religioso, la croce e i sandali di Sister Mary e Sister Regina sull’altare dedicato ai Nuovi Martiri dell’Africa. La loro testimonianza possa spingere il Sud Sudan sulla via della riconciliazione e della pace! E la visita che Papa Francesco si appresta a compiere sia di benedizione per il Sud Sudan e per l’intero continente africano, a noi tutti tanto caro. Da anni la Comunità di Sant’Egidio ha a cuore il Sud Sudan e l’intera Africa. Questa preghiera rinsalda l’impegno comune per pace. E ringraziamo la Madre Generale, Sister Alice e le altre suore della Congregazione del Sacro Cuore a cui appartenevano Sister Mary e Sister Regina, per il dono prezioso che ci ricorda il martirio di queste due loro consorelle africane. La loro testimonianza ci rende pensosi di fronte alla violenza che hanno subito. Sia Sister Mary, che aveva anche ricoperto la carica di superiora generale delle Sorelle del Sacro Cuore, sia Sister Regina, che era amministratrice del Catholic Health Training Institute della diocesi di Wau, avevano vissuto fin da bambine in mezzo alla guerra. Sapevano bene che cosa significava doversi nascondere, fuggire con i propri familiari, cercare rifugio. Tutte e due – fedeli al Vangelo – avevano scelto di dedicarsi al Signore e ai loro fratelli, unendosi alla Congregazione del Sacro Cuore, particolarmente impegnata nella educazione delle donne, delle giovani soprattutto, come sappiamo essere tra le prime vittime di ogni conflitto. Ambedue avevano affrontato in altre occasioni sfide difficili. Sister Mary, aveva testimoniato pubblicamente in più occasioni che solo grazie all’aiuto del Signore aveva potuto affrontare i gravi problemi che quella responsabilità le aveva presentato. Ecco alcune sue parole: “La guerra, le etnie, la divisione tra i leaders politici: solo la fede, nel mezzo della prova, faceva sì che la paura divenisse lo stesso grido di aiuto che ha salvato nella loro umiltà Giuditta (Gd 9), Esther (Es. 4, 17-30) e la madre Siro-fenicia (Mc. 7, 24-30); tutte donne che chiamano tutti all’unità e alla pace a partire dalla base.” Sister Mary e Sister Regina hanno dato la loro testimonianza, hanno donato la vita per il Vangelo nel loro paese, perché il loro sangue possa essere seme di pace e di fede nel Signore Gesù, perché venga presto il tempo della liberazione del popolo del Sud Sudan da ogni odio e violenza. Purtroppo il principe del male non cessa di seminare odio tra le diverse popolazioni che compongono questo paese, tra popolo e popolo, etnia ed etnia, tra pastori e agricoltori, membri di diverse formazioni politiche e milizie. La vostra Congregazione, care sorelle, continua a testimoniare la forza del Vangelo della pace: per lungo tempo, negli anni della guerra di indipendenza, avete subito espulsioni da parte delle autorità di Khartoum, ma questo non vi ha impedito di crescere e di maturare in Sud Sudan ed anche in Uganda. Oggi la testimonianza delle due suore parla anche nel cuore della Chiesa del Papa e assieme ai tanti martiri che vediamo raccolti nell’icona dell’altare lo accompagneranno nel prossimo suo viaggio in Africa perché sia pieno di frutti di amore e di pace. E così sia.
Di seguito l’omelia pronunciata da S. E. Mons. Vincenzo Paglia
Care sorelle e cari fratelli,
signori ambasciatori degli Stati Uniti e del Giappone, ci troviamo assieme in questa Basilica di San Bartolomeo che san Giovanni Paolo II volle fosse dedicata ai Nuovi Martiri. E accogliamo la veste e i sandali di Suor Regina e di suor Mary, uccise in Sud Sudan il 16 agosto 2021 sulla strada per Juba mentre tornavano, insieme a molte altre persone, dalla celebrazione per il centenario della parrocchia di Loa, nella diocesi di Torit. Uomini armati hanno attaccato l’autobus dove viaggiavano. Tutti i passeggeri, comprese le due suore, sono riusciti a scendere dall’autobus e fuggire, ma gli assalitori hanno mirato appositamente alle due religiose e le hanno uccise. Con questa preghiera ricordiamo l’ora della loro testimonianza, come abbiamo ascoltato dal vangelo di Giovanni. Due discepole di Gesù hanno dato la loro vita per il Signore e per le sorelle e i fratelli. Suor Regina e Suor Mary si uniscono al numero dei testimoni e delle loro reliquie che arricchiscono questa Basilica. Per noi e per coloro che da oggi la visiteranno sono una testimonianza che edifica – non solo in senso figurato, ma reale – perché possiamo crescere nell’amore per il Vangelo con quella generosità che distingue coloro che hanno testimoniato sino al sangue la fedeltà al vangelo. Oggi sentiamo la grazia di applicare anche noi quanto scrive la Lettera agli Ebrei: “Anche noi, dunque, poiché siamo circondati da una così grande schiera di testimoni, deponiamo ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, e corriamo con perseveranza la gara che ci è proposta, fissando lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta”(12, 1-2). Potremmo dire, care sorelle e cari fratelli, che la testimonianza di suor Regina e suor Mary ci esorta a continuare a camminare – anzi a correre – sulla strada della comunicazione del Vangelo. Mi torna in mente l’inizio di una omelia che mons. Oscar Arnulfo Romero – che possiamo considerare il primo dei Nuovi Martiri – pronunciò al funerale di un prete ucciso dagli squadroni della morte: “Il Concilio Vaticano II – disse l’arcivescovo – chiede a tutti i cristiani di essere martiri, ossia di dare la propria vita per i fratelli. Ad alcuni, come a questo sacerdote, gliela chiede sino al sangue. A tutti comunque chiede di dare la propria vita gratuitamente per la salvezza degli altri”. Questa Basilica dedicata ai Nuovi Martiri ci ricorda che il Vangelo va vissuto con quella dimensione di “eroicità” propria di Gesù. In questo tempo – segnato in maniera così radicale dall’individualismo – c’è bisogno della testimonianza di un Vangelo senza aggiunte, radicale. IL vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato ci ricorda che è lo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, che guida i cristiani. E noi di questo Spirito dobbiamo essere testimoni: un amore gratuito che spinge a donare gratuitamente la propria vita per la salvezza di tutti. Per questo il “mondo” – o meglio il principe di questo mondo – non vuole la pace. E non può non odiare i discepoli di Gesù che ne sono i testimoni. Per questo Gesù dice: “Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio”. Care sorelle e cari fratelli, oggi deporremo l’abito religioso, la croce e i sandali di Sister Mary e Sister Regina sull’altare dedicato ai Nuovi Martiri dell’Africa. La loro testimonianza possa spingere il Sud Sudan sulla via della riconciliazione e della pace! E la visita che Papa Francesco si appresta a compiere sia di benedizione per il Sud Sudan e per l’intero continente africano, a noi tutti tanto caro. Da anni la Comunità di Sant’Egidio ha a cuore il Sud Sudan e l’intera Africa. Questa preghiera rinsalda l’impegno comune per pace. E ringraziamo la Madre Generale, Sister Alice e le altre suore della Congregazione del Sacro Cuore a cui appartenevano Sister Mary e Sister Regina, per il dono prezioso che ci ricorda il martirio di queste due loro consorelle africane. La loro testimonianza ci rende pensosi di fronte alla violenza che hanno subito. Sia Sister Mary, che aveva anche ricoperto la carica di superiora generale delle Sorelle del Sacro Cuore, sia Sister Regina, che era amministratrice del Catholic Health Training Institute della diocesi di Wau, avevano vissuto fin da bambine in mezzo alla guerra. Sapevano bene che cosa significava doversi nascondere, fuggire con i propri familiari, cercare rifugio. Tutte e due – fedeli al Vangelo – avevano scelto di dedicarsi al Signore e ai loro fratelli, unendosi alla Congregazione del Sacro Cuore, particolarmente impegnata nella educazione delle donne, delle giovani soprattutto, come sappiamo essere tra le prime vittime di ogni conflitto. Ambedue avevano affrontato in altre occasioni sfide difficili. Sister Mary, aveva testimoniato pubblicamente in più occasioni che solo grazie all’aiuto del Signore aveva potuto affrontare i gravi problemi che quella responsabilità le aveva presentato. Ecco alcune sue parole: “La guerra, le etnie, la divisione tra i leaders politici: solo la fede, nel mezzo della prova, faceva sì che la paura divenisse lo stesso grido di aiuto che ha salvato nella loro umiltà Giuditta (Gd 9), Esther (Es. 4, 17-30) e la madre Siro-fenicia (Mc. 7, 24-30); tutte donne che chiamano tutti all’unità e alla pace a partire dalla base.” Sister Mary e Sister Regina hanno dato la loro testimonianza, hanno donato la vita per il Vangelo nel loro paese, perché il loro sangue possa essere seme di pace e di fede nel Signore Gesù, perché venga presto il tempo della liberazione del popolo del Sud Sudan da ogni odio e violenza. Purtroppo il principe del male non cessa di seminare odio tra le diverse popolazioni che compongono questo paese, tra popolo e popolo, etnia ed etnia, tra pastori e agricoltori, membri di diverse formazioni politiche e milizie. La vostra Congregazione, care sorelle, continua a testimoniare la forza del Vangelo della pace: per lungo tempo, negli anni della guerra di indipendenza, avete subito espulsioni da parte delle autorità di Khartoum, ma questo non vi ha impedito di crescere e di maturare in Sud Sudan ed anche in Uganda. Oggi la testimonianza delle due suore parla anche nel cuore della Chiesa del Papa e assieme ai tanti martiri che vediamo raccolti nell’icona dell’altare lo accompagneranno nel prossimo suo viaggio in Africa perché sia pieno di frutti di amore e di pace. E così sia.
Mar Nero dominato militarmente dalla Russia: ma ora l'Occidente lo vuole al centro della strategia della Nato
Il Mar Nero, grande poco meno di tre volte l’Adriatico, è un’autostrada d’acqua che collega tre delle aree più calde del mondo: la Russia in attrito col fianco orientale della Nato in Ucraina, la regione balcanico-danubiana dove tanti fuochi ardono ancora oggi sotto la cenere e il Medio Oriente allargato, la cui instabilità non merita troppi commenti. Insomma, prendendo in prestito una battuta di Arlington Stringham, il Mar Nero -come i Balcani – ha sempre prodotto più storia di quanta ne possa consumare localmente: dall’invasione russa dell’Ucraina si è messo addirittura al centro della storia, come non accadeva dai tempi della guerra di Troia. Allora come oggi, le forze dell’Oriente e dell’Occidente si combattono in queste acque. D’altronde, il controllo del Mar Nero è un elemento chiave per la Russia da sempre: l’attacco alla Georgia nel 2008, l’occupazione illegale della Crimea nel 2014 e quella della parte costiera di Zaporizhzhia e Kherson e soprattutto della città marittima di Mariupol nel 2022 sono stati appropriazioni di territorio aventi come obiettivo il miglioramento della situazione geopolitica e strategica del paese proprio nel Mar Nero. Storicamente, per il dominio di queste acque, la Russia si è spesso confrontata con le maggiori potenze europee e con la Turchia. Dalla caduta dell’Urss gli obiettivi del Cremlino in quest’area si possono riassumere in poche parole: tenere il più possibile al sicuro il bastione strategico della Russia in Crimea colpendo e tentando di ridurre all’impotenza i paesi che non fanno parte della Nato e gravitano in questa regione: Moldova, Ucraina e Georgia. Fino alla vigilia dell’attuale sanguinosissima guerra avremmo potuto sostenere che Mosca intendeva solo esercitare una crescente influenza nel Mediterraneo sviluppando i suoi legami economici e commerciali con i principali mercati europei e rendendo l‘Europa meridionale, a partire da Italia e Turchia, il più dipendente possibile dal petrolio e dal gas russi. In un Mediterraneo che il Cremlino percepiva come in gran parte dominato dalla Nato, non mancavano opportunità politiche, economiche e militari da pescare, come era avvenuto in Siria: Cipro, Egitto, Israele, Turchia ecc. Certo, non significava che il Mar Nero fosse diventato quasi come era stato ai tempi dell’Urss, quando veniva definito un lago sovietico, ma secondo gli esperti la Russia fino all’inizio del 2022 – oltre all’influenza geoeconomica – aveva acquisito un effettivo dominio militare sul cuore del teatro del Mar Nero con la fortificazione della Crimea, il dispiegamento di sistemi missilistici antiaerei e navali a lungo raggio e radar di sorveglianza e acquisizione del bersaglio. Tutto questo senza che Mosca fosse stata capace, va detto, di convertire questo dominio militare in potere politico, limitandosi a coltivare relazioni da “partenariato strategico” con Ankara, membro della Nato ma spesso battitore libero in politica estera.
L’Occidente non aveva reagito al dispiegamento dei sistemi missilistici terra-aria S-400 Triumph e K-300P Bastion-P per la difesa costiera, dall’attivazione di sistemi di sorveglianza a lungo raggio, preallarme e acquisizione del bersaglio, alla collocazione di una divisione dell’aeronautica e due reggimenti dell’aviazione navale, al dispiegamento di sottomarini diesel per proiettare potenza a terra con i missili da crociera a lungo raggio Kalibr. Va detto che, a differenza della regione di Kaliningrad, i russi qui a sud non avevano creato prima della guerra – e men che meno dopo – una struttura di comando integrata le forze aereo-spaziali, la marina ecc. e le funzioni generali di comando erano svolte dal quartier generale del distretto militare meridionale, situato a Rostov sul Don, tradizionalmente dominato dai generali dell’esercito. Addirittura, la principale base navale russa sul Mar Nero, Sebastopoli, amministrativamente non ha mai fatto parte della Crimea. Insomma, negli anni Mosca ha badato a raccattare territori (Transnistria, Crimea, Donbass, Ossezia del Sud) senza creare un’organizzazione appena sufficiente a mantenere il dominio geopolitico.
Questo quadro non è migliorato dall’inizio della guerra e, anzi, si è confrontato con una rinnovata coscienza dei leader occidentali dell’importanza geopolitica e strategica del Mar Nero: ora, c’è un’attenzione crescente a Washington, a Bruxelles e nelle capitali occidentali ma soprattutto si è consolidata la determinazione, una volta messo al sicuro il Baltico con l’allargamento dell’alleanza a Svezia e Finlandia, a collocare il Mar Nero al centro della strategia della Nato.
Non dovrà essere più la Russia a dettare le regole della regione, né gli alleati – come la Turchia – saranno più lasciati soli davanti al gigante euroasiatico: il Mar Nero merita una propria strategia globale per garantire che il Cremlino non lo consideri più il suo orticello esclusivo.
La senatrice democratica Jeanne Shaheen e il senatore repubblicano Mitt Romney hanno sollecitato in modo bipartisan il presidente americano Biden a elaborare una strategia per il Mar Nero e spingere per una maggiore presenza militare e impegno economico degli Stati Uniti nella regione. Mara Karlin, assistente segretario alla difesa Usa, ha sostenuto che “la regione del Mar Nero è un’area di fondamentale importanza geostrategica ed è un nodo chiave per le infrastrutture di transito e le risorse energetiche… Continueremo a incoraggiare una più profonda cooperazione tra alleati e partner del Mar Nero per scoraggiare e difenderci dall’aggressione in corso della Russia in Ucraina e nella più ampia regione del Mar Nero.. Questa cooperazione include ulteriori sforzi per aumentare la condivisione delle informazioni per costruire una consapevolezza comune nel settore marittimo e oltre”. Ciò significa che nella regione del Mar Nero “gli Stati Uniti continueranno a lavorare con gli alleati della NATO per far avanzare la modernizzazione militare per affrontare la minaccia militare della Russia, anche attraverso una migliore postura ed esercitazioni per migliorare la sicurezza e la prosperità della regione”.
Non è un caso che, a differenza di quanto certi politici e commentatori superficiali spesso sostengono, l’Ucraina punti sul serio alla liberazione della Crimea: non solo perché è sua di diritto e -data la sua configurazione con poche vie d’accesso e risorse scarse- non è così facile da tenere per i russi, ma anche perché a Kiev hanno ben chiaro che la sconfitta della Russia potrà passare solo dalla perdita dei porti del Mar Nero e del Mare di Azov in territorio ucraino e dal suo ridimensionamento geopolitico e militare proprio nel Mar Nero.
L’Occidente non aveva reagito al dispiegamento dei sistemi missilistici terra-aria S-400 Triumph e K-300P Bastion-P per la difesa costiera, dall’attivazione di sistemi di sorveglianza a lungo raggio, preallarme e acquisizione del bersaglio, alla collocazione di una divisione dell’aeronautica e due reggimenti dell’aviazione navale, al dispiegamento di sottomarini diesel per proiettare potenza a terra con i missili da crociera a lungo raggio Kalibr. Va detto che, a differenza della regione di Kaliningrad, i russi qui a sud non avevano creato prima della guerra – e men che meno dopo – una struttura di comando integrata le forze aereo-spaziali, la marina ecc. e le funzioni generali di comando erano svolte dal quartier generale del distretto militare meridionale, situato a Rostov sul Don, tradizionalmente dominato dai generali dell’esercito. Addirittura, la principale base navale russa sul Mar Nero, Sebastopoli, amministrativamente non ha mai fatto parte della Crimea. Insomma, negli anni Mosca ha badato a raccattare territori (Transnistria, Crimea, Donbass, Ossezia del Sud) senza creare un’organizzazione appena sufficiente a mantenere il dominio geopolitico.
Questo quadro non è migliorato dall’inizio della guerra e, anzi, si è confrontato con una rinnovata coscienza dei leader occidentali dell’importanza geopolitica e strategica del Mar Nero: ora, c’è un’attenzione crescente a Washington, a Bruxelles e nelle capitali occidentali ma soprattutto si è consolidata la determinazione, una volta messo al sicuro il Baltico con l’allargamento dell’alleanza a Svezia e Finlandia, a collocare il Mar Nero al centro della strategia della Nato.
Non dovrà essere più la Russia a dettare le regole della regione, né gli alleati – come la Turchia – saranno più lasciati soli davanti al gigante euroasiatico: il Mar Nero merita una propria strategia globale per garantire che il Cremlino non lo consideri più il suo orticello esclusivo.
La senatrice democratica Jeanne Shaheen e il senatore repubblicano Mitt Romney hanno sollecitato in modo bipartisan il presidente americano Biden a elaborare una strategia per il Mar Nero e spingere per una maggiore presenza militare e impegno economico degli Stati Uniti nella regione. Mara Karlin, assistente segretario alla difesa Usa, ha sostenuto che “la regione del Mar Nero è un’area di fondamentale importanza geostrategica ed è un nodo chiave per le infrastrutture di transito e le risorse energetiche… Continueremo a incoraggiare una più profonda cooperazione tra alleati e partner del Mar Nero per scoraggiare e difenderci dall’aggressione in corso della Russia in Ucraina e nella più ampia regione del Mar Nero.. Questa cooperazione include ulteriori sforzi per aumentare la condivisione delle informazioni per costruire una consapevolezza comune nel settore marittimo e oltre”. Ciò significa che nella regione del Mar Nero “gli Stati Uniti continueranno a lavorare con gli alleati della NATO per far avanzare la modernizzazione militare per affrontare la minaccia militare della Russia, anche attraverso una migliore postura ed esercitazioni per migliorare la sicurezza e la prosperità della regione”.
Non è un caso che, a differenza di quanto certi politici e commentatori superficiali spesso sostengono, l’Ucraina punti sul serio alla liberazione della Crimea: non solo perché è sua di diritto e -data la sua configurazione con poche vie d’accesso e risorse scarse- non è così facile da tenere per i russi, ma anche perché a Kiev hanno ben chiaro che la sconfitta della Russia potrà passare solo dalla perdita dei porti del Mar Nero e del Mare di Azov in territorio ucraino e dal suo ridimensionamento geopolitico e militare proprio nel Mar Nero.
GLI ESPERTI DISCUTONO DELLA PARTECIPAZIONE DELLA RUSSIA AI PROGETTI INFRASTRUTTURALI DELL'AFRICA
Hanno preso parte alla discussione George Sebulela, fondatore dell'African United Business Confederation, Raja Shafiq El Ali, vicepresidente del Consiglio aziendale russo-marocchino, Michael Marcos Antonio, socio amministratore, Abyarin Soluções, Andrey Gromov, direttore, agenzia di consulenza GR-Group, Andrey Kulakov, fondatore, K-Techno, Valery Pyatnitsev, membro del consiglio di amministrazione, OGK-2, e Nikolay Shcherbakov, Leading Research Fellow, Lo monosov Istituto di studi asiatici e africani dell'Università statale di Mosca. L'evento è stato programmato per coincidere con il secondo vertice Russia-Africa e il forum economico e umanitario Russia-Africa, che si terranno dal 27 al 28 luglio presso l'ExpoForum Convention and Exhibition Center di San Pietroburgo.
Il secondo vertice Russia-Africa e il forum economico e umanitario Russia-Africa si svolgeranno presso l'ExpoForum Convention and Exhibition Center di San Pietroburgo dal 27 al 28 luglio 2023. Gli eventi mirano a rafforzare la cooperazione russo-africana su tutti i fronti e sono progettati per determinare il percorso dello sviluppo delle relazioni della Russia con i paesi africani a lungo termine.
Durante la tavola rotonda, gli esperti hanno discusso dei problemi infrastrutturali dell'Africa e delle possibili soluzioni che coinvolgono la tecnologia russa. Il vicepresidente del Consiglio d'affari russo-marocchino Raja Shafiq El Ali ha osservato che “il volume degli scambi tra Russia e Marocco è vicino a 1,5 miliardi di dollari. Il Marocco propone anche che la Russia venga coinvolta nei suoi progetti infrastrutturali”. Ha citato uno di questi progetti allettanti: la creazione di un hub del carbone, poiché il 65% della capacità energetica del Marocco proviene dal carbone, l'80% del quale viene importato dalla Russia. “Russia e Marocco hanno una lunga relazione storica che continua a crescere in vari settori. Ma nonostante i progressi già compiuti, ci sono ancora molte opportunità per migliorare le relazioni tra i Paesi”, ha riassunto.
A sua volta, George Sebulela ha sottolineato che il momento migliore per investire è adesso e ha invitato le imprese russe a passare dalle parole ai fatti, citando come esempio la costruzione di un impianto da 400 MW in Congo, un importante progetto di investimento cinese del costo di 80 miliardi di dollari. "Un progetto di costruzione di un porto è attualmente in corso in Tanzania, con investimenti provenienti da Tanzania, Cina e Oman, mentre Lagos ha un progetto ambizioso per costruire fino a 1.500 km di binari ferroviari, per un costo di 10 miliardi di dollari", ha affermato George Sebulela. Ha anche preso atto delle garanzie fornite dagli Stati africani per proteggere gli interessi degli investitori.
Andrey Gromov , direttore dell'agenzia di consulenza GR-Group, era convinto che la Russia, in quanto successore dell'URSS, avesse "un vantaggio nello sviluppo delle relazioni con il continente africano". Ha notato che a causa delle politiche di colonialismo dei paesi occidentali, la cultura delle relazioni commerciali in Africa si è evoluta in modo diverso e che le comunicazioni tra Russia e Africa potrebbero non essere facili, ma che almeno il dialogo sarebbe stato ad armi pari.
Durante la discussione, Valery Pyatnitsev, membro del consiglio di OGK-2, ha affermato la necessità di un approccio sistematico del governo verso la partecipazione a progetti infrastrutturali in Africa. Ha proposto di creare sistemi finanziari integrati tra Russia e Africa, come una banca comune per facilitare la circolazione dei fondi per le esportazioni e le importazioni a livello statale.
Da parte sua, Nikolay Shcherbakov, Leading Research Fellow presso l'Istituto di studi asiatici e africani della Lomonosov Moscow State University, ha sottolineato l'importanza di lavorare con ogni singolo paese africano piuttosto che con il continente nel suo insieme. Ha anche rilevato il ruolo delle piccole e medie imprese nello sviluppo delle relazioni tra Russia e paesi africani. “Le aziende dovrebbero comunicare non solo sotto gli auspici dei governi, perché la maggior parte dell'attività commerciale del continente proviene da piccole e medie imprese (PMI)”, ha affermato.
Dopo la fine dell'accordo sul grano la Russia è pronta a inviare grano gratis all'Africa
Sapete che, con nostro grande rammarico, si trattava di quantità piuttosto ridotte, perché i Paesi più poveri dell’Africa hanno ricevuto meno di tutti come risultato dell’accordo sul grano. E, naturalmente, la Russia mantiene la sua posizione al riguardo. Siamo in contatto con i nostri partner africani e questi contatti continueranno al prossimo forum Russia-Africa», ha detto Peskov ai giornalisti che gli chiedevano se la Russia fosse pronta a inviare grano gratuito ai Paesi più poveri dell’Africa e a sostituire le quantità precedentemente consegnate dall’Ucraina. La Russia attende con impazienza il forum di San Pietroburgo per «discutere di tutte queste questioni», sul grano.
La posizione dei Paesi che «non hanno soddisfatto le condizioni» dell’accordo per l’export di grano tramite il mar Nero è «senza scrupoli». Lo ha detto il portavoce del Cremelino, Dmitry Peskov, rispendendo al mittente le accuse fatte a Mosca dai Paesi occidentali. Quanto al ruolo dell’Onu «non è colpa di Guterres, di cui apprezziamo molto gli sforzi effettuati, o delle Nazioni Unite», ha aggiunto.
E' di pochi giorni fa, la puntualizzazione della santa Sede, che ha voluto precisare come la posizione del Papa non possa esssere considerata filo-russa.. Francesco, come ha messo in chiaro il segretario per i rapporti con gli stati della Santa Sede monsignor Pual Richard Gallagher, "vuole il dialogo e la pace", ha "distinto chiaramente tra aggredito e aggressore" ma è rimasto vittima più volte del fatto che i suoi "pronunciamenti sono stati tradotti senza precisione e talvolta senza risparmiargli offese".
La posizione dei Paesi che «non hanno soddisfatto le condizioni» dell’accordo per l’export di grano tramite il mar Nero è «senza scrupoli». Lo ha detto il portavoce del Cremelino, Dmitry Peskov, rispendendo al mittente le accuse fatte a Mosca dai Paesi occidentali. Quanto al ruolo dell’Onu «non è colpa di Guterres, di cui apprezziamo molto gli sforzi effettuati, o delle Nazioni Unite», ha aggiunto.
E' di pochi giorni fa, la puntualizzazione della santa Sede, che ha voluto precisare come la posizione del Papa non possa esssere considerata filo-russa.. Francesco, come ha messo in chiaro il segretario per i rapporti con gli stati della Santa Sede monsignor Pual Richard Gallagher, "vuole il dialogo e la pace", ha "distinto chiaramente tra aggredito e aggressore" ma è rimasto vittima più volte del fatto che i suoi "pronunciamenti sono stati tradotti senza precisione e talvolta senza risparmiargli offese".
PACE, SANT’EGIDIO: DA LUNEDI’ IMPAGLIAZZO ALL’ONU PER INCONTRO CON GUTERRES E INTERVENTO AL CONSIGLIO DI SICUREZZA
(AGENPARL) – sab 17 giugno 2023 PACE, SANT’EGIDIO: DA LUNEDI’ IMPAGLIAZZO
ALL’ONU PER INCONTRO CON GUTERRES E INTERVENTO
AL CONSIGLIO DI SICUREZZA
All’inizio della prossima settimana il
presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco
Impagliazzo, si recherà a New York per alcuni
incontri al Palazzo di vetro. Lunedì 19 giugno,
alle 16 ora locale, sarà ricevuto dal segretario
generale dell’Onu, Antonio Guterres, mentre
martedì 20 giugno, alle 15 (sempre ora locale)
interverrà al Consiglio di Sicurezza, invitato a
parlare dell’impegno portato avanti dalla
Comunità per la pacificazione del Sud Sudan, uno
dei paesi per i quali Sant’Egidio opera a favore
della riconciliazione e della pace.
Roma, 17 giugno 2023
Piazza di S. Egidio 3a – 00153 Roma – Tel
www.santegidio.org Email –
ALL’ONU PER INCONTRO CON GUTERRES E INTERVENTO
AL CONSIGLIO DI SICUREZZA
All’inizio della prossima settimana il
presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco
Impagliazzo, si recherà a New York per alcuni
incontri al Palazzo di vetro. Lunedì 19 giugno,
alle 16 ora locale, sarà ricevuto dal segretario
generale dell’Onu, Antonio Guterres, mentre
martedì 20 giugno, alle 15 (sempre ora locale)
interverrà al Consiglio di Sicurezza, invitato a
parlare dell’impegno portato avanti dalla
Comunità per la pacificazione del Sud Sudan, uno
dei paesi per i quali Sant’Egidio opera a favore
della riconciliazione e della pace.
Roma, 17 giugno 2023
Piazza di S. Egidio 3a – 00153 Roma – Tel
www.santegidio.org Email –
I leader di 7 Paesi africani si muovono per la pace in Ucraina
La delegazione è composta dai presidenti Azali Assoumani (Comore, nonché leader di turno dell'Unione africana), Macky Sall (Senegal), Cyril Ramaphosa (Sudafrica) e Hakainde Hichilema (Zambia), oltre al premier dell'Egitto Mostafa Madbouly e a inviati diplomatici di primo piano da Congo Brazzaville e Uganda
SALVA KIIR E TAI GIUTAI SI INCONTRANO PER DISCUTERE SULL'ATTUAZIONE DI PACE
Venerdi 9 giugno il Presidente Salva Kiir ha incontrato il Capo del Comitato di Monitoraggio e Valutazione (R-JMEC) Gen. Charles Tai Giutai.
Fonte: Autore Chany Ninrew
Fonte: Autore Chany Ninrew
Il Sud Sudan sposta le rotte di approvvigionamento petrolifero verso i porti di Gibuti e Mombasa
6 giugno 2023 (JUBA) - Il Sud Sudan ha annunciato che importerà forniture di petrolio essenziale attraverso i porti di Gibuti e del Kenya invece di utilizzare Port Sudan a causa del conflitto in corso.
Il ministro del Petrolio, Puot Kang Chuol, ha dichiarato durante una conferenza stampa che il ministero, con l'approvazione del gabinetto e della massima leadership del paese, tra cui il presidente Salva Kiir e il primo vicepresidente Riek Machar, ha formato un gruppo di risposta alle emergenze.
"Il team di risposta alle emergenze, guidato da un piano di emergenza ben definito e strutturato, mitigherà in modo proattivo l'impatto dei combattimenti in Sudan deviando tutta la logistica e il trasporto di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature", ha affermato il ministro Chuol.
Ha sottolineato che la crisi ha causato lievi interruzioni nella logistica e nel trasporto di forniture essenziali ai giacimenti petroliferi del Sud Sudan attraverso Port Sudan.
“Per evitare interruzioni nelle consegne, in particolare dei prodotti chimici utilizzati nella produzione, abbiamo deciso di importare forniture essenziali attraverso il porto di Mombasa in Kenya. Stiamo anche esplorando l'utilizzo del porto di Gibuti”, ha spiegato Chuol.
Il ministro ha assicurato che gli attuali inventari di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature nei giacimenti petroliferi sono sufficienti per sostenere la produzione regolare e l'esportazione di petrolio greggio per i prossimi tre mesi. Il team di risposta alle emergenze sta lavorando attivamente con le parti interessate e le loro controparti sudanesi per garantire una produzione ininterrotta di petrolio greggio nel Sud Sudan durante il conflitto in corso.
Chuol ha inoltre rassicurato che tutte le strutture del giacimento petrolifero, inclusi oleodotti, stazioni di pompaggio, impianti di lavorazione del campo, strutture di superficie del campo e il terminal marittimo di esportazione in Sudan, sono ben protette e al sicuro da eventuali danni. Il Sud Sudan continua a produrre ed esportare una media di 169.140,81 barili di greggio al giorno dai suoi giacimenti petroliferi.
Il team di risposta alle emergenze mantiene comunicazioni e cooperazione costanti con le autorità competenti presso il porto di Mombasa in Kenya e il porto di Gibuti per garantire lo sdoganamento tempestivo e il trasporto di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature destinati alle attività petrolifere del Sud Sudan, se presenti quei porti.
Data la forte dipendenza del Sud Sudan dalle entrate petrolifere per finanziare la sua spesa fiscale annuale, il paese sta attualmente affrontando sfide economiche. La crisi in Sudan è scaturita da gravi disaccordi tra la Sudan Army Force e la Rapid Support Force (RSF), in particolare per quanto riguarda l'integrazione della RSF nell'esercito.
In una questione separata ma correlata, il ministro degli affari presidenziali del Sud Sudan, Barnaba Marial Benjamin, ha esortato gli investitori a prendere in considerazione le opportunità nel paese. Ha evidenziato le vaste risorse naturali disponibili, di cui potrebbero beneficiare il Sud Sudan, la regione e oltre.
“Il Paese è dotato di enormi risorse naturali come petrolio, oro, rame, ferro, uranio e terra fertile. Qui si possono trovare più di 20 tipi di minerali: oro, rame, ferro, uranio, eccetera”, ha dichiarato il ministro Benjamin a nome del presidente Kiir durante l'apertura della Conferenza sul petrolio e l'energia a Juba.
Ha incoraggiato gli investitori a sfruttare il potenziale agricolo del paese e li ha accolti calorosamente. Benjamin ha sottolineato l'obiettivo della conferenza di attrarre investitori nazionali, regionali e internazionali interessati a esplorare opportunità nei settori upstream e midstream, estrazione mineraria, produzione e distribuzione di energia, servizi e infrastrutture.
Il ministro del Petrolio, Puot Kang Chuol, ha dichiarato durante una conferenza stampa che il ministero, con l'approvazione del gabinetto e della massima leadership del paese, tra cui il presidente Salva Kiir e il primo vicepresidente Riek Machar, ha formato un gruppo di risposta alle emergenze.
"Il team di risposta alle emergenze, guidato da un piano di emergenza ben definito e strutturato, mitigherà in modo proattivo l'impatto dei combattimenti in Sudan deviando tutta la logistica e il trasporto di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature", ha affermato il ministro Chuol.
Ha sottolineato che la crisi ha causato lievi interruzioni nella logistica e nel trasporto di forniture essenziali ai giacimenti petroliferi del Sud Sudan attraverso Port Sudan.
“Per evitare interruzioni nelle consegne, in particolare dei prodotti chimici utilizzati nella produzione, abbiamo deciso di importare forniture essenziali attraverso il porto di Mombasa in Kenya. Stiamo anche esplorando l'utilizzo del porto di Gibuti”, ha spiegato Chuol.
Il ministro ha assicurato che gli attuali inventari di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature nei giacimenti petroliferi sono sufficienti per sostenere la produzione regolare e l'esportazione di petrolio greggio per i prossimi tre mesi. Il team di risposta alle emergenze sta lavorando attivamente con le parti interessate e le loro controparti sudanesi per garantire una produzione ininterrotta di petrolio greggio nel Sud Sudan durante il conflitto in corso.
Chuol ha inoltre rassicurato che tutte le strutture del giacimento petrolifero, inclusi oleodotti, stazioni di pompaggio, impianti di lavorazione del campo, strutture di superficie del campo e il terminal marittimo di esportazione in Sudan, sono ben protette e al sicuro da eventuali danni. Il Sud Sudan continua a produrre ed esportare una media di 169.140,81 barili di greggio al giorno dai suoi giacimenti petroliferi.
Il team di risposta alle emergenze mantiene comunicazioni e cooperazione costanti con le autorità competenti presso il porto di Mombasa in Kenya e il porto di Gibuti per garantire lo sdoganamento tempestivo e il trasporto di materiali critici, prodotti chimici e attrezzature destinati alle attività petrolifere del Sud Sudan, se presenti quei porti.
Data la forte dipendenza del Sud Sudan dalle entrate petrolifere per finanziare la sua spesa fiscale annuale, il paese sta attualmente affrontando sfide economiche. La crisi in Sudan è scaturita da gravi disaccordi tra la Sudan Army Force e la Rapid Support Force (RSF), in particolare per quanto riguarda l'integrazione della RSF nell'esercito.
In una questione separata ma correlata, il ministro degli affari presidenziali del Sud Sudan, Barnaba Marial Benjamin, ha esortato gli investitori a prendere in considerazione le opportunità nel paese. Ha evidenziato le vaste risorse naturali disponibili, di cui potrebbero beneficiare il Sud Sudan, la regione e oltre.
“Il Paese è dotato di enormi risorse naturali come petrolio, oro, rame, ferro, uranio e terra fertile. Qui si possono trovare più di 20 tipi di minerali: oro, rame, ferro, uranio, eccetera”, ha dichiarato il ministro Benjamin a nome del presidente Kiir durante l'apertura della Conferenza sul petrolio e l'energia a Juba.
Ha incoraggiato gli investitori a sfruttare il potenziale agricolo del paese e li ha accolti calorosamente. Benjamin ha sottolineato l'obiettivo della conferenza di attrarre investitori nazionali, regionali e internazionali interessati a esplorare opportunità nei settori upstream e midstream, estrazione mineraria, produzione e distribuzione di energia, servizi e infrastrutture.
A Mosca si insegnerà l'africano - Da settembre in 4 istituti della capitale russa si studierà lo swahili, l'amarico e lo yoruba
Perché uno studente russo dovrebbe parlare lo swahili? La risposta, probabilmente, è nei corridoi del Cremlino. Fatto sta che in quattro istituti di Mosca, a partire dal prossimo settembre, in concomitanza col nuovo anno scolastico, si inizieranno a insegnare le principali lingue africane.
Secondo diversi analisti, il provvedimento al di là della semplice didattica, avrebbe fini geopolitici: Vladimir Putin, dopo l'isolamento internazionale dovuto all'invasione dell'Ucraina, ha iniziato a rafforzare i legami diplomatici, energetici e militari con i paesi africani. Un approfondimento che arriverà anche sui banchi di scuola. Ecco una possibile soluzione al quesito iniziale sul perché uno studente di Mosca dovrebbe prendere parte a lezioni di swahili e di amarico, ampiamente diffusi nell'Africa orientale, e di yoruba, l'idioma parlato in Nigeria e nei paesi limitrofi.
Le lingue africane saranno insegnate come parte di un programma speciale dell'Institute of Asia and Africa con sede a Mosca. E ha lo scopo di aiutare a stringere legami più stretti col continente. L'annuncio è avvenuto durante una tavola rotonda internazionale organizzata dall'agenzia di stampa russa Sputnik sulle relazioni Russia-Africa al quale hanno partecipato accademici delle università russe e africane.
«A partire da questo settembre gli studenti di quattro scuole di Mosca inizieranno a studiare le lingue africane: swahili, amarico e yoruba», ha confermato con un tweet l'ambasciata russa in Uganda. La Russia diventerà così il primo paese europeo a insegnare le lingue africane nelle sue scuole pubbliche.
«Una brusca virata verso l'Africa richiede un tipo completamente diverso di specialisti che potrebbero lavorare direttamente con l'economia e con le moderne élite politiche», ha spiegato Alexei Maslow, direttore dell'Istituto di studi asiatici e africani dell'università Lomonosov di Mosca, «e, cosa più importante, si renderebbero conto che l'Africa non è solo un grande continente, ma è un mosaico di diverse tradizioni nazionali, etniche, religiose e linguistiche».
Sono 30 mila gli studenti africani che studiano nelle università russe. E altri 100 mila, secondo Racus, l'organizzazione Study in Russia, hanno mostrato interesse a farlo.
Presto, oltre al russo, potrebbero parlare con gli studenti del luogo nella loro lingua d'origine.
Lo scorso marzo, a Mosca, si è tenuto il meeting Russia-Africa parliamentary conference sul tema di un mondo multipolare al quale hanno partecipato parlamentari di 40 Stati africani. Un preludio del Summit Russia-Africa dei capi di Stato e di governo fissato per il 28 e 29 giugno a San Pietroburgo. All'inizio di maggio, con la benedizione dello stesso Putin, è stata fondata un'associazione giornalistica bilaterale tra Russia e Africa nata grazie al Russian African Club, alla Lomonosov e al ministero degli esteri russo guidato da Sergei Lavrov.
Putin, del resto, continua ad affermare che i rapporti con i paesi africani sono una priorità per Mosca. E non perde occasione di ricordare l'appoggio dell'Urss nella lotta per l'indipendenza contro il colonialismo e per la cooperazione economica nel continente. Una corte serrata all'Africa e alle sue risorse. Anche linguistiche.
Secondo diversi analisti, il provvedimento al di là della semplice didattica, avrebbe fini geopolitici: Vladimir Putin, dopo l'isolamento internazionale dovuto all'invasione dell'Ucraina, ha iniziato a rafforzare i legami diplomatici, energetici e militari con i paesi africani. Un approfondimento che arriverà anche sui banchi di scuola. Ecco una possibile soluzione al quesito iniziale sul perché uno studente di Mosca dovrebbe prendere parte a lezioni di swahili e di amarico, ampiamente diffusi nell'Africa orientale, e di yoruba, l'idioma parlato in Nigeria e nei paesi limitrofi.
Le lingue africane saranno insegnate come parte di un programma speciale dell'Institute of Asia and Africa con sede a Mosca. E ha lo scopo di aiutare a stringere legami più stretti col continente. L'annuncio è avvenuto durante una tavola rotonda internazionale organizzata dall'agenzia di stampa russa Sputnik sulle relazioni Russia-Africa al quale hanno partecipato accademici delle università russe e africane.
«A partire da questo settembre gli studenti di quattro scuole di Mosca inizieranno a studiare le lingue africane: swahili, amarico e yoruba», ha confermato con un tweet l'ambasciata russa in Uganda. La Russia diventerà così il primo paese europeo a insegnare le lingue africane nelle sue scuole pubbliche.
«Una brusca virata verso l'Africa richiede un tipo completamente diverso di specialisti che potrebbero lavorare direttamente con l'economia e con le moderne élite politiche», ha spiegato Alexei Maslow, direttore dell'Istituto di studi asiatici e africani dell'università Lomonosov di Mosca, «e, cosa più importante, si renderebbero conto che l'Africa non è solo un grande continente, ma è un mosaico di diverse tradizioni nazionali, etniche, religiose e linguistiche».
Sono 30 mila gli studenti africani che studiano nelle università russe. E altri 100 mila, secondo Racus, l'organizzazione Study in Russia, hanno mostrato interesse a farlo.
Presto, oltre al russo, potrebbero parlare con gli studenti del luogo nella loro lingua d'origine.
Lo scorso marzo, a Mosca, si è tenuto il meeting Russia-Africa parliamentary conference sul tema di un mondo multipolare al quale hanno partecipato parlamentari di 40 Stati africani. Un preludio del Summit Russia-Africa dei capi di Stato e di governo fissato per il 28 e 29 giugno a San Pietroburgo. All'inizio di maggio, con la benedizione dello stesso Putin, è stata fondata un'associazione giornalistica bilaterale tra Russia e Africa nata grazie al Russian African Club, alla Lomonosov e al ministero degli esteri russo guidato da Sergei Lavrov.
Putin, del resto, continua ad affermare che i rapporti con i paesi africani sono una priorità per Mosca. E non perde occasione di ricordare l'appoggio dell'Urss nella lotta per l'indipendenza contro il colonialismo e per la cooperazione economica nel continente. Una corte serrata all'Africa e alle sue risorse. Anche linguistiche.
Sud Sudan, rinnovato per un anno l’embargo di armi e sanzioni
1 Giugno 2023
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione per rinnovare per un anno, fino al 31 maggio 2024, le misure di embargo sulle armi contro il Sud Sudan. Sono state rinnovate anche sanzioni mirate come ii divieto di viaggio e il congelamento dei beni contro individui ed entità. La risoluzione 2683, adottata con 10 voti a favore e 5 astensioni, ha prorogato inoltre il mandato del Panel di esperti, che assiste i lavori del South Sudan Sanctions Committee, fino al primo luglio 2024.
Entro il 15 aprile del prossimo anno il segretario generale Onu, in stretta consultazione con la missione in Sud Sudan e il gruppo di espertdi valutare i dei progressi compiuti e lo stesso dovranno fare le autorità sud-sudanesi riferendo al comitato per le sanzioni.
Cina, Gabon, Ghana, Mozambico e Russia si sono astenuti dalla votazione.
Sudan guerra e orrore : stop ai negoziati, orrore nell’orfanotrofio
Neanche la storia raccapricciante dell’orfanotrofio al-Mayqoma di Khartoum, documentata dall’Associated Press, ha suscitato reazioni all’altezza.
DA SEI SETTIMANE sulla linea dei furiosi scontri in corso nella capitale, lo storico istituto di carità musulmano che accoglie orfani da zero a 13 anni è stato teatro dell’orrore, la morte di almeno 60 dei 340 bambini che ospitava prima della guerra. 27 solo nell’ultimo fine settimana.
Spostarli lontano dalle finestre per proteggerli da schegge e proiettili vaganti – hanno raccontato sconfortati alcuni operatori all’Ap – non è servito: sono stati uccisi dalla fame e dalle febbri, ovvero dalla guerra che ha completamente isolato la struttura e impedito la consegna degli aiuti umanitari. Solo giovedì un camion dell’Unicef si è materializzato di fronte al cancello.
DA SEI SETTIMANE sulla linea dei furiosi scontri in corso nella capitale, lo storico istituto di carità musulmano che accoglie orfani da zero a 13 anni è stato teatro dell’orrore, la morte di almeno 60 dei 340 bambini che ospitava prima della guerra. 27 solo nell’ultimo fine settimana.
Spostarli lontano dalle finestre per proteggerli da schegge e proiettili vaganti – hanno raccontato sconfortati alcuni operatori all’Ap – non è servito: sono stati uccisi dalla fame e dalle febbri, ovvero dalla guerra che ha completamente isolato la struttura e impedito la consegna degli aiuti umanitari. Solo giovedì un camion dell’Unicef si è materializzato di fronte al cancello.
Le menzogne delle ONG smontate una ad una. Parla Oyiza, ragazza nigeriana che combatte eroicamente i trafficanti
Nelle sue parole la migrazione dall’Africa assume i contorni di una storia completamente diversa rispetto a quella propinata ormai da decenni dalle agenzie umanitarie del traffico.
Oyiza recupera i conti correnti dove i trafficanti indicano alle famiglie di versare i soldi dei riscatti, li consegna alla polizia nigeriana e tramite un tribunale è ora possibile bloccare i conti bancari di questi trafficanti africani, il più delle volte legati alle mafie africane e collaboratori delle milizie libiche di Tripoli.
Sono queste mafie infatti la catena di trasmissione che si incarica di portare sempre nuovi sventurati dai propri paesi fino alla Tripolitania, dove saranno resi schiavi e venduti.
Ecco quello che Oyiza ha dichiarato in un intervista a Michelangelo Severgnini:
<<Sono partita per la Libia nel 2015. La mia destinazione era la Libia, non avevo alcuna intenzione di andare in Europa attraverso il mare.. La mia intenzione era di lavorare qualche anno in Libia e ritornare a casa dopo alcuni anni.
Una volta in Libia mi sono ritrovata in trappola. Prima di partire non sapevo che la Libia fosse un Paese senza legge. Non ne ero consapevole. Una volta in trappola ho imparato cosa significhi la violazione dei diritti umani. Sono finita in una prigione di cui non sapevo nemmeno l’esistenza, senza alcuna assistenza medica o legale. Tutti i nostri diritti mani venivano violati in quella prigione, ci picchiavano selvaggiamente.
Ma la volta peggiore è stata quando sono stata rapita dalle milizie. In quel caso sono stata anche aggredita sessualmente. Sono stata anche picchiata e minacciata con un coltello. Avevano chiesto alla mia famiglia un riscatto di 500mila Naira (1.000 euro).
Queste sono state le mie esperienze in Libia. E una volta sopravvissuta alle milizie ho pensato che quello non fosse il Paese dove volevo stare. Volevo solo tornare a casa e sensibilizzare la mia gente a non andare in Libia, dove non c'è protezione, non c’è stato di diritto e non c’è rispetto dei diritti umani.
uando ho fatto richiesta di rimpatrio c'erano pochi voli, quindi è stato molto difficile.
Allora ciò che ho fatto è stato comprare un ETC (Certificato di Viaggio di Emergenza) dalla mia ambasciata nigeriana a Tripoli. Quindi ho dovuto viaggiare attraverso il Niger perché non c'erano voli disponibili.
Ho raggiunto la capitale del Niger, Niamey. Sono tornata via terra fino alla Nigeria. Quando sono tornata a casa ero molto felice. Potevo finalmente dormire senza problemi. Ero molto felice perché sapevo che nessuno avrebbe potuto più farmi violenza, non avrei dovuto più aver paura di nulla. La decisione che ho preso è stata di illuminare le persone sui rischi di questo viaggio. Sono andata all'ufficio del NAPTIP (Agenzia Nazionale per il Contrasto alla Tratta di Persone), ho spiegato loro cosa avevo attraversato, ho detto loro che avrei voluto essere volontaria nelle loro campagne.Da quel momento ho cominciato a fare campagne nei villaggi, presso le chiese, spiegando alla gente i rischi di viaggiare illegalmente. All'inizio la gente non mi credeva, mi incolpava di aver fatto la decisione sbagliata tornando, mi prendevano in giro.
Ma non me ne sono data conto. Ho continuato a parlare, a raccontare e gradualmente l'anno scorso hanno cominciato a capire. La gente ha cominciato a chiedere e ad informarsi, in molti hanno cominciato a contattarmi. La gente finalmente poneva le giuste domande. Quindi penso che la decisione che ho preso sia bellissima. Perché è inarrestabile. Il numero di quelli che vanno in Libia si è ridotto. Si è significativamente ridotto. Sono del tutto convinta che questo sia il risultato di tutte le nostre campagne. Infatti ogni giorno almeno 4-5 persone mi contattano chiedendo consigli se sia il caso di andare in Libia. E io li scoraggio. In diverse località usate come snodi di transito abbiamo i nostri volontari. Quando vedono potenziali vittime, gli danno informazioni. "Nel posto dove andrai sarai in pericolo. Meglio se torni a casa". E loro tornano a casa. Quindi è certamente il risultato di questa campagna intensiva.
Sai, la maggior parte delle volte in cui chiedo "perché vuoi emigrare?", la risposta è "per la povertà” e limitate opportunità di lavoro.
Questa è sempre la solita scusa. Ma non capiscono che l’Africa è una terra benedetta.
Abbiamo tutto e dobbiamo sopravvivere. Quindi rischiare la vita per un viaggio di cui non hai certezze, non ne vale la pena. L'unico fenomeno naturale di cui ti parlano è a causa della povertà. Ma non ne vale la pena, non ne vale la pena per niente. Migrare dall'Africa all'Europa non è la soluzione ai problemi che stano affrontando.
Migrare dall'Africa all'Europa attraverso il deserto e il mare non è la soluzione a questa povertà. La soluzione è sederci tutti insieme, fare girare le idee, guardare a tutto ciò che abbiamo e come trarne profitto.
Quello che si può dire è che la tratta è un grande affare. Non è più un servizio, è un affare da cui certe persone traggono profitto. Certe persone fanno sì che la tratta continui così che ne possano trarre vantaggio. Loro sanno che più persone possono spingere verso l’Europa, più affari possono concludere. Da questi affari potranno ricavare enormi profitti per se stessi. Quindi non stanno aiutando queste vittime, stanno aiutando loro stessi per ciò che traggono da tutto questo. Le mie campagne sono totalmente contrarie alla migrazione. Le mie campagne sono totalmente contrarie ai viaggi irregolari e per questo mi sono fatta parecchi nemici.
Durante l'intervista Severgnini chiede a Oyiza qual è la sua opinione sul film da lui stesso girato dal titolo "L'urlo" - Ho visto il film e posso dire che sia un buon film. E' un film che dice la verità sui migranti intrappolati in Libia. E' un film che porta alla luce la verità. Ciò che si vede è ciò che avviene in Libia. Qualcuno dice non sia vero. Ma ora abbiamo un film che mostra ciò che sta succedendo. Queste cose sono vere. Penso che sia del tutto scorretto impedire la distribuzione del film.
E' un buon film. Sono stata in Libia. Quelle sono le cose che succedono da quelle parti.
Sono stata nella prigione di Zuwara, di Abu Salim, in quella di Osama dove ci riducono in schiavitù, ci vendono e ci fanno prostituire. Quindi dove sono le menzogne?
Oyiza recupera i conti correnti dove i trafficanti indicano alle famiglie di versare i soldi dei riscatti, li consegna alla polizia nigeriana e tramite un tribunale è ora possibile bloccare i conti bancari di questi trafficanti africani, il più delle volte legati alle mafie africane e collaboratori delle milizie libiche di Tripoli.
Sono queste mafie infatti la catena di trasmissione che si incarica di portare sempre nuovi sventurati dai propri paesi fino alla Tripolitania, dove saranno resi schiavi e venduti.
Ecco quello che Oyiza ha dichiarato in un intervista a Michelangelo Severgnini:
<<Sono partita per la Libia nel 2015. La mia destinazione era la Libia, non avevo alcuna intenzione di andare in Europa attraverso il mare.. La mia intenzione era di lavorare qualche anno in Libia e ritornare a casa dopo alcuni anni.
Una volta in Libia mi sono ritrovata in trappola. Prima di partire non sapevo che la Libia fosse un Paese senza legge. Non ne ero consapevole. Una volta in trappola ho imparato cosa significhi la violazione dei diritti umani. Sono finita in una prigione di cui non sapevo nemmeno l’esistenza, senza alcuna assistenza medica o legale. Tutti i nostri diritti mani venivano violati in quella prigione, ci picchiavano selvaggiamente.
Ma la volta peggiore è stata quando sono stata rapita dalle milizie. In quel caso sono stata anche aggredita sessualmente. Sono stata anche picchiata e minacciata con un coltello. Avevano chiesto alla mia famiglia un riscatto di 500mila Naira (1.000 euro).
Queste sono state le mie esperienze in Libia. E una volta sopravvissuta alle milizie ho pensato che quello non fosse il Paese dove volevo stare. Volevo solo tornare a casa e sensibilizzare la mia gente a non andare in Libia, dove non c'è protezione, non c’è stato di diritto e non c’è rispetto dei diritti umani.
uando ho fatto richiesta di rimpatrio c'erano pochi voli, quindi è stato molto difficile.
Allora ciò che ho fatto è stato comprare un ETC (Certificato di Viaggio di Emergenza) dalla mia ambasciata nigeriana a Tripoli. Quindi ho dovuto viaggiare attraverso il Niger perché non c'erano voli disponibili.
Ho raggiunto la capitale del Niger, Niamey. Sono tornata via terra fino alla Nigeria. Quando sono tornata a casa ero molto felice. Potevo finalmente dormire senza problemi. Ero molto felice perché sapevo che nessuno avrebbe potuto più farmi violenza, non avrei dovuto più aver paura di nulla. La decisione che ho preso è stata di illuminare le persone sui rischi di questo viaggio. Sono andata all'ufficio del NAPTIP (Agenzia Nazionale per il Contrasto alla Tratta di Persone), ho spiegato loro cosa avevo attraversato, ho detto loro che avrei voluto essere volontaria nelle loro campagne.Da quel momento ho cominciato a fare campagne nei villaggi, presso le chiese, spiegando alla gente i rischi di viaggiare illegalmente. All'inizio la gente non mi credeva, mi incolpava di aver fatto la decisione sbagliata tornando, mi prendevano in giro.
Ma non me ne sono data conto. Ho continuato a parlare, a raccontare e gradualmente l'anno scorso hanno cominciato a capire. La gente ha cominciato a chiedere e ad informarsi, in molti hanno cominciato a contattarmi. La gente finalmente poneva le giuste domande. Quindi penso che la decisione che ho preso sia bellissima. Perché è inarrestabile. Il numero di quelli che vanno in Libia si è ridotto. Si è significativamente ridotto. Sono del tutto convinta che questo sia il risultato di tutte le nostre campagne. Infatti ogni giorno almeno 4-5 persone mi contattano chiedendo consigli se sia il caso di andare in Libia. E io li scoraggio. In diverse località usate come snodi di transito abbiamo i nostri volontari. Quando vedono potenziali vittime, gli danno informazioni. "Nel posto dove andrai sarai in pericolo. Meglio se torni a casa". E loro tornano a casa. Quindi è certamente il risultato di questa campagna intensiva.
Sai, la maggior parte delle volte in cui chiedo "perché vuoi emigrare?", la risposta è "per la povertà” e limitate opportunità di lavoro.
Questa è sempre la solita scusa. Ma non capiscono che l’Africa è una terra benedetta.
Abbiamo tutto e dobbiamo sopravvivere. Quindi rischiare la vita per un viaggio di cui non hai certezze, non ne vale la pena. L'unico fenomeno naturale di cui ti parlano è a causa della povertà. Ma non ne vale la pena, non ne vale la pena per niente. Migrare dall'Africa all'Europa non è la soluzione ai problemi che stano affrontando.
Migrare dall'Africa all'Europa attraverso il deserto e il mare non è la soluzione a questa povertà. La soluzione è sederci tutti insieme, fare girare le idee, guardare a tutto ciò che abbiamo e come trarne profitto.
Quello che si può dire è che la tratta è un grande affare. Non è più un servizio, è un affare da cui certe persone traggono profitto. Certe persone fanno sì che la tratta continui così che ne possano trarre vantaggio. Loro sanno che più persone possono spingere verso l’Europa, più affari possono concludere. Da questi affari potranno ricavare enormi profitti per se stessi. Quindi non stanno aiutando queste vittime, stanno aiutando loro stessi per ciò che traggono da tutto questo. Le mie campagne sono totalmente contrarie alla migrazione. Le mie campagne sono totalmente contrarie ai viaggi irregolari e per questo mi sono fatta parecchi nemici.
Durante l'intervista Severgnini chiede a Oyiza qual è la sua opinione sul film da lui stesso girato dal titolo "L'urlo" - Ho visto il film e posso dire che sia un buon film. E' un film che dice la verità sui migranti intrappolati in Libia. E' un film che porta alla luce la verità. Ciò che si vede è ciò che avviene in Libia. Qualcuno dice non sia vero. Ma ora abbiamo un film che mostra ciò che sta succedendo. Queste cose sono vere. Penso che sia del tutto scorretto impedire la distribuzione del film.
E' un buon film. Sono stata in Libia. Quelle sono le cose che succedono da quelle parti.
Sono stata nella prigione di Zuwara, di Abu Salim, in quella di Osama dove ci riducono in schiavitù, ci vendono e ci fanno prostituire. Quindi dove sono le menzogne?
Russia e Ucraina concordano una missione africana su un potenziale piano di pace per il Sudan
CAPE TOWN, 16 maggio (Reuters) - Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato martedì che il presidente russo Vladimir Putin e l'ucraino Volodymyr Zelenskiy hanno concordato di incontrare un gruppo di leader africani per discutere un potenziale piano di pace per il conflitto.
I dettagli del piano non sono stati divulgati pubblicamente, sebbene la posizione dichiarata dell'Ucraina per qualsiasi accordo di pace sia che tutte le truppe russe debbano ritirarsi dal suo territorio.
I dettagli del piano non sono stati divulgati pubblicamente, sebbene la posizione dichiarata dell'Ucraina per qualsiasi accordo di pace sia che tutte le truppe russe debbano ritirarsi dal suo territorio.
Ramaphosa nella conferenza stampa congiunta con il primo ministro di Singapore. ha dichiarato:
"Le mie discussioni con i due leader hanno dimostrato che sono entrambi pronti a ricevere i leader africani e a discutere su come porre fine a questo conflitto"
"Se ciò avrà successo o meno dipenderà dalle discussioni che si terranno", ha detto.
Ramaphosa ha affermato che il piano di pace è stato sostenuto anche dai leader di Senegal, Uganda ed Egitto, aggiungendo che anche il Segretario generale delle Nazioni Unite (Stati Uniti) e la Gran Bretagna sono stati informati dell'iniziativa.
Washington e Londra hanno espresso un "cauto" sostegno al piano di pace, ha aggiunto Ramaphosa.
"Le mie discussioni con i due leader hanno dimostrato che sono entrambi pronti a ricevere i leader africani e a discutere su come porre fine a questo conflitto"
"Se ciò avrà successo o meno dipenderà dalle discussioni che si terranno", ha detto.
Ramaphosa ha affermato che il piano di pace è stato sostenuto anche dai leader di Senegal, Uganda ed Egitto, aggiungendo che anche il Segretario generale delle Nazioni Unite (Stati Uniti) e la Gran Bretagna sono stati informati dell'iniziativa.
Washington e Londra hanno espresso un "cauto" sostegno al piano di pace, ha aggiunto Ramaphosa.
Guerra in Sudan, le battaglie proseguono nonostante la tregua
La situazione in Sudan
Negli scontri sono state uccise almeno 700 persone, la maggior parte civili, e in migliaia sono rimasti ferite, è in corso un esodo di massa. Nella assediata Khartoum, aerei da combattimento hanno bombardato le posizioni avversarie mentre i residenti, terrorizzati, sono barricati in casa senza acqua, cibo, medicine e altri generi di prima necessità. Al di là del Mar Rosso, nella città saudita di Gedda, si tenta in tutti i modi di portare avanti trattative per un cessate il fuoco che possa dare un senso agli sforzi per portare aiuti umanitari alla popolazione assediata. I generali alla testa delle due fazioni in guerra si sono accusati a vicenda delle violenze, ma non sembrano aver dato troppo peso ai colloqui in corso.
I generali alla testa delle due fazioni si sono accusati a vicenda delle violenze, ma non sembrano aver dato troppo peso ai colloqui di pace in corso. Nella assediata Khartoum, aerei da combattimento hanno bombardato le posizioni avversarie mentre i residenti sono barricati in casa senza acqua, cibo, medicine e altri generi di prima necessità
Nuovi scontri a fuoco e attacchi aerei sono scoppiati oggi nella capitale del Sudan, Khartoum, scossa da quattro settimane da aspri combattimenti nonostante gli ultimi tentativi di far cessare il fuoco sostenuti dall'Arabia Saudita e dagli Stati Uniti. Diversi tentativi di far tacere le armi, seppure temporaneamente, sono stati dichiarati e rapidamente violati dal 15 aprile scorso, quando sono iniziati gli scontri tra esercito e forze paramilitari nel Paese.
Guerra in Sudan, trovato accordo per proteggere i civili ma niente cessate il fuoco
L'esercito regolare di Khartoum e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf) hanno concordato di proteggere i civili dagli scontri scoppiati lo scorso 15 aprile, ma sono ancora lontani da un'intesa per il cessate il fuoco. È questo il risultato dei colloqui per la pace in Sudan in corso a Gedda, in Arabia Saudita, definiti difficili da una fonte diplomatica americana citata a condizione di anonimato dal Guardian.
L'accordo a Gedda
“Affermiamo il nostro impegno a garantire sempre la protezione dei civili, permettendo il loro passaggio sicuro e volontario dalle zone dove ci sono ostilità attive verso dove ritengono opportuno”, afferma una nota firmata dalle parti. Via libera anche all'assistenza umanitaria, mentre viene chiesta maggiore disponibilità di elettricità, acqua e altri servizi di base, il ritiro delle forze di sicurezza dagli ospedali e la ''rispettosa sepoltura'' dei morti.
L'accordo a Gedda
“Affermiamo il nostro impegno a garantire sempre la protezione dei civili, permettendo il loro passaggio sicuro e volontario dalle zone dove ci sono ostilità attive verso dove ritengono opportuno”, afferma una nota firmata dalle parti. Via libera anche all'assistenza umanitaria, mentre viene chiesta maggiore disponibilità di elettricità, acqua e altri servizi di base, il ritiro delle forze di sicurezza dagli ospedali e la ''rispettosa sepoltura'' dei morti.
Ci sono oltre 27 mila sud sudanesi, che erano rifugiati in Sudan e hanno deciso di tornare in un paese che dalla nascita è senza pace e se possibile è ancora più povero del Sudan. Il timore di tutte le organizzazioni umanitarie è che se il conflitto non si ferma subito ci possa essere un effetto domino che colpirà tutta l'area, rendendola ancora più instabile di quanto già non lo sia.
Il ministro degli affari umanitari chiede oltre 4 milioni di dollari per assistere migliaia di persone in fuga dal Sudan
Il Ministro degli affari umanitari del Sud Sudan Albino Akol Atak ha richiesto oltre 4 milioni di dollari USA per rispondere all'afflusso di rimpatriati e rifugiati in fuga dal conflitto in Sudan.
Qui il video dell'On. Albino Akol Atak in visita poche ore fa presso NBGS - Aweil analizza la situazione dei rifugiati
Rimpatriati del Sud Sudan che vendono i propri vestiti per il trasporto per fuggire dal Sudan
Martedì, parlando a Radio Tamazuj al valico di frontiera di Joda nello Stato dell'Alto Nilo, diversi rimpatriati sud-sudanesi hanno affermato di essere stati costretti a vendere vestiti e altre proprietà per raccogliere fondi sufficienti per il trasporto.
"Ringraziamo Dio di essere usciti sani e salvi dal Sudan e di essere arrivati qui, e ci è stato detto che le ONG ci porteranno dal confine al Sud Sudan", ha detto Deborah Paul, una madre di tre bambini che è arrivata nella città di confine di Joda.
Deborah è tra le oltre 40.000 persone che sono recentemente arrivate nello stato dell'Alto Nilo dopo che a metà aprile sono scoppiati i combattimenti tra le forze armate sudanesi e le forze paramilitari di supporto rapido a Khartoum.
Deborah ha detto di essere fuggita dai combattimenti a Khartoum dopo che le parti in guerra hanno concordato un cessate il fuoco di 72 ore.
“Sono stata sotto il letto per sette giorni in Sudan, non potevo andare al mercato o alla clinica e non c'erano cibo e acqua”, ha raccontato.
Sebbene non si senta al sicuro a causa dell'insicurezza nell'Alto Nilo, Deborah ha dichiarato: “Temiamo di tornare in Sud Sudan a causa del conflitto. Non sappiamo dove andare a stare o se il governo ci accoglierà o no, ma diciamo che è meglio per noi morire nella nostra terra”.
“Ho tre figli e il loro padre vive in Sud Sudan. Sono venuta con i miei ragazzi, ma ho dovuto vendere le mie proprietà a uomini d'affari per raccogliere fondi per il biglietto dell'autobus ed è così che siamo usciti dal Sudan", ha aggiunto.
Mentre i violenti scontri tra le fazioni militari rivali continuavano, gli studenti si sono trovati intrappolati in una crisi mortale in mezzo al deterioramento dei servizi pubblici.
La scorsa settimana, il primo gruppo di circa 26 studenti sud sudanesi fuggiti dal conflitto nella capitale sudanese, Khartoum, è arrivato nella contea di Renk, nello stato dell'Alto Nilo.
Jijwok Simon, uno studente di scuola secondaria di 23 anni fuggito dal Sudan, ha detto che a molti scolari in Sudan viene negata l'istruzione a causa del conflitto.
"I combattimenti in Sudan ci hanno colpito così tanto, specialmente gli studenti che hanno studiato in Sudan, le scuole sono state chiuse e questo non va bene", ha detto la signora Simon. "Non so come sia iniziato il conflitto, siamo andati a scuola e ci è stato detto che c'erano dei combattimenti e che dovevamo tornare a casa".
Un altro rimpatriato, il 24enne Janyor David Chuol, ha detto che molte persone sono morte durante il viaggio a causa della sete e della mancanza di cibo e medicine.
“La strada è molto pericolosa, ci sono così tanti problemi sulla strada e la gente muore di sete. Non c'è acqua e cibo e alcune strade sono state bloccate dai soldati”, ha detto.
“Lascia che il governo del Sud Sudan salvi coloro che sono in viaggio. Le strade sono state bloccate dai soldati, non sappiamo se siano militari delle RSF o forze governative”, ha aggiunto.
Da parte sua, il ministro degli affari umanitari del Sud Sudan, Albino Akol Atak, ha affermato che il governo ha avviato il trasporto aereo dei rimpatriati, per lo più bambini, donne, anziani e malati in fuga dai combattimenti in Sudan.
"I voli governativi decolleranno dopo che avremo messo in atto gli accordi in modo da sapere chi è vulnerabile e dove sta andando perché non li porteremo a Juba", ha detto Akol ai giornalisti a Juba martedì dopo una visita di valutazione a Juba ma Aree di Paloch, Renk e Juda.
Nel frattempo, Peter Van der Auweraert, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per il Sud Sudan, ha affermato che sono stati istituiti centri di transito con fornitura di cibo, articoli non alimentari e assistenza medica.
Van der Auweraert ha detto “La prima cosa è fornire assistenza umanitaria alle persone che ne hanno bisogno immediatamente all'arrivo ed è per questo che abbiamo istituito centri di transito dove le persone al loro arrivo riceveranno supporto alimentare, supporto nutrizionale per i bambini, supporto medico e beni non alimentari"
"Ringraziamo Dio di essere usciti sani e salvi dal Sudan e di essere arrivati qui, e ci è stato detto che le ONG ci porteranno dal confine al Sud Sudan", ha detto Deborah Paul, una madre di tre bambini che è arrivata nella città di confine di Joda.
Deborah è tra le oltre 40.000 persone che sono recentemente arrivate nello stato dell'Alto Nilo dopo che a metà aprile sono scoppiati i combattimenti tra le forze armate sudanesi e le forze paramilitari di supporto rapido a Khartoum.
Deborah ha detto di essere fuggita dai combattimenti a Khartoum dopo che le parti in guerra hanno concordato un cessate il fuoco di 72 ore.
“Sono stata sotto il letto per sette giorni in Sudan, non potevo andare al mercato o alla clinica e non c'erano cibo e acqua”, ha raccontato.
Sebbene non si senta al sicuro a causa dell'insicurezza nell'Alto Nilo, Deborah ha dichiarato: “Temiamo di tornare in Sud Sudan a causa del conflitto. Non sappiamo dove andare a stare o se il governo ci accoglierà o no, ma diciamo che è meglio per noi morire nella nostra terra”.
“Ho tre figli e il loro padre vive in Sud Sudan. Sono venuta con i miei ragazzi, ma ho dovuto vendere le mie proprietà a uomini d'affari per raccogliere fondi per il biglietto dell'autobus ed è così che siamo usciti dal Sudan", ha aggiunto.
Mentre i violenti scontri tra le fazioni militari rivali continuavano, gli studenti si sono trovati intrappolati in una crisi mortale in mezzo al deterioramento dei servizi pubblici.
La scorsa settimana, il primo gruppo di circa 26 studenti sud sudanesi fuggiti dal conflitto nella capitale sudanese, Khartoum, è arrivato nella contea di Renk, nello stato dell'Alto Nilo.
Jijwok Simon, uno studente di scuola secondaria di 23 anni fuggito dal Sudan, ha detto che a molti scolari in Sudan viene negata l'istruzione a causa del conflitto.
"I combattimenti in Sudan ci hanno colpito così tanto, specialmente gli studenti che hanno studiato in Sudan, le scuole sono state chiuse e questo non va bene", ha detto la signora Simon. "Non so come sia iniziato il conflitto, siamo andati a scuola e ci è stato detto che c'erano dei combattimenti e che dovevamo tornare a casa".
Un altro rimpatriato, il 24enne Janyor David Chuol, ha detto che molte persone sono morte durante il viaggio a causa della sete e della mancanza di cibo e medicine.
“La strada è molto pericolosa, ci sono così tanti problemi sulla strada e la gente muore di sete. Non c'è acqua e cibo e alcune strade sono state bloccate dai soldati”, ha detto.
“Lascia che il governo del Sud Sudan salvi coloro che sono in viaggio. Le strade sono state bloccate dai soldati, non sappiamo se siano militari delle RSF o forze governative”, ha aggiunto.
Da parte sua, il ministro degli affari umanitari del Sud Sudan, Albino Akol Atak, ha affermato che il governo ha avviato il trasporto aereo dei rimpatriati, per lo più bambini, donne, anziani e malati in fuga dai combattimenti in Sudan.
"I voli governativi decolleranno dopo che avremo messo in atto gli accordi in modo da sapere chi è vulnerabile e dove sta andando perché non li porteremo a Juba", ha detto Akol ai giornalisti a Juba martedì dopo una visita di valutazione a Juba ma Aree di Paloch, Renk e Juda.
Nel frattempo, Peter Van der Auweraert, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per il Sud Sudan, ha affermato che sono stati istituiti centri di transito con fornitura di cibo, articoli non alimentari e assistenza medica.
Van der Auweraert ha detto “La prima cosa è fornire assistenza umanitaria alle persone che ne hanno bisogno immediatamente all'arrivo ed è per questo che abbiamo istituito centri di transito dove le persone al loro arrivo riceveranno supporto alimentare, supporto nutrizionale per i bambini, supporto medico e beni non alimentari"
Le parti in guerra del Sudan per avviare i colloqui
I governi degli Stati Uniti e dell'Arabia Saudita hanno confermato che i colloqui tra l'esercito sudanese in guerra e le forze di supporto rapido inizieranno sabato a Gedda.
Una dichiarazione congiunta USA-Arabia Saudita ha accolto con favore "l'inizio dei colloqui pre-negoziali" e ha sollecitato un sostegno globale sostenuto per sedare i combattimenti.
"Il Regno dell'Arabia Saudita e gli Stati Uniti esortano entrambe le parti a prendere in considerazione gli interessi della nazione sudanese e del suo popolo e ad impegnarsi attivamente nei colloqui per un cessate il fuoco e la fine del conflitto", si legge nella dichiarazione.
Centinaia di persone sono morte in quasi tre settimane di combattimenti tra le forze allineate con il leader de facto del Sudan Abdel Fattah al-Burhan, che guida l'esercito regolare, e il suo vice, diventato rivale, Mohamed Hamdan Daglo, che comanda le forze paramilitari di supporto rapido (RSF). .
Sono state raggiunte diverse tregue da quando sono scoppiati i combattimenti il 15 aprile, ma nessuna è stata rispettata.
L'esercito ha confermato venerdì scorso di aver inviato inviati in Arabia Saudita per discutere "i dettagli della tregua in procinto di essere estesa" con i suoi nemici paramilitari.
Burhan aveva dato il suo appoggio a un cessate il fuoco di sette giorni annunciato mercoledì dal Sud Sudan, ma all'inizio di venerdì l'RSF ha detto che stavano estendendo di tre giorni una precedente tregua mediata sotto la mediazione USA-Arabia Saudita.
La dichiarazione USA-Arabia Saudita ha rilevato gli sforzi di altri paesi e organizzazioni dietro i colloqui di questo fine settimana, tra cui Gran Bretagna, Emirati Arabi Uniti, Lega degli Stati Arabi, Unione Africana e altri gruppi.
A Khartoum, i testimoni hanno riferito di continui attacchi aerei ed esplosioni venerdì, anche vicino all'aeroporto.
I combattimenti sono infuriati nonostante la minaccia di sanzioni da parte del presidente degli Stati Uniti Joe Biden contro i responsabili di "minacciare la pace, la sicurezza e la stabilità del Sudan" e "minare la transizione democratica del Sudan".
Una dichiarazione congiunta USA-Arabia Saudita ha accolto con favore "l'inizio dei colloqui pre-negoziali" e ha sollecitato un sostegno globale sostenuto per sedare i combattimenti.
"Il Regno dell'Arabia Saudita e gli Stati Uniti esortano entrambe le parti a prendere in considerazione gli interessi della nazione sudanese e del suo popolo e ad impegnarsi attivamente nei colloqui per un cessate il fuoco e la fine del conflitto", si legge nella dichiarazione.
Centinaia di persone sono morte in quasi tre settimane di combattimenti tra le forze allineate con il leader de facto del Sudan Abdel Fattah al-Burhan, che guida l'esercito regolare, e il suo vice, diventato rivale, Mohamed Hamdan Daglo, che comanda le forze paramilitari di supporto rapido (RSF). .
Sono state raggiunte diverse tregue da quando sono scoppiati i combattimenti il 15 aprile, ma nessuna è stata rispettata.
L'esercito ha confermato venerdì scorso di aver inviato inviati in Arabia Saudita per discutere "i dettagli della tregua in procinto di essere estesa" con i suoi nemici paramilitari.
Burhan aveva dato il suo appoggio a un cessate il fuoco di sette giorni annunciato mercoledì dal Sud Sudan, ma all'inizio di venerdì l'RSF ha detto che stavano estendendo di tre giorni una precedente tregua mediata sotto la mediazione USA-Arabia Saudita.
La dichiarazione USA-Arabia Saudita ha rilevato gli sforzi di altri paesi e organizzazioni dietro i colloqui di questo fine settimana, tra cui Gran Bretagna, Emirati Arabi Uniti, Lega degli Stati Arabi, Unione Africana e altri gruppi.
A Khartoum, i testimoni hanno riferito di continui attacchi aerei ed esplosioni venerdì, anche vicino all'aeroporto.
I combattimenti sono infuriati nonostante la minaccia di sanzioni da parte del presidente degli Stati Uniti Joe Biden contro i responsabili di "minacciare la pace, la sicurezza e la stabilità del Sudan" e "minare la transizione democratica del Sudan".
Conflitto in Sudan: tregua di 7giorni dal 4 maggio
Il Ministero degli affari Esteri del Paese ha dichiarato che il capo dell'esercito sudanese,Abdel Fattah al-Burhan e il leader paramilitare delle forze rapide di supporto (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo hanno concordato un cessate il fuoco che durerà fino all'11 maggio.
Federico Rampini, l’editorialista del Corriere della Sera, definisce i due generali rivali sudanesi, Abdel Fattah al-Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemetti, responsabili della feroce guerra che devasta il paese. Gli Usa, tuttavia, non useranno la forza per cacciarli
Il Sudan vacilla, reggerà la società civile? la Wagner scuote il Sudan e l’Europa
Anche nel ponte del 1 maggio facciamo il punto sulle relazioni tra Africa e Europa.
Il bilancio di queste quasi 2 settimane di guerra che si presenta straziante e insostenibile come riferisce da Nigrizia il Direttore Giuseppe Cavallini che si chiede: " Reggerà questo gran movimento popolare che aveva contribuito a scalzare il potente dittatore Omar al Bashir dal potere, ma che ha portato al potere altri due generali ( Al- burhan e Mohamed Hamdan Dagalo) i quali all'inizio hanno fatto un'alleanza strategica, poi purtroppo, come si sa ora, sono arrivati al confronto diretto tra loro.
Hanno cominciato questa guerra tipicamente di potere assoluto e non da meno di interessi economici enormi. L'uno appoggiato dall'Egitto, l'altro dall'esercito Wagner alleato della Russia che possiede le ricchezze delle miniere d'oro, uranio e litio.
Non vi sono segnali che indichino che le forze militari che si combattono in Sudan siano disposte a negoziare tra loro. A dichiararlo è stato l'inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sudan, Volker Perthes, mentre i combattimenti continuano nonostante un cessate il fuoco di tre giorni. Intervenendo da Port Sudan ad una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell'Onu Perthes ha osservato che le due parti in conflitto appaiono convinte di potersi "assicurare una vittoria militare sull'altra" e nessuna delle due sembra "pronta a negoziare seriamente". L'inviato ha detto di essere in contatto regolare con i generali che si battono per il controllo del paese ed ha spiegato che il cessate il fuoco di 72 ore entrato in vigore martedì è stato rispettato in "parti" del paese, mentre gli scontri si sono intensificati in altre. I combattimenti sono "in gran parte continuati o in alcuni casi si sono intensificati" intorno all'aeroporto internazionale di Khartoum, la residenza ufficiale del presidente, i siti militari e altri luoghi strategici, ha affermato. Sono continuati anche attacchi aerei e pesanti bombardamenti, specialmente nelle città di Khartoum Bahri e Omdurman.
Al Khartum Bahrī è la terza più popolosa città del Sudan, dopo le vicine Omdurman e la capitale Khartum
SUDAN - LA TREGUA NON REGGE: escalation di violenze e scontri
Le armi continuano a parlare in Sudan dove resta drammatica la situazione per il violentissimo scontro iniziato il 15 aprile scorso nato per contendersi il controllo del paese.
uno scontro catastrofico come riporta un missionario che dice: "Si spara ovunque, coprifuoco violato, persone chiuse negli uffici, una bomba ha colpito il cortile di una chiesa"
Il missionario conclude osservando che se il viaggio del Papa in Sud Sudan lo scorso febbraio “ha dato un messaggio forte alla popolazione”, purtroppo in Sudan “non è stato percepito a livello di società civile o società politica” e quindi non sembra avere oggi “un effetto sulla vita politica e sulla situazione sociale e militare”.
Il ministro del petroli -Puot Kang Chol- fa appello al governo Sudanese e alleparti in conflitto affinchè proteggano dalla distruzione le infrastrutture petrolifere come gli oleodotti per il migliore beneficiio dei due paesi. E' inoltre molto preoccupato per i combattimenti che si stanno intensificando in diverse parti del Sudan compreso il porto del Mar ross , dove il greggio del Sud sudan viene spedito al mercato internazionale.
Kang fa appello alle parti in guerra affinchè proteggano le infrastrutture petrolifere ovunque si trovino per evitare le conseguenze economiche per i due paesi. "Sono molto preoccupato, e con me la gente del sud Sudan, perchè il nostro bilancio dipende per oltre il 90% dal petrolio. Ciòsignifica che abbiamo la tesponsabilità di parlare con i nostri fratelli in Sudan per dire di proteggere le strutture e porre fine a questa guerra in modo che le due economie non soffrano a causa della guerra di Khartoum" afferma Kang.
Più di 400 persone sono state uccise e migliaia ferite da quando sono scoppiati i combattimenti.
i governi stranieri compresi i paese europei, il Giappone e gli Stati Uniti, stanno valutando la possibilità di evacuare i propri cittadini ma l'aeroporto di Khartoum è ancora pericoloso.
Il Sud Sudan, un paese senza sbocco sul mare, fa affidamento sul Sudan per pompare circa 144.000 barili al giorno delle sue esportazioni di greggio verso il mercato internazionale attraverdso il Mar Rosso. Secondo Reuters il giacimento petrolifero, valutato in 5,3 milioni di barili di petrolio recuperabile (dopo che la guerra 2003/2009 con il vicino Sudan aveva danneggiato le infrastrutture strategiche), è piccolo ma degno di nota. Si ritiene che il Sud Sudan disponga di riserve pari a 3,5 miliardi di barili di petrolio, gran parte dei quali deve ancora essere esplorata.
Il Sudan riceve anche tasse di transito dal Sud Sudan, oltre alle sue esportazioni di petrolio di 70.000 barili al giorno.
SANTA PASQUA 2023
Dalla Croce è sgorgato il perdono, è rinata la fraternità: la Croce ci rende fratelli
Cristo sulla croce si è fatto solidale con noi perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute, nella mia desolazione, quando mi sento tradito, e abbandonato, Tu ci sei, Gesù;
quando non ce la faccio più, sei con me; nei miei “perché” senza risposta, sei con me.
Gesù sulla croce non si lascia andare alla disperazione, ma prega e si affida alPadre. Nell’abbandono continua ad amare e perdona i suoi crocifissori. Gesù abbandonato ci chiede di avere occhi e cuore per i tanti “cristi abbandonati”.
Cristo sulla croce si è fatto solidale con noi perché ciascuno di noi possa dire: nelle mie cadute, nella mia desolazione, quando mi sento tradito, e abbandonato, Tu ci sei, Gesù;
quando non ce la faccio più, sei con me; nei miei “perché” senza risposta, sei con me.
Gesù sulla croce non si lascia andare alla disperazione, ma prega e si affida alPadre. Nell’abbandono continua ad amare e perdona i suoi crocifissori. Gesù abbandonato ci chiede di avere occhi e cuore per i tanti “cristi abbandonati”.
Documento Onu presentato a Ginevra: Sud Sudan: gravi abusi diffusi e impuniti sui civili
La Commissione dell’Onu per i diritti umani in Sud Sudan nel rapporto presentato alla 52esima sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu (Ohchr) che si sta svolgendo in questi giorni a Ginevra (27 febbraio – 4 aprile), torna a denunciare le responsabilità politiche delle gravi violenze sui civili.
«Ѐ difficile immaginare la pace, quando attori istituzionali continuano ad essere coinvolti in clamorose violazioni dei diritti umani». E Barney Afako, uno dei componenti della commissione, ha continuato dicendo che «l’impegno del governo per la pace e il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere dimostrato prima di tutto con il sollevamento dagli incarichi e con il processo dei funzionari responsabili».
Andrew Clapham, un altro dei componenti della commissione, ha denunciato l’inerzia dei comitati speciali, insediati per indagare su numerosi casi di abuso. Alla commissione risulta infatti che non sia stato pubblicato nessun rapporto e che nessuno sia stato portato davanti ad un tribunale.
«Gli attacchi contro i civili continuano proprio perché chi se ne macchia confida di rimanere impunito». Ma, ha concluso, la commissione sta conservando le prove acquisite in modo che si possa procedere in futuro ad accertare le responsabilità e a punire i colpevoli.
Fonte: https://www.nigrizia.it/notizia/sud-sudan-gravi-abusi-diffusi-e-impuniti-sui-civili
«Ѐ difficile immaginare la pace, quando attori istituzionali continuano ad essere coinvolti in clamorose violazioni dei diritti umani». E Barney Afako, uno dei componenti della commissione, ha continuato dicendo che «l’impegno del governo per la pace e il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere dimostrato prima di tutto con il sollevamento dagli incarichi e con il processo dei funzionari responsabili».
Andrew Clapham, un altro dei componenti della commissione, ha denunciato l’inerzia dei comitati speciali, insediati per indagare su numerosi casi di abuso. Alla commissione risulta infatti che non sia stato pubblicato nessun rapporto e che nessuno sia stato portato davanti ad un tribunale.
«Gli attacchi contro i civili continuano proprio perché chi se ne macchia confida di rimanere impunito». Ma, ha concluso, la commissione sta conservando le prove acquisite in modo che si possa procedere in futuro ad accertare le responsabilità e a punire i colpevoli.
Fonte: https://www.nigrizia.it/notizia/sud-sudan-gravi-abusi-diffusi-e-impuniti-sui-civili
Oggi 11 marzo 2023 l'incontro tra i presidenti Salva Kiir & Dr. Riek Machar Teny-Dhurgon per discutere dei recenti decreti unilaterali e violazioni
Ultime notizie
L'atteso incontro tra i due Presidi, il Presidente Salva Kiir, e il Dr. Riek Machar, Primo Vicepresidente si sta svolgendo ora.
L'atteso incontro tra i due Presidi, il Presidente Salva Kiir, e il Dr. Riek Machar, Primo Vicepresidente si sta svolgendo ora.
Il capo dell'UNMISS afferma che il 2023 è un anno cruciale per il Sud Sudan
Sud Sudan: Kiir licenzia i ministri di interno e difesa
L’opposizione denuncia la violazione degli accordi di pace
Cresce la tensione politica in Sud Sudan dopo l’inatteso licenziamento da parte del presidente Salva Kiir di due importanti ministri, uno dei quali in capo all’opposizione. Una decisione unilaterale, presa senza consultazioni, che viola gli accordi di pace del 2018, denuncia il Movimento di liberazione del popolo sudanese-In opposizione (Splm-Io) del primo vicepresidente Riek Machar.
Con un decreto presidenziale letto il 3 febbraio alla Tv di stato, Salva Kiir ha dato il benservito alla ministra della difesa Angelina Teny, moglie di Machar, e al ministro dell’interno Mahmoud Solomon, affidando il primo dicastero al proprio partito, il Splm.
Nessuna spiegazione è stata data per la decisione. Il portavoce del presidente, sentito da Reuters, ha detto di non poter fornire “alcuna motivazione” in questa fase e che “in generale è una procedura normale”.
Tanto normale non è sembrata all’ex movimento di opposizione armata di Machar che il giorno successivo ha convocato una riunione straordinaria del suo ufficio politico. Il documento diffuso al termine dell’incontro “condanna e respinge la destituzione unilaterale dell’on. Angelina Teny”, denunciando la violazione dei termini dell’accordo di pace ed esortando Kiir a reintegrare la ministra della difesa.
La mossa di Kiir si inserisce in un quadro di crescenti tensioni politiche, etniche e militari, e poco dopo l’annuncio – questa volta concordato – del prolungamento del periodo di transizione fino al 2025, fatto il 23 febbraio.
Alle lotte per il potere che si consumano da oltre 4 anni nella capitale, fanno da contraltare la crescita delle violenze sui civili – l’82% dei quali vive con meno di 2 dollari al giorno – nell’ambito di un conflitto in corso da oltre 30 anni tra le due etnie dominanti e i loro eserciti – i denka (Kiir) che rappresentano circa il 35% della popolazione, e i nuer (Machar, circa il 16%) – per il controllo del paese e delle sue risorse.
Dichiarazione SPLM IO 3/3/2023 di FVP Riek Machar: Pres DIVERSIVO CONTRO LA PACE
"La decisione UNILATERALE di Kiir di licenziare il ministro della Difesa Angelina Teny è CONTRO l'accordo di pace, alimenta le guerre e l'odio etnico sollevando un nuovo fronte . Kiir deve reintegrarla!"
Suzanne Jambo
Founder | RSS Steps We64 peaceful party | NESI civil society | Garang Women Peace Institute | Mandela Ubuntu Laureate |
@acumen
academy &
@onfrontiers
È così che facciamo fatica a procurarci l'acqua in questo periodo dell'anno. Quando la classe politica di Juba pensa che abbiamo acqua a sufficienza e gli sta bene cosi.
Suzanne Jambo
Politica, avvocato e attivista per i diritti umani del Sud Sudan
La Conferenza internazionale delle donne punta i riflettori sul Sud Sudan
Sabato 18 febbraio 2023
Juba ---Quattrocentotrenta (430) donne nazionali e internazionali provenienti da 15 paesi si sono riunite a Juba dal 13 al 15 febbraio per la prima Conferenza internazionale sulla leadership trasformazionale delle donne.
Lo storico raduno, soprannominato #Guwatamara (Forza di una donna), è arrivato mentre la nazione più giovane dell'Africa cerca di rafforzare l'attuazione dell'Accordo rivitalizzato del 2018 sulla risoluzione del conflitto nella Repubblica del Sud Sudan (R-ARCSS), che ha disposizioni chiave in linea con l'agenda per la pace e la sicurezza delle donne. L'accordo richiede riforme della governance e della sicurezza, lo sviluppo della costituzione e l'inclusione delle donne in posizioni decisionali chiave di almeno il 35% in tutti i settori. Include anche disposizioni per opportunità di rivolgersi alle donne per la pace e la sicurezza, l'assistenza umanitaria e la ricostruzione, le riforme della gestione economica e finanziaria e la giustizia di transizione.
L'R-ARCSS ha istituito il governo di transizione guidato dal presidente Salva Kiir Mayardit. Il 4 agosto 2022, le parti firmatarie di R-ARCSS hanno concordato la proroga del periodo di transizione per altri ventiquattro mesi. Il Sud Sudan prevede di tenere le elezioni nel dicembre 2025.
La vicepresidente del Sud Sudan Rebecca Nyandeng De Mabior, responsabile per il genere e i giovani, ha ospitato la conferenza in collaborazione con il Ministero per le questioni di genere, l'infanzia e il benessere sociale e il National Transformational Leadership Institute presso l'Università di Juba e le Nazioni Unite, sotto la guida di Sara Beysolow Nyanti, Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale presso la Missione ONU in Sud Sudan e Resident Coordinator del sistema ONU e Coordinatore Umanitario.
La conferenza di tre giorni ha visto la partecipazione di relatori di alto profilo tra cui l'ex presidente della Liberia Madam Ellen Johnson Sirleaf, l'ex presidente delle Mauritius Ameenah Gurib-Fakim, Catherine Samba-Panza, ex presidente della Repubblica Centrafricana, il premio Nobel Leymah Gbowee e le donne leader locali e nazionali in Sud Sudan e dall'ONU. La conferenza ha anche attirato donne sud sudanesi della diaspora, donne dei campi profughi, degli stati e dei distretti amministrativi. Il presidente Kiir ha aperto la conferenza e il primo vicepresidente per il cluster di governance, il dott. Riek Machar Teny Dhurgon, ha parlato alla sessione di chiusura.
I partecipanti hanno discusso sei temi: donne, pace e sicurezza; governance e partecipazione politica; emancipazione economica delle donne; il cambiamento climatico e il suo impatto sull'uguaglianza di genere; costruzione del movimento e leadership delle donne nella società civile; e percorsi intergenerazionali verso la leadership.
Le donne del Sud Sudan hanno condiviso storie sul loro ruolo nella liberazione del loro paese e nella sua trasformazione e hanno imparato dalle esperienze di donne provenienti da Zimbabwe, Liberia, Sierra Leone, Tanzania, Kenya, Ghana, Uganda, Mauritius, Egitto e Stati Uniti d'America.
Oratore dopo oratore, ha esortato le donne del Sud Sudan a svolgere un ruolo maggiore nella costruzione della loro nazione di 11 anni, affermando i propri diritti e l'agenda nell'accordo di pace. L'accordo, una volta pienamente attuato, si tradurrà in migliori risultati in materia di parità di genere nelle sfere sociale, politica ed economica.
Relatori nazionali e internazionali hanno esortato le donne sud sudanesi a garantire che le loro voci si riflettano nella nuova costituzione, i partiti politici presentino candidate donne, sostengano il trasferimento delle donne dai campi profughi, assicurino che l'inclusione del 35% si estenda agli stati e che il bilancio nazionale sostenga Agenda sui diritti delle donne. Le donne costituiscono il 60% dei 10 milioni di abitanti del Sud Sudan; e i giovani rappresentano il 75%.
Il premio Nobel Leymah Gbowee ha incoraggiato le donne ad assumersi la responsabilità del processo di pace e della costruzione della nazione mettendo da parte le loro differenze.
“Fai tutto il possibile per garantire che la pace si consolidi nel tuo paese”, ha detto. “Essere coinvolti nel processo politico per assicurare che la nazione più giovane dell'Africa abbia successo. Alle potenti donne del Sud Sudan, non deludete i vostri figli. Potreste non piacervi, ma amate di più il Sud Sudan. Non si tratta di te; riguarda il futuro della tua nazione.''
Il presidente Kiir ha affermato che la conferenza ha evidenziato i progressi compiuti dal Sud Sudan nell'elevare le donne a cariche pubbliche. Il Sud Sudan può vantare una vicepresidente donna, otto ministri di gabinetto tra cui il ministro della Difesa e dei veterani e il presidente del parlamento.
“Il nostro Paese non può permettersi discriminazioni basate sul genere perché ostacola la pace e lo sviluppo'', ha affermato il presidente Kirr. “Abbiamo allevato donne leader in Sud Sudan che stanno lavorando incredibilmente per la realizzazione dell'uguaglianza di genere.''
Nonostante i progressi, il paese ha ancora molto lavoro da fare per promuovere i diritti delle donne, ha affermato il presidente.
Il presidente Kiir ha promesso di incoraggiare i partiti politici nell'accordo di pace a dare priorità alla realizzazione delle priorità di sviluppo, sviluppare le capacità delle donne, proteggere i diritti umani delle donne e di tutti i cittadini e fornire opportunità alle donne e alle ragazze di sviluppare competenze attraverso la formazione professionale e gli affari.
"Continuiamo a lavorare per un giorno migliore per le donne e le ragazze", ha detto. “Esorto tutti voi a imparare dalle deliberazioni della conferenza e ad essere ispirati dalle donne leader che sono con voi a questa conferenza.''
Nel suo discorso di apertura, la prima donna presidente dell'Africa, Madam Sirleaf, ha riconosciuto le donne del Sud Sudan per la loro resilienza nel mantenere in pace il paese più giovane dell'Africa. Ha anche elogiato il governo per aver rispettato il suo impegno a garantire una rappresentanza femminile del 35%.
"Congratulazioni alla presidentessa del Parlamento e alle otto donne che servono come ministri di gabinetto oggi", ha detto.
Pur riconoscendo i progressi, Madam Sirleaf ha affermato che le donne del Sud Sudan devono ancora affrontare molteplici forme di discriminazione e barriere: due milioni di donne malnutrite; quasi il 75% delle ragazze è analfabeta; aumento della violenza sessuale e di genere legata ai conflitti; le donne non hanno accesso ai servizi igienici; e il 45% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni.
Il Sud Sudan, ha detto, ha bisogno delle sue “donne per crescere, in modo che cresca come una nazione fiorente”.
Le donne, ha affermato, cambiano le regole del gioco quando vengono offerte opportunità e protette nel sistema socio-economico e politico.
"L'istruzione delle bambine è fondamentale e dobbiamo lavorare per garantire che ogni bambina riceva un'istruzione di qualità", ha affermato Sirleaf. “Sarà una delle chiavi del tuo successo.''
Sirleaf ha anche elogiato la signora Nyanti per il suo impegno nei confronti del popolo del Sud Sudan e ha notato che era orgogliosa di questa "donna liberiana forte e dinamica".
Nelle osservazioni, la signora Nyanti ha affermato che la conferenza mirava a spostare la narrativa del Sud Sudan da umanitaria a sviluppo.
"Mettiamo il Sud Sudan sul radar internazionale in un modo nuovo con la lente dello sviluppo", ha detto.
Centinaia di donne da tutto il mondo sono venute per “sollevare, motivare e incoraggiare le donne del Sud Sudan a continuare il viaggio iniziato tanti anni fa mentre lottavano per l'indipendenza”.
“Le donne del Sud Sudan meritano il meglio, quindi sosteniamole per ottenere il meglio da questo Paese”, ha detto.
Il vicepresidente HE Rebecca Nyandeng De Mabior ha affermato che la conferenza ha portato visibilità al Sud Sudan e ha ringraziato i partner delle Nazioni Unite sotto la guida della signora Nyanti per il sostegno alla conferenza. Il vicepresidente De Mabior ei partner delle Nazioni Unite hanno sottolineato che le raccomandazioni della conferenza fungeranno da catalizzatore per lo sviluppo di programmi a sostegno dell'uguaglianza di genere nel Sud Sudan.
Alcune delle raccomandazioni includono l'estensione dell'inclusione del 35% delle donne nella partecipazione politica alle strutture e al sistema di governance locale; promuovere il decentramento dei processi di governance per includere le donne; attuare l'accordo di pace con particolare attenzione alle donne, ai giovani e ai bambini; e lo sviluppo delle capacità nella tecnologia digitale per le donne e le loro famiglie, concentrandosi sulla sicurezza alimentare, la protezione e l'impegno nel processo politico e costituzionale.
"Questa conferenza di trasformazione sulla leadership femminile è una scintilla per un fuoco luminoso e bello", ha affermato il vicepresidente De Mabior. "Ci uniamo per impegnarci nuovamente a promuovere l'uguaglianza di genere, non solo in Sud Sudan, ma anche a livello globale".
Il Primo Vicepresidente Dr. Riek Machar Teny Dhurgon ha concordato con il Vicepresidente De Mabior sul riconoscimento globale che la conferenza ha portato al Sud Sudan, soprattutto dopo la visita di Papa Francesco.
"In un arco di dieci giorni, l'attenzione del mondo è stata rivolta al Sud Sudan", ha detto. “Molte volte le nostre donne sono andate a conferenze a Nairobi, ora possiamo dire che il Sud Sudan può tenere una conferenza internazionale”.
Ha incoraggiato le donne a dare seguito alla raccomandazione della conferenza, in particolare la spinta per educare le bambine. Ha suggerito che le donne formino un sindacato per far valere i loro diritti e ritenere responsabili i funzionari pubblici.
Le donne sono la maggioranza, ma il tasso di alfabetizzazione tra le donne è basso'', ha detto. L'analfabetismo è uno dei principali fattori di emarginazione delle donne in Sud Sudan, ha affermato il vicepresidente.
"Ora che abbiamo la pace, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per ottenere un'istruzione per le ragazze", ha detto il vicepresidente Teny Dhurgon. Dicono: 'Quando istruisci una donna, istruisci una nazione.'
Il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza nel 2011 dopo una brutale guerra civile che ha ucciso 400.000 persone e milioni di sfollati.
Juba ---Quattrocentotrenta (430) donne nazionali e internazionali provenienti da 15 paesi si sono riunite a Juba dal 13 al 15 febbraio per la prima Conferenza internazionale sulla leadership trasformazionale delle donne.
Lo storico raduno, soprannominato #Guwatamara (Forza di una donna), è arrivato mentre la nazione più giovane dell'Africa cerca di rafforzare l'attuazione dell'Accordo rivitalizzato del 2018 sulla risoluzione del conflitto nella Repubblica del Sud Sudan (R-ARCSS), che ha disposizioni chiave in linea con l'agenda per la pace e la sicurezza delle donne. L'accordo richiede riforme della governance e della sicurezza, lo sviluppo della costituzione e l'inclusione delle donne in posizioni decisionali chiave di almeno il 35% in tutti i settori. Include anche disposizioni per opportunità di rivolgersi alle donne per la pace e la sicurezza, l'assistenza umanitaria e la ricostruzione, le riforme della gestione economica e finanziaria e la giustizia di transizione.
L'R-ARCSS ha istituito il governo di transizione guidato dal presidente Salva Kiir Mayardit. Il 4 agosto 2022, le parti firmatarie di R-ARCSS hanno concordato la proroga del periodo di transizione per altri ventiquattro mesi. Il Sud Sudan prevede di tenere le elezioni nel dicembre 2025.
La vicepresidente del Sud Sudan Rebecca Nyandeng De Mabior, responsabile per il genere e i giovani, ha ospitato la conferenza in collaborazione con il Ministero per le questioni di genere, l'infanzia e il benessere sociale e il National Transformational Leadership Institute presso l'Università di Juba e le Nazioni Unite, sotto la guida di Sara Beysolow Nyanti, Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale presso la Missione ONU in Sud Sudan e Resident Coordinator del sistema ONU e Coordinatore Umanitario.
La conferenza di tre giorni ha visto la partecipazione di relatori di alto profilo tra cui l'ex presidente della Liberia Madam Ellen Johnson Sirleaf, l'ex presidente delle Mauritius Ameenah Gurib-Fakim, Catherine Samba-Panza, ex presidente della Repubblica Centrafricana, il premio Nobel Leymah Gbowee e le donne leader locali e nazionali in Sud Sudan e dall'ONU. La conferenza ha anche attirato donne sud sudanesi della diaspora, donne dei campi profughi, degli stati e dei distretti amministrativi. Il presidente Kiir ha aperto la conferenza e il primo vicepresidente per il cluster di governance, il dott. Riek Machar Teny Dhurgon, ha parlato alla sessione di chiusura.
I partecipanti hanno discusso sei temi: donne, pace e sicurezza; governance e partecipazione politica; emancipazione economica delle donne; il cambiamento climatico e il suo impatto sull'uguaglianza di genere; costruzione del movimento e leadership delle donne nella società civile; e percorsi intergenerazionali verso la leadership.
Le donne del Sud Sudan hanno condiviso storie sul loro ruolo nella liberazione del loro paese e nella sua trasformazione e hanno imparato dalle esperienze di donne provenienti da Zimbabwe, Liberia, Sierra Leone, Tanzania, Kenya, Ghana, Uganda, Mauritius, Egitto e Stati Uniti d'America.
Oratore dopo oratore, ha esortato le donne del Sud Sudan a svolgere un ruolo maggiore nella costruzione della loro nazione di 11 anni, affermando i propri diritti e l'agenda nell'accordo di pace. L'accordo, una volta pienamente attuato, si tradurrà in migliori risultati in materia di parità di genere nelle sfere sociale, politica ed economica.
Relatori nazionali e internazionali hanno esortato le donne sud sudanesi a garantire che le loro voci si riflettano nella nuova costituzione, i partiti politici presentino candidate donne, sostengano il trasferimento delle donne dai campi profughi, assicurino che l'inclusione del 35% si estenda agli stati e che il bilancio nazionale sostenga Agenda sui diritti delle donne. Le donne costituiscono il 60% dei 10 milioni di abitanti del Sud Sudan; e i giovani rappresentano il 75%.
Il premio Nobel Leymah Gbowee ha incoraggiato le donne ad assumersi la responsabilità del processo di pace e della costruzione della nazione mettendo da parte le loro differenze.
“Fai tutto il possibile per garantire che la pace si consolidi nel tuo paese”, ha detto. “Essere coinvolti nel processo politico per assicurare che la nazione più giovane dell'Africa abbia successo. Alle potenti donne del Sud Sudan, non deludete i vostri figli. Potreste non piacervi, ma amate di più il Sud Sudan. Non si tratta di te; riguarda il futuro della tua nazione.''
Il presidente Kiir ha affermato che la conferenza ha evidenziato i progressi compiuti dal Sud Sudan nell'elevare le donne a cariche pubbliche. Il Sud Sudan può vantare una vicepresidente donna, otto ministri di gabinetto tra cui il ministro della Difesa e dei veterani e il presidente del parlamento.
“Il nostro Paese non può permettersi discriminazioni basate sul genere perché ostacola la pace e lo sviluppo'', ha affermato il presidente Kirr. “Abbiamo allevato donne leader in Sud Sudan che stanno lavorando incredibilmente per la realizzazione dell'uguaglianza di genere.''
Nonostante i progressi, il paese ha ancora molto lavoro da fare per promuovere i diritti delle donne, ha affermato il presidente.
Il presidente Kiir ha promesso di incoraggiare i partiti politici nell'accordo di pace a dare priorità alla realizzazione delle priorità di sviluppo, sviluppare le capacità delle donne, proteggere i diritti umani delle donne e di tutti i cittadini e fornire opportunità alle donne e alle ragazze di sviluppare competenze attraverso la formazione professionale e gli affari.
"Continuiamo a lavorare per un giorno migliore per le donne e le ragazze", ha detto. “Esorto tutti voi a imparare dalle deliberazioni della conferenza e ad essere ispirati dalle donne leader che sono con voi a questa conferenza.''
Nel suo discorso di apertura, la prima donna presidente dell'Africa, Madam Sirleaf, ha riconosciuto le donne del Sud Sudan per la loro resilienza nel mantenere in pace il paese più giovane dell'Africa. Ha anche elogiato il governo per aver rispettato il suo impegno a garantire una rappresentanza femminile del 35%.
"Congratulazioni alla presidentessa del Parlamento e alle otto donne che servono come ministri di gabinetto oggi", ha detto.
Pur riconoscendo i progressi, Madam Sirleaf ha affermato che le donne del Sud Sudan devono ancora affrontare molteplici forme di discriminazione e barriere: due milioni di donne malnutrite; quasi il 75% delle ragazze è analfabeta; aumento della violenza sessuale e di genere legata ai conflitti; le donne non hanno accesso ai servizi igienici; e il 45% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni.
Il Sud Sudan, ha detto, ha bisogno delle sue “donne per crescere, in modo che cresca come una nazione fiorente”.
Le donne, ha affermato, cambiano le regole del gioco quando vengono offerte opportunità e protette nel sistema socio-economico e politico.
"L'istruzione delle bambine è fondamentale e dobbiamo lavorare per garantire che ogni bambina riceva un'istruzione di qualità", ha affermato Sirleaf. “Sarà una delle chiavi del tuo successo.''
Sirleaf ha anche elogiato la signora Nyanti per il suo impegno nei confronti del popolo del Sud Sudan e ha notato che era orgogliosa di questa "donna liberiana forte e dinamica".
Nelle osservazioni, la signora Nyanti ha affermato che la conferenza mirava a spostare la narrativa del Sud Sudan da umanitaria a sviluppo.
"Mettiamo il Sud Sudan sul radar internazionale in un modo nuovo con la lente dello sviluppo", ha detto.
Centinaia di donne da tutto il mondo sono venute per “sollevare, motivare e incoraggiare le donne del Sud Sudan a continuare il viaggio iniziato tanti anni fa mentre lottavano per l'indipendenza”.
“Le donne del Sud Sudan meritano il meglio, quindi sosteniamole per ottenere il meglio da questo Paese”, ha detto.
Il vicepresidente HE Rebecca Nyandeng De Mabior ha affermato che la conferenza ha portato visibilità al Sud Sudan e ha ringraziato i partner delle Nazioni Unite sotto la guida della signora Nyanti per il sostegno alla conferenza. Il vicepresidente De Mabior ei partner delle Nazioni Unite hanno sottolineato che le raccomandazioni della conferenza fungeranno da catalizzatore per lo sviluppo di programmi a sostegno dell'uguaglianza di genere nel Sud Sudan.
Alcune delle raccomandazioni includono l'estensione dell'inclusione del 35% delle donne nella partecipazione politica alle strutture e al sistema di governance locale; promuovere il decentramento dei processi di governance per includere le donne; attuare l'accordo di pace con particolare attenzione alle donne, ai giovani e ai bambini; e lo sviluppo delle capacità nella tecnologia digitale per le donne e le loro famiglie, concentrandosi sulla sicurezza alimentare, la protezione e l'impegno nel processo politico e costituzionale.
"Questa conferenza di trasformazione sulla leadership femminile è una scintilla per un fuoco luminoso e bello", ha affermato il vicepresidente De Mabior. "Ci uniamo per impegnarci nuovamente a promuovere l'uguaglianza di genere, non solo in Sud Sudan, ma anche a livello globale".
Il Primo Vicepresidente Dr. Riek Machar Teny Dhurgon ha concordato con il Vicepresidente De Mabior sul riconoscimento globale che la conferenza ha portato al Sud Sudan, soprattutto dopo la visita di Papa Francesco.
"In un arco di dieci giorni, l'attenzione del mondo è stata rivolta al Sud Sudan", ha detto. “Molte volte le nostre donne sono andate a conferenze a Nairobi, ora possiamo dire che il Sud Sudan può tenere una conferenza internazionale”.
Ha incoraggiato le donne a dare seguito alla raccomandazione della conferenza, in particolare la spinta per educare le bambine. Ha suggerito che le donne formino un sindacato per far valere i loro diritti e ritenere responsabili i funzionari pubblici.
Le donne sono la maggioranza, ma il tasso di alfabetizzazione tra le donne è basso'', ha detto. L'analfabetismo è uno dei principali fattori di emarginazione delle donne in Sud Sudan, ha affermato il vicepresidente.
"Ora che abbiamo la pace, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per ottenere un'istruzione per le ragazze", ha detto il vicepresidente Teny Dhurgon. Dicono: 'Quando istruisci una donna, istruisci una nazione.'
Il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza nel 2011 dopo una brutale guerra civile che ha ucciso 400.000 persone e milioni di sfollati.
Santa Sede e Giappone uniti per il Sud Sudan
Per gli 80 anni dall’inizio delle loro relazioni diplomatiche, organizzato l’evento “Empowerment of women in conflict areas” per far conoscere il progetto attivato per le donne del Sud Sudan in collaborazione con Unido e salesiani
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Era il 1942 quando, per la prima volta, Santa Sede e Giappone iniziarono le relazioni diplomatiche: 80 anni dopo, per celebrare la ricorrenza e rinsaldare i rapporti che si delineano all’insegna della solidarietà e della collaborazione per l’emancipazione dei popoli, è stata organizzata la conferenza “Empowerment of women in conflict areas”. L'iniziativa è dedicata in particolare alle donne del Sud Sudan, e oltre a presentare un apposito progetto, offrirà l'occasione per riflettere sui traguardi che è possibile raggiungere attraverso la collaborazione di realtà anche tanto diverse come organizzazioni internazionali, rappresentanze diplomatiche e enti religiosi che si occupano di aiuti umanitari, ma uniti dall’attenzione alle persone in difficoltà.
Un evento per le donne che vivono in aree di conflittoL’evento, in programma venerdì 4 marzo nell’aula Vecchi dell’Università Pontificia Salesiana che è tra i promotori, illustrerà, a titolo di esempio sul tema, la collaborazione in atto tra governo giapponese, Unido (United Nations industrial development organization) e Figlie di Maria Ausiliatrice presenti in Sud Sudan a sostegno proprio delle donne del Paese africano. Il discorso d’apertura sarà affidato al rettore dell’ateneo, don Andrea Bozzolo, cui seguirà l’intervento dell’ospite d’onore, suor Alessandra Smerilli, segretario ad interim del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Preghiera e riflessione contro la tratta, “una ferita profonda”Sud Sudan: il Paese più giovane del mondo Ottenuta l’indipendenza da Khartoum solo nel 2011, il Sud Sudan è il più giovane Stato del mondo, ma anche uno tra i più poveri e i più instabili. I conflitti politici mai sopiti, infatti, hanno costretto alla migrazione ben quattro milioni di persone, di cui circa la metà sono rifugiati interni. Nel 2019 è stato formato un governo provvisorio di unità nazionale e nello stesso anno è nato anche il progetto che vede la collaborazione tra Unido e le suore salesiane, con i finanziamenti di Tokyo, finalizzato alla creazione di opportunità di lavoro per la popolazione sud-sudanese. Il progetto, in particolare, coinvolge le donne rifugiate e la produzione locale di arachidi e sesamo, con l’obiettivo di realizzare olio da vendere, in modo da alzare il valore sul mercato del prodotto e garantire, così, un reddito stabile a queste donne, rendendole indipendenti. Tra le azioni finora messe in campo, l’introduzione di macchinari per l’estrazione di olio, l’avvio di corsi di formazione sulla sicurezza alimentare, la creazione di casse di risparmio collettive e l’erogazione di prestiti per l’inizio dell’attività.
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Era il 1942 quando, per la prima volta, Santa Sede e Giappone iniziarono le relazioni diplomatiche: 80 anni dopo, per celebrare la ricorrenza e rinsaldare i rapporti che si delineano all’insegna della solidarietà e della collaborazione per l’emancipazione dei popoli, è stata organizzata la conferenza “Empowerment of women in conflict areas”. L'iniziativa è dedicata in particolare alle donne del Sud Sudan, e oltre a presentare un apposito progetto, offrirà l'occasione per riflettere sui traguardi che è possibile raggiungere attraverso la collaborazione di realtà anche tanto diverse come organizzazioni internazionali, rappresentanze diplomatiche e enti religiosi che si occupano di aiuti umanitari, ma uniti dall’attenzione alle persone in difficoltà.
Un evento per le donne che vivono in aree di conflittoL’evento, in programma venerdì 4 marzo nell’aula Vecchi dell’Università Pontificia Salesiana che è tra i promotori, illustrerà, a titolo di esempio sul tema, la collaborazione in atto tra governo giapponese, Unido (United Nations industrial development organization) e Figlie di Maria Ausiliatrice presenti in Sud Sudan a sostegno proprio delle donne del Paese africano. Il discorso d’apertura sarà affidato al rettore dell’ateneo, don Andrea Bozzolo, cui seguirà l’intervento dell’ospite d’onore, suor Alessandra Smerilli, segretario ad interim del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
Preghiera e riflessione contro la tratta, “una ferita profonda”Sud Sudan: il Paese più giovane del mondo Ottenuta l’indipendenza da Khartoum solo nel 2011, il Sud Sudan è il più giovane Stato del mondo, ma anche uno tra i più poveri e i più instabili. I conflitti politici mai sopiti, infatti, hanno costretto alla migrazione ben quattro milioni di persone, di cui circa la metà sono rifugiati interni. Nel 2019 è stato formato un governo provvisorio di unità nazionale e nello stesso anno è nato anche il progetto che vede la collaborazione tra Unido e le suore salesiane, con i finanziamenti di Tokyo, finalizzato alla creazione di opportunità di lavoro per la popolazione sud-sudanese. Il progetto, in particolare, coinvolge le donne rifugiate e la produzione locale di arachidi e sesamo, con l’obiettivo di realizzare olio da vendere, in modo da alzare il valore sul mercato del prodotto e garantire, così, un reddito stabile a queste donne, rendendole indipendenti. Tra le azioni finora messe in campo, l’introduzione di macchinari per l’estrazione di olio, l’avvio di corsi di formazione sulla sicurezza alimentare, la creazione di casse di risparmio collettive e l’erogazione di prestiti per l’inizio dell’attività.
#StrongerTogether - Japan government organization - World food program - UNHCRSouthSudan
#StrongerTogheter insieme all'Ambasciatore Giapponede per il Sud Sudan Tsutsumi
Naohiro in visita con #WFPSouthSudan e #UNHCRSouthSudan presso le attività a Bentiu
Le donne vengono addestrate alla produzione di bricchette ad alta efficienza energetica per ridurre la dipendenza dalla legna da ardere, alla sartoria e alla produzione di perline per aumentare il loro reddito.
Salva Kiir Mayardit chiede la pace tra le comunità del Sud Sudan
Il Presidente Salva Kiir ha invitato i leader dei gruppi di opposizione sudanesi che non fanno parte dell'accordo di pace, a unirsi al tavolo dei negoziati per accelerare l'attuazione dell'accordo di pace di Juba per la pace in Sudan.
Il presidente Kiir ha chiesto al generale Abdelaziz Adam El Hilu, leader della SPLM-North e Ustaz Abdul Wahid Mohamed al Nur, leader del Movimento di Liberazione del Sudan, di considerare seriamente l'idea di unirsi al processo di pace.
Il Presidente ha fatto i commenti alla firma della Matrice di attuazione del terzo emendamento dell'accordo di pace di Juba, firmato ieri tra il governo e le parti del processo di pace a Juba.
Ha sottolineato che la pace duratura in Sudan rimarrà elusiva fino a quando i leader non si uniranno al treno per la pace.
L'accordo di pace di Juba è stato firmato a Juba sotto l'egida del presidente Salva Kiir Mayardit il 3 ottobre 2020 tra il governo sudanese e 14 firmatari dell'accordo.
La Repubblica del Ciad, l'Emirato Arabo Unito e l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, IGAD sono i garanti, mentre Egitto e Qatar sono testimoni dell'accordo di pace.
Il presidente Kiir ha chiesto al generale Abdelaziz Adam El Hilu, leader della SPLM-North e Ustaz Abdul Wahid Mohamed al Nur, leader del Movimento di Liberazione del Sudan, di considerare seriamente l'idea di unirsi al processo di pace.
Il Presidente ha fatto i commenti alla firma della Matrice di attuazione del terzo emendamento dell'accordo di pace di Juba, firmato ieri tra il governo e le parti del processo di pace a Juba.
Ha sottolineato che la pace duratura in Sudan rimarrà elusiva fino a quando i leader non si uniranno al treno per la pace.
L'accordo di pace di Juba è stato firmato a Juba sotto l'egida del presidente Salva Kiir Mayardit il 3 ottobre 2020 tra il governo sudanese e 14 firmatari dell'accordo.
La Repubblica del Ciad, l'Emirato Arabo Unito e l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, IGAD sono i garanti, mentre Egitto e Qatar sono testimoni dell'accordo di pace.
ll Papa ha benedetto il Sud Sudan, Paese "disarmato" dalla rabbia
Il vescovo di Rumbek ha camminato con i suoi fedeli e quelli di altre confessioni per accogliere Francesco. “La Chiesa sia vicina agli ultimi”
Il Papa in Sud Sudan ha benedetto una terra con la pace, che in questo Paese nasce da cuori disarmati da rabbia e da violenza. Ha parlato ad un popolo che ha bisogno di fatti e dove la sofferenza degli ultimi sta avviando un processo di nascita. Christian Carlassare, vescovo di Rumbek, racconta i giorni della visita di Francesco che lui ha vissuto tutti da vicino e molto intensamente. A cominciare dal viaggio che lo ha portato nella capitale, in un pellegrinaggio di pace, Walking for peace, a piedi per circa 200 chilometri, con un gruppo di 60 giovani di diversi clan e diversa fede, cattolici e protestanti. Partiti dalla capitale dello Stato dei Laghi, il 25 gennaio, hanno camminato per circa venti chilometri al giorno, per nove giorni, con tappe in diverse comunità cristiane lungo la via, con momenti di preghiera e di condivisione e culminati con l’arrivo a Giuba il 2 febbraio e con l’incontro con Francesco.
L'intervista di Francesca Sabatinelli - Inviata a Giuba al vescovo Carlassare
Monsignor Carlassare, può raccontare questi giorni del Papa in Sud Sudan? Quali sono stati i momenti che più l’hanno colpita?
L’arrivo per me è stato un momento molto commovente. Ero in fila con gli altri vescovi, eravamo tutti in attesa, e quando la sedia a rotelle del Papa ha toccato terra ho sentito da lontano le grida dalle persone che lo avevano già visto e io mi sono sentito molto emozionato nel pensare che il Santo Padre, dopo tanto tempo che aveva desiderato di venire in questo Paese, che ci ha portato nelle sue preghiere, e che spesso ha menzionato il Sud Sudan nei suoi discorsi, era finalmente lì con noi. Quando un visitatore arriva, lo fa sempre con la benedizione, questa è la cultura africana, e quindi ho pensato: “Eh, Papa Francesco, adesso sei qui per benedire questa terra, che sarà benedetta con la pace”, ma non una pace che viene dalle nuvole, ma una pace che nasce dal cuore di persone che sono trasformate, cambiate dentro, con un cuore finalmente disarmato da ogni rabbia che porta violenza, e pronta al dialogo, alla preghiera, all'intercessione, alla comunione, alla fraternità e anche al perdono. Poi direi che altro momento è stato il messaggio che ha fatto al corpo diplomatico, molto molto forte e molto diretto: non più parole, ma fatti! Che penso sia quello di cui il Sud Sudan ha più bisogno, richiamando poi questa immagine del Nilo, che è un modo molto africano per capire la realtà, e vedere che la liberazione non è stata compiuta con la rivoluzione fatta da movimenti militari o politici, ma che c'è una liberazione che arriva come dono da una sorgente, una sorgente d'acqua, una sorgente anche che porta trasformazione, che è Dio, la parola di Dio, a cui tutti attingiamo e che ci fa tutti unire intorno a questo fiume che ci fa vivere e che ci fa essere popolo, che ci fa superare le divisioni, che ci fa essere in solidarietà l’uno con l'altro. Poi, per me, è stato molto emozionante l'incontro con lui in cattedrale, dove ha parlato ai vescovi, ai religiosi, ai sacerdoti e ai seminaristi, emozionante soprattutto per il momento che abbiamo vissuto al termine di quella celebrazione, quando ha dato questo spazio molto bello ai giovani di Rumbek che hanno camminato per 9 giorni per venire a fargli visita, e lui, con grande semplicità, è venuto, ha salutato i ragazzi, e ha detto: "Grazie della vostra testimonianza", di giovani che hanno saputo camminare unendosi, nonostante l’appartenenza a tribù diverse, a clan diversi, a territori diversi, e non si conoscessero tra di loro
Hanno camminato insieme per 9 giorni e hanno fatto fraternità. I primi giorni vedevo che non parlavano tra loro, che facevano i loro piccoli gruppetti, alla fine siamo arrivati a Giuba con serenità, gioia e comunione: il gruppo si era finalmente unificato. Questa è la testimonianza che i giovani possono dare a questo Paese, per troppo tempo hanno marciato con il fucile in spalla e invece adesso abbiamo dei giovani che, se ricevano la spinta giusta, sanno anche camminare, in questo cammino nuovo, rinnovato, che è la pace. Poi sono stati momenti molto belli nella Freedom Hall, l’incontro con gli sfollati. Lì ho pianto, e davvero ho pianto, perché abbiamo tante persone che hanno perso le loro case, la sicurezza, la fiducia di poter vivere nel proprio Paese da liberi cittadini. Il video, prodotto del Cuamm, (mostrato durante l’evento e girato nei campi sfollati del Sud Sudan ndr) è stato molto toccante e così il messaggio dei bambini che hanno parlato al Papa. Vedo che da questa gente che soffre si sta avviando un processo di nascita. Il cambiamento in Sud Sudan non arriverà dalle élite, ma da queste persone che hanno sofferto tanto e che sapranno dare un una visione nuova al Paese. Infine, direi, la celebrazione della Messa (domenica 5 febbraio, nel Mausoleo John Garang), molto partecipata, molto vivace, con le parole del Papa sulla luce del mondo e il sale della terra che ci insegna che questa grazia che riceviamo da Dio è una grazia a cui dobbiamo partecipare e quindi diventare anche noi sale e luce per gli altri.
Il vescovo di Rumbek che cammina con i suoi fedeli e compie un pellegrinaggio a piedi fino Giuba, è una notizia che ha circolato molto nel Paese, come mai è così entrato nel cuore delle persone e ha scosso così tanto questo gesto?
Il Sud Sudan ha una storia di sfollati di gente che cammina, che percorre il Paese da un lato all'altro alla ricerca di sicurezza. Pensiamo durante il conflitto quante persone hanno dovuto abbandonare la propria casa e camminare giorni e giorni per chilometri per raggiungere un chissà cosa, un chissà dove, per la sicurezza. Quindi, vedere questo gruppo che cammina, che lo fa con una direzione, verso Giuba, dove molte persone comunque arriveranno per una ragione comune che è quella della visita del Papa, io penso che questo abbia dato la visione di un nuovo Sud Sudan, formato da persone rinnovate, che si sono riconciliate con il passato, con la storia di violenza che purtroppo non va dimenticata, ma va trasformata. Nuove vie devono essere riaperte per dare speranza alla popolazione, e questi giovani che hanno camminato sono stati una speranza per tutto il Sud Sudan, lo credo veramente.
Gli sfollati, coloro che non hanno assolutamente nulla, coloro che non avrebbero, paradossalmente, quasi neanche il diritto di avere speranza, incontrando Francesco alla Freedom Hall hanno invece dimostrato di credere fortemente proprio nella speranza, di essere coloro che vogliono davvero iniziare a costruirla, non per cambiare la loro propria situazione, ma per il Paese intero, per l'unità del Popolo. È qualcosa di quasi incomprensibile, ma che il Papa ha confermato …
Sì, è incomprensibile quanto la fede, e quindi penso che quanto detto al termine del Sinodo africano sia proprio vero, cioè che l'Africa è il polmone spirituale del mondo. Lo dimostra questa fede grande che i poveri, coloro che sono più emarginati, ripongono in Dio e in una umanità possibile, che è la solidarietà, che è l'unico modo che permette ancora a sfollati, rifugiati e persone che hanno perso tutto, di sopravvivere, quella solidarietà ancora possibile: la solidarietà degli ultimi, a cui come Chiesa dobbiamo essere particolarmente vicini
AFRICA/SUD SUDAN - L'allarme del Vescovo Lodiong: "A causa della povertà, le famiglie non possono provvedere all'istruzione e alla salute dei figli"
“Le uccisioni e le violenze sono ancora in corso, anche se non così dilaganti come nel biennio 2016-2018. Si registrano imboscate stradali e rapine da parte di uomini armati, uccisioni di agricoltori nelle loro fattorie da parte di guardiani di bestiame armati (soprattutto nella regione di Equatoria), omicidi a sangue freddo di religiosi e di presunti oppositori politici, lunghe detenzioni di sospetti criminali senza traccia nei tribunali. Recentemente, un nuovo movimento ribelle è emerso nello Stato dell'Alto Nilo con il nome di ‘Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan’ (SSPLM), per cui molte persone hanno perso la vita negli ultimi mesi. Davanti a simili atrocità, i leader devono dimostrare maturità politica garantendo la sicurezza, impegnandosi nel dialogo come modo migliore per risolvere le controversie, migliorando e aumentando i servizi umani di base come l'istruzione, la salute e la produzione di cibo e fermando le molestie ai civili da parte del personale militare”. Parlando con l’Agenzia Fides, mons. Alex Lodiong, Vescovo di Yei, in Sud Sudan, non nasconde la sua preoccupazione per la situazione del suo Paese, tormentato da focolai di guerra che, nonostante alcuni significativi passi avanti degli ultimi anni, ancora tardano a spegnersi.
“La situazione – nota il vescovo – non è ancora delle migliori. L'economia soffre, negli ultimi tempi i prezzi sul mercato sono aumentati. I dipendenti pubblici non vengono pagati regolarmente; di conseguenza, non possono provvedere all’istruzione dei figli né alla loro salute e al loro mantenimento quotidiano. Solo coloro che occupano posizioni governative di alto livello, gli ufficiali dell'esercito di alto grado e coloro che lavorano nelle Organizzazioni non governative internazionali (in particolare le Agenzie delle Nazioni Unite) possono permettersi una vita dignitosa. Possono sostenere le spese di istruzione in scuole prestigiose al di fuori del Paese. In alcune zone del Sud Sudan, tra le quali alcune della mia diocesi, non si vedono scuole funzionanti e i bambini nati negli ultimi dieci anni non sono mai andati a scuola. E’ un fatto molto grave”.
Il Papa segue da sempre le sorti del Paese più giovane d’Africa (nato nel 2011 a seguito di una separazione dal Sudan, ndr), dal 2013 oppresso da guerre e povertà, con l'82% delle persone vive ancora al di sotto della soglia di povertà. A causa delle sue condizioni fisiche, non ha potuto svolgere il viaggio apostolico in un primo tempo previsto all’inizio di luglio: “Le aspettative e l'entusiasmo della comunità cristiana per la visita del Papa sono stati purtroppo ridimensionati. La gente si aspettava dalla visita del Papa parole di incoraggiamento e parole di esortazione al governo sulla pace e la stabilità economica. Ciononostante, sono ancora fiduciosi che il Papa visiterà il paese, come ha promesso. Certamente, il simbolico bacio del Papa ai piedi dei nostri leader politici non ha portato i frutti che noi tutti speravamo. I nostri leader sembra abbiano ignorato desiderio di pace e di stabilità economica della popolazione del Sud Sudan”.
Il Cardinale Pietro Parolin, durante la sua visita di solidarietà – compiuta dopo il rinvio della visita del Papa – ha lanciato un forte messaggio alla popolazione del Sud Sudan affinché cessi la violenza e si impegni in azioni concrete per la pace: “Il Signore tocchi il cuore di tutti, e in particolare di coloro che ricoprono posizioni di autorità e di grande responsabilità, affinché si ponga fine alle sofferenze causate dalla violenza e dall'instabilità, e affinché il processo di pace e di riconciliazione possa avanzare rapidamente con azioni concrete ed efficaci”. “Speriamo che questo messaggio dia i suoi frutti – aggiunge il Vescovo – in modo che quando il Papa verrà in Sud Sudan a suo piacimento troverà i sud sudanesi in fase di ritorno dall'esilio e di ricostruzione”.
Mons Lodiong ha visitato di recente i campi di accoglienza dei rifugiati dentro e fuori il Sud Sudan e ha lanciato appelli “perché si mettano a tacere i focolai di violenza e di divisioni etniche”. “Vi sono più di un milione e centomila rifugiati in Uganda e nella Repubblica Democratica del Congo, – rileva – secondo le stime approssimative che ho ottenuto durante le mie visite agli insediamenti in questi Paesi. Devono affrontare problemi di sostentamento: le razioni alimentari vengono ridotte ogni anno e la comunità ospitante (soprattutto in Uganda) non assegna loro terreni per la produzione agricola per integrare le razioni ONU”.
“Inoltre i rifugiati, da soli – nota– non possono permettersi di pagare le rette scolastiche degli istituti di istruzione superiore. Ma non ci sono molte agenzie umanitarie che offrono borse di studio per i bambini rifugiati che si qualificano dalle loro scuole secondarie per gli studi superiori. A questi problemi vanno ad aggiungersi quelli legati alle appartenenze etniche, come è accaduto in alcuni campi in Uganda nel recente passato. Il governo dell'Uganda, attraverso i suoi organi al servizio dei rifugiati, sta facendo del suo meglio per aiutare i profughi, in modo che rimangano pacifici tra di loro nonostante le sfide che devono affrontare”.
“La situazione – nota il vescovo – non è ancora delle migliori. L'economia soffre, negli ultimi tempi i prezzi sul mercato sono aumentati. I dipendenti pubblici non vengono pagati regolarmente; di conseguenza, non possono provvedere all’istruzione dei figli né alla loro salute e al loro mantenimento quotidiano. Solo coloro che occupano posizioni governative di alto livello, gli ufficiali dell'esercito di alto grado e coloro che lavorano nelle Organizzazioni non governative internazionali (in particolare le Agenzie delle Nazioni Unite) possono permettersi una vita dignitosa. Possono sostenere le spese di istruzione in scuole prestigiose al di fuori del Paese. In alcune zone del Sud Sudan, tra le quali alcune della mia diocesi, non si vedono scuole funzionanti e i bambini nati negli ultimi dieci anni non sono mai andati a scuola. E’ un fatto molto grave”.
Il Papa segue da sempre le sorti del Paese più giovane d’Africa (nato nel 2011 a seguito di una separazione dal Sudan, ndr), dal 2013 oppresso da guerre e povertà, con l'82% delle persone vive ancora al di sotto della soglia di povertà. A causa delle sue condizioni fisiche, non ha potuto svolgere il viaggio apostolico in un primo tempo previsto all’inizio di luglio: “Le aspettative e l'entusiasmo della comunità cristiana per la visita del Papa sono stati purtroppo ridimensionati. La gente si aspettava dalla visita del Papa parole di incoraggiamento e parole di esortazione al governo sulla pace e la stabilità economica. Ciononostante, sono ancora fiduciosi che il Papa visiterà il paese, come ha promesso. Certamente, il simbolico bacio del Papa ai piedi dei nostri leader politici non ha portato i frutti che noi tutti speravamo. I nostri leader sembra abbiano ignorato desiderio di pace e di stabilità economica della popolazione del Sud Sudan”.
Il Cardinale Pietro Parolin, durante la sua visita di solidarietà – compiuta dopo il rinvio della visita del Papa – ha lanciato un forte messaggio alla popolazione del Sud Sudan affinché cessi la violenza e si impegni in azioni concrete per la pace: “Il Signore tocchi il cuore di tutti, e in particolare di coloro che ricoprono posizioni di autorità e di grande responsabilità, affinché si ponga fine alle sofferenze causate dalla violenza e dall'instabilità, e affinché il processo di pace e di riconciliazione possa avanzare rapidamente con azioni concrete ed efficaci”. “Speriamo che questo messaggio dia i suoi frutti – aggiunge il Vescovo – in modo che quando il Papa verrà in Sud Sudan a suo piacimento troverà i sud sudanesi in fase di ritorno dall'esilio e di ricostruzione”.
Mons Lodiong ha visitato di recente i campi di accoglienza dei rifugiati dentro e fuori il Sud Sudan e ha lanciato appelli “perché si mettano a tacere i focolai di violenza e di divisioni etniche”. “Vi sono più di un milione e centomila rifugiati in Uganda e nella Repubblica Democratica del Congo, – rileva – secondo le stime approssimative che ho ottenuto durante le mie visite agli insediamenti in questi Paesi. Devono affrontare problemi di sostentamento: le razioni alimentari vengono ridotte ogni anno e la comunità ospitante (soprattutto in Uganda) non assegna loro terreni per la produzione agricola per integrare le razioni ONU”.
“Inoltre i rifugiati, da soli – nota– non possono permettersi di pagare le rette scolastiche degli istituti di istruzione superiore. Ma non ci sono molte agenzie umanitarie che offrono borse di studio per i bambini rifugiati che si qualificano dalle loro scuole secondarie per gli studi superiori. A questi problemi vanno ad aggiungersi quelli legati alle appartenenze etniche, come è accaduto in alcuni campi in Uganda nel recente passato. Il governo dell'Uganda, attraverso i suoi organi al servizio dei rifugiati, sta facendo del suo meglio per aiutare i profughi, in modo che rimangano pacifici tra di loro nonostante le sfide che devono affrontare”.
Viaggio apostolico in Sud Sudan, 3 febbraio 2023 - Incontro con le autorità
Il presidente Salva Kiir Mayardit ha ricevuto Papa Francesco al suo arrivo all'aeroporto internazionale di Juba questo pomeriggio alle 14:45 ora locale.
Il Santo Padre raggiunge Giuba in Sud Sudan. Questa seconda parte del viaggio è all’insegna dell’ecumenismo infatti ad accompagnare il Papa sono l’arcivescovo anglicano di Canterbury e il moderatore della Chiesa di Scozia.
paese irrequieto.
I sud sudanesi sperano che la visita di Papa Francesco incoraggi i leader politici ad abbracciare la pace e ripristinare la stabilità nel paese.
Migliaia di cittadini stavano sotto il sole cocente all'aeroporto internazionale di Juba e lungo le strade della città di Juba urlando e cantando, Amira Albino, 38 anni, ha espresso gioia vedendo il papa per la prima volta.
"Sono molto contenta dell'arrivo di Papa Francesco a Juba e questa è la prima volta che lo vedo" “Ciò di cui tutti abbiamo bisogno come sud sudanesi è la pace nel nostro paese”.
La strada dell'aeroporto era fiancheggiata da migliaia di cristiani e ballerini tradizionali che salutavano l'86enne pontefice, arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Rt. Rev. Iain Greenshields.
"Vogliamo che i nostri leader prendano sul serio la venuta del papa e portino una pace duratura nel nostro Paese".
Il Vescovo di Rumbek mons. Christian Carlassare; il Vescovo di Yei mons. Alex Lo Diong; il Vescovo Emerito di Yei mons. Ercolano Ladu.
Papa Francesco atterra in Sud Sudan
L'aereo papale con a bordo Papa Francesco è appena atterrato all'aeroporto internazionale di Juba venerdì pomeriggio, in un momento storico che segna la prima visita di un papa nella nazione più giovane del mondo.
Il Pontefice ha sceso le scale dell'aereo sulla sua sedia a rotelle prima di stringere la mano al presidente Salva Kiir.
Poi un gruppo di bambini ha regalato delle colombe al Papa che le ha fatte volare prima di sfilare con il presidente Kiir sul tappeto rosso.
Si recherà al Palazzo Presidenziale per incontrare i leader del Paese; Il presidente Kiir, i suoi cinque vice, diplomatici e altri funzionari.
È partito dall'aeroporto internazionale di Ndjili a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, alle 10:49 ora dell'Africa centrale, secondo Vatican News.
Francesco è arrivato nel suo Blue Papal Plane con l'arcivescovo Welby e il moderatore generale della Chiesa scozzese.
Francesco in Sud Sudan striglia i leader politici: basta parole, si attui accordo di pace
Papa Francesco, arrivando in Sud Sudan, il paese più giovane e più povero del mondo, ha avvertito i leader politici ricordandogli che la storia li giudicherà duramente se continueranno a rallentate l’attuazione dell’accordo di pace del 2018.
Ad accompagnarlo nel paese prevalentemente cristiano l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, il Rt. Rev. Iain Greenshields.
Insieme sperano di spingerà i media internazionali a puntare i riflettori su quella che Francesco definisce una “crisi dimenticata”.”Sono qui come pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità”. Sono le prime parole di Papa Francesc. Le ha scritte sul libro d’onore del Palazzo presidenziale dove a breve terrà il discorso alle autorità del Paese
. Si tratta di un paese poverissimo dove, come ricorda l’Onu c’è una grave emergenza umanitaria grave con due terzi della popolazione che sopravvive grazie agli aiuti umanitari. Secondo le Nazioni Unite, 9,4 milioni delle persone più vulnerabili avranno bisogno di assistenza e protezione salvavita urgenti nel 2023, rispetto agli 8,9 milioni del 2022. Nel Paese ci sono più di 2 milioni di persone sfollate, molte delle quali da anni. “Gli effetti cumulativi e combinati di anni di shock legati al clima, come inondazioni e siccità, conflitti e violenza subnazionale, hanno distrutto le case e i mezzi di sussistenza delle persone, privandole del futuro che meritano” sostiene l’Onu. Inoltre, per il quarto anno consecutivo il Paese è a rischio sono inondazioni su larga scala, che provocano distruzione e sfollamenti. La situazione della sicurezza in Sud Sudan resta grave con violenze sessuali diffuse e difficoltà per le agenzie umanitaria a raggiungere le popolazioni vulnerabili. il Sud Sudan, riferisce l’Onu, è uno dei luoghi più pericolosi per gli operatori umanitari, a causa della violenza armata, con nove operatori umanitari uccisi e 450 incidenti segnalati nel 2022 e già tre operatori umanitari uccisi nel 2023. “Le vittime dirette di questi attacchi – spiega l’Onu – sono gli operatori umanitari, quasi invariabilmente cittadini sud sudanesi, ma le vittime indirette sono le persone più vulnerabili” che vengono private degli aiuti senza i quali rischiano di non sopravvivere
L'arcivescovo Welby addolorato per il "massacro" di Kajo-Keji
L'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha descritto gli omicidi nella contea di Kajo-Keji come un massacro e si è detto addolorato e rattristato dalla tragedia.
Ha fatto le osservazioni venerdì sera mentre si rivolgeva al presidente Salva Kiir, al primo vicepresidente Dr. Riek Machar, agli alti funzionari del governo e ai leader religiosi presso la Statehouse di Juba.
Erano presenti anche diplomatici stranieri.
"Quando ricordo gli impegni presi da voi [leader] nel 2019, sono addolorato, sono triste che sentiamo ancora parlare di una simile tragedia".
Welby stava rievocando l'anno in cui visitò Juba e lavò il mangime della leadership del governo di Unity.
Venerdì, il commissario della contea di Kajo-Keji ha dichiarato che il bilancio delle vittime nelle violenze a Lire Payam è stato di 27, inclusi sei pastori.
“Anche oggi [venerdì], il vescovo di Kajo-Keji dopo il massacro di ieri è sceso per confortare i defunti”.
Il leader anglicano ha attribuito l'incidente alla mancanza di impegno da parte dei leader del Sud Sudan per attuare pienamente l'accordo di pace per portare la pace e riconciliare il paese frammentato.
“Avevamo sperato e pregato di più, ci aspettavamo di più e tu hai promesso di più. Non possiamo scegliere parti di un accordo di pace. Ogni parte deve essere fatta da tutti e questo costa molto”, ha detto.
L'arcivescovo Welby ha affermato che lo scopo della loro venuta è quello di incoraggiare la chiesa negli sforzi per costruire la pace e unire le persone.
Hanno anche voluto ascoltare i giovani che costituiscono la maggioranza del paese.
“Veniamo per incoraggiare la Chiesa, care sorelle e fratelli in Cristo. Ricorda il tuo meraviglioso lavoro nel costruire la pace e riunire le persone”.
“Veniamo ad ascoltare i giovani che costituiscono il 70 per cento della popolazione del Sud Sudan. Senza ascoltare le loro voci non ci può essere pace e riconciliazione”, ha aggiunto.
L'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha descritto gli omicidi nella contea di Kajo-Keji come un massacro e si è detto addolorato e rattristato dalla tragedia.
Ha fatto le osservazioni venerdì sera mentre si rivolgeva al presidente Salva Kiir, al primo vicepresidente Dr. Riek Machar, agli alti funzionari del governo e ai leader religiosi presso la Statehouse di Juba.
Erano presenti anche diplomatici stranieri.
"Quando ricordo gli impegni presi da voi [leader] nel 2019, sono addolorato, sono triste che sentiamo ancora parlare di una simile tragedia".
Welby stava rievocando l'anno in cui visitò Juba e lavò il mangime della leadership del governo di Unity.
Venerdì, il commissario della contea di Kajo-Keji ha dichiarato che il bilancio delle vittime nelle violenze a Lire Payam è stato di 27, inclusi sei pastori.
“Anche oggi [venerdì], il vescovo di Kajo-Keji dopo il massacro di ieri è sceso per confortare i defunti”.
Il leader anglicano ha attribuito l'incidente alla mancanza di impegno da parte dei leader del Sud Sudan per attuare pienamente l'accordo di pace per portare la pace e riconciliare il paese frammentato.
“Avevamo sperato e pregato di più, ci aspettavamo di più e tu hai promesso di più. Non possiamo scegliere parti di un accordo di pace. Ogni parte deve essere fatta da tutti e questo costa molto”, ha detto.
L'arcivescovo Welby ha affermato che lo scopo della loro venuta è quello di incoraggiare la chiesa negli sforzi per costruire la pace e unire le persone.
Hanno anche voluto ascoltare i giovani che costituiscono la maggioranza del paese.
“Veniamo per incoraggiare la Chiesa, care sorelle e fratelli in Cristo. Ricorda il tuo meraviglioso lavoro nel costruire la pace e riunire le persone”.
“Veniamo ad ascoltare i giovani che costituiscono il 70 per cento della popolazione del Sud Sudan. Senza ascoltare le loro voci non ci può essere pace e riconciliazione”, ha aggiunto.
Il Presidente RJMEC Amb. Il Mag. Gen. Charles Tai Gitua esorta i partner di pace a ricostruire la fiducia prima della visita papale.
La Commissione congiunta di monitoraggio e valutazione ricostituita (RJMEC) ha esortato la leadership del governo di unità nazionale, i partner di pace e il popolo sud sudanese a rinnovare la loro fiducia nel processo di pace, ricostruire la fiducia e dimostrare un'autentica volontà politica e unità di intenti, con il spirito di perdono e magnanimità in vista della visita del Papa del prossimo mese.
Intervenendo al 26 ° incontro mensile RJMEC a Juba giovedì, il Presidente RJMEC Amb. Il Mag. Gen. Charles Tai Gituai ha detto che la visita del Papa, l'Arcivescovo di Canterbury, Justin Portal Welby, e Rt Rev Dr. Iain Greenshields, il Moderatore dell'Assemblea Generale della Chiesa di Scozia ha indicato che il mondo desidera la pace per il Sud Sudan.
“L'imminente pellegrinaggio ecumenico di pace a Juba dei tre leader religiosi, guidati da Sua Santità Papa Francesco, è un indicatore del desiderio del mondo di una pace duratura in Sud Sudan”. Egli ha detto. “Spero che RTGoNU e il popolo del Sud Sudan trovino ispirazione e uno spirito di perdono in queste visite per rinnovare la fiducia del pubblico nel processo di pace ricostruendo la fiducia e mostrando un'unità di intenti, e dimostrando un'autentica volontà politica attraverso azioni e messaggi congiunti per la pace."
Il generale Gituai ha anche detto alla riunione che la Commissione ha notato con preoccupazione che ci sono stati numerosi scontri armati durante le recenti vacanze di Natale che hanno provocato la morte di centinaia di vite e migliaia di sfollati, in particolare nello Stato dell'Alto Nilo e nell'area amministrativa del Grande Pibor.
"Esiste un quadro molto serio di un'escalation di violenza, che ha un impatto negativo sull'ambiente in cui viene implementato l'R-ARCSS", ha affermato.
Gituai ha inoltre osservato che sei progetti di legge sono stati approvati dal Presidente della Repubblica del Sud Sudan a dicembre, incluso il disegno di legge sul processo costituzionale del 2022. Tuttavia, ha espresso la preoccupazione che la loro operatività debba essere ulteriormente avanzata.
"Ormai ci sono istituzioni critiche che avrebbero dovuto essere ricostituite per aprire la strada all'attuazione degli aspetti chiave dell'Accordo", ha affermato. "Ad esempio, il Consiglio dei partiti politici che è centrale per la registrazione dei partiti politici, e c'è anche la Commissione nazionale di revisione costituzionale che ha il compito di guidare il processo costituzionale".
Ha anche chiesto l'immediata ricostituzione e il finanziamento della Commissione nazionale di revisione costituzionale e del suo segretariato e l'accelerazione della creazione di altri meccanismi come il Comitato di redazione costituzionale (CDC) e il Sottocomitato preparatorio.
Nella sua conclusione, l'Amb. Gituai ha esortato il governo di unità nazionale ad armonizzare i ranghi delle forze unificate ea provvedere al loro benessere in modo che possano essere dispiegate per fornire sicurezza e protezione ai civili coinvolti nella violenza subnazionale.
Intervenendo al 26 ° incontro mensile RJMEC a Juba giovedì, il Presidente RJMEC Amb. Il Mag. Gen. Charles Tai Gituai ha detto che la visita del Papa, l'Arcivescovo di Canterbury, Justin Portal Welby, e Rt Rev Dr. Iain Greenshields, il Moderatore dell'Assemblea Generale della Chiesa di Scozia ha indicato che il mondo desidera la pace per il Sud Sudan.
“L'imminente pellegrinaggio ecumenico di pace a Juba dei tre leader religiosi, guidati da Sua Santità Papa Francesco, è un indicatore del desiderio del mondo di una pace duratura in Sud Sudan”. Egli ha detto. “Spero che RTGoNU e il popolo del Sud Sudan trovino ispirazione e uno spirito di perdono in queste visite per rinnovare la fiducia del pubblico nel processo di pace ricostruendo la fiducia e mostrando un'unità di intenti, e dimostrando un'autentica volontà politica attraverso azioni e messaggi congiunti per la pace."
Il generale Gituai ha anche detto alla riunione che la Commissione ha notato con preoccupazione che ci sono stati numerosi scontri armati durante le recenti vacanze di Natale che hanno provocato la morte di centinaia di vite e migliaia di sfollati, in particolare nello Stato dell'Alto Nilo e nell'area amministrativa del Grande Pibor.
"Esiste un quadro molto serio di un'escalation di violenza, che ha un impatto negativo sull'ambiente in cui viene implementato l'R-ARCSS", ha affermato.
Gituai ha inoltre osservato che sei progetti di legge sono stati approvati dal Presidente della Repubblica del Sud Sudan a dicembre, incluso il disegno di legge sul processo costituzionale del 2022. Tuttavia, ha espresso la preoccupazione che la loro operatività debba essere ulteriormente avanzata.
"Ormai ci sono istituzioni critiche che avrebbero dovuto essere ricostituite per aprire la strada all'attuazione degli aspetti chiave dell'Accordo", ha affermato. "Ad esempio, il Consiglio dei partiti politici che è centrale per la registrazione dei partiti politici, e c'è anche la Commissione nazionale di revisione costituzionale che ha il compito di guidare il processo costituzionale".
Ha anche chiesto l'immediata ricostituzione e il finanziamento della Commissione nazionale di revisione costituzionale e del suo segretariato e l'accelerazione della creazione di altri meccanismi come il Comitato di redazione costituzionale (CDC) e il Sottocomitato preparatorio.
Nella sua conclusione, l'Amb. Gituai ha esortato il governo di unità nazionale ad armonizzare i ranghi delle forze unificate ea provvedere al loro benessere in modo che possano essere dispiegate per fornire sicurezza e protezione ai civili coinvolti nella violenza subnazionale.
I Cristiani della Diocesi di Rumbek e dell'ECSS hanno intrapreso un trekking di 350 km a Giuba per ricevere Papa Francesco e altri leader della fede. i credenti intraprendono un pelligrinaggio di 9 giorni nella capitale Giuba per ricevere Sua Santità Papa Francesco che farà la prima visita in Sudan meridionale dal 3 al 5 febbraio 2023
FONTE: https://sudantribune.com/article269941/
5 gennaio 2023 (JUBA) – Martedì il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha messo in guardia i golpisti nella giovane nazione, dicendo che non sarebbero stati risparmiati.
Ha fatto le osservazioni durante la cerimonia di giuramento per il segretario generale del partito al potere Movimento di liberazione del popolo sudanese (SPLM), Peter Lam Both.
Kiir, anche presidente dell'SPLM, ha citato la rivalità politica come i principali fattori che influenzano gli sforzi di sviluppo e il consolidamento della pace, della sicurezza e dell'unità.
“Nel primo tentativo di colpo di stato del 2013, non ho arrestato Riek Machar e suo suocero Taban Deng Gai. Hanno acceso il fuoco, sono fuggiti e hanno lasciato i loro figli. Quando li ho ricevuti, ho chiamato il generale James Hoth [ex capo dell'esercito] e gli ho detto di portare i bambini a casa sua e di prendersi cura di loro fino alla riapertura dell'aeroporto ", ha detto.
Machar, leader del principale partito di opposizione (SPLM-IO) è il primo vicepresidente mentre Gai è il vicepresidente e presidente del cluster dei servizi.
“Dopo che l'aeroporto ha ripreso le operazioni, il generale Hoth li ha mandati a raggiungere i loro genitori. Credo che se fossero stati loro a prendersi mio figlio, non lo avrebbero lasciato”, ha rimarcato Kiir.
Il leader sud sudanese, che è stato recentemente approvato come nuovo presidente dell'SPLM, ha esortato i membri del partito a riconciliarsi, essere risoluti e uniti.
“La riconciliazione è la cosa più importante e coloro che si sono ribellati contro di me ora sono membri del mio partito”, ha sottolineato Kiir.
Ha aggiunto: "Il nostro problema è che tutti vogliono essere i numeri uno [primo posto] e ci sono persone che hanno messo in chiaro che devono essere i numeri uno e la questione del numero uno è ciò che ha causato questa guerra nel 2013".
L'ex comandante ribelle diventato politico ha avvertito che inseguirà e non risparmierà nessuno che tenti di cambiare il suo governo usando le armi.
Il 4 agosto 2022, le parti dell'accordo di pace del settembre 2018 hanno concordato di estenderlo per altri 24 mesi a partire dal febbraio 2023, quando
Gli analisti hanno tuttavia sostenuto che tale dichiarazione potrebbe minare l'attuazione dell'accordo di pace mediato dal blocco regionale (IGAD). l'accordo originale dovrebbe scadere. Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir, che ha firmato l'estensione insieme ad altri quattro gruppi politici, ha affermato che l'estensione consentirà l'unificazione delle forze armate, la creazione di una nuova costituzione e il tempo per prepararsi alle elezioni.
Nell'ambito della tabella di marcia che estende l'accordo di pace, i leader del paese si sono impegnati a creare una Commissione per la verità, la riconciliazione e la guarigione (CTRH) entro settembre e un'Autorità per la compensazione e le riparazioni (CRA) entro novembre. Le consultazioni sulla legislazione CTRH sono state portate a termine e una relazione è stata presentata al ministro della Giustizia. Analoghe consultazioni sono pendenti presso il CR
AUGURONI SINCERI E SOLIDALI DALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE
Tre savonesi nel Sudan del Sud, un Paese da ricostruire: il viaggio di Eleonora, Giulia e Matteo
3 savonesi sono partiti per il Sud Sudan, uno dei Paesi più poveri dell'universo dilaniato dalle guerre civili e ora pronto a rinascere anche grazie all'aiuto di C.E.S.A.R Il racconto di un viaggio fatto di speranze, sorrisi e progetti da costruire.
Copia e incolla questo link su google per ascoltare: https://www.spreaker.com/user/14383540/viaggio-di-eleonora-giulia-e-matteo
Copia e incolla questo link su google per ascoltare: https://www.spreaker.com/user/14383540/viaggio-di-eleonora-giulia-e-matteo
Mabeny, il piccolo Gesù nato in una latrina del Sud Sudan
Una storia natalizia di disperazione e speranza raccontata dal vescovo di Rumbek. Anche questa volta, come duemila anni fa, un bambino ha avuto bisogno degli uomini per nascere
.Si avvicina il Natale e un amico collaboratore ci gira una email che arriva da
Rumbek, Sud Sudan. A scrivere è il vescovo, Christian Carlassare, che titola la sua missiva con un interrogativo impegnativo: “Che cos’è l’uomo?”. Il vescovo racconta la vita della diocesi e le molte attività che riempiono la giornata: opere sociali, la Caritas, la scuola, la cura per i bambini e i deboli.
Dice con una metafora piena di senso: «La Chiesa di Rumbek è una donna previdente che ama i propri figli». Quanto bene il cristianesimo ha portato nelle periferie del mondo! Quanto bene, ogni giorno, in posti che non fanno notizia tra le storie di Instagram.
Il miracolo della vita.
"Il miracolo della vita, proprio del Natale, si ripete ogni giorno dove c’è un cuore che impara ad amare. In questi giorni il Signore si è fatto presente attraverso una vicenda terribile poi conclusa con un lieto fine. È la storia di Sefora, ragazza quattordicenne, maltrattata dai genitori e fratelli perché rimasta inaspettatamente incinta. “Questa gravidanza fuori del matrimonio ci farà perdere molte vacche” pensavano loro, ben sapendo che la dote per il futuro matrimonio sarebbe stata più misera a causa di questo errore. Indispettiti non si sono trattenuti dal picchiarla per bene. La povera ragazzina era piena di vergogna e confusione. E in casa nessuno le rivolgeva più una parola finché è arrivato il momento del parto. La mamma, come tutte le madri, si è prodigata per facilitare il primo parto della figlia. Ma al primo vagito del bambino, invece di porgerglielo in grembo, gliel’ha strappato via ed è corsa a buttarlo dentro una latrina. Avrà pensato di eliminare la causa di tanto turbamento. Quale terribile gesto! E quanta sofferenza che solo può spiegare tanta disumanità. La grazia è stata che un buon samaritano passando per caso, si è accorto del neonato e lo ha estratto dalla fossa pieno di vermi attaccati al corpo e ormai cianotico. In ospedale hanno offerto il primo soccorso. Poi il bambino è stato spostato all’orfanotrofio delle missionarie della carità (suore di madre Teresa di Calcutta). È lì che Sefora si è presentata per stringersi il proprio bambino al petto: un abbraccio che apre un varco di umanità fra tanta ingiustizia. L’ho incontrata proprio oggi mentre se lo cullava timidamente. “Come stai, Sefora?” Lei mi risponde annuendo. “E il bambino, come sta?” Lei abbassa lo sguardo e lo guarda non sapendo cosa dire. È vivo per miracolo. “Le hai dato il nome?” chiedo io, “come si chiama?”. E lei alza lo sguardo e mi dice: “Il suo nome è Mabeny”. Nome che in lingua Dinka significa “signore” o anche “ricchezza”. Sì, piccolo Mabeny, nonostante la tua vicenda che forse nessuno ti racconterà mai, per noi hai la dignità di un signore e la tua vita ci è preziosa"
Buon Natale perché la nascita di Gesù ci insegni a riconoscere la dignità e il valore di ogni vita umana!
+ Christian Carlassare
Vescovo di Rumbek
Sud Sudan
Kiir cerca di ricoprire il posto di vicepresidente dell'SPLM
Il presidente del partito SPLM Salva Kiir Mayardit ha chiesto il potere di ricoprire la carica di primo vicepresidente del partito come parte dei piani per ristrutturare il partito.
Venerdì il presidente Salva Kiir ha aperto una riunione di due giorni del Consiglio di liberazione nazionale (NLC) del partito con l'obiettivo di ristrutturare il partito al governo, che si è diviso in diversi gruppi dopo lo scoppio della guerra civile nel dicembre 2013.
Il dottor Riek Machar, che guida la fazione di opposizione SPLM-IO, è stato il primo vicepresidente del partito SPLM, mentre Pagan Amum, una figura di spicco dell'opposizione in esilio, è stato segretario generale del partito.
Rivolgendosi alla riunione, il presidente Kiir ha dichiarato: "L'NLC dovrebbe autorizzare il presidente a ricoprire la carica di vicepresidente".
Il leader del partito ha raccomandato di modificare la costituzione del partito per approvare la sostituzione dei membri dell'NLC che sono morti, hanno disertato o sono inabili.
"L'NLC deve approvare la sostituzione dei membri dell'NLC deceduti, disertati o resi incapaci in conformità con le raccomandazioni dell'SPLM negli stati e nelle aree amministrative", ha affermato Kiir.
Ha anche invitato i membri dell'NLC ad approvare l'ampliamento dei candidati secondo la lista del 2008 nominata dal presidente del partito e ad aggiungere alcuni membri per rappresentare gli stati e le aree amministrative nell'Ufficio politico dell'SPLM.
Il presidente Kiir ha anche ordinato al consiglio di discutere e approvare i documenti di base dell'SPLM che includono il codice di condotta, le procedure disciplinari e le norme e i regolamenti di gestione finanziaria.
Costruzione della pace
Il presidente Salva Kiir ha anche invitato i membri del partito SPLM a unire gli sforzi per la costruzione della pace nel paese mentre le parti dell'accordo di pace del 2018 attuano le disposizioni chiave dell'accordo.
“L'accordo rivitalizzato è stato prorogato per altri due anni per consentire l'attuazione dell'accordo prima delle elezioni generali. Sappiamo tutti che abbiamo esteso l'accordo perché vogliamo evitare un'altra guerra", ha detto.
“Ci sono persone che vorrebbero rimanere negli uffici dove si trovano oggi, sia che stia succedendo qualcosa o che non stia succedendo niente, è bene che stiano lì, quindi queste persone se andiamo senza convincerle torneremo indietro alla guerra che non voglio”, ha aggiunto.
Ha sottolineato che dopo l'estensione del periodo di transizione, l'SPLM deve raddoppiare i suoi sforzi per conquistare la fiducia del popolo del Sud Sudan.
Combattimenti nell'Alto Nilo
Il presidente Salva Kiir ha anche rivelato che il re di Shilluk è stato evacuato nella capitale Juba dalla contea di Fashoda in mezzo a pesanti combattimenti nello stato dell'Alto Nilo.
Secondo Kiir, il re Kwongo Dak Padiet è stato trasportato in aereo a Juba dopo aver riferito di combattimenti tra gruppi armati a Fashoda.
“Quando i combattimenti si sono intensificati e abbiamo visto che lui era a Pashoda, il re era a Pashoda, quindi abbiamo cercato di spostarlo. “Quindi, abbiamo inviato una barca per portarlo a Malakal, e da Malakal ieri (giovedì), lo abbiamo trasportato in aereo a Juba qui. Il re è al sicuro e lo incontrerò qui a Juba", disse Kiir.
Ha invitato i vari gruppi armati a rinunciare alla violenza e ad unirsi al processo di pace.
Secondo un comunicato stampa di venerdì, UNMISS, AUMISS, IGAD, R-JMEC, alcuni membri del Corpo diplomatico africano e alcuni membri della comunità internazionale (TROIKA, UE, Svizzera, India) in Sud Sudan hanno convocato una riunione per discutere il deterioramento della situazione della sicurezza nello Stato dell'Alto Nilo e nelle parti settentrionali dello Stato di Jonglei.
“Prendendo atto del significativo impatto del deterioramento della situazione della sicurezza sulle comunità – con la perdita di vite innocenti, migliaia di sfollati, mezzi di sussistenza e proprietà distrutti sia negli Stati dell'Alto Nilo che in quelli di Jonglei – UNMISS e i membri della comunità internazionale invitano il governo del Sud Sudan a coinvolgere ulteriormente gli elementi armati coinvolti nel conflitto per cessare immediatamente la violenza e incoraggiare i leader delle comunità Shilluk e Nuer in entrambi gli stati e a Juba ad aiutare a fermare questo caos", si legge nella dichiarazione.
Venerdì il presidente Salva Kiir ha aperto una riunione di due giorni del Consiglio di liberazione nazionale (NLC) del partito con l'obiettivo di ristrutturare il partito al governo, che si è diviso in diversi gruppi dopo lo scoppio della guerra civile nel dicembre 2013.
Il dottor Riek Machar, che guida la fazione di opposizione SPLM-IO, è stato il primo vicepresidente del partito SPLM, mentre Pagan Amum, una figura di spicco dell'opposizione in esilio, è stato segretario generale del partito.
Rivolgendosi alla riunione, il presidente Kiir ha dichiarato: "L'NLC dovrebbe autorizzare il presidente a ricoprire la carica di vicepresidente".
Il leader del partito ha raccomandato di modificare la costituzione del partito per approvare la sostituzione dei membri dell'NLC che sono morti, hanno disertato o sono inabili.
"L'NLC deve approvare la sostituzione dei membri dell'NLC deceduti, disertati o resi incapaci in conformità con le raccomandazioni dell'SPLM negli stati e nelle aree amministrative", ha affermato Kiir.
Ha anche invitato i membri dell'NLC ad approvare l'ampliamento dei candidati secondo la lista del 2008 nominata dal presidente del partito e ad aggiungere alcuni membri per rappresentare gli stati e le aree amministrative nell'Ufficio politico dell'SPLM.
Il presidente Kiir ha anche ordinato al consiglio di discutere e approvare i documenti di base dell'SPLM che includono il codice di condotta, le procedure disciplinari e le norme e i regolamenti di gestione finanziaria.
Costruzione della pace
Il presidente Salva Kiir ha anche invitato i membri del partito SPLM a unire gli sforzi per la costruzione della pace nel paese mentre le parti dell'accordo di pace del 2018 attuano le disposizioni chiave dell'accordo.
“L'accordo rivitalizzato è stato prorogato per altri due anni per consentire l'attuazione dell'accordo prima delle elezioni generali. Sappiamo tutti che abbiamo esteso l'accordo perché vogliamo evitare un'altra guerra", ha detto.
“Ci sono persone che vorrebbero rimanere negli uffici dove si trovano oggi, sia che stia succedendo qualcosa o che non stia succedendo niente, è bene che stiano lì, quindi queste persone se andiamo senza convincerle torneremo indietro alla guerra che non voglio”, ha aggiunto.
Ha sottolineato che dopo l'estensione del periodo di transizione, l'SPLM deve raddoppiare i suoi sforzi per conquistare la fiducia del popolo del Sud Sudan.
Combattimenti nell'Alto Nilo
Il presidente Salva Kiir ha anche rivelato che il re di Shilluk è stato evacuato nella capitale Juba dalla contea di Fashoda in mezzo a pesanti combattimenti nello stato dell'Alto Nilo.
Secondo Kiir, il re Kwongo Dak Padiet è stato trasportato in aereo a Juba dopo aver riferito di combattimenti tra gruppi armati a Fashoda.
“Quando i combattimenti si sono intensificati e abbiamo visto che lui era a Pashoda, il re era a Pashoda, quindi abbiamo cercato di spostarlo. “Quindi, abbiamo inviato una barca per portarlo a Malakal, e da Malakal ieri (giovedì), lo abbiamo trasportato in aereo a Juba qui. Il re è al sicuro e lo incontrerò qui a Juba", disse Kiir.
Ha invitato i vari gruppi armati a rinunciare alla violenza e ad unirsi al processo di pace.
Secondo un comunicato stampa di venerdì, UNMISS, AUMISS, IGAD, R-JMEC, alcuni membri del Corpo diplomatico africano e alcuni membri della comunità internazionale (TROIKA, UE, Svizzera, India) in Sud Sudan hanno convocato una riunione per discutere il deterioramento della situazione della sicurezza nello Stato dell'Alto Nilo e nelle parti settentrionali dello Stato di Jonglei.
“Prendendo atto del significativo impatto del deterioramento della situazione della sicurezza sulle comunità – con la perdita di vite innocenti, migliaia di sfollati, mezzi di sussistenza e proprietà distrutti sia negli Stati dell'Alto Nilo che in quelli di Jonglei – UNMISS e i membri della comunità internazionale invitano il governo del Sud Sudan a coinvolgere ulteriormente gli elementi armati coinvolti nel conflitto per cessare immediatamente la violenza e incoraggiare i leader delle comunità Shilluk e Nuer in entrambi gli stati e a Juba ad aiutare a fermare questo caos", si legge nella dichiarazione.
Alex Lodiong Sakor, chiama il governo per rintracciare le persone dietro ai ragazzi di Toronto
24 novembre 2022
catholicradionetwork.org
Il vescovo cattolico della diocesi di Yei, Alex Lodiong Sakor chiede al governo di cercare coloro che sostengono il gruppo di bande noto come "Toronto".
Il gruppo è accusato di aver sottratto con forza oggetti al pubblico a Juba.
Bishop dice che non è bene condurre i bambini in cattive pratiche, ma usarli nei progetti di sviluppo.
Invita le persone ad aiutare i bambini vulnerabili i cui genitori non sono in grado di prendersi cura di loro sfruttando opportunità educative per i bambini.
Il prelato cattolico consiglia ai giovani di monitorare e arrestare i bambini entrati nelle cattive fasce conosciute come ragazzi di Toronto
Il vescovo Alex si rammarica che i bambini piccoli siano tutti coinvolti in cattive pratiche, minaccia la vita delle persone.
Chiede l'arresto dei leader dei gruppi dei ragazzini e interroga perché si iniziano gruppi di questo genere che danneggiano il futuro dei bambini.
Il vescovo esorta inoltre i genitori a mandare i loro figli in chiesa e aderire alla società dell'infanzia missionaria.
Lodiong elogia i figli della società sia all'interno del paese che in Uganda per aver partecipato attivamente e chiede il consenso dei genitori per consentire l'iscrizione dei bambini nell'apostolato.
Dice, l'apostolato insegna ai bambini a diventare persone migliori e lo incoraggia a continuare la sua esistenza nella diocesi.
I vescovi non erano d'accordo con lo slogan che definisce i giovani come leader del domani e li incoraggia a iniziare a lavorare e a esplorare le loro potenzialità.
Il vescovo stava parlando durante la celebrazione del giorno di Santa Cecilia presso la cappella di Santa Cecilia parrocchia di San Giuseppe Lutaya.
22/10/2022 in Amsterdam- Holland
I membri del National Salvation front in Olanda, Francia, Belgio, Regno Unito e Germania hanno organizzato un evento di collaborazione che hanno invitato il Luogotenente . Gen. Thomas Swaka a incontrare con la comunità del sud sudanese e i membri del NAS riguardo allo status quo nel sud sudan, nuovi sviluppi sul NAS più la tavola rotonda. l'evento è stato così fruttuoso. le persone che sono venute hanno potuto porre domande e tutte le loro domande hanno avuto risposta.
Nel caso in cui desideri ascoltare il discorso del tenente generale Thomas Cirillo Swaka e il suo dialogo con i presenti, guarda il video completo nella pagina Our Diversity: https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=1008612720540638
Oggi 18/11/2022 c'è stata la sepoltura dei nostri fratelli uccisi intenzionalmente dalle milizie Dinka Bor dello Stato Jonglei, le vittime sono state uccise a Ngerbeje Boma a Lokiliri payam- Central Equatoria State l'11/11/2022.
Possano le vostre anime preziose riposare in pace.
Possano le vostre anime preziose riposare in pace.
Il vescovo del Sud Sudan ai nativi della sua sede: "Lasciateci ricostruire la nostra diocesi gravemente distrutta"
Il vescovo cattolico della diocesi di Yei in Sud Sudan ha invitato i nativi della sua sede episcopale residenti nella capitale a unirsi a lui nelle iniziative per ricostruire la diocesi sud-sudanese “distrutta”.
Intervenendo durante un incontro con i membri della comunità cattolica della diocesi di Yei con sede nella capitale del Sud Sudan, Juba, il vescovo Alex Lodiong Sakor Eyobo ha sottolineato il potenziale dei nativi della sua sede episcopale per far “riprendere a risorgere” la diocesi.
“Voi siete le persone con cui lavoreremo; dobbiamo lavorare insieme per ricostruire la nostra diocesi distrutta durante il conflitto perché è un compito per tutti noi” ha detto Mons. Lodiong durante l'incontro di sabato 29 ottobre.
Facendo riferimento alle violenze del luglio 2016-gennaio 2017 durante le quali sono state segnalate violazioni dei diritti umani e abusi contro i civili, ha affermato che la diocesi di Yei “è gravemente distrutta” e che occorre fare molto “per ricostruirla”.
“Non diremo perché la situazione è molto grave che non possiamo fare nulla per ricostruire la diocesi”, ha detto il Vescovo sud-sudanese durante l'incontro che si è tenuto al Seminario maggiore nazionale St. Paul a Juba.
Ha sottolineato la necessità di “cominciare a fare qualcosa” secondo i mezzi individuali affinché la diocesi cattolica del Sud Sudan possa “ricominciare a risorgere”.
“La diocesi di Yei non è povera, ma noi stiamo diventando poveri”, ha detto inoltre il vescovo cattolico di 51 anni che ha iniziato il suo ministero episcopale il 15 maggio.
Pur trovando deplorevole che Yei sia stato influenzato negativamente da conflitti violenti, ha espresso ottimismo, dicendo: "Con la grazia di Dio, risorgeremo come una volta perché con Dio tutto è possibile".
“Abbiamo tutto il potenziale per svilupparci e possiamo farlo”, ha detto il leader della Chiesa cattolica, aggiungendo che nel processo di ricostruzione della diocesi, “la prima fonte di materiali che otterremo siamo noi che siamo la gente di la Diocesi”.
Il vescovo Lodiong ha sottolineato la necessità di compiere sforzi collettivi attraverso contributi individuali, dicendo: “Se mettiamo insieme piccole cose, la prossima volta diventa grande e questo è qualcosa che stiamo progettando di fare per la nostra diocesi”.
Intervenendo durante un incontro con i membri della comunità cattolica della diocesi di Yei con sede nella capitale del Sud Sudan, Juba, il vescovo Alex Lodiong Sakor Eyobo ha sottolineato il potenziale dei nativi della sua sede episcopale per far “riprendere a risorgere” la diocesi.
“Voi siete le persone con cui lavoreremo; dobbiamo lavorare insieme per ricostruire la nostra diocesi distrutta durante il conflitto perché è un compito per tutti noi” ha detto Mons. Lodiong durante l'incontro di sabato 29 ottobre.
Facendo riferimento alle violenze del luglio 2016-gennaio 2017 durante le quali sono state segnalate violazioni dei diritti umani e abusi contro i civili, ha affermato che la diocesi di Yei “è gravemente distrutta” e che occorre fare molto “per ricostruirla”.
“Non diremo perché la situazione è molto grave che non possiamo fare nulla per ricostruire la diocesi”, ha detto il Vescovo sud-sudanese durante l'incontro che si è tenuto al Seminario maggiore nazionale St. Paul a Juba.
Ha sottolineato la necessità di “cominciare a fare qualcosa” secondo i mezzi individuali affinché la diocesi cattolica del Sud Sudan possa “ricominciare a risorgere”.
“La diocesi di Yei non è povera, ma noi stiamo diventando poveri”, ha detto inoltre il vescovo cattolico di 51 anni che ha iniziato il suo ministero episcopale il 15 maggio.
Pur trovando deplorevole che Yei sia stato influenzato negativamente da conflitti violenti, ha espresso ottimismo, dicendo: "Con la grazia di Dio, risorgeremo come una volta perché con Dio tutto è possibile".
“Abbiamo tutto il potenziale per svilupparci e possiamo farlo”, ha detto il leader della Chiesa cattolica, aggiungendo che nel processo di ricostruzione della diocesi, “la prima fonte di materiali che otterremo siamo noi che siamo la gente di la Diocesi”.
Il vescovo Lodiong ha sottolineato la necessità di compiere sforzi collettivi attraverso contributi individuali, dicendo: “Se mettiamo insieme piccole cose, la prossima volta diventa grande e questo è qualcosa che stiamo progettando di fare per la nostra diocesi”.
RIPORTIAMO ALL'ATTENZIONE QUESTO ARTICOLO ORIGINARIAMENTE PUBBLICATO da ICG crisisgroup.org for Africa
IL 25 FEBBRAIO 2022
Cosa c'è di nuovo? Il presidente Salva Kiir ha raggiunto accordi a gennaio con i principali comandanti dell'opposizione che si sono staccati dal suo principale rivale, il vicepresidente Riek Machar. Gli accordi sono un miscuglio, aprendo lo spazio per risolvere aspri litigi sulla città settentrionale di Malakal, ma aumentando le probabilità di più ampie lotte intestine tra gli ex compagni dell'opposizione.
Perchè importa? Gli accordi affrontano due punti critici: lo stallo dell'unificazione dell'esercito e la disputa di Malakal, che ha impedito la risoluzione del conflitto nello stato dell'Alto Nilo. L'esclusione di Machar da parte di Kiir dall'accordo di gennaio mina il patto del 2018 che ha posto fine ai grandi combattimenti dopo cinque anni di guerra, aumentando le tensioni con i lealisti di Machar.
Cosa dovrebbe essere fatto? I leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar per concordare un programma per l'integrazione e il ridimensionamento dell'esercito, che sarà la chiave per fermare gli scontri sulla questione del punto critico. Dovrebbero anche esortare i rivali a sostenere il dialogo necessario per mantenere l'accordo di Malakal ed evitare di innescare nuovi conflitti.
I.Panoramica
Il 16 gennaio 2022, il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha stipulato un paio di accordi con due potenti comandanti dell'opposizione che si erano recentemente staccati dal rivale di Kiir, il vicepresidente Riek Machar. L'accordo principale prevede l'integrazione delle forze dei comandanti nell'esercito nazionale. Un accordo separato mira a risolvere una disputa sui confini di lunga data che ha messo l'etnia Padang Dinka e Shilluk ai ferri corti sulla città di Malakal, nello stato dell'Alto Nilo. Sebbene passi apparentemente positivi, entrambi gli accordi mirano a indebolire Machar. L'accordo per integrare la fazione scissionista nell'esercito è
stato particolarmente dannoso: ha minato il vacillante accordo di pace del 2018 e ha innescato scontri tra i lealisti di Machar e i quadri scissionisti. Per mitigare il rischio di una spirale di violenza, i leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar affinché raggiungano un accordo su un piano di integrazione delle forze che tenga conto degli interessi di entrambe le parti, adottando misure per frenare le dimensioni dell'esercito. Per quanto riguarda Malakal, questi leader dovrebbero esortare Kiir e Machar ad andare avanti per facilitare il tanto necessario dialogo comunitario stipulato nel nuovo accordo.
Il Sud Sudan ha trascorso la maggior parte del suo primo decennio di indipendenza in guerra. Le élite faziose del paese si sono unite brevemente a metà degli anni 2000 mentre lottavano per staccarsi da Khartoum, ma il mix instabile che era stato a lungo parte della politica sud-sudanese è esploso in una guerra civile solo due anni dopo l'indipendenza nel 2011. Ha combattuto principalmente per linee etniche , il conflitto è costato fino a 400.000 vite. Le potenze regionali e occidentali alla fine hanno spinto i due principali belligeranti, Kiir e Machar, a un accordo di pace del settembre 2018.
L'accordo ha mantenuto la sua promessa di porre fine ai combattimenti tra i principali combattenti, ma molte delle sue disposizioni rimangono insoddisfatte. Fin dall'inizio, il presidente Kiir è stato riluttante a firmare l'accordo, e lo ha fatto solo sotto una forte pressione esterna. Ha trascinato i piedi per onorare gli impegni alla base, in particolare l'unificazione dell'esercito, un passo che comporterebbe l'arruolamento di migliaia di ex combattenti di Machar. Lo stallo di Kiir ha indebolito il suo rivale. Gli accordi di gennaio che ha firmato con Simon Gatwec e Johnson Olony, due comandanti che si erano separati con Machar nell'agosto 2021, hanno isolato il vicepresidente e lo hanno ulteriormente indebolito.
Benché in apparenza ben accetti, gli accordi con i comandanti dell'opposizione potrebbero minare ulteriormente l'accordo di pace del 2018. L'accordo principale firmato a gennaio era incentrato sull'unificazione dell'esercito, con le parti che concordavano che l'esercito nazionale avrebbe assorbito i combattenti fedeli ai due comandanti entro tre mesi. Escludendo Machar da questo processo, l'accordo ha posto le basi per aspri combattimenti intracomunitari tra le forze fedeli ai generali rinnegati e gli uomini di Machar, che contesteranno violentemente un processo di integrazione sbilenco. Il secondo accordo, sul futuro di Malakal, ha rappresentato un importante riconoscimento delle lamentele locali per lo sfollamento in tempo di guerra e le atrocità da parte delle forze allineate al governo. Ma solleva anche preoccupazioni: il record di Kiir offre pochi motivi di speranza che intende portare a termine.
Le autorità del Sud Sudan, che sono diventate troppo abituate a giocare giochi tattici per indebolire i loro rivali e mantenere il potere mentre fanno poco per alleviare le sofferenze del popolo dopo anni di guerra, dovrebbero astenersi dall'avanzare con una parziale unificazione dell'esercito che potrebbe innescare ulteriori conflitti tra ex compagni -in armi. I leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar affinché riprendano i negoziati sulle dimensioni e la composizione dell'esercito nazionale e riducano le sue dimensioni finali – con Kenya e Uganda che prendono l'iniziativa visti i disordini politici in Sudan (che normalmente godrebbero della maggiore influenza). Dovrebbero anche incoraggiare i due leader a creare supporto per l'accordo di Malakal attraverso il dialogo comunitario che include i Padang Dinka, Shilluk e i Nuer locali. Con l'avvicinarsi delle elezioni del 2023 e le tensioni che aumentano ulteriormente
II.Un affare di pace zoppicante e un'opposizione frammentata
Sebbene l'accordo di pace del 2018 del Sud Sudan sia profondamente imperfetto e molte delle sue disposizioni chiave rimangano non attuate, ha superato le aspettative più basse sotto un aspetto critico: ha interrotto la maggior parte dei combattimenti tra le principali parti nella guerra civile del paese. La guerra è iniziata alla fine del 2013, appena due anni dopo che il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza, come una rissa di leadership all'interno del Movimento di liberazione del popolo sudanese (SPLM) al potere che ha messo Kiir contro gli sfidanti interni. Dopo che le forze opposte si sono scambiate il fuoco nella capitale, Juba, una ribellione si è riunita sotto Machar, l'ex vicepresidente di Kiir e principale avversario. La tregua arrivò solo cinque anni dopo, dopo diversi round di brutali combattimenti.
L'antagonismo tra Kiir e Machar – che provengono dai due maggiori gruppi etnici del Sud Sudan (rispettivamente Dinka e Nuer) – è stato emblematico delle divisioni etno-politiche nel giovane Paese. Il loro scontro ha innescato ondate di violenza che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone e sfollato milioni di persone. Un primo accordo di pace sostenuto dagli Stati Uniti nel 2015 è fallito rapidamente. Nel luglio 2016, in mezzo a battaglie mortali tra fazioni dell'esercito rivale, Machar è fuggito a piedi con una piccola banda di sostenitori, prima nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) e poi in Sud Africa, dove ha cercato cure mediche. Gli Stati Uniti hanno guidato gli sforzi per convincere Pretoria a metterlo de facto agli arresti domiciliari dopo aver fatto pressioni sui governi regionali, in particolare sullo storico alleato di Machar, il Sudan, affinché gli negassero rifugio.
Mentre la guerra civile infuriava, i leader regionali hanno riportato Kiir e Machar al tavolo dei negoziati nel 2017, portando all'accordo di pace del 2018, che rimane in vigore ancora oggi. Sebbene l'accordo del 2018 abbia portato un gradito cessate il fuoco, le sue imperfezioni sono fin troppo chiare. L'accordo ha fatto ben poco per affrontare la causa sistemica della crisi del Sud Sudan - vale a dire, un sistema politico centralizzato che ruota attorno alla cattiva direzione corrotta delle entrate petrolifere che ha approfondito le divisioni etno-politiche - mentre ha avviato il paese sulla strada di un ulteriore conflitto prescrivendo il vincitore- alla fine elezioni a tutto tondo.
Inoltre, il testo effettivo dell'accordo promette una serie di riforme che le due parti avevano poca intenzione o capacità di realizzare. Ad esempio, entro otto mesi dalla conclusione dell'accordo, si sono impegnati a radunare, selezionare, addestrare e integrare le rispettive forze in un nuovo esercito nazionale; ricostituire il sistema amministrativo originario del Paese per rimediare ad anni di maltrattamenti etnici e burocrazie parallele che avevano più che triplicato il numero degli Stati; e la negoziazione di una serie di protocolli di condivisione del potere. Tutti questi passaggi dovevano verificarsi mentre il paese si dirigeva verso le elezioni del vincitore prende tutto di cui sopra, in cui ci si aspettava che le due parti si affrontassero. Pochi hanno osato sperare che Kiir e Machar potessero lavorare insieme per vedere il patto a buon fine, anche se l'accordo prevedeva che Machar sarebbe tornato a Juba per essere reintegrato come vicepresidente prima di unirsi a Kiir per formare un governo di unità.
Forse il problema più grande con l'accordo del 2018 era che … [le parti coinvolte] vedevano l'accordo in modo molto diverso.Forse il problema più grande con l'accordo del 2018 è stato che, nonostante Kiir e Machar si siano impegnati a mettere fine alle loro divergenze, hanno visto l'accordo in modo molto diverso. Kiir credeva di aver preso il sopravvento militarmente nonostante non fosse in grado di infliggere un colpo mortale alla resistenza di Machar o di controllare l'intero paese; vedeva l'accordo principalmente come imposto dalle potenze regionali e occidentali per fornire a Machar una copertura politica per porre fine alla sua fallita ribellione. Da parte loro, Machar ei suoi alleati speravano che il patto desse a quegli attori esterni una base per convincere Kiir a condividere il potere. Più criticamente, hanno anche visto l'accordo come un mezzo per riorganizzarsi per una maggiore lotta, incluso come un meccanismo per incanalare decine di migliaia di sostenitori, molti se non la maggior parte dei quali avevano già abbandonato la guerra, nell'esercito nazionale. Coerentemente con queste prospettive divergenti, Kiir ei suoi luogotenenti hanno adottato una strategia per minare i principi principali dell'accordo, accontentando Machar quel tanto che basta per prevenirne il crollo totale.
Ma l'accordo ha anche diviso l'opposizione, sollevando lo spettro di una ribellione all'interno del Movimento di liberazione del popolo sudanese di Machar/Army-In Opposition (SPLM/A-IO). Due gruppi in particolare si opposero al previsto ritorno di Machar a Juba. Il primo campo era composto da elementi temprati dalla battaglia del nucleo elettorato etnico Nuer di Machar, che ha fornito la maggior parte dei combattenti durante la guerra civile e voleva che Kiir mantenesse la sua promessa di assorbire questi uomini nell'esercito nazionale anche prima che Machar tornasse nella capitale . Il capo di stato maggiore militare di Machar, Simon Gatwec, è emerso come il leader informale del gruppo dissidente. Gatwec, che insieme a Machar è sopravvissuto allo straziante volo di settimane verso la Repubblica Democratica del Congo nel 2016, si è irritato al ritorno nella capitale lui stesso, percependo una mossa del genere come arrendersi. Anche questo gruppo era profondamente scettico sulle motivazioni di Machar nel firmare l'accordo, credendo che lo avesse negoziato principalmente per guadagno personale.
Il secondo grande blocco era la milizia etnica Shilluk Agwelek guidata dal signore della guerra Johnson Olony, che chiese un'inversione del gerrymandering in tempo di guerra che aveva alterato i confini di stato e collocato Malakal, in precedenza la vivace capitale dello stato dell'Alto Nilo, fuori dal territorio amministrato da Shilluk. Gli Shilluk, un importante gruppo etnico che vive su entrambe le sponde del Nilo Bianco, rivendicano Malakal e altre aree vicine lungo la sponda orientale del fiume come parte dell'antico regno Shilluk. I Padang Dinka confutano questa affermazione, insistendo sul fatto che sono arrivati per primi nell'area e che il territorio di Shilluk termina sulla sponda occidentale del Nilo Bianco.
La lunga disputa sui confini esplose durante la guerra civile, quando le milizie Padang Dinka sostenute dal governo presero Malakal, comprese le aree circostanti sulla sponda orientale del Nilo. Kiir, che come notato sopra è di etnia Dinka (sebbene proveniente da una parte diversa del paese), ha quindi reso Malakal la capitale di un nuovo stato dominato dai Dinka, indurendo l'indignazione di Shilluk e motivando altre migliaia di persone a unirsi alla milizia di Olony.
L'accordo di pace del 2018 ha stabilito due organi per risolvere la controversia, ma entrambi si sono sciolti per fallimento. Il Comitato tecnico per i confini ha rifiutato di assumere il suo mandato di delimitare i confini tribali del paese nel 1956, adducendo la mancanza di vincoli di tempo e di budget, ma anche perché riteneva la controversia più politica che tecnica. Allo stesso modo, una successiva Commissione indipendente sui confini non ha fatto progressi. Oggi, i Padang Dinka derivano in parte la loro influenza politica a livello nazionale dal fatto che la loro area nello stato dell'Alto Nilo si trova a cavallo dei principali giacimenti petroliferi del paese. Le milizie Dinka esercitano ancora il controllo de facto dell'area di Malakal. La città di Malakal viene distrutta e spopolata, a testimonianza della faida irrisolta.
Le lamentele su Malakal si combinarono con lo stallo dell'unificazione delle forze per allargare le crepe all'interno dell'alleanza di Machar. Per quanto riguarda quest'ultimo, in seguito all'accordo del 2018, è diventato chiaro che Kiir stava trascinando i piedi, preoccupato che l'integrazione di decine di migliaia di ex combattenti avrebbe dato alle comunità allineate all'opposizione l'opportunità di ringiovanire la loro forza armata. Si arrabbiò anche nel lasciare che gli ufficiali di Machar mantenessero i loro ranghi militari, che furono enormemente gonfiati durante la guerra in attesa di una futura integrazione dell'esercito, lasciando le truppe dell'opposizione con un numero sproporzionato di comandanti anziani. Mentre la riforma della sicurezza ristagnava, le reclute Machar languivano nei siti di accampamento senza cibo o medicine, spingendo migliaia di persone a tornare a casa, mentre i comandanti scontenti disertavano al campo di Kiir. Molti lealisti di Machar si sono smobilitati senza avere l'opportunità di arruolarsi nell'esercito. Questa deliberata eliminazione delle forze di Machar ha fatto infuriare Gatwec, che ha visitato le basi di Machar nel 2019 per rimobilitare i combattenti per l'unificazione.
Tuttavia, l'accordo del 2018 ha tenuto. La decisione dell'ultimo minuto di Kiir del 2020 di ripristinare la struttura dei dieci stati che il Sud Sudan aveva concordato alla sua nascita, annullando in effetti le sue successive controverse azioni esecutive che hanno confuso i confini interni del Sud Sudan gonfiando il numero di stati prima a 28 e poi a 32 - ha abbassato le tensioni abbastanza da consentire a Machar di tornare a Juba nel febbraio 2020 senza perdere il sostegno di Olony, che Machar aveva promesso di nominare governatore dello stato dell'Alto Nilo. Ma le frustrazioni all'interno dell'opposizione sono rimaste.
III.Declino, divorzio e disordine
Uniti dal loro disincanto nei confronti della leadership di Machar, Gatwec e Olony hanno stretto una dura alleanza dopo il ritorno di Machar a Juba nel 2020, stabilendo il loro quartier generale militare a Magenis, la base di Olony nel territorio di Shilluk, vicino all'estremità settentrionale del confine tra Sudan e Sud Sudan. La posizione della base si è rivelata strategica in parte a causa della sua vicinanza al Sudan, dove spesso risiedono sia Gatwec che Olony.
Subito dopo il ritorno di Machar a Juba, Olony e lui litigarono per Malakal. Nel luglio 2020, Kiir ha bloccato la nomina sopra citata di Olony da parte di Machar a governatore dello stato dell'Alto Nilo, con sede a Malakal, una posizione di potere potenzialmente redditizia e simbolica da cui Olony sperava di far valere le rivendicazioni sulla terra di Shilluk nell'area. Kiir ha rifiutato la nomina - una delle tre posizioni di governatore che Machar aveva il diritto di ricoprire in base all'accordo di condivisione del potere - per dubbi motivi legali, creando mesi di stallo. I diplomatici regionali e occidentali hanno quindi iniziato a spingere per un compromesso, sostenendo che il vacante governatorato dell'Alto Nilo stava ostacolando i progressi sulle altre disposizioni dell'accordo di pace, come la formazione di una legislatura nazionale e le nomine di contea e altri funzionari locali in tutto il Sud Sudan. All'inizio del 2021, Machar cedette, nominando un diverso politico di Shilluk al posto dell'Alto Nilo. La spaccatura Olony-Machar ha alimentato la profonda alienazione delle élite shilluk dalla politica nazionale, minacciando la stabilità dello stato dell'Alto Nilo.
Anche le relazioni di Machar peggiorarono con Gatwec, che aveva appoggiato l'offerta di governatore di Olony, nel mezzo di una serie di azioni tit-for-tat. Nel maggio 2021, Gatwec ha licenziato il capo dell'intelligence militare delle forze di opposizione, uno stretto alleato di Machar e un membro della famiglia allargata, accusandolo di acquistare segretamente armi e deviare cibo e rifornimenti dell'esercito. Machar ha reagito licenziando Gatwec come suo capo di stato maggiore militare. Gatwec ha rifiutato di dimettersi, tuttavia, continuando a dichiararsi capo di stato maggiore SPLM/A-IO. Nel frattempo, la posizione di Machar tra i lealisti di Shilluk di Olony è ulteriormente diminuita dopo che il suo governatore nominato ha acconsentito a un decreto governativo che trasferiva il quartier generale della contea da Malakal alla riva occidentale del Nilo Bianco, una mossa che le élite di Shilluk percepivano come un altro tentativo di annettere Malakal da loro.
Gatwec ha quindi organizzato uno sforzo (descritto da alcuni osservatori locali come un tentativo di "colpo di stato") per rimuovere Machar. Il 3 agosto 2021 ha emesso la "Dichiarazione di Kitgwang", proclamandosi presidente ad interim dell'SPLM/A-IO e nominando Olony suo vice. Tra le altre cose, la dichiarazione accusava Machar di guidare l'alleanza di opposizione senza consultarsi, ignorando le ripetute richieste di visitare il quartier generale militare a Magenis e nominando membri della famiglia a posizioni importanti nel movimento. Ha anche condannato la mancanza di progressi sull'unificazione delle forze, etichettandola come un "rifiuto".
Il campo di Machar ha accusato con rabbia Kiir di aver orchestrato la rottura per minare l'accordo di pace. Diresse le forze sotto il suo controllo per rimuovere il gruppo separatista da Magenis, ma questi sforzi fallirono. Il sanguinoso tentativo di Machar nel dicembre 2021 di sconfiggere la fazione si è concluso quando le truppe hanno ceduto le armi al confine sudanese. Da allora, le sue forze hanno per la maggior parte lasciato l'area.
La scissione nel movimento di Machar lo indebolì. Soffrì imbarazzo quando il suo vice del partito, Henry Odwar, si dimise dal governo da ministro delle miniere, disertando a Gatwec, e anche altri membri anziani allontanati se ne andarono. Inoltre, nel collegio elettorale Nuer di Machar, le denunce di Gatwec sono state notevolmente attenuate, segnalando una certa simpatia per le argomentazioni del leader dissidente. Tuttavia, quando la polvere si è depositata in seguito alla rottura, è diventato chiaro che Machar si era aggrappato alla maggior parte di ciò che restava della sua infrastruttura militare in tutto il paese. Anche le autorità nella regione natale di Gatwec, le aree Nuer orientali, sembrano per la maggior parte voler evitare ulteriori lotte interne, lasciando queste aree nominalmente sotto il controllo di Machar per ora.
Dall'altra parte della rottura dell'opposizione, la fazione scissionista ha dovuto affrontare le proprie sfide. Gatwec è rimasto deluso dalla tiepida risposta alla Dichiarazione di Kitgwang da parte di altri comandanti sul campo, di cui si aspettava di ricevere più sostegno. La loro apatia ha messo a dura prova le relazioni tra Gatwec, Olony ei loro sostenitori politici, minacciando un'ulteriore frammentazione. In un'intervista esplosiva dell'agosto 2021, Olony ha silurato i piani di Gatwec di ospitare altri gruppi al di fuori dell'accordo di pace in una conferenza dell'opposizione a Magenis, denunciando anche Odwar, l'ex vice di Machar e il massimo funzionario politico della nuova fazione. Olony ha chiarito che non accoglieva i politici che usavano il gruppo separatista come veicolo per la lotta armata contro il regime, probabilmente scoraggiando così altri potenziali disertori. Tuttavia, la fazione ha dimostrato il suo coraggio militarmente attraverso il successo sopra descritto nell'impedire i tentativi di Machar e dei suoi alleati di sconfiggerla.
IV Offerte veloci (ma dubbie).
La pretesa del vicepresidente Machar alla leadership dell'opposizione e quindi il suo primato nella negoziazione di accordi di condivisione del potere con Kiir si basavano sul sostegno della maggior parte dei comandanti dell'opposizione. La scissione dell'opposizione emersa nell'ultimo anno potrebbe destabilizzare i fragili accordi di condivisione del potere del Sud Sudan perché apre le porte a combattimenti intracomunitari tra i campi rivali nella coalizione di Machar in tempo di guerra e mette in dubbio la posizione di leadership di Machar. In particolare, la defezione di Gatwec, una figura importante dei Nuer, mise in discussione il comando di Machar sui Nuer, mentre la defezione di Olony minò i legami del suo movimento con gli Shilluk, un alleato fondamentale verso la fine della guerra civile.
Kiir ei suoi alleati hanno sfruttato il disordine nel campo di Machar. Nell'ottobre 2021, i funzionari della sicurezza sudanesi hanno ospitato colloqui tra i due generali rinnegati e una delegazione del campo di Kiir guidata dal suo potente consigliere per la sicurezza, Tut Gatluak. Il Sudan è emerso come il luogo naturale per i colloqui perché Khartoum ospita sia Gatwec che Olony, entrambi storicamente armati come delegati nei decenni di combattimenti su entrambi i lati del confine tra Sudan e Sud Sudan. Gatwec e Olony fanno affidamento sul permesso delle autorità sudanesi per i viaggi transfrontalieri da e verso la loro base alla frontiera.
Le parti si sono mosse rapidamente verso accordi gemelli, che hanno raggiunto il 16 gennaio 2022. Secondo i termini dell'accordo principale, Juba ha accettato di integrare le forze della fazione di Kitgwang nell'esercito entro tre mesi. Un accordo separato ha cercato di affrontare le lamentele di Shilluk concedendo potenzialmente le richieste territoriali e politiche di Olony in relazione alla città di Malakal. In particolare, come l'accordo di pace del 2018, si è nuovamente impegnato a rispettare i confini comunali in quanto esistevano all'indipendenza del Sudan dal dominio coloniale britannico nel 1956, cosa che secondo gli Shilluk avrebbe ripristinato il dominio di Shilluk su gran parte della sponda orientale del Nilo, incluso Malakal. Ha anche chiesto il ripristino di case e proprietà per gli sfollati e ha previsto il dialogo comunitario tra i Padang Dinka e Shilluk.
Quest'ultimo accordo con Olony è stato sorprendentemente generoso sulla carta, ma include impegni precedenti che Kiir non è riuscito a mantenere, incluso l'impegno per i confini comunali del 1956. Se realizzato, sembrerebbe impegnare implicitamente le parti a respingere le sanguinose conquiste di guerra dei Padang Dinka nella regione ea restituire terra e proprietà agli sfollati Shilluk. Sebbene fino a che punto verrà implementato è una questione aperta, l'accordo collaterale almeno è andato in qualche modo verso il riconoscimento delle lamentele di Shilluk.
Ma mentre gli accordi di gennaio presentavano alcuni vantaggi, avevano anche sostanziali svantaggi. Sebbene l'accordo principale sia per alcuni aspetti una vittoria per Kiir perché allontana alcuni dei sostenitori di Machar, crea rischi per entrambi i rivali, così come per l'accordo del 2018 che ha sottoscritto una certa calma in Sud Sudan negli ultimi tempi. anni. Per Machar, significa una diminuzione del potere e una coalizione in diminuzione, che a sua volta potrebbe mettere a repentaglio la sua capacità di esercitare il potere nell'ambito dell'accordo del 2018. Quanto a Kiir, se gli accordi di gennaio dovessero andare in stallo o crollare, potrebbe affrontare piccole insurrezioni da parte dei lealisti di Kitgwang (anche se al momento rischia poco di una ribellione più ampia a causa della distensione di Juba con Khartoum, che in passato ha sponsorizzato tali ribellioni). Kiir corre anche il rischio di destabilizzare il proprio governo e il processo di pace a fini incerti, se si spingesse troppo oltre nell'antagonizzare il suo partner di coalizione e vicepresidente.
Allo stesso tempo, gli accordi di gennaio hanno aperto nuove spaccature nell'opposizione. L'integrazione delle forze di Kitgwang è un punto critico particolare, soprattutto se dovesse procedere anche se l'integrazione delle forze di Machar continua a bloccarsi. È probabile che Kiir assegni ai Kitgwang alcune posizioni che l'SPLM-A/IO si aspetta di ricevere nel futuro esercito, un passo che farà arrabbiare Machar. Già, la posizione per l'integrazione ha aumentato le tensioni tra le fazioni e il potenziale di ostilità tra i lealisti di Machar e Gatwec si è diffuso oltre l'area di Magenis ad altre parti dell'Alto Nilo che erano roccaforti di Machar durante la guerra civile. È probabile che tali lotte interne dell'opposizione continuino, poiché Gatwec fa pendere la prospettiva dell'integrazione dell'esercito per reclutare tra i combattenti di Machar, provocando potenzialmente scontri se l'integrazione dell'esercito dovesse procedere senza consenso.
Le autorità devono anche affrontare ostacoli politici e tecnici per portare a termine il secondo accordo, relativo alle lamentele di Shilluk. Come accennato in precedenza, l'accordo sulla carta potrebbe soddisfare la maggior parte delle richieste di Shilluk sulla città contesa di Malakal, potenzialmente annullando quella che gli Shilluk sostengono fosse una presa di potere sostenuta dallo stato da parte dei Padang Dinka durante la guerra civile. Al momento, tuttavia, i Padang Dinka continuano a contestare le affermazioni di Shilluk sui confini tribali del 1956, di cui non esiste una mappa definitiva. Né l'accordo prescriveva un meccanismo o un procedimento per risolvere la contestazione. La risposta non è quella di accantonare l'affare, che tra l'altro potrebbe creare un notevole contraccolpo tra Olony e il disincantato Shilluk. Ma il difficile dialogo tra Dinka e Shilluk locale su come portare a termine l'accordo e vivere insieme è essenziale; Senza esso,
V Tracciare una via da seguire
La lotta dell'élite per il dominio politico ha avuto un pesante tributo sui longanimi sud-sudanesi. La singolare concentrazione dei loro leader sul potere e sui guadagni materiali che ne derivano hanno lasciato lo stato affamato di denaro, l'economia in modalità di sopravvivenza e oltre un milione di bambini a rischio di malnutrizione acuta. Una correzione sostenibile della rotta richiederebbe alle élite del Sud Sudan di abbandonare il loro approccio predatorio alla politica a favore della stabilità e dello sviluppo economico. I loro precedenti offrono poche speranze che si comporteranno in questo modo. Tuttavia, tutti gli estranei con un interesse nel futuro del Sud Sudan, compresi i leader africani che hanno premuto per la pace, come il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta e il presidente dell'Uganda Yoweri Museveni, dovrebbero rinnovare gli sforzi per tracciare un percorso consensuale in avanti attraverso i campi minati politici incorporati nella pace del 2018 accordo e ora gli accordi di gennaio 2022.
Kiir e Machar devono rompere lo stallo tra le rispettive fazioni affrontando insieme lo stallo dell'integrazione dei combattenti dell'opposizione nell'esercito, che ha minato il processo di pace. L'accordo di Kiir con Gatwec aumenta la posta in gioco, dal momento che Kiir probabilmente utilizzerà la possibile integrazione delle forze di Gatwec (anche se le forze di Machar aspettano) per creare un altro cuneo tra i due leader Nuer e seminare ulteriore divisione nel cuore politico dell'opposizione. I leader regionali dovrebbero fare pressioni su Kiir affinché mantengano invece le sue promesse del 2018 e coordinino uno sforzo di integrazione con Machar che scongiuri ulteriori conflitti interni.
I progressi coordinati sull'unificazione dell'esercito sono attesi da tempo, ma comportano pericoli sostanziali, che dovranno essere gestiti a loro volta. La ricostituzione di un esercito fazioso, politicizzato e predatorio è una grave minaccia alla stabilità del Paese e alla sicurezza dei suoi cittadini, dato che i precedenti sforzi di unificazione hanno portato alla guerra civile e a diffuse atrocità etniche nel 2013. Inoltre, l'integrazione su larga scala degli ex ribelli, come previsto nell'accordo di pace del 2018, porterà sicuramente a un nuovo reclutamento e armamento di combattenti, un potenziale disastro per il Sud Sudan che inizia a prepararsi per le elezioni previste per il 2023.
Per bilanciare i rischi di un processo di pace in stallo con i rischi di costruire un nuovo esercito sovradimensionato e instabile, le autorità dovranno trovare una via di mezzo. Gli attori esterni, compresi i leader regionali come Kenyatta e Museveni, dovrebbero spingere Kiir e Machar a scendere a compromessi sulle dimensioni e la forma futura dell'esercito. Dovrebbero incoraggiare i due a negoziare un comando militare unificato e considerare la possibilità di comporre un esercito più piccolo (uno non più grande della somma delle forze mobilitate attive ora sotto Kiir, Machar e il comando della fazione scissionista) mentre accantonano i piani esistenti per una forza di 83.000 uomini, citando i vincoli di bilancio. Una forza più piccola ha diversi vantaggi: potrebbe prevenire la rimobilitazione da entrambe le parti; potrebbe essere più stabile; e dovrebbe drenare meno soldi dal budget. Tutti i sud-sudanesi guadagnerebbero da un esercito ridimensionato.
Un simile accordo sarebbe fattibile solo se Kiir prendesse alcune misure a breve termine per evitare di inasprire ulteriormente le relazioni con Machar. In primo luogo, dovrebbe impegnarsi a fermare il bracconaggio di truppe dai ranghi di Machar e mantenere tale impegno. In secondo luogo, dovrebbe unirsi a Gatwec per sospendere l'attuazione del patto di gennaio sull'integrazione delle forze ed evitare il reclutamento nelle roccaforti di Machar fino a quando l'integrazione delle forze di Machar non potrà procedere in parallelo. Un tale accordo può aiutare a creare spazio per Machar per accettare di formare un esercito più piccolo come parte di una più ampia concordia sulla riforma della sicurezza. Nel frattempo, gli anziani Nuer e Shilluk – con il sostegno della missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan – dovrebbero spingere per negoziati tra Machar e i generali Kitgwang per prevenire ulteriori lotte intestine, che potrebbero facilmente innescare guerre intracomunitarie e minacciare ulteriori disordini politici.
Kiir potrebbe continuare a resistere all'unificazione dell'esercito con Machar, dato che il suo trascinamento del piede ha finora contribuito a indebolire la forza del suo principale rivale. Ma allo stesso tempo, non guadagnerebbe dal crollo totale dell'accordo di pace e dalla violenta crisi che potrebbe seguire. Sebbene non sia una prospettiva che incombe all'orizzonte data la mancanza di uno sponsor esterno da parte dell'opposizione, nessun partito trarrebbe vantaggio se Machar optasse per una vera e propria ribellione armata.
Risolvere la controversia Malakal sarà ancora più impegnativo. Il corrispondente accordo di gennaio riconosce giustamente la necessità di colloqui a livello di comunità tra i Padang Dinka e Shilluk. In effetti, il dialogo è un primo passo importante e necessario, vista l'aspra inimicizia che la devastante lotta per Malakal ha generato tra le due comunità. Il governo potrebbe impegnarsi con tutti gli attori rilevanti, comprese le élite shilluk estraniate, per preparare tali colloqui, compreso il dialogo diretto tra i negoziatori di Shilluk e Padang Dinka e discussioni tra tutti i gruppi etnici dell'Alto Nilo, compresi i Nuer che predominano nell'est. Invitando al dialogo una gamma più ampia di attori non armati, comprese le donne commercianti e imprenditori locali che vogliono ripristinare lo status di Malakal come centro commerciale regionale,
Un accordo più inclusivo e negoziato più a fondo è il modo migliore per rinvigorire Malakal. Kiir, Machar e le autorità del governo statale dovrebbero aiutare le comunità dell'Alto Nilo con interessi acquisiti nella città a mediare un accordo che ripristina Malakal come una capitale regionale multietnica in cui tutti i sud-sudanesi, e in particolare i residenti della regione del Grande Nilo Superiore, si sentono i benvenuti. In tal modo, dovranno fare ammenda speciale per gli Shilluk, la maggior parte dei quali è fuggita dalla zona. L'accordo di gennaio prevede la restituzione dei “beni immobili (case e negozi) occupati illegalmente durante il conflitto”. Onorare questa promessa richiederebbe abili manovre da parte delle autorità e dovrebbe includere disposizioni che consentano agli Shilluk di tornare sani e salvi ai loro villaggi sulla sponda orientale del Nilo Bianco. Contemporaneamente, le autorità dovranno impegnarsi con i Padang Dinka locali, che probabilmente resisteranno a una frettolosa inversione di ciò che vedono come guadagni in tempo di guerra. L'accordo di gennaio prevede il coinvolgimento dei leader religiosi nella riconciliazione delle parti, un'opzione che dovrebbero esplorare.
Più in generale, la politica del vincitore prende tutto deve cambiare se il giovane stato vuole andare avanti senza cadere in ripetuti cicli di guerra civile. Le violente lotte di potere all'interno delle élite hanno diffuso la convinzione che l'uso della forza sia l'unico modo per ottenere un posto a tavola. Crisis Group ha precedentemente affermato che lo stato debole e fazioso del Sud Sudan richiede una forma di governo più consensuale che devolve potere e risorse a livello locale.
A complicare ulteriormente le cose, il Sud Sudan dovrebbe tenere le elezioni nel 2023, anche se pochi osservatori si aspettano che rispetti la scadenza. Molti funzionari africani e occidentali vedono questi sondaggi come l'ultimo grande passo nel processo di pace, ma è molto probabile che la rivalità tra Machar e Kiir si scaldi di nuovo con l'avvicinarsi della data. Per prevenire queste tensioni, le autorità potrebbero prendere in considerazione la convocazione di un forum nazionale inclusivo simile alla conferenza "tutti i partiti politici" del 2010 a Juba, che ha prodotto brevemente la solidarietà delle élite dietro una tabella di marcia di transizione. Una conferenza pre-elettorale potrebbe produrre un accordo comparabile sulle misure che le autorità dovrebbero intraprendere prima e immediatamente dopo le elezioni, comprese le promesse di un governo ad ampio raggio da seguire. Questo incontro potrebbe essere abbinato a consultazioni costituzionali sul modello del Dialogo nazionale di base del Sud Sudan, conclusosi nel 2020. Il dialogo interno offre più speranze per un'uscita dalla lunga lotta per il potere del Sud Sudan rispetto all'ennesimo processo di pace guidato da estranei.
VI Conclusione
Il Sud Sudan sta sbandando verso una crisi ancora maggiore. Ritagliando accordi separati con i comandanti dissidenti dell'opposizione, il presidente Kiir ha ulteriormente indebolito il suo principale avversario Machar, ma così facendo ha anche assicurato che il processo di pace continuasse a vacillare. Invece di cercare costantemente un vantaggio tattico, Kiir e Machar dovrebbero lavorare insieme per costruire un esercito più piccolo e veramente unificato e, di concerto con gli attori locali, promuovere colloqui a livello di comunità sulla città contesa di Malakal per prevenire nuovi scontri nello stato dell'Alto Nilo. Più in generale, i leader del Sud Sudan, comprese le figure religiose, i rappresentanti della società civile e gli imprenditori, dovrebbero esplorare un dialogo più ampio sulla costituzione e una forma decentralizzata di governance nazionale che vada oltre la competizione a somma zero per il controllo al centro e altrove.
Perchè importa? Gli accordi affrontano due punti critici: lo stallo dell'unificazione dell'esercito e la disputa di Malakal, che ha impedito la risoluzione del conflitto nello stato dell'Alto Nilo. L'esclusione di Machar da parte di Kiir dall'accordo di gennaio mina il patto del 2018 che ha posto fine ai grandi combattimenti dopo cinque anni di guerra, aumentando le tensioni con i lealisti di Machar.
Cosa dovrebbe essere fatto? I leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar per concordare un programma per l'integrazione e il ridimensionamento dell'esercito, che sarà la chiave per fermare gli scontri sulla questione del punto critico. Dovrebbero anche esortare i rivali a sostenere il dialogo necessario per mantenere l'accordo di Malakal ed evitare di innescare nuovi conflitti.
I.Panoramica
Il 16 gennaio 2022, il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha stipulato un paio di accordi con due potenti comandanti dell'opposizione che si erano recentemente staccati dal rivale di Kiir, il vicepresidente Riek Machar. L'accordo principale prevede l'integrazione delle forze dei comandanti nell'esercito nazionale. Un accordo separato mira a risolvere una disputa sui confini di lunga data che ha messo l'etnia Padang Dinka e Shilluk ai ferri corti sulla città di Malakal, nello stato dell'Alto Nilo. Sebbene passi apparentemente positivi, entrambi gli accordi mirano a indebolire Machar. L'accordo per integrare la fazione scissionista nell'esercito è
stato particolarmente dannoso: ha minato il vacillante accordo di pace del 2018 e ha innescato scontri tra i lealisti di Machar e i quadri scissionisti. Per mitigare il rischio di una spirale di violenza, i leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar affinché raggiungano un accordo su un piano di integrazione delle forze che tenga conto degli interessi di entrambe le parti, adottando misure per frenare le dimensioni dell'esercito. Per quanto riguarda Malakal, questi leader dovrebbero esortare Kiir e Machar ad andare avanti per facilitare il tanto necessario dialogo comunitario stipulato nel nuovo accordo.
Il Sud Sudan ha trascorso la maggior parte del suo primo decennio di indipendenza in guerra. Le élite faziose del paese si sono unite brevemente a metà degli anni 2000 mentre lottavano per staccarsi da Khartoum, ma il mix instabile che era stato a lungo parte della politica sud-sudanese è esploso in una guerra civile solo due anni dopo l'indipendenza nel 2011. Ha combattuto principalmente per linee etniche , il conflitto è costato fino a 400.000 vite. Le potenze regionali e occidentali alla fine hanno spinto i due principali belligeranti, Kiir e Machar, a un accordo di pace del settembre 2018.
L'accordo ha mantenuto la sua promessa di porre fine ai combattimenti tra i principali combattenti, ma molte delle sue disposizioni rimangono insoddisfatte. Fin dall'inizio, il presidente Kiir è stato riluttante a firmare l'accordo, e lo ha fatto solo sotto una forte pressione esterna. Ha trascinato i piedi per onorare gli impegni alla base, in particolare l'unificazione dell'esercito, un passo che comporterebbe l'arruolamento di migliaia di ex combattenti di Machar. Lo stallo di Kiir ha indebolito il suo rivale. Gli accordi di gennaio che ha firmato con Simon Gatwec e Johnson Olony, due comandanti che si erano separati con Machar nell'agosto 2021, hanno isolato il vicepresidente e lo hanno ulteriormente indebolito.
Benché in apparenza ben accetti, gli accordi con i comandanti dell'opposizione potrebbero minare ulteriormente l'accordo di pace del 2018. L'accordo principale firmato a gennaio era incentrato sull'unificazione dell'esercito, con le parti che concordavano che l'esercito nazionale avrebbe assorbito i combattenti fedeli ai due comandanti entro tre mesi. Escludendo Machar da questo processo, l'accordo ha posto le basi per aspri combattimenti intracomunitari tra le forze fedeli ai generali rinnegati e gli uomini di Machar, che contesteranno violentemente un processo di integrazione sbilenco. Il secondo accordo, sul futuro di Malakal, ha rappresentato un importante riconoscimento delle lamentele locali per lo sfollamento in tempo di guerra e le atrocità da parte delle forze allineate al governo. Ma solleva anche preoccupazioni: il record di Kiir offre pochi motivi di speranza che intende portare a termine.
Le autorità del Sud Sudan, che sono diventate troppo abituate a giocare giochi tattici per indebolire i loro rivali e mantenere il potere mentre fanno poco per alleviare le sofferenze del popolo dopo anni di guerra, dovrebbero astenersi dall'avanzare con una parziale unificazione dell'esercito che potrebbe innescare ulteriori conflitti tra ex compagni -in armi. I leader regionali dovrebbero fare pressione su Kiir e Machar affinché riprendano i negoziati sulle dimensioni e la composizione dell'esercito nazionale e riducano le sue dimensioni finali – con Kenya e Uganda che prendono l'iniziativa visti i disordini politici in Sudan (che normalmente godrebbero della maggiore influenza). Dovrebbero anche incoraggiare i due leader a creare supporto per l'accordo di Malakal attraverso il dialogo comunitario che include i Padang Dinka, Shilluk e i Nuer locali. Con l'avvicinarsi delle elezioni del 2023 e le tensioni che aumentano ulteriormente
II.Un affare di pace zoppicante e un'opposizione frammentata
Sebbene l'accordo di pace del 2018 del Sud Sudan sia profondamente imperfetto e molte delle sue disposizioni chiave rimangano non attuate, ha superato le aspettative più basse sotto un aspetto critico: ha interrotto la maggior parte dei combattimenti tra le principali parti nella guerra civile del paese. La guerra è iniziata alla fine del 2013, appena due anni dopo che il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza, come una rissa di leadership all'interno del Movimento di liberazione del popolo sudanese (SPLM) al potere che ha messo Kiir contro gli sfidanti interni. Dopo che le forze opposte si sono scambiate il fuoco nella capitale, Juba, una ribellione si è riunita sotto Machar, l'ex vicepresidente di Kiir e principale avversario. La tregua arrivò solo cinque anni dopo, dopo diversi round di brutali combattimenti.
L'antagonismo tra Kiir e Machar – che provengono dai due maggiori gruppi etnici del Sud Sudan (rispettivamente Dinka e Nuer) – è stato emblematico delle divisioni etno-politiche nel giovane Paese. Il loro scontro ha innescato ondate di violenza che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone e sfollato milioni di persone. Un primo accordo di pace sostenuto dagli Stati Uniti nel 2015 è fallito rapidamente. Nel luglio 2016, in mezzo a battaglie mortali tra fazioni dell'esercito rivale, Machar è fuggito a piedi con una piccola banda di sostenitori, prima nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) e poi in Sud Africa, dove ha cercato cure mediche. Gli Stati Uniti hanno guidato gli sforzi per convincere Pretoria a metterlo de facto agli arresti domiciliari dopo aver fatto pressioni sui governi regionali, in particolare sullo storico alleato di Machar, il Sudan, affinché gli negassero rifugio.
Mentre la guerra civile infuriava, i leader regionali hanno riportato Kiir e Machar al tavolo dei negoziati nel 2017, portando all'accordo di pace del 2018, che rimane in vigore ancora oggi. Sebbene l'accordo del 2018 abbia portato un gradito cessate il fuoco, le sue imperfezioni sono fin troppo chiare. L'accordo ha fatto ben poco per affrontare la causa sistemica della crisi del Sud Sudan - vale a dire, un sistema politico centralizzato che ruota attorno alla cattiva direzione corrotta delle entrate petrolifere che ha approfondito le divisioni etno-politiche - mentre ha avviato il paese sulla strada di un ulteriore conflitto prescrivendo il vincitore- alla fine elezioni a tutto tondo.
Inoltre, il testo effettivo dell'accordo promette una serie di riforme che le due parti avevano poca intenzione o capacità di realizzare. Ad esempio, entro otto mesi dalla conclusione dell'accordo, si sono impegnati a radunare, selezionare, addestrare e integrare le rispettive forze in un nuovo esercito nazionale; ricostituire il sistema amministrativo originario del Paese per rimediare ad anni di maltrattamenti etnici e burocrazie parallele che avevano più che triplicato il numero degli Stati; e la negoziazione di una serie di protocolli di condivisione del potere. Tutti questi passaggi dovevano verificarsi mentre il paese si dirigeva verso le elezioni del vincitore prende tutto di cui sopra, in cui ci si aspettava che le due parti si affrontassero. Pochi hanno osato sperare che Kiir e Machar potessero lavorare insieme per vedere il patto a buon fine, anche se l'accordo prevedeva che Machar sarebbe tornato a Juba per essere reintegrato come vicepresidente prima di unirsi a Kiir per formare un governo di unità.
Forse il problema più grande con l'accordo del 2018 era che … [le parti coinvolte] vedevano l'accordo in modo molto diverso.Forse il problema più grande con l'accordo del 2018 è stato che, nonostante Kiir e Machar si siano impegnati a mettere fine alle loro divergenze, hanno visto l'accordo in modo molto diverso. Kiir credeva di aver preso il sopravvento militarmente nonostante non fosse in grado di infliggere un colpo mortale alla resistenza di Machar o di controllare l'intero paese; vedeva l'accordo principalmente come imposto dalle potenze regionali e occidentali per fornire a Machar una copertura politica per porre fine alla sua fallita ribellione. Da parte loro, Machar ei suoi alleati speravano che il patto desse a quegli attori esterni una base per convincere Kiir a condividere il potere. Più criticamente, hanno anche visto l'accordo come un mezzo per riorganizzarsi per una maggiore lotta, incluso come un meccanismo per incanalare decine di migliaia di sostenitori, molti se non la maggior parte dei quali avevano già abbandonato la guerra, nell'esercito nazionale. Coerentemente con queste prospettive divergenti, Kiir ei suoi luogotenenti hanno adottato una strategia per minare i principi principali dell'accordo, accontentando Machar quel tanto che basta per prevenirne il crollo totale.
Ma l'accordo ha anche diviso l'opposizione, sollevando lo spettro di una ribellione all'interno del Movimento di liberazione del popolo sudanese di Machar/Army-In Opposition (SPLM/A-IO). Due gruppi in particolare si opposero al previsto ritorno di Machar a Juba. Il primo campo era composto da elementi temprati dalla battaglia del nucleo elettorato etnico Nuer di Machar, che ha fornito la maggior parte dei combattenti durante la guerra civile e voleva che Kiir mantenesse la sua promessa di assorbire questi uomini nell'esercito nazionale anche prima che Machar tornasse nella capitale . Il capo di stato maggiore militare di Machar, Simon Gatwec, è emerso come il leader informale del gruppo dissidente. Gatwec, che insieme a Machar è sopravvissuto allo straziante volo di settimane verso la Repubblica Democratica del Congo nel 2016, si è irritato al ritorno nella capitale lui stesso, percependo una mossa del genere come arrendersi. Anche questo gruppo era profondamente scettico sulle motivazioni di Machar nel firmare l'accordo, credendo che lo avesse negoziato principalmente per guadagno personale.
Il secondo grande blocco era la milizia etnica Shilluk Agwelek guidata dal signore della guerra Johnson Olony, che chiese un'inversione del gerrymandering in tempo di guerra che aveva alterato i confini di stato e collocato Malakal, in precedenza la vivace capitale dello stato dell'Alto Nilo, fuori dal territorio amministrato da Shilluk. Gli Shilluk, un importante gruppo etnico che vive su entrambe le sponde del Nilo Bianco, rivendicano Malakal e altre aree vicine lungo la sponda orientale del fiume come parte dell'antico regno Shilluk. I Padang Dinka confutano questa affermazione, insistendo sul fatto che sono arrivati per primi nell'area e che il territorio di Shilluk termina sulla sponda occidentale del Nilo Bianco.
La lunga disputa sui confini esplose durante la guerra civile, quando le milizie Padang Dinka sostenute dal governo presero Malakal, comprese le aree circostanti sulla sponda orientale del Nilo. Kiir, che come notato sopra è di etnia Dinka (sebbene proveniente da una parte diversa del paese), ha quindi reso Malakal la capitale di un nuovo stato dominato dai Dinka, indurendo l'indignazione di Shilluk e motivando altre migliaia di persone a unirsi alla milizia di Olony.
L'accordo di pace del 2018 ha stabilito due organi per risolvere la controversia, ma entrambi si sono sciolti per fallimento. Il Comitato tecnico per i confini ha rifiutato di assumere il suo mandato di delimitare i confini tribali del paese nel 1956, adducendo la mancanza di vincoli di tempo e di budget, ma anche perché riteneva la controversia più politica che tecnica. Allo stesso modo, una successiva Commissione indipendente sui confini non ha fatto progressi. Oggi, i Padang Dinka derivano in parte la loro influenza politica a livello nazionale dal fatto che la loro area nello stato dell'Alto Nilo si trova a cavallo dei principali giacimenti petroliferi del paese. Le milizie Dinka esercitano ancora il controllo de facto dell'area di Malakal. La città di Malakal viene distrutta e spopolata, a testimonianza della faida irrisolta.
Le lamentele su Malakal si combinarono con lo stallo dell'unificazione delle forze per allargare le crepe all'interno dell'alleanza di Machar. Per quanto riguarda quest'ultimo, in seguito all'accordo del 2018, è diventato chiaro che Kiir stava trascinando i piedi, preoccupato che l'integrazione di decine di migliaia di ex combattenti avrebbe dato alle comunità allineate all'opposizione l'opportunità di ringiovanire la loro forza armata. Si arrabbiò anche nel lasciare che gli ufficiali di Machar mantenessero i loro ranghi militari, che furono enormemente gonfiati durante la guerra in attesa di una futura integrazione dell'esercito, lasciando le truppe dell'opposizione con un numero sproporzionato di comandanti anziani. Mentre la riforma della sicurezza ristagnava, le reclute Machar languivano nei siti di accampamento senza cibo o medicine, spingendo migliaia di persone a tornare a casa, mentre i comandanti scontenti disertavano al campo di Kiir. Molti lealisti di Machar si sono smobilitati senza avere l'opportunità di arruolarsi nell'esercito. Questa deliberata eliminazione delle forze di Machar ha fatto infuriare Gatwec, che ha visitato le basi di Machar nel 2019 per rimobilitare i combattenti per l'unificazione.
Tuttavia, l'accordo del 2018 ha tenuto. La decisione dell'ultimo minuto di Kiir del 2020 di ripristinare la struttura dei dieci stati che il Sud Sudan aveva concordato alla sua nascita, annullando in effetti le sue successive controverse azioni esecutive che hanno confuso i confini interni del Sud Sudan gonfiando il numero di stati prima a 28 e poi a 32 - ha abbassato le tensioni abbastanza da consentire a Machar di tornare a Juba nel febbraio 2020 senza perdere il sostegno di Olony, che Machar aveva promesso di nominare governatore dello stato dell'Alto Nilo. Ma le frustrazioni all'interno dell'opposizione sono rimaste.
III.Declino, divorzio e disordine
Uniti dal loro disincanto nei confronti della leadership di Machar, Gatwec e Olony hanno stretto una dura alleanza dopo il ritorno di Machar a Juba nel 2020, stabilendo il loro quartier generale militare a Magenis, la base di Olony nel territorio di Shilluk, vicino all'estremità settentrionale del confine tra Sudan e Sud Sudan. La posizione della base si è rivelata strategica in parte a causa della sua vicinanza al Sudan, dove spesso risiedono sia Gatwec che Olony.
Subito dopo il ritorno di Machar a Juba, Olony e lui litigarono per Malakal. Nel luglio 2020, Kiir ha bloccato la nomina sopra citata di Olony da parte di Machar a governatore dello stato dell'Alto Nilo, con sede a Malakal, una posizione di potere potenzialmente redditizia e simbolica da cui Olony sperava di far valere le rivendicazioni sulla terra di Shilluk nell'area. Kiir ha rifiutato la nomina - una delle tre posizioni di governatore che Machar aveva il diritto di ricoprire in base all'accordo di condivisione del potere - per dubbi motivi legali, creando mesi di stallo. I diplomatici regionali e occidentali hanno quindi iniziato a spingere per un compromesso, sostenendo che il vacante governatorato dell'Alto Nilo stava ostacolando i progressi sulle altre disposizioni dell'accordo di pace, come la formazione di una legislatura nazionale e le nomine di contea e altri funzionari locali in tutto il Sud Sudan. All'inizio del 2021, Machar cedette, nominando un diverso politico di Shilluk al posto dell'Alto Nilo. La spaccatura Olony-Machar ha alimentato la profonda alienazione delle élite shilluk dalla politica nazionale, minacciando la stabilità dello stato dell'Alto Nilo.
Anche le relazioni di Machar peggiorarono con Gatwec, che aveva appoggiato l'offerta di governatore di Olony, nel mezzo di una serie di azioni tit-for-tat. Nel maggio 2021, Gatwec ha licenziato il capo dell'intelligence militare delle forze di opposizione, uno stretto alleato di Machar e un membro della famiglia allargata, accusandolo di acquistare segretamente armi e deviare cibo e rifornimenti dell'esercito. Machar ha reagito licenziando Gatwec come suo capo di stato maggiore militare. Gatwec ha rifiutato di dimettersi, tuttavia, continuando a dichiararsi capo di stato maggiore SPLM/A-IO. Nel frattempo, la posizione di Machar tra i lealisti di Shilluk di Olony è ulteriormente diminuita dopo che il suo governatore nominato ha acconsentito a un decreto governativo che trasferiva il quartier generale della contea da Malakal alla riva occidentale del Nilo Bianco, una mossa che le élite di Shilluk percepivano come un altro tentativo di annettere Malakal da loro.
Gatwec ha quindi organizzato uno sforzo (descritto da alcuni osservatori locali come un tentativo di "colpo di stato") per rimuovere Machar. Il 3 agosto 2021 ha emesso la "Dichiarazione di Kitgwang", proclamandosi presidente ad interim dell'SPLM/A-IO e nominando Olony suo vice. Tra le altre cose, la dichiarazione accusava Machar di guidare l'alleanza di opposizione senza consultarsi, ignorando le ripetute richieste di visitare il quartier generale militare a Magenis e nominando membri della famiglia a posizioni importanti nel movimento. Ha anche condannato la mancanza di progressi sull'unificazione delle forze, etichettandola come un "rifiuto".
Il campo di Machar ha accusato con rabbia Kiir di aver orchestrato la rottura per minare l'accordo di pace. Diresse le forze sotto il suo controllo per rimuovere il gruppo separatista da Magenis, ma questi sforzi fallirono. Il sanguinoso tentativo di Machar nel dicembre 2021 di sconfiggere la fazione si è concluso quando le truppe hanno ceduto le armi al confine sudanese. Da allora, le sue forze hanno per la maggior parte lasciato l'area.
La scissione nel movimento di Machar lo indebolì. Soffrì imbarazzo quando il suo vice del partito, Henry Odwar, si dimise dal governo da ministro delle miniere, disertando a Gatwec, e anche altri membri anziani allontanati se ne andarono. Inoltre, nel collegio elettorale Nuer di Machar, le denunce di Gatwec sono state notevolmente attenuate, segnalando una certa simpatia per le argomentazioni del leader dissidente. Tuttavia, quando la polvere si è depositata in seguito alla rottura, è diventato chiaro che Machar si era aggrappato alla maggior parte di ciò che restava della sua infrastruttura militare in tutto il paese. Anche le autorità nella regione natale di Gatwec, le aree Nuer orientali, sembrano per la maggior parte voler evitare ulteriori lotte interne, lasciando queste aree nominalmente sotto il controllo di Machar per ora.
Dall'altra parte della rottura dell'opposizione, la fazione scissionista ha dovuto affrontare le proprie sfide. Gatwec è rimasto deluso dalla tiepida risposta alla Dichiarazione di Kitgwang da parte di altri comandanti sul campo, di cui si aspettava di ricevere più sostegno. La loro apatia ha messo a dura prova le relazioni tra Gatwec, Olony ei loro sostenitori politici, minacciando un'ulteriore frammentazione. In un'intervista esplosiva dell'agosto 2021, Olony ha silurato i piani di Gatwec di ospitare altri gruppi al di fuori dell'accordo di pace in una conferenza dell'opposizione a Magenis, denunciando anche Odwar, l'ex vice di Machar e il massimo funzionario politico della nuova fazione. Olony ha chiarito che non accoglieva i politici che usavano il gruppo separatista come veicolo per la lotta armata contro il regime, probabilmente scoraggiando così altri potenziali disertori. Tuttavia, la fazione ha dimostrato il suo coraggio militarmente attraverso il successo sopra descritto nell'impedire i tentativi di Machar e dei suoi alleati di sconfiggerla.
IV Offerte veloci (ma dubbie).
La pretesa del vicepresidente Machar alla leadership dell'opposizione e quindi il suo primato nella negoziazione di accordi di condivisione del potere con Kiir si basavano sul sostegno della maggior parte dei comandanti dell'opposizione. La scissione dell'opposizione emersa nell'ultimo anno potrebbe destabilizzare i fragili accordi di condivisione del potere del Sud Sudan perché apre le porte a combattimenti intracomunitari tra i campi rivali nella coalizione di Machar in tempo di guerra e mette in dubbio la posizione di leadership di Machar. In particolare, la defezione di Gatwec, una figura importante dei Nuer, mise in discussione il comando di Machar sui Nuer, mentre la defezione di Olony minò i legami del suo movimento con gli Shilluk, un alleato fondamentale verso la fine della guerra civile.
Kiir ei suoi alleati hanno sfruttato il disordine nel campo di Machar. Nell'ottobre 2021, i funzionari della sicurezza sudanesi hanno ospitato colloqui tra i due generali rinnegati e una delegazione del campo di Kiir guidata dal suo potente consigliere per la sicurezza, Tut Gatluak. Il Sudan è emerso come il luogo naturale per i colloqui perché Khartoum ospita sia Gatwec che Olony, entrambi storicamente armati come delegati nei decenni di combattimenti su entrambi i lati del confine tra Sudan e Sud Sudan. Gatwec e Olony fanno affidamento sul permesso delle autorità sudanesi per i viaggi transfrontalieri da e verso la loro base alla frontiera.
Le parti si sono mosse rapidamente verso accordi gemelli, che hanno raggiunto il 16 gennaio 2022. Secondo i termini dell'accordo principale, Juba ha accettato di integrare le forze della fazione di Kitgwang nell'esercito entro tre mesi. Un accordo separato ha cercato di affrontare le lamentele di Shilluk concedendo potenzialmente le richieste territoriali e politiche di Olony in relazione alla città di Malakal. In particolare, come l'accordo di pace del 2018, si è nuovamente impegnato a rispettare i confini comunali in quanto esistevano all'indipendenza del Sudan dal dominio coloniale britannico nel 1956, cosa che secondo gli Shilluk avrebbe ripristinato il dominio di Shilluk su gran parte della sponda orientale del Nilo, incluso Malakal. Ha anche chiesto il ripristino di case e proprietà per gli sfollati e ha previsto il dialogo comunitario tra i Padang Dinka e Shilluk.
Quest'ultimo accordo con Olony è stato sorprendentemente generoso sulla carta, ma include impegni precedenti che Kiir non è riuscito a mantenere, incluso l'impegno per i confini comunali del 1956. Se realizzato, sembrerebbe impegnare implicitamente le parti a respingere le sanguinose conquiste di guerra dei Padang Dinka nella regione ea restituire terra e proprietà agli sfollati Shilluk. Sebbene fino a che punto verrà implementato è una questione aperta, l'accordo collaterale almeno è andato in qualche modo verso il riconoscimento delle lamentele di Shilluk.
Ma mentre gli accordi di gennaio presentavano alcuni vantaggi, avevano anche sostanziali svantaggi. Sebbene l'accordo principale sia per alcuni aspetti una vittoria per Kiir perché allontana alcuni dei sostenitori di Machar, crea rischi per entrambi i rivali, così come per l'accordo del 2018 che ha sottoscritto una certa calma in Sud Sudan negli ultimi tempi. anni. Per Machar, significa una diminuzione del potere e una coalizione in diminuzione, che a sua volta potrebbe mettere a repentaglio la sua capacità di esercitare il potere nell'ambito dell'accordo del 2018. Quanto a Kiir, se gli accordi di gennaio dovessero andare in stallo o crollare, potrebbe affrontare piccole insurrezioni da parte dei lealisti di Kitgwang (anche se al momento rischia poco di una ribellione più ampia a causa della distensione di Juba con Khartoum, che in passato ha sponsorizzato tali ribellioni). Kiir corre anche il rischio di destabilizzare il proprio governo e il processo di pace a fini incerti, se si spingesse troppo oltre nell'antagonizzare il suo partner di coalizione e vicepresidente.
Allo stesso tempo, gli accordi di gennaio hanno aperto nuove spaccature nell'opposizione. L'integrazione delle forze di Kitgwang è un punto critico particolare, soprattutto se dovesse procedere anche se l'integrazione delle forze di Machar continua a bloccarsi. È probabile che Kiir assegni ai Kitgwang alcune posizioni che l'SPLM-A/IO si aspetta di ricevere nel futuro esercito, un passo che farà arrabbiare Machar. Già, la posizione per l'integrazione ha aumentato le tensioni tra le fazioni e il potenziale di ostilità tra i lealisti di Machar e Gatwec si è diffuso oltre l'area di Magenis ad altre parti dell'Alto Nilo che erano roccaforti di Machar durante la guerra civile. È probabile che tali lotte interne dell'opposizione continuino, poiché Gatwec fa pendere la prospettiva dell'integrazione dell'esercito per reclutare tra i combattenti di Machar, provocando potenzialmente scontri se l'integrazione dell'esercito dovesse procedere senza consenso.
Le autorità devono anche affrontare ostacoli politici e tecnici per portare a termine il secondo accordo, relativo alle lamentele di Shilluk. Come accennato in precedenza, l'accordo sulla carta potrebbe soddisfare la maggior parte delle richieste di Shilluk sulla città contesa di Malakal, potenzialmente annullando quella che gli Shilluk sostengono fosse una presa di potere sostenuta dallo stato da parte dei Padang Dinka durante la guerra civile. Al momento, tuttavia, i Padang Dinka continuano a contestare le affermazioni di Shilluk sui confini tribali del 1956, di cui non esiste una mappa definitiva. Né l'accordo prescriveva un meccanismo o un procedimento per risolvere la contestazione. La risposta non è quella di accantonare l'affare, che tra l'altro potrebbe creare un notevole contraccolpo tra Olony e il disincantato Shilluk. Ma il difficile dialogo tra Dinka e Shilluk locale su come portare a termine l'accordo e vivere insieme è essenziale; Senza esso,
V Tracciare una via da seguire
La lotta dell'élite per il dominio politico ha avuto un pesante tributo sui longanimi sud-sudanesi. La singolare concentrazione dei loro leader sul potere e sui guadagni materiali che ne derivano hanno lasciato lo stato affamato di denaro, l'economia in modalità di sopravvivenza e oltre un milione di bambini a rischio di malnutrizione acuta. Una correzione sostenibile della rotta richiederebbe alle élite del Sud Sudan di abbandonare il loro approccio predatorio alla politica a favore della stabilità e dello sviluppo economico. I loro precedenti offrono poche speranze che si comporteranno in questo modo. Tuttavia, tutti gli estranei con un interesse nel futuro del Sud Sudan, compresi i leader africani che hanno premuto per la pace, come il presidente del Kenya Uhuru Kenyatta e il presidente dell'Uganda Yoweri Museveni, dovrebbero rinnovare gli sforzi per tracciare un percorso consensuale in avanti attraverso i campi minati politici incorporati nella pace del 2018 accordo e ora gli accordi di gennaio 2022.
Kiir e Machar devono rompere lo stallo tra le rispettive fazioni affrontando insieme lo stallo dell'integrazione dei combattenti dell'opposizione nell'esercito, che ha minato il processo di pace. L'accordo di Kiir con Gatwec aumenta la posta in gioco, dal momento che Kiir probabilmente utilizzerà la possibile integrazione delle forze di Gatwec (anche se le forze di Machar aspettano) per creare un altro cuneo tra i due leader Nuer e seminare ulteriore divisione nel cuore politico dell'opposizione. I leader regionali dovrebbero fare pressioni su Kiir affinché mantengano invece le sue promesse del 2018 e coordinino uno sforzo di integrazione con Machar che scongiuri ulteriori conflitti interni.
I progressi coordinati sull'unificazione dell'esercito sono attesi da tempo, ma comportano pericoli sostanziali, che dovranno essere gestiti a loro volta. La ricostituzione di un esercito fazioso, politicizzato e predatorio è una grave minaccia alla stabilità del Paese e alla sicurezza dei suoi cittadini, dato che i precedenti sforzi di unificazione hanno portato alla guerra civile e a diffuse atrocità etniche nel 2013. Inoltre, l'integrazione su larga scala degli ex ribelli, come previsto nell'accordo di pace del 2018, porterà sicuramente a un nuovo reclutamento e armamento di combattenti, un potenziale disastro per il Sud Sudan che inizia a prepararsi per le elezioni previste per il 2023.
Per bilanciare i rischi di un processo di pace in stallo con i rischi di costruire un nuovo esercito sovradimensionato e instabile, le autorità dovranno trovare una via di mezzo. Gli attori esterni, compresi i leader regionali come Kenyatta e Museveni, dovrebbero spingere Kiir e Machar a scendere a compromessi sulle dimensioni e la forma futura dell'esercito. Dovrebbero incoraggiare i due a negoziare un comando militare unificato e considerare la possibilità di comporre un esercito più piccolo (uno non più grande della somma delle forze mobilitate attive ora sotto Kiir, Machar e il comando della fazione scissionista) mentre accantonano i piani esistenti per una forza di 83.000 uomini, citando i vincoli di bilancio. Una forza più piccola ha diversi vantaggi: potrebbe prevenire la rimobilitazione da entrambe le parti; potrebbe essere più stabile; e dovrebbe drenare meno soldi dal budget. Tutti i sud-sudanesi guadagnerebbero da un esercito ridimensionato.
Un simile accordo sarebbe fattibile solo se Kiir prendesse alcune misure a breve termine per evitare di inasprire ulteriormente le relazioni con Machar. In primo luogo, dovrebbe impegnarsi a fermare il bracconaggio di truppe dai ranghi di Machar e mantenere tale impegno. In secondo luogo, dovrebbe unirsi a Gatwec per sospendere l'attuazione del patto di gennaio sull'integrazione delle forze ed evitare il reclutamento nelle roccaforti di Machar fino a quando l'integrazione delle forze di Machar non potrà procedere in parallelo. Un tale accordo può aiutare a creare spazio per Machar per accettare di formare un esercito più piccolo come parte di una più ampia concordia sulla riforma della sicurezza. Nel frattempo, gli anziani Nuer e Shilluk – con il sostegno della missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan – dovrebbero spingere per negoziati tra Machar e i generali Kitgwang per prevenire ulteriori lotte intestine, che potrebbero facilmente innescare guerre intracomunitarie e minacciare ulteriori disordini politici.
Kiir potrebbe continuare a resistere all'unificazione dell'esercito con Machar, dato che il suo trascinamento del piede ha finora contribuito a indebolire la forza del suo principale rivale. Ma allo stesso tempo, non guadagnerebbe dal crollo totale dell'accordo di pace e dalla violenta crisi che potrebbe seguire. Sebbene non sia una prospettiva che incombe all'orizzonte data la mancanza di uno sponsor esterno da parte dell'opposizione, nessun partito trarrebbe vantaggio se Machar optasse per una vera e propria ribellione armata.
Risolvere la controversia Malakal sarà ancora più impegnativo. Il corrispondente accordo di gennaio riconosce giustamente la necessità di colloqui a livello di comunità tra i Padang Dinka e Shilluk. In effetti, il dialogo è un primo passo importante e necessario, vista l'aspra inimicizia che la devastante lotta per Malakal ha generato tra le due comunità. Il governo potrebbe impegnarsi con tutti gli attori rilevanti, comprese le élite shilluk estraniate, per preparare tali colloqui, compreso il dialogo diretto tra i negoziatori di Shilluk e Padang Dinka e discussioni tra tutti i gruppi etnici dell'Alto Nilo, compresi i Nuer che predominano nell'est. Invitando al dialogo una gamma più ampia di attori non armati, comprese le donne commercianti e imprenditori locali che vogliono ripristinare lo status di Malakal come centro commerciale regionale,
Un accordo più inclusivo e negoziato più a fondo è il modo migliore per rinvigorire Malakal. Kiir, Machar e le autorità del governo statale dovrebbero aiutare le comunità dell'Alto Nilo con interessi acquisiti nella città a mediare un accordo che ripristina Malakal come una capitale regionale multietnica in cui tutti i sud-sudanesi, e in particolare i residenti della regione del Grande Nilo Superiore, si sentono i benvenuti. In tal modo, dovranno fare ammenda speciale per gli Shilluk, la maggior parte dei quali è fuggita dalla zona. L'accordo di gennaio prevede la restituzione dei “beni immobili (case e negozi) occupati illegalmente durante il conflitto”. Onorare questa promessa richiederebbe abili manovre da parte delle autorità e dovrebbe includere disposizioni che consentano agli Shilluk di tornare sani e salvi ai loro villaggi sulla sponda orientale del Nilo Bianco. Contemporaneamente, le autorità dovranno impegnarsi con i Padang Dinka locali, che probabilmente resisteranno a una frettolosa inversione di ciò che vedono come guadagni in tempo di guerra. L'accordo di gennaio prevede il coinvolgimento dei leader religiosi nella riconciliazione delle parti, un'opzione che dovrebbero esplorare.
Più in generale, la politica del vincitore prende tutto deve cambiare se il giovane stato vuole andare avanti senza cadere in ripetuti cicli di guerra civile. Le violente lotte di potere all'interno delle élite hanno diffuso la convinzione che l'uso della forza sia l'unico modo per ottenere un posto a tavola. Crisis Group ha precedentemente affermato che lo stato debole e fazioso del Sud Sudan richiede una forma di governo più consensuale che devolve potere e risorse a livello locale.
A complicare ulteriormente le cose, il Sud Sudan dovrebbe tenere le elezioni nel 2023, anche se pochi osservatori si aspettano che rispetti la scadenza. Molti funzionari africani e occidentali vedono questi sondaggi come l'ultimo grande passo nel processo di pace, ma è molto probabile che la rivalità tra Machar e Kiir si scaldi di nuovo con l'avvicinarsi della data. Per prevenire queste tensioni, le autorità potrebbero prendere in considerazione la convocazione di un forum nazionale inclusivo simile alla conferenza "tutti i partiti politici" del 2010 a Juba, che ha prodotto brevemente la solidarietà delle élite dietro una tabella di marcia di transizione. Una conferenza pre-elettorale potrebbe produrre un accordo comparabile sulle misure che le autorità dovrebbero intraprendere prima e immediatamente dopo le elezioni, comprese le promesse di un governo ad ampio raggio da seguire. Questo incontro potrebbe essere abbinato a consultazioni costituzionali sul modello del Dialogo nazionale di base del Sud Sudan, conclusosi nel 2020. Il dialogo interno offre più speranze per un'uscita dalla lunga lotta per il potere del Sud Sudan rispetto all'ennesimo processo di pace guidato da estranei.
VI Conclusione
Il Sud Sudan sta sbandando verso una crisi ancora maggiore. Ritagliando accordi separati con i comandanti dissidenti dell'opposizione, il presidente Kiir ha ulteriormente indebolito il suo principale avversario Machar, ma così facendo ha anche assicurato che il processo di pace continuasse a vacillare. Invece di cercare costantemente un vantaggio tattico, Kiir e Machar dovrebbero lavorare insieme per costruire un esercito più piccolo e veramente unificato e, di concerto con gli attori locali, promuovere colloqui a livello di comunità sulla città contesa di Malakal per prevenire nuovi scontri nello stato dell'Alto Nilo. Più in generale, i leader del Sud Sudan, comprese le figure religiose, i rappresentanti della società civile e gli imprenditori, dovrebbero esplorare un dialogo più ampio sulla costituzione e una forma decentralizzata di governance nazionale che vada oltre la competizione a somma zero per il controllo al centro e altrove.
Le immagini relative al Collegio Comboni, la scuola fantasma di Kajo Kejii, Sud Sudan
A Kajo Kajii, abbandonato dai suoi abitanti, la boscaglia ha avuto il sopravvento e ha completamente ricoperto l'intera costruzione del collegio.
22 Settembre 2022
Abyei è un'area del Sudan di 10.460 km², a cui è stato concesso uno "speciale status amministrativo" da parte del Protocollo sulla risoluzione del conflitto di Abyei contenuto nel Comprehensive Peace Agreement che ha concluso la Seconda guerra civile sudanese. Storicamente considerato il ponte tra Sudan del Nord e del Sud, il territorio faceva parte del Kordofan Occidentale, stato del Sudan ora abolito. Il protocollo prevede che l'area di Abyei sia, in via provvisoria, contemporaneamente parte degli Stati di Kordofan meridionale (Sudan) e di Bahr al-Ghazal settentrionale (Sudan del Sud).
Le controversie seguite all'accordo di pace, sfociate in scontri e violenze, hanno portato a un processo di arbitrato internazionale in seguito al quale, il 22 luglio 2009, la Corte permanente di arbitrato dell'Aia ha ridisegnato i confini di Abyei per rendere l'area significativamente più piccola di quella originale. I nuovi confini sono stati approvati dalle parti in causa.
Agli inizi del XX secolo, all'epoca del condominio anglo-egiziano sul Sudan, l'area di Abyei era abitata da due popoli, i Dinka, tribù agricola del Sudan meridionale, e i Misseriya, tribù nomade araba.
Nel 1965, durante la prima guerra civile sudanese, il massacro di 72 Ngok Dinka nel comune di Babanusa, a maggioranza Misseriya, portò le due tribù a schierarsi apertamente: i Ngok Dinka a favore dei separatisti di Anyanya, i Misseriya con il governo sudanese. A dividere le due etnie, la storica questione del controllo dell'acqua del fiume Kiir che rende i terreni di Abyei tra i più fertili del Sudan.
Gli Accordi di Addis Abeba del 1972 che misero fine alla guerra includevano una clausola che prevedeva un referendum per l'autodeterminazione di Abyei, permettendo di scegliere di restare al nord o aderire al sud autonomo. Il referendum non fu mai svolto e gli scontri tra le tribù non cessarono, continuando per tutta la Seconda guerra civile sudanese.
Negli anni ottanta notevoli risorse petrolifere vennero individuate nel bacino di Muglad, il cui sfruttamento è iniziato nel decennio successivo. Più di un quarto della produzione nazionale di petrolio del Sudan nel 2003 e nel 2004 veniva da Abyei, in particolare i campi petroliferi più consistenti di Heglig, Bambolo e Diffra diventarono oggetto di attenzioni sia da parte delle fazioni in lotta che da parte della Cina e delle potenze occidentali. Il controllo della zona diventò essenziale anche per il passaggio del Grande Oleodotto del Nilo che da Heglig (attualmente da Unità) porta il petrolio fino alle raffinerie di Port Sudan sul Mar Rosso.
Nel maggio 2008 la città di Abyei fu l'epicentro di gravi scontri tra le truppe governative sudanesi e l'Esercito di Liberazione del Popolo di Sudan con oltre 100 morti e 50.000 sfollati. Nel luglio 2009 un arbitrato internazionale riconobbe al governo di Khartum i bacini di idrocarburi a nord, est e ovest della città di Abyei ed i campi petroliferi di Heglig e Bambolo; al Sud venne assegnato il centro urbano di Abyei, il campo petrolifero di Diffra e le terre fertili attorno alla città. Le due fazioni hanno dichiarato di accettare l'arbitrato della Corte permanente dell'Aia.
Il Protocollo sulla risoluzione del conflitto di Abyei del gennaio 2005, concedendo lo "speciale status amministrativo" all'area, prevedeva che Abyei avesse il diritto a scegliere tramite referendum se rimanere con il Nord o tornare al Sud. Tuttavia, mentre il Sudan del Sud sceglieva pacificamente la costituzione di un nuovo Stato mediante il
Liturgia eucaristica presieduta da mons. Christian Carlassare, vescovo di Rumbek, Sud Sudan
17 SETTEMBRE 2022
Oratorio Estivo, dove la Felicità ha come Fonte l'Amore
Nella foto il Seminarista Modi Gilbert la cui biografia si trova in fondo al suo articolo qui di seguito:
“L'amore è una fonte fondamentale di felicità. Dove c'è amore c'è felicità. Un'esperienza ben affermata dall'oratoria estiva di quest'anno e dalle vacanze estive con i bambini della parrocchia di Cernusco su Naviglio. Cernusco su Naviglio è una delle parrocchie d'arcidiocesi di Milano, a nord-est di Milano.
Nell'arcidiocesi di Milano, alla fine di ogni anno accademico, i seminaristi si recano nelle parrocchie dove sono destinati a svolgere la loro attività pastorale e ad impegnarsi con i bambini auitando il coadiutore della parrocchia. Il programma delle vacanze estive si chiama oratorio estivo. Un programma che teoricamente dura circa un mese e che di solito si conclude con un altro mese di vacanze insieme ai bambini, a seconda dell'organizzazione di ogni parrocchia.
Sia l'oratorio estivo che i programmi delle vacanze sono caratterizzati da attività di un'intera giornata tra preghiere, riflessioni, balli e giochi di vari genere, organizzati dagli animatori. A Cernusco su Naviglio, le quattro settimane dell'oratorio estivo di quest'anno, ognuna ha un tema particolare tra cui; Pace, Amore, Compassione e Gioia.
Tutte queste quattro emozioni corrispondono a quattro santi eppure le altre quattro settimane di vacanze in montagna, sono state guidate dal racconto di Pinocchio, una storia che ha lo scopo di educare i bambini a crescere bravi bambini.
Lo scopo dell'oratorio estivo e anche il programma della vacanza sembrano quello dell'evangelizzazione ma anche dell'educazione morale e del condizionamento dei bambini.
Nell'oratorio estivo in generale, i bambini e anche gli adulti imparano tante esperienze e valori diversi e, in particolare, quest'anno a Cernusco sul Naviglio, l'elemento più importante che si può notare è lo sviluppo dell'amore che genera felicità. Si impara ad amare così tanto che si sviluppa la vera amicizia e l'essere amichevoli. Questo amore si esprime tra i bambini stessi, tra gli animatori e anche tra i bambini e gli animatori, i bambini e gli altri superiori come il sacerdote, le suore e i seminaristi, e tra gli animatori e i superiori. Questo è evidente attraverso la Felicità, l'atto di Cura, Compassione, Simpatia, Fiducia e Sincerità esibiti dai bambini.
“L'oratorio aiuta a diventare persone vere”, è un'espressione fatta da suor Alejandra Rodrigo Rodriguez, una suora Religiosa delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Xalapa. Suor Alejandra è una delle suore presenti durante l'oratorio estivo con i bambini di prima e seconda elementare. Ha fatto questa espressione dopo aver visto come un gruppo di questi bambini è stato in grado di rispondere aiutando il loro collega che si trovava in una certa difficoltà volontariamente senza alcuna istruzione da parte di nessun adulto né c'era nessun adulto vicino a loro. La suora vede questa impressione durante tutto il mese intero dell'oratorio.
La definizione di Vera Persona, la Suora la lega all'atto di Solidarietà, Empatia e la Pazienza, dove non si può pensare solo a se stessi ma anche all'altro; Considerare il valore dell'umanità e rispettarlo, considerare l'altro come Soggetto ma non come oggetto. Tuttavia, questo può accadere solo dove c'è l'amore come fondamento"
Modi Gilbert
Mi chiamo Modi Gilbert, un sud sudanese nato durante la guerra e cresciuto in guerra. Sono nato in Sudan (ora Sud Sudan) ma sono cresciuto nella Repubblica Democratica del Congo e in Uganda. I miei genitori hanno cercato rifugio nella Repubblica Democratica del Congo non appena sono nato a causa dell'intensità della guerra nella mia città, Yei. È stato in Congo che ho iniziato ad andare a scuola anche se non ricordo nulla. Nemmeno io so se le persone che ci guidavano parlavano in Francese o in inglese. Questo descrive quanto ero piccolo in Congo. Sfortunatamente il vivere in Congo non sembrava essere molto buono. Questo ha costretto molte persone a lasciare il Congo per l'Uganda. Siamo andati a piedi dal Congo all'Uganda. Abbiamo impiegato molto tempo, non riuscivo a ricordare se settimane o un mese.
In Uganda è dove ho potuto sapere almeno una serie di cose perché ero già un po' grande, avrei dovuto avere cinque anni. Ed è qui che ho iniziato la mia scuola primaria. Ho studiato primaria 1, 2 e secondo trimestre di primaria tre. Di nuovo, i miei studi furono interrotti. C’era una crescente insicurezza in Uganda nell'area in cui si trovavano alcuni campi di rifugiati. Ricordo una notte che abbiamo passato nella boscaglia perché si diceva che ci fossero dei ribelli che erano entrati nel nostro campo. A causa di tutto ciò, la situazione di vivere divenne insopportabile e le persone che avevano le loro città in Sudan (ora Sud Sudan) sotto il controllo dell'SPLA/M (Sudan People's Liberation Army o Movement, il gruppo ribelle che combatteva per la liberazione del popolo di Sudan) ha dovuto lasciare l'Uganda per il Sudan. E noi eravamo tra queste persone perché all'epoca la mia città era già sotto il controllo dell'SPLM/A. Si trattava di nuovo di un altro movimento a piedi dall'Uganda al sud Sudan.
Nel Sudan (ora Sud Sudan) è dove il destino dei miei studi è diventato imprevedibile. La scuola può cominciare bene dall'inizio dell'anno ma non si sa come finirà perché sempre esserci qualche interruzione per un reclutamento forzato della gente nell'esercito. Quello che succede qui è: insegnanti e alunni sono stati arrestati e costretti ad essere reclutati con la forza nell'esercito o si nascondono per evitare di essere reclutati con la forza nell'esercito.
Nel 2002, ero tra i tanti ad essere reclutati con la forza anche se avevo meno di 13anni. Ma mio padre in seguito mi ha sostituito. Tuttavia per fortuna è stato poi liberato grazie all'aiuto del capo della zona e degli anziani che avevano fatto pressioni per il suo rilascio. Questo tentativo ha fatto venire l'idea ai miei genitori di mandarmi in Uganda per continuare i miei studi, cosa molto intelligente e utile. Non sono sicuro se avrei continuato a questo livello se avessi continuato a vivere nel villaggio. In Uganda ho completato la scuola primaria e sono tornato in Sud Sudan. Ho studiato tre anni della mia scuola secondaria in Sud Sudan, ma sono andato a completare in Uganda.
Nel 2011 sono entrato in seminario. Purtroppo il seminario è stato chiuso dopo un anno per più di due anni e quando ha riaperto non ci sono tornato subito perchè avevo perso mio padre. Durante il periodo in cui il seminario è stato chiuso, mi sono iscritto ad insegnare in una delle scuole primarie della diocesi cattolica di Yei, Christ is the King primary school poiché l'insegnamento è il lavoro accessibile a molte persone. E' un lavoro che chi ha terminato gli studi secondari può fare come volontario, anche se il lavoro è meno retribuito e meno dignitoso. Mentre insegnavo ho fatto un breve corso di giornalismo e successivamente ho lavorato come giornalista con un'azienda, , la Radio Easter FM, Yei, (una stazione membro della rete radio cattolica), The Nation Mirror weekly news paper, una radio, Radio Easter FM, Yei (una stazione membra della rete cattolica) e successivamente con il sito web Gurtong al fino al 2016, quando sono tornato in seminario nel 2019 dove ho completato i miei studi filosofici.
Mi è capitato di essere uno dei beneficiari della borsa di studio offerto da Propaganda Fide attraverso la diocesi cattolica di Yei, che è la mia diocesi. A facilitarlo sono stati il Vescovo Ercolano Ladu Tombe e John Lo'boka Morris ex rettore del seminario maggiore di San Paolo, in Sud Sudan. Alla fine di luglio 2019 attraverso questa offerta sono venuto in italia per continuare i miei studi teologici a Milano.
In tutto il periodo dei miei studi sono stata totalmente separato dalla mia famiglia. Ho iniziato a godermi la loro compagnia quando ho terminato gli studi liceali, ma di più è stato quando il seminario è stato chiuso. Quando sono tornato in seminario, la guerra scoppiata nel 2013 e in parte terminata nel 2016 si è rinnovata nello stesso anno. Questa volta la mia città è stata duramente colpita e tra le zone più colpite c'era quella in cui risiedevo. Le persone sono state cacciate e la maggior parte delle case sono state completamente vandalizzate - infatti mi è rimasto solo ciò che avevo portato con me in seminario. Qualunque cosa avessi lasciato a casa non era mai più appartenuta a me né alla mia famiglia. Con tutto questo, la mia famiglia ha dovuto fuggire dalla città in Uganda. Per quasi tre anni non ho potuto incontrarli.
“L'amore è una fonte fondamentale di felicità. Dove c'è amore c'è felicità. Un'esperienza ben affermata dall'oratoria estiva di quest'anno e dalle vacanze estive con i bambini della parrocchia di Cernusco su Naviglio. Cernusco su Naviglio è una delle parrocchie d'arcidiocesi di Milano, a nord-est di Milano.
Nell'arcidiocesi di Milano, alla fine di ogni anno accademico, i seminaristi si recano nelle parrocchie dove sono destinati a svolgere la loro attività pastorale e ad impegnarsi con i bambini auitando il coadiutore della parrocchia. Il programma delle vacanze estive si chiama oratorio estivo. Un programma che teoricamente dura circa un mese e che di solito si conclude con un altro mese di vacanze insieme ai bambini, a seconda dell'organizzazione di ogni parrocchia.
Sia l'oratorio estivo che i programmi delle vacanze sono caratterizzati da attività di un'intera giornata tra preghiere, riflessioni, balli e giochi di vari genere, organizzati dagli animatori. A Cernusco su Naviglio, le quattro settimane dell'oratorio estivo di quest'anno, ognuna ha un tema particolare tra cui; Pace, Amore, Compassione e Gioia.
Tutte queste quattro emozioni corrispondono a quattro santi eppure le altre quattro settimane di vacanze in montagna, sono state guidate dal racconto di Pinocchio, una storia che ha lo scopo di educare i bambini a crescere bravi bambini.
Lo scopo dell'oratorio estivo e anche il programma della vacanza sembrano quello dell'evangelizzazione ma anche dell'educazione morale e del condizionamento dei bambini.
Nell'oratorio estivo in generale, i bambini e anche gli adulti imparano tante esperienze e valori diversi e, in particolare, quest'anno a Cernusco sul Naviglio, l'elemento più importante che si può notare è lo sviluppo dell'amore che genera felicità. Si impara ad amare così tanto che si sviluppa la vera amicizia e l'essere amichevoli. Questo amore si esprime tra i bambini stessi, tra gli animatori e anche tra i bambini e gli animatori, i bambini e gli altri superiori come il sacerdote, le suore e i seminaristi, e tra gli animatori e i superiori. Questo è evidente attraverso la Felicità, l'atto di Cura, Compassione, Simpatia, Fiducia e Sincerità esibiti dai bambini.
“L'oratorio aiuta a diventare persone vere”, è un'espressione fatta da suor Alejandra Rodrigo Rodriguez, una suora Religiosa delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù di Xalapa. Suor Alejandra è una delle suore presenti durante l'oratorio estivo con i bambini di prima e seconda elementare. Ha fatto questa espressione dopo aver visto come un gruppo di questi bambini è stato in grado di rispondere aiutando il loro collega che si trovava in una certa difficoltà volontariamente senza alcuna istruzione da parte di nessun adulto né c'era nessun adulto vicino a loro. La suora vede questa impressione durante tutto il mese intero dell'oratorio.
La definizione di Vera Persona, la Suora la lega all'atto di Solidarietà, Empatia e la Pazienza, dove non si può pensare solo a se stessi ma anche all'altro; Considerare il valore dell'umanità e rispettarlo, considerare l'altro come Soggetto ma non come oggetto. Tuttavia, questo può accadere solo dove c'è l'amore come fondamento"
Modi Gilbert
Mi chiamo Modi Gilbert, un sud sudanese nato durante la guerra e cresciuto in guerra. Sono nato in Sudan (ora Sud Sudan) ma sono cresciuto nella Repubblica Democratica del Congo e in Uganda. I miei genitori hanno cercato rifugio nella Repubblica Democratica del Congo non appena sono nato a causa dell'intensità della guerra nella mia città, Yei. È stato in Congo che ho iniziato ad andare a scuola anche se non ricordo nulla. Nemmeno io so se le persone che ci guidavano parlavano in Francese o in inglese. Questo descrive quanto ero piccolo in Congo. Sfortunatamente il vivere in Congo non sembrava essere molto buono. Questo ha costretto molte persone a lasciare il Congo per l'Uganda. Siamo andati a piedi dal Congo all'Uganda. Abbiamo impiegato molto tempo, non riuscivo a ricordare se settimane o un mese.
In Uganda è dove ho potuto sapere almeno una serie di cose perché ero già un po' grande, avrei dovuto avere cinque anni. Ed è qui che ho iniziato la mia scuola primaria. Ho studiato primaria 1, 2 e secondo trimestre di primaria tre. Di nuovo, i miei studi furono interrotti. C’era una crescente insicurezza in Uganda nell'area in cui si trovavano alcuni campi di rifugiati. Ricordo una notte che abbiamo passato nella boscaglia perché si diceva che ci fossero dei ribelli che erano entrati nel nostro campo. A causa di tutto ciò, la situazione di vivere divenne insopportabile e le persone che avevano le loro città in Sudan (ora Sud Sudan) sotto il controllo dell'SPLA/M (Sudan People's Liberation Army o Movement, il gruppo ribelle che combatteva per la liberazione del popolo di Sudan) ha dovuto lasciare l'Uganda per il Sudan. E noi eravamo tra queste persone perché all'epoca la mia città era già sotto il controllo dell'SPLM/A. Si trattava di nuovo di un altro movimento a piedi dall'Uganda al sud Sudan.
Nel Sudan (ora Sud Sudan) è dove il destino dei miei studi è diventato imprevedibile. La scuola può cominciare bene dall'inizio dell'anno ma non si sa come finirà perché sempre esserci qualche interruzione per un reclutamento forzato della gente nell'esercito. Quello che succede qui è: insegnanti e alunni sono stati arrestati e costretti ad essere reclutati con la forza nell'esercito o si nascondono per evitare di essere reclutati con la forza nell'esercito.
Nel 2002, ero tra i tanti ad essere reclutati con la forza anche se avevo meno di 13anni. Ma mio padre in seguito mi ha sostituito. Tuttavia per fortuna è stato poi liberato grazie all'aiuto del capo della zona e degli anziani che avevano fatto pressioni per il suo rilascio. Questo tentativo ha fatto venire l'idea ai miei genitori di mandarmi in Uganda per continuare i miei studi, cosa molto intelligente e utile. Non sono sicuro se avrei continuato a questo livello se avessi continuato a vivere nel villaggio. In Uganda ho completato la scuola primaria e sono tornato in Sud Sudan. Ho studiato tre anni della mia scuola secondaria in Sud Sudan, ma sono andato a completare in Uganda.
Nel 2011 sono entrato in seminario. Purtroppo il seminario è stato chiuso dopo un anno per più di due anni e quando ha riaperto non ci sono tornato subito perchè avevo perso mio padre. Durante il periodo in cui il seminario è stato chiuso, mi sono iscritto ad insegnare in una delle scuole primarie della diocesi cattolica di Yei, Christ is the King primary school poiché l'insegnamento è il lavoro accessibile a molte persone. E' un lavoro che chi ha terminato gli studi secondari può fare come volontario, anche se il lavoro è meno retribuito e meno dignitoso. Mentre insegnavo ho fatto un breve corso di giornalismo e successivamente ho lavorato come giornalista con un'azienda, , la Radio Easter FM, Yei, (una stazione membro della rete radio cattolica), The Nation Mirror weekly news paper, una radio, Radio Easter FM, Yei (una stazione membra della rete cattolica) e successivamente con il sito web Gurtong al fino al 2016, quando sono tornato in seminario nel 2019 dove ho completato i miei studi filosofici.
Mi è capitato di essere uno dei beneficiari della borsa di studio offerto da Propaganda Fide attraverso la diocesi cattolica di Yei, che è la mia diocesi. A facilitarlo sono stati il Vescovo Ercolano Ladu Tombe e John Lo'boka Morris ex rettore del seminario maggiore di San Paolo, in Sud Sudan. Alla fine di luglio 2019 attraverso questa offerta sono venuto in italia per continuare i miei studi teologici a Milano.
In tutto il periodo dei miei studi sono stata totalmente separato dalla mia famiglia. Ho iniziato a godermi la loro compagnia quando ho terminato gli studi liceali, ma di più è stato quando il seminario è stato chiuso. Quando sono tornato in seminario, la guerra scoppiata nel 2013 e in parte terminata nel 2016 si è rinnovata nello stesso anno. Questa volta la mia città è stata duramente colpita e tra le zone più colpite c'era quella in cui risiedevo. Le persone sono state cacciate e la maggior parte delle case sono state completamente vandalizzate - infatti mi è rimasto solo ciò che avevo portato con me in seminario. Qualunque cosa avessi lasciato a casa non era mai più appartenuta a me né alla mia famiglia. Con tutto questo, la mia famiglia ha dovuto fuggire dalla città in Uganda. Per quasi tre anni non ho potuto incontrarli.
Le forze di pace unificate ricevono kit da combattimento
27 agosto 2022
Il governo ha acquisito una partita di equipaggiamento militare necessarie alle forze unificate.
Un aereo sudanese che trasportava uniformi per varie unità militari tra cui il servizio di sicurezza nazionale, protezione civile, fauna selvatica e polizia, è atterrato venerdì all'aeroporto di Juba.
La spedizione, ricevuta dal Joint Transitional Security Committee, contiene articoli come cinture, berretti, stivali e calzini.
"In realtà è stato ricevuto questa mattina al porto internazionale di Juba, un'ottima spedizione, molto importante per la quale abbiamo lavorato", ha detto il portavoce dell'esercito, il generale Lul Ruai.
Ha detto che le divise saranno consegnate ai centri di addestramento di Gorom, Rajaf, Rambur e Lologo.
“Le Divise vengono portate ai rispettivi centri di addestramento. Qui inizieranno con le Forze nell'Equatoria Centrale, le Forze Speciali dentro e intorno a Juba".
"Non appena si diplomano, il passo successivo è che vengano ridistribuiti e ABB ha elaborato un piano di ridistribuzione per la Forza laureata".
Si prevede che circa 53.000 forze, tra cui esercito, polizia e ufficiali della sicurezza nazionale, si diplomeranno entro la fine di questo mese dai campi di addestramento.
Alla domanda sull'area di dispiegamento delle forze dopo la laurea, Lul ha affermato che lo spiegamento si baserà sulla situazione di sicurezza prevalente nel paese.
“La maggior parte del Paese vive in sicurezza. Quindi lo schieramento sarà fatto in base a quello. L'area che sta avendo molta insicurezza è qui che le nostre forze verranno indirizzate in modo da stabilizzare la situazione della sicurezza"
Il governo ha acquisito una partita di equipaggiamento militare necessarie alle forze unificate.
Un aereo sudanese che trasportava uniformi per varie unità militari tra cui il servizio di sicurezza nazionale, protezione civile, fauna selvatica e polizia, è atterrato venerdì all'aeroporto di Juba.
La spedizione, ricevuta dal Joint Transitional Security Committee, contiene articoli come cinture, berretti, stivali e calzini.
"In realtà è stato ricevuto questa mattina al porto internazionale di Juba, un'ottima spedizione, molto importante per la quale abbiamo lavorato", ha detto il portavoce dell'esercito, il generale Lul Ruai.
Ha detto che le divise saranno consegnate ai centri di addestramento di Gorom, Rajaf, Rambur e Lologo.
“Le Divise vengono portate ai rispettivi centri di addestramento. Qui inizieranno con le Forze nell'Equatoria Centrale, le Forze Speciali dentro e intorno a Juba".
"Non appena si diplomano, il passo successivo è che vengano ridistribuiti e ABB ha elaborato un piano di ridistribuzione per la Forza laureata".
Si prevede che circa 53.000 forze, tra cui esercito, polizia e ufficiali della sicurezza nazionale, si diplomeranno entro la fine di questo mese dai campi di addestramento.
Alla domanda sull'area di dispiegamento delle forze dopo la laurea, Lul ha affermato che lo spiegamento si baserà sulla situazione di sicurezza prevalente nel paese.
“La maggior parte del Paese vive in sicurezza. Quindi lo schieramento sarà fatto in base a quello. L'area che sta avendo molta insicurezza è qui che le nostre forze verranno indirizzate in modo da stabilizzare la situazione della sicurezza"
Il vice capo delle forze di difesa, il tenente generale Gabriel Duop Lam parla agli ufficiali unificati. #SSOT . #SouthSudan .
" Quando ti diplomi e sei arruolato qui da noi, non ci sono armi di una parte, nemmeno polizia di una parte, diventerai poliziotto del Sud Sudan."
Rumbek, 12 agosto 2022
Giovedì il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Norvegia e l'UE hanno rilasciato una dichiarazione congiunta invitando il governo ad ampliare lo spazio politico e civile per garantire che le voci del popolo sud-sudanese, compresi coloro che hanno opinioni opposte, siano costantemente ascoltate durante tutta l'attuazione dell'accordo di pace.
Il 4 agosto, il primo vicepresidente e leader dell'SPLM-IO Riek Machar aveva invitato il presidente Salva Kiir a consentire ai partiti politici e alla società civile di operare liberamente nel Paese.
Machar ha fatto la chiamata dalla capitale Juba durante la firma e la dichiarazione formale che le parti dell'accordo di pace rivitalizzato del 2018 hanno acconsentito a prolungare il periodo di transizione di 24 mesi.
Il presidente Kiir, tuttavia, non ha risposto alla chiamata di Machar.
Il 4 agosto, il primo vicepresidente e leader dell'SPLM-IO Riek Machar aveva invitato il presidente Salva Kiir a consentire ai partiti politici e alla società civile di operare liberamente nel Paese.
Machar ha fatto la chiamata dalla capitale Juba durante la firma e la dichiarazione formale che le parti dell'accordo di pace rivitalizzato del 2018 hanno acconsentito a prolungare il periodo di transizione di 24 mesi.
Il presidente Kiir, tuttavia, non ha risposto alla chiamata di Machar.
“Smettetela di minacciare il nostro popolo”: Vescovo cattolico in Sud Sudan ai ribelli armati
Il vescovo della diocesi cattolica di Yei del Sud Sudan ha invitato i militari e i ribelli armati a fermare le loro minacce e intimidazioni al popolo di Dio nella nazione dell'Africa centro-orientale.
Parlando ai fedeli domenica 24 luglio a Ombasi, una comunità ospitante nella township di Yei per gli sfollati interni (IDP) e i rifugiati della Repubblica Democratica del Congo (RDC), il vescovo Alex Lodiong Sakor Eyobo ha affermato che il conflitto tra gli armati e i civili stanno colpendo l'agricoltura e i mezzi di sussistenza.
“Voglio rivolgere questo appello a tutti coloro che portano una pistola, sia in città che nella boscaglia, per favore non venite nei nostri villaggi per iniziare a intimidire la nostra gente che sta coltivando per la sua sopravvivenza; non usate le vostre pistole per intimidire le nostre persone innocenti al loro posto”, ha detto il vescovo Lodiong.
Ha aggiunto in riferimento ai civili: "L'unico modo per loro di sopravvivere è attraverso l'agricoltura. Perché dovresti scoraggiarli dal fare ciò su cui fanno affidamento?”
“Non portano pistole e non sono nemmeno una minaccia per voi. Perché dovreste intimidirli?" il Vescovo sud-sudanese lo ha detto durante l'evento del 24 luglio, quando i fedeli a Ombasi si sono radunati per pregare con lui.
Ha aggiunto: "Questi agricoltori saranno quelli che ci daranno da mangiare a Yei perché coltiveranno qui tra i cespugli e porteranno cibo per noi in città".
L'Ordinario del luogo della diocesi di Yei ha sottolineato la necessità di una pacifica convivenza, dicendo: “La pace in cui vogliamo vivere dovrebbe essere quella che costruiamo dal suolo con la nostra gente per parlare con loro e saremo come fratelli e sorelle. La pace che è stata firmata non arriva qui perché le persone non possono ancora muoversi liberamente”.
“Voglio fare appello a coloro che sono nel governo locale, se siete assegnati a lavorare nel vostro Payam, per favore, venite a servire la vostra gente qui; devi venire a vedere la situazione che sta attraversando la tua gente perché sei incaricato di aiutarli quando stanno soffrendo”, ha detto.
Il vescovo cattolico, 51 anni, che ha iniziato il suo ministero episcopale il 15 maggio, ha proseguito: “La buona politica è quella che porta servizio al nostro popolo perché se la tua politica non porta servizio, il tuo popolo ti rifiuterà”.
Ha chiesto la fraternità tra i membri della comunità, dicendo che ciò può favorire il reinserimento dei rimpatriati.
Il Gen. Thomas Cirillo spiega le ragioni della formazione di una nuova alleanza
Il presidente del Nation Salvation Front (NAS) Gen Thomas Cirillo sabato 16 luglio 2022 è apparso su una popolare piattaforma di social media del Sud Sudan per spiegare al pubblico in generale una dichiarazione congiunta che annuncia la formazione di una nuova alleanza chiamata "I non firmatari Gruppo di opposizione sud-sudanese (NSSSOG)”
Per ascoltare l'intervista QUI: https://www.facebook.com/NasSouthSudan/videos/1126131004605115/
JUBA – I leader dell'opposizione del Sud Sudan, il generale Paul Malong, il generale Pagan Amum, il generale Thomas Cirilo, tra gli altri, hanno formato un'alleanza militare che, secondo funzionari loro alleati, mira a "salvare il Sud Sudan dall'imminente collasso".
Malong è il leader del South Sudan United Front (SSUF), Pagan è il leader del Real SPLM, mentre Cirilo è il leader del National Salvation Front (NAS). Altri all'opposizione tra cui il National Democratic Movement (NDM-PF) guidato da Emmanuel Ajawin, UDRM guidato da Thomas Tut e SSNMC guidato da Alex Yatta.
In una dichiarazione di venerdì, i cinque gruppi di opposizione hanno nominato il generale Pagan Amum portavoce della nuova alleanza nota come Gruppo di opposizione sud sudanese non firmatari (NSSSOG) che chiede un governo alternativo.
Parlando al Sudans Post venerdì sera, un alto funzionario dell'opposizione alleato del generale Malong ha affermato che NSSSOG è un'alleanza militare volta a guidare il popolo del Sud Sudan nella lotta contro il governo del presidente Salva Kiir, che hanno accusato di non avere alcuna volontà di attuare l'accordo firmato nel 2018.
"Il gruppo di opposizione sud sudanese non firmatari (NSSSOG) è un'alleanza militare formata dal popolo del Sud Sudan attraverso i cinque gruppi per guidarlo nella lotta contro la dittatura del presidente Salva Kiir Mayardit", ha detto il funzionario a Sudans Post a condizione di anonimato.
Ma quando è stato contattato da Sudans Post, Emmanuel Ajawin, il leader dell'NDM-PF ha rifiutato di ammettere o negare se l'NSSSOG fosse un'alleanza militare, ma ha affermato che il nuovo consorzio mira a riunire tutte le parti interessate per il cambiamento.
"Beh, tutti possono analizzare a modo loro", ha detto a proposito dell'affermazione che l'obiettivo dell'alleanza è puramente militare. “Intendiamo riunire le persone, compresa la società civile, i giovani e le donne”.
GOVERNO TECNOCRATICOI cinque gruppi il 13 luglio hanno rilasciato una dichiarazione in cui respingevano qualsiasi estensione del periodo di transizione e hanno chiesto alle comunità regionali, compreso l'IGAD che ha mediato l'accordo di pace rivitalizzato nel 2018, di sostenerli nella loro richiesta di un governo tecnocratico.
“Spetta a tutte le parti interessate del paese, dalle organizzazioni politiche, alla società civile, alle organizzazioni religiose, alle donne e ai gruppi giovanili, respingere collettivamente l'estensione del periodo di R-TGONU e decidere il futuro del paese per evitare il suo crollo nel caos e nella disintegrazione", hanno affermato nella dichiarazione di cui una copia è stata ottenuta da Sudans Post.
“Noi partiti di opposizione del Sud Sudan non firmatari, che hanno respinto l'R-ARCSS, e ora guidati dal nobile obiettivo di salvare il nostro stato e la nostra nazione dal collasso e dalla disintegrazione, facciamo appello a tutte le forze politiche sud sudanesi e a tutti gli altri sud sudanesi parti interessate della società civile, delle organizzazioni religiose, delle donne e dei giovani per forgiare una via da seguire, formalizzare la discussione in corso e creare consenso che porterà all'instaurazione di una nuova transizione con un governo di tecnocrati/governo ibrido, come R-TGONU Il periodo di transizione giunge al termine entro febbraio 2023", hanno affermato.
Per ascoltare l'intervista QUI: https://www.facebook.com/NasSouthSudan/videos/1126131004605115/
JUBA – I leader dell'opposizione del Sud Sudan, il generale Paul Malong, il generale Pagan Amum, il generale Thomas Cirilo, tra gli altri, hanno formato un'alleanza militare che, secondo funzionari loro alleati, mira a "salvare il Sud Sudan dall'imminente collasso".
Malong è il leader del South Sudan United Front (SSUF), Pagan è il leader del Real SPLM, mentre Cirilo è il leader del National Salvation Front (NAS). Altri all'opposizione tra cui il National Democratic Movement (NDM-PF) guidato da Emmanuel Ajawin, UDRM guidato da Thomas Tut e SSNMC guidato da Alex Yatta.
In una dichiarazione di venerdì, i cinque gruppi di opposizione hanno nominato il generale Pagan Amum portavoce della nuova alleanza nota come Gruppo di opposizione sud sudanese non firmatari (NSSSOG) che chiede un governo alternativo.
Parlando al Sudans Post venerdì sera, un alto funzionario dell'opposizione alleato del generale Malong ha affermato che NSSSOG è un'alleanza militare volta a guidare il popolo del Sud Sudan nella lotta contro il governo del presidente Salva Kiir, che hanno accusato di non avere alcuna volontà di attuare l'accordo firmato nel 2018.
"Il gruppo di opposizione sud sudanese non firmatari (NSSSOG) è un'alleanza militare formata dal popolo del Sud Sudan attraverso i cinque gruppi per guidarlo nella lotta contro la dittatura del presidente Salva Kiir Mayardit", ha detto il funzionario a Sudans Post a condizione di anonimato.
Ma quando è stato contattato da Sudans Post, Emmanuel Ajawin, il leader dell'NDM-PF ha rifiutato di ammettere o negare se l'NSSSOG fosse un'alleanza militare, ma ha affermato che il nuovo consorzio mira a riunire tutte le parti interessate per il cambiamento.
"Beh, tutti possono analizzare a modo loro", ha detto a proposito dell'affermazione che l'obiettivo dell'alleanza è puramente militare. “Intendiamo riunire le persone, compresa la società civile, i giovani e le donne”.
GOVERNO TECNOCRATICOI cinque gruppi il 13 luglio hanno rilasciato una dichiarazione in cui respingevano qualsiasi estensione del periodo di transizione e hanno chiesto alle comunità regionali, compreso l'IGAD che ha mediato l'accordo di pace rivitalizzato nel 2018, di sostenerli nella loro richiesta di un governo tecnocratico.
“Spetta a tutte le parti interessate del paese, dalle organizzazioni politiche, alla società civile, alle organizzazioni religiose, alle donne e ai gruppi giovanili, respingere collettivamente l'estensione del periodo di R-TGONU e decidere il futuro del paese per evitare il suo crollo nel caos e nella disintegrazione", hanno affermato nella dichiarazione di cui una copia è stata ottenuta da Sudans Post.
“Noi partiti di opposizione del Sud Sudan non firmatari, che hanno respinto l'R-ARCSS, e ora guidati dal nobile obiettivo di salvare il nostro stato e la nostra nazione dal collasso e dalla disintegrazione, facciamo appello a tutte le forze politiche sud sudanesi e a tutti gli altri sud sudanesi parti interessate della società civile, delle organizzazioni religiose, delle donne e dei giovani per forgiare una via da seguire, formalizzare la discussione in corso e creare consenso che porterà all'instaurazione di una nuova transizione con un governo di tecnocrati/governo ibrido, come R-TGONU Il periodo di transizione giunge al termine entro febbraio 2023", hanno affermato.
"Il Pastore con l'odore delle pecore"
Juba (Agenzia Fides) – “Permettetemi di visitare la popolazione che vive nella boscaglia” chiede alle autorità di sicurezza del Sud Sudan il Vescovo Mons. Alex Lodiong Sakor Eyobo, durante la cerimonia di consacrazione e di presa di possesso nella diocesi di Yei, domenica 15 maggio.
“Vorrei fare appello ai responsabili della sicurezza locale e a coloro che potrebbero ascoltarci alla radio: datemi una finestra temporale per viaggiare e vedere la nostra gente che è nella boscaglia. Ho bisogno di visitarli”, ha affermato Mons. Sakor aggiungendo, “Sono tanti, i loro figli sono cresciuti e non hanno appreso il catechismo, non sono battezzati, non sono cresimati e vogliono i Sacramenti del Battesimo e della Cresima. Datemi la possibilità di andare a vederli. Ci vado per la missione, per niente altro”.
Nel corso della Messa, il Vescovo emerito Sua Ecc. Erkolano Lado Tombe ha incoraggiato i fedeli ad avere fiducia nell’azione di Dio nonostante le difficoltà che stanno attraversando. “Voglio semplicemente dire: non abbiate paura. Dio è con noi. Potete vedere che il Cardinale e il Nunzio sono qui con noi, il governo è qui con noi, e potete vedere la solidarietà di tante persone che stanno con noi. Capiscono le nostre sofferenze di tutti questi anni e quindi non abbiate paura”
D'altra parte, l'Arcivescovo di Khartoum, Michael Didi Adgum Mangoria, ha incoraggiato i credenti a sostenere il nuovo Vescovo e a collaborare con lui a beneficio della diocesi: “Dovete aiutarlo in modo che possa essere vostro servitore. Se volete un buon lavoro, fatelo voi stessi. Spero di venire di nuovo a Yei perché è la mia prima volta qui”.
Il Nunzio apostolico in Kenya e Sud Sudan, Sua Ecc. Mons, Hubertus van Megan, ha anche incoraggiato il popolo del Sud Sudan e Yei in particolare, ad abbracciare l'amore, la pace e l'impegno per portare avanti il Paese: “Dobbiamo essere persone che amano, dobbiamo essere persone che si impegnano, dobbiamo essere persone che portano sulle proprie spalle il Paese che è il Sud Sudan e vanno avanti”.
L'ordinazione episcopale è stata concelebrata da oltre otto Vescovi, il Presidente è stato il Cardinale Gabriel Zubeir Wako, e l'Arcivescovo di Juba, Stephen Ameyu Martin Mula, uno dei co-consacranti.
Mons. Alex Lodiong Sakor è nato il 26 gennaio 1971 a Wudu ed è entrato nel Seminario minore St. Mary di Juba tra il 1989 e il 1993. Ha studiato al Seminario Maggiore Nazionale St. Paul dove ha studiato Filosofia e Teologia, conseguendo il Diploma (1996) e un Baccalaureato (200) a Khartoum, Sudan. Ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica presso l'Università Urbaniana di Roma.
È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Yei il 24 giugno 2001. Il Santo Padre ha nominato Mons. Alex Lodiong Sakor Eyobo come Vescovo di Yei l'11 febbraio 2022, diventando il successore del Vescovo Lodu Tombe.
(L.M.) (Agenzia Fides 23/5/2022)
“Vorrei fare appello ai responsabili della sicurezza locale e a coloro che potrebbero ascoltarci alla radio: datemi una finestra temporale per viaggiare e vedere la nostra gente che è nella boscaglia. Ho bisogno di visitarli”, ha affermato Mons. Sakor aggiungendo, “Sono tanti, i loro figli sono cresciuti e non hanno appreso il catechismo, non sono battezzati, non sono cresimati e vogliono i Sacramenti del Battesimo e della Cresima. Datemi la possibilità di andare a vederli. Ci vado per la missione, per niente altro”.
Nel corso della Messa, il Vescovo emerito Sua Ecc. Erkolano Lado Tombe ha incoraggiato i fedeli ad avere fiducia nell’azione di Dio nonostante le difficoltà che stanno attraversando. “Voglio semplicemente dire: non abbiate paura. Dio è con noi. Potete vedere che il Cardinale e il Nunzio sono qui con noi, il governo è qui con noi, e potete vedere la solidarietà di tante persone che stanno con noi. Capiscono le nostre sofferenze di tutti questi anni e quindi non abbiate paura”
D'altra parte, l'Arcivescovo di Khartoum, Michael Didi Adgum Mangoria, ha incoraggiato i credenti a sostenere il nuovo Vescovo e a collaborare con lui a beneficio della diocesi: “Dovete aiutarlo in modo che possa essere vostro servitore. Se volete un buon lavoro, fatelo voi stessi. Spero di venire di nuovo a Yei perché è la mia prima volta qui”.
Il Nunzio apostolico in Kenya e Sud Sudan, Sua Ecc. Mons, Hubertus van Megan, ha anche incoraggiato il popolo del Sud Sudan e Yei in particolare, ad abbracciare l'amore, la pace e l'impegno per portare avanti il Paese: “Dobbiamo essere persone che amano, dobbiamo essere persone che si impegnano, dobbiamo essere persone che portano sulle proprie spalle il Paese che è il Sud Sudan e vanno avanti”.
L'ordinazione episcopale è stata concelebrata da oltre otto Vescovi, il Presidente è stato il Cardinale Gabriel Zubeir Wako, e l'Arcivescovo di Juba, Stephen Ameyu Martin Mula, uno dei co-consacranti.
Mons. Alex Lodiong Sakor è nato il 26 gennaio 1971 a Wudu ed è entrato nel Seminario minore St. Mary di Juba tra il 1989 e il 1993. Ha studiato al Seminario Maggiore Nazionale St. Paul dove ha studiato Filosofia e Teologia, conseguendo il Diploma (1996) e un Baccalaureato (200) a Khartoum, Sudan. Ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica presso l'Università Urbaniana di Roma.
È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Yei il 24 giugno 2001. Il Santo Padre ha nominato Mons. Alex Lodiong Sakor Eyobo come Vescovo di Yei l'11 febbraio 2022, diventando il successore del Vescovo Lodu Tombe.
(L.M.) (Agenzia Fides 23/5/2022)
Il professor Tag Elkhazin, che ha oltre 50 anni di esperienza nella gestione delle risorse idriche ha chiesto al Sud Sudan di interrompere il progetto di dragaggio dicendo che non è nell'interesse del Sud Sudan
Un esperto di fama mondiale delle acque del Nilo ha chiesto al Sud Sudan di interrompere il progetto di dragaggio dicendo che non è nell'interesse del Sud Sudan.
Il professor Tag Elkhazin, che ha oltre 50 anni di esperienza nella gestione delle risorse idriche, ha affermato che altrimenti il governo commetterà tradimento contro i suoi cittadini.
Elkhazin ha consigliato al Sud Sudan di discutere attentamente sulla questione prima di intraprendere il progetto.
Questo perché, dice, è nell'interesse di un paese straniero, non nell'interesse del Sud Sudan.
Elkhazin stava parlando durante una presentazione virtuale sul canale Jonglei e sulle risorse idriche in Sud Sudan.
“La mia raccomandazione è che il Sud Sudan dovrebbe avviare un dibattito su dove si inserirà il Sud Sudan nell'Iniziativa del bacino del Nilo? Smetti di dragare, questo non è il momento", ha affermato il Prof. Elkhazin.
“Cosa fa il dragaggio? Cosa è positivo e cosa è negativo? La cosa positiva è che... scarica più acqua nel fiume principale,
“Ciò che è negativo è quando l'acqua scaricata non è a beneficio del popolo e della nazione, ma a beneficio di un'altra nazione. Questo è ciò che è negativo ed è un crimine,
"Consentire il dragaggio degli affluenti in modo che gli scarichi vadano nel Nilo e salgano fino al Delta, è un crimine contro i diritti del popolo del Sud Sudan",
"L'impatto del dragaggio è eterno, questo è il problema, una volta dragato quel SUDD, l'acqua scorre e la perdi, finisci."
"Quando gli egiziani guardano a sud, non vedono le persone, non vedono la terra, vedono solo l'acqua, devi stare attento a questo."
Il Prof. Elkhazin ha detto che fare casino con il Bacino di Bahr el Ghazal o il Bacino di Sobat è un crimine.
“Fare pasticci con Bahr El Ghazal o Sobat Basin commetterà alto tradimento. Voi [Sud-sudanesi] dovete radunare tutte le forze ed essere a mani libere. Questo non è un problema per una o due persone, indipendentemente dalla loro posizione, si scherza con questi due bacini, sono proprietà del popolo del Sud Sudan”, ha affermato il prof. Elkhazin.
“Gli egiziani non possono venire a dragare Sue che è sotto il fiume Jur e vogliono dragare le paludi occidentali e vogliono dragare Sobat e quello che danno è un ospedale o un dispensario, o un generatore diesel, quelli non sono vantaggi. Quindi, non vogliamo che il popolo del Sud Sudan venga preso in giro".
L'esperto delle acque del Nilo ha sottolineato che le inondazioni sono stagionali e non dovrebbero essere un motivo per drenare gli affluenti Sudd che avranno un impatto ambientale duraturo.
Ha affermato che l'idropolitica del Nilo non è un problema con cui i politici possono giocare, dicendo che è un problema di sicurezza nazionale.
Il Prof. Elkhazin ha affermato che le acque del Nilo non sono un problema per il solo Ministero delle risorse idriche e dell'irrigazione, dicendo che fanno parte delle risorse naturali del Sud Sudan.
Ha suggerito la formazione di una commissione parlamentare di tutti i partiti su risorse idriche, ambiente ed ecologia.
Il cittadino sudanese-canadese ha anche chiesto la nomina di consulenti legali competenti presso il Ministero delle risorse idriche, ma responsabili dinanzi al Ministero degli affari legali.
Ha esortato il Sud Sudan ad avere una politica su come affrontare le acque SUDD, venderlo, mantenere i diritti e non fare nulla per ora.
Il professor Tag Elkhazin, che ha oltre 50 anni di esperienza nella gestione delle risorse idriche, ha affermato che altrimenti il governo commetterà tradimento contro i suoi cittadini.
Elkhazin ha consigliato al Sud Sudan di discutere attentamente sulla questione prima di intraprendere il progetto.
Questo perché, dice, è nell'interesse di un paese straniero, non nell'interesse del Sud Sudan.
Elkhazin stava parlando durante una presentazione virtuale sul canale Jonglei e sulle risorse idriche in Sud Sudan.
“La mia raccomandazione è che il Sud Sudan dovrebbe avviare un dibattito su dove si inserirà il Sud Sudan nell'Iniziativa del bacino del Nilo? Smetti di dragare, questo non è il momento", ha affermato il Prof. Elkhazin.
“Cosa fa il dragaggio? Cosa è positivo e cosa è negativo? La cosa positiva è che... scarica più acqua nel fiume principale,
“Ciò che è negativo è quando l'acqua scaricata non è a beneficio del popolo e della nazione, ma a beneficio di un'altra nazione. Questo è ciò che è negativo ed è un crimine,
"Consentire il dragaggio degli affluenti in modo che gli scarichi vadano nel Nilo e salgano fino al Delta, è un crimine contro i diritti del popolo del Sud Sudan",
"L'impatto del dragaggio è eterno, questo è il problema, una volta dragato quel SUDD, l'acqua scorre e la perdi, finisci."
"Quando gli egiziani guardano a sud, non vedono le persone, non vedono la terra, vedono solo l'acqua, devi stare attento a questo."
Il Prof. Elkhazin ha detto che fare casino con il Bacino di Bahr el Ghazal o il Bacino di Sobat è un crimine.
“Fare pasticci con Bahr El Ghazal o Sobat Basin commetterà alto tradimento. Voi [Sud-sudanesi] dovete radunare tutte le forze ed essere a mani libere. Questo non è un problema per una o due persone, indipendentemente dalla loro posizione, si scherza con questi due bacini, sono proprietà del popolo del Sud Sudan”, ha affermato il prof. Elkhazin.
“Gli egiziani non possono venire a dragare Sue che è sotto il fiume Jur e vogliono dragare le paludi occidentali e vogliono dragare Sobat e quello che danno è un ospedale o un dispensario, o un generatore diesel, quelli non sono vantaggi. Quindi, non vogliamo che il popolo del Sud Sudan venga preso in giro".
L'esperto delle acque del Nilo ha sottolineato che le inondazioni sono stagionali e non dovrebbero essere un motivo per drenare gli affluenti Sudd che avranno un impatto ambientale duraturo.
Ha affermato che l'idropolitica del Nilo non è un problema con cui i politici possono giocare, dicendo che è un problema di sicurezza nazionale.
Il Prof. Elkhazin ha affermato che le acque del Nilo non sono un problema per il solo Ministero delle risorse idriche e dell'irrigazione, dicendo che fanno parte delle risorse naturali del Sud Sudan.
Ha suggerito la formazione di una commissione parlamentare di tutti i partiti su risorse idriche, ambiente ed ecologia.
Il cittadino sudanese-canadese ha anche chiesto la nomina di consulenti legali competenti presso il Ministero delle risorse idriche, ma responsabili dinanzi al Ministero degli affari legali.
Ha esortato il Sud Sudan ad avere una politica su come affrontare le acque SUDD, venderlo, mantenere i diritti e non fare nulla per ora.
Perché il canale Jonglei non dovrebbe mai essere rianimato, Di Kur John Aleu, Pechino, Cina
L'autore, Kur John Aleu, è uno studente di Ingegneria dei Trasporti presso l'Università Jiaotong di Pechino; ha conseguito il B.Sc. in Ingegneria Civile presso la Ndejje University (2012) a Kampala, Uganda. Può essere raggiunto tramite la sua e-mail: [email protected]
Il parere qui espresso è esclusivamente il punto di vista di chi scrive. La veridicità di qualsiasi affermazione avanzata è responsabilità dell'autore, non del sito Web
"Il 28 gennaio 2018. Il Corriere Nazionale ha pubblicato una notizia “Il canale Jonglei dovrebbe essere completato, dice un funzionario egiziano”….. Tale espressione da parte di un funzionario egiziano ha motivato questo articolo con l'intenzione di informare , educare e respingere alcuni dei benefici fuorvianti che i fautori del progetto usano sempre per indurre in errore e indurre il pubblico ad accettare quello che sarebbe il progetto più vergognoso e disastroso che le generazioni della regione del Sudd vivranno fino a rimpiangere se il progetto sarà consentito per vedere la luce.
Per alcuni, il canale fornirà un cuscinetto tra gli stati di Boma e Jonglei e quindi i problemi di rapimento di bambini e lotta di bestiame finiranno, questo argomento è ridicolo e motivato dalla frustrazione nel governo del giorno; gli attributi di cui sopra possono essere raggiunti semplicemente disponendo di un governo forte e popolare, un governo che avrà tolleranza zero nei confronti della criminalità, un governo in cui la sofferenza umana non è una capitale politica.
La narrativa per il controllo delle inondazioni è adeguatamente affrontata nell'ultima parte di questo articolo. Il resto dell'articolo è organizzato come segue; lo sfondo del canale, il motivo per cui è stato avviato/benefici per l'Egitto e il Sudan, gli impatti sulle comunità di Sudd e infine i benefici fuorvianti del "controllo delle inondazioni".
Sfondo del canale Jonglei
Nel sud del Sudan, il Nilo Bianco sfocia nelle vaste zone umide del Sudd, una rete di canali, laghi e paludi che inondano un'area grande quanto l'Inghilterra. Attraversando le province sudanesi del sud, da Bor a Malakal.
Il parere qui espresso è esclusivamente il punto di vista di chi scrive. La veridicità di qualsiasi affermazione avanzata è responsabilità dell'autore, non del sito Web
"Il 28 gennaio 2018. Il Corriere Nazionale ha pubblicato una notizia “Il canale Jonglei dovrebbe essere completato, dice un funzionario egiziano”….. Tale espressione da parte di un funzionario egiziano ha motivato questo articolo con l'intenzione di informare , educare e respingere alcuni dei benefici fuorvianti che i fautori del progetto usano sempre per indurre in errore e indurre il pubblico ad accettare quello che sarebbe il progetto più vergognoso e disastroso che le generazioni della regione del Sudd vivranno fino a rimpiangere se il progetto sarà consentito per vedere la luce.
Per alcuni, il canale fornirà un cuscinetto tra gli stati di Boma e Jonglei e quindi i problemi di rapimento di bambini e lotta di bestiame finiranno, questo argomento è ridicolo e motivato dalla frustrazione nel governo del giorno; gli attributi di cui sopra possono essere raggiunti semplicemente disponendo di un governo forte e popolare, un governo che avrà tolleranza zero nei confronti della criminalità, un governo in cui la sofferenza umana non è una capitale politica.
La narrativa per il controllo delle inondazioni è adeguatamente affrontata nell'ultima parte di questo articolo. Il resto dell'articolo è organizzato come segue; lo sfondo del canale, il motivo per cui è stato avviato/benefici per l'Egitto e il Sudan, gli impatti sulle comunità di Sudd e infine i benefici fuorvianti del "controllo delle inondazioni".
Sfondo del canale Jonglei
Nel sud del Sudan, il Nilo Bianco sfocia nelle vaste zone umide del Sudd, una rete di canali, laghi e paludi che inondano un'area grande quanto l'Inghilterra. Attraversando le province sudanesi del sud, da Bor a Malakal.
"Finanziato congiuntamente da Egitto e Sudan e costruito con l'assistenza francese, lo scavo del canale iniziò sul serio nel 1978. Un'enorme macchina movimento terra soprannominata "Bucketwheel" - allora il più grande escavatore mai costruito - scavò un fossato largo 75 metri, procedendo 2 km a settimana. All'epoca, il canale Jonglei era lo schema idrico più audace e audace dell'Africa, furono scavati 250 km del canale navigabile, con altri 110 km da percorrere. Il corso d'acqua artificiale avrebbe attraversato più del doppio della lunghezza del Canale di Suez.
Beneficio del canale per l'Egitto e il Sudan
Concepito come un nuovo modo per deviare le acque del Nilo Bianco per aggirare le paludi, il canale Jonglei è stato progettato per aggirare il Sudd in modo da generare ulteriori 4,5 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo disponibili ogni anno (pari a una portata media annua di 110-152 m³/s un aumento di circa il 5-7% dell'attuale fornitura egiziana) da dividere equamente tra Sudan ed Egitto.
Il Nilo Azzurro proviene dagli altopiani etiopi e trasporta circa l'80% dell'acqua che raggiunge l'Egitto. Il Nilo Bianco, che scorre dai laghi equatoriali dell'Africa centrale e serpeggia attraverso il Sudan meridionale, trasporta il restante 20%. I due rami del fiume si incontrano nella capitale del Sudan, Khartoum. In base a un accordo di condivisione dell'acqua del 1959 tra Egitto e Sudan, 18,5 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo vengono assegnati ogni anno al Sudan e 55,5 miliardi di metri cubi al suo vicino a valle.
Conseguenze del canale Jonglei
Gli ambientalisti hanno avvertito delle conseguenze ecologiche del canale. Ridurre l'evaporazione nelle paludi di Sudd deviando l'acqua, probabilmente ridurrebbe le precipitazioni nella regione di Sudd. Il prosciugamento delle zone umide altererebbe la pesca e l'essiccazione dei pascoli, un delicato ecosistema da cui le tribù indigene Dinka, Shilluk e Nuer del Sudan meridionale sono diventate dipendenti e non accetterebbero mai l'attuazione di un progetto così disastroso sotto la loro sorveglianza.
Rimedio sbagliato dell'alluvione
Ci sono state opinioni preferenziali sul canale sul punto di vista del controllo delle inondazioni nella regione della pianura alluvionale di Sudd. Questo argomento è puramente fuorviante e per ignoranza, l'inondazione non è un processo molto complesso, le sue cause e i suoi rimedi sono alla portata anche della società meno sviluppata tecnologicamente come la nostra, scambiare il nostro patrimonio e le risorse dati da Dio su quel terreno sarà una fallacia del tempo. Per comprendere la semplicità della questione, i paragrafi seguenti forniscono un processo cronologico, rimedi e persino vantaggi associati alle inondazioni.
Come si verifica l'allagamento
Durante i periodi di pioggia, parte dell'acqua viene trattenuta negli stagni o nel suolo, parte viene assorbita dall'erba e dalla vegetazione, parte evapora e il resto viaggia sul terreno come deflusso superficiale. Le inondazioni si verificano quando stagni, laghi, letti di fiumi, suolo e vegetazione non possono assorbire tutta l'acqua. L'acqua defluisce quindi dalla terra in quantità che non possono essere trasportate all'interno dei canali dei torrenti o trattenute in stagni naturali, laghi e bacini artificiali.
Migliori metodi di controllo delle inondazioni
Alcuni metodi di controllo delle inondazioni sono stati praticati fin dall'antichità. Questi metodi includono la piantumazione di vegetazione per trattenere l'acqua in eccesso e la costruzione di corsi d'acqua (canali artificiali per deviare le acque alluvionali). Altre tecniche includono la costruzione di argini, laghi, dighe (diga terrestre), bacini di ritenzione per trattenere l'acqua extra durante i periodi di inondazione.
Benefici delle inondazioni
Le inondazioni possono portare benefici, come rendere il terreno più fertile e fornire nutrienti di cui è carente. Le inondazioni periodiche erano essenziali per il benessere delle antiche comunità lungo i fiumi Tigri-Eufrate (antica Mesopotamia), il fiume Nilo, il fiume Indo, il Gange e il fiume Giallo, tra gli altri. La fattibilità per le fonti di energia rinnovabili idrologiche è maggiore nelle regioni soggette a inondazioni."
Beneficio del canale per l'Egitto e il Sudan
Concepito come un nuovo modo per deviare le acque del Nilo Bianco per aggirare le paludi, il canale Jonglei è stato progettato per aggirare il Sudd in modo da generare ulteriori 4,5 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo disponibili ogni anno (pari a una portata media annua di 110-152 m³/s un aumento di circa il 5-7% dell'attuale fornitura egiziana) da dividere equamente tra Sudan ed Egitto.
Il Nilo Azzurro proviene dagli altopiani etiopi e trasporta circa l'80% dell'acqua che raggiunge l'Egitto. Il Nilo Bianco, che scorre dai laghi equatoriali dell'Africa centrale e serpeggia attraverso il Sudan meridionale, trasporta il restante 20%. I due rami del fiume si incontrano nella capitale del Sudan, Khartoum. In base a un accordo di condivisione dell'acqua del 1959 tra Egitto e Sudan, 18,5 miliardi di metri cubi di acqua del Nilo vengono assegnati ogni anno al Sudan e 55,5 miliardi di metri cubi al suo vicino a valle.
Conseguenze del canale Jonglei
Gli ambientalisti hanno avvertito delle conseguenze ecologiche del canale. Ridurre l'evaporazione nelle paludi di Sudd deviando l'acqua, probabilmente ridurrebbe le precipitazioni nella regione di Sudd. Il prosciugamento delle zone umide altererebbe la pesca e l'essiccazione dei pascoli, un delicato ecosistema da cui le tribù indigene Dinka, Shilluk e Nuer del Sudan meridionale sono diventate dipendenti e non accetterebbero mai l'attuazione di un progetto così disastroso sotto la loro sorveglianza.
Rimedio sbagliato dell'alluvione
Ci sono state opinioni preferenziali sul canale sul punto di vista del controllo delle inondazioni nella regione della pianura alluvionale di Sudd. Questo argomento è puramente fuorviante e per ignoranza, l'inondazione non è un processo molto complesso, le sue cause e i suoi rimedi sono alla portata anche della società meno sviluppata tecnologicamente come la nostra, scambiare il nostro patrimonio e le risorse dati da Dio su quel terreno sarà una fallacia del tempo. Per comprendere la semplicità della questione, i paragrafi seguenti forniscono un processo cronologico, rimedi e persino vantaggi associati alle inondazioni.
Come si verifica l'allagamento
Durante i periodi di pioggia, parte dell'acqua viene trattenuta negli stagni o nel suolo, parte viene assorbita dall'erba e dalla vegetazione, parte evapora e il resto viaggia sul terreno come deflusso superficiale. Le inondazioni si verificano quando stagni, laghi, letti di fiumi, suolo e vegetazione non possono assorbire tutta l'acqua. L'acqua defluisce quindi dalla terra in quantità che non possono essere trasportate all'interno dei canali dei torrenti o trattenute in stagni naturali, laghi e bacini artificiali.
Migliori metodi di controllo delle inondazioni
Alcuni metodi di controllo delle inondazioni sono stati praticati fin dall'antichità. Questi metodi includono la piantumazione di vegetazione per trattenere l'acqua in eccesso e la costruzione di corsi d'acqua (canali artificiali per deviare le acque alluvionali). Altre tecniche includono la costruzione di argini, laghi, dighe (diga terrestre), bacini di ritenzione per trattenere l'acqua extra durante i periodi di inondazione.
Benefici delle inondazioni
Le inondazioni possono portare benefici, come rendere il terreno più fertile e fornire nutrienti di cui è carente. Le inondazioni periodiche erano essenziali per il benessere delle antiche comunità lungo i fiumi Tigri-Eufrate (antica Mesopotamia), il fiume Nilo, il fiume Indo, il Gange e il fiume Giallo, tra gli altri. La fattibilità per le fonti di energia rinnovabili idrologiche è maggiore nelle regioni soggette a inondazioni."
Inizia oggi la Visita del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin a Kinshasa (Rep. Dem. Congo) e a Juba (Sud Sudan).
Paragraph. Clicca qui per modificare.
Una delegazione del Sud Sudan, a Roma per proseguire i colloqui di pace con Sant'Egidio, incontra papa Francesco 26 GIUGNO 2022
Mercoledì 22 giugno, tredici militari sudsudanesi, del governo e dell'opposizione, hanno incontrato Papa Francesco durante l'udienza generale. Ad accompagnarli, i rappresentanti della Comunità di Sant'Egidio, che da anni stanno portando avanti la mediazione in questo conflitto e che, in questi giorni, hanno organizzato a Roma un corso di formazione proprio per arrivare a una cooperazione nel meccanismo di monitoraggio del cessate il fuoco. «L'inclusione di questi gruppi è un passo necessario per garantire il pieno rispetto dell'Accordo sulla cessazione delle ostilità ed è fondamentale per portare la pace nel Sud Sudan» spiega Paolo Impagliazzo.
Il Vescovo Alex della Diocesi Cattolica di Yei nella sua omelia
Il Vescovo Alex della Diocesi Cattolica di Yei nella sua omelia durante la Messa a Santa Teresa del Bambino Gesù (Juba), dove l'Ufficio della Santa Infanzia della Parrocchia celebra la domenica 19 giugno 2022
CORPO SANTISSIMO E SANGUE DI CRISTO
(Corpus Christi) SOLENNITÀ e rinnovato servizio presso l'altare.
CORPO SANTISSIMO E SANGUE DI CRISTO
(Corpus Christi) SOLENNITÀ e rinnovato servizio presso l'altare.
28 giugno 2022 - Sara Beysolow Nyant - Vice Rappresentante Speciale del Segretario Generale, Coordinatore Residente e Coordinatore Umanitario
ha incontrato tutti i responsabili e i co-responsabili dei cluster umanitari in #SouthSudan per discutere le carenze di finanziamento. Dice "dobbiamo trovare soluzioni per rispondere alle molteplici crisi che devono affrontare donne e bambin".
ha incontrato tutti i responsabili e i co-responsabili dei cluster umanitari in #SouthSudan per discutere le carenze di finanziamento. Dice "dobbiamo trovare soluzioni per rispondere alle molteplici crisi che devono affrontare donne e bambin".
Conferenza stampa sull'arrivo di Papa Francesco in Sud Sudan.
"Papa Francesco questa mattina ha posticipato la sua visita apostolica in Sud Sudan per motivi di salute"
Auguriamo al Papa una pronta guarigione e continuiamo a pregare per lui.
11 giugno 2022
Francesco e la von der Leyen uniti per mettere fine alla guerra in Ucraina
11 giugno 2022
Colloquio stamani in Vaticano tra il Papa e il presidente della Commissione europea. Particolare attenzione è stata rivolta agli aspetti umanitari causati dal conflitto
Venti minuti di colloquio stamani nel Palazzo Apostolico Vaticano tra Papa Francesco e il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Roma per una serie di impegni istituzionali e che ieri ha aperto i lavori nella Casina Pio IV della conferenza "Reconstructing the Future for People and Planet", organizzata dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Bauhaus Earth. Von der Leyen successivamente ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, accompagnato da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali.
I colloqui
Con il Papa, ha riferito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede Matteo Bruni parlando con i giornalisti, "si è parlato di guerra in Ucraina, di clima e di architettura sostenibile”. Quindi al centro del dialogo in Segreteria di Stato, ancora la crisi in Ucraina e l’impegno comune ad adoperarsi per porre fine alla guerra. Spazio anche agli aspetti umanitari e alle conseguenze alimentari del protrarsi del conflitto. Si è anche discusso delle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa e delle sue conseguenze sui futuri assetti dell’Unione.
Il tweet di von der Leyen
Sul suo profilo Twitter ha poi scritto: "Sono davvero lieta di incontrare di nuovo Sua Santità Papa Francesco a Roma. Siamo con coloro che soffrono per la distruzione in Ucraina. Questa guerra deve finire, riportando la pace in Europa". La von der Leyen aveva incontrato il Pontefice il 22 maggio 2021, parlando allora delle drammatiche conseguenze della pandemia, del tema dei migranti e la crisi climatica.
Sul suo profilo Twitter ha poi scritto: "Sono davvero lieta di incontrare di nuovo Sua Santità Papa Francesco a Roma. Siamo con coloro che soffrono per la distruzione in Ucraina. Questa guerra deve finire, riportando la pace in Europa". La von der Leyen aveva incontrato il Pontefice il 22 maggio 2021, parlando allora delle drammatiche conseguenze della pandemia, del tema dei migranti e la crisi climatica.
Sud Sudan ostaggio delle élite etniche e militari -
Il futuro del paese nelle mani del presidente e del suo vice
L’accordo di pace firmato da Salva Kiir e Riek Machar nel 2018, dopo cinque anni di guerra civile, è tuttora lontano dall’essere implementato in modo soddisfacente. Ancora impervia è la strada della giovane nazione verso la pace, lo sviluppo e l’unità nazionale
A poche settimane dal viaggio di papa Francesco in Sud Sudan, a luglio, un aspetto da considerare è che l’accordo di pace firmato da Salva Kiir e Riek Machar nel 2018, dopo cinque anni di conflitto civile, è tuttora lontano dall’essere implementato in modo soddisfacente. In vari stati si riscontrano fino ad oggi condizioni di […]
Progetto Jonglei Canal: una minaccia alla sicurezza nazionale e un tradimento del popolo del Sud Sudan
l Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) ha criticato con forza la ripresa dell'impopolare progetto del Canale Jonglei, che rischia di prosciugare le zone umide di Sudd, come una grave minaccia alla sicurezza nazionale e un tradimento del popolo del Sud Sudan.
NAS ha anche messo in dubbio la tempistica, la legittimità e la credibilità del progetto catastrofico che prosciugherà le zone umide del Sudd - un sito protetto dall'UNESCO - affermando che "qualsiasi progetto che comporti l'utilizzo delle sue risorse idriche [il sito protetto] richiede credibilità, trasparenza e indipendente ricerca internazionale e valutazione di impatto per garantire la sicurezza e la sua sostenibilità”.
NAS ha rilasciato queste dichiarazioni in un comunicato stampa emesso il 10 maggio 2022 intitolato Re: Jonglei Canal e firmato da Suba Samuel, il portavoce ufficiale.
La Leadership ei membri del Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) hanno seguito con grande preoccupazione l'intenzione del governo del Sud Sudan di riprendere lo scavo dell'impopolare Progetto del Canale di Jonglei.
Nel dicembre 2021, il ministro per le risorse idriche e l'irrigazione della Repubblica del Sud Sudan del governo di transizione rivitalizzato di unità nazionale (R-TGoNU), Manawa Peter Gatkouth (SPLM-IO), ha presentato una proposta sul progetto di sviluppo del canale Jonglei a sud Consiglio dei ministri di transizione del Sudan per l'approvazione.
Il controverso progetto del canale Jonglei è stato attivato nel 1978 dal governo dell'ex presidente sudanese Jaafar Mohammed Nimeiri ed è stato impostato per l'attuazione senza alcuno studio scientifico degli impatti ambientali, economici e sociali del progetto sulla popolazione del Sud Sudan. Tra il 1978 e il 1983 furono scavati 240 km (67%) dei 360 km totali del canale.
Le acque del Nilo e le zone umide di Sudd costituiscono una risorsa importante per l'esistenza e la sopravvivenza della popolazione del Sud Sudan. Per questo motivo, la manomissione dell'area Sudd costituisce quindi una minaccia alla sicurezza nazionale per la popolazione del Sud Sudan
Il progetto del canale Jonglei è stato totalmente respinto da tutto il popolo del Sud Sudan, inclusi politici, intellettuali, studenti e gruppi preoccupati di persone di ogni ceto sociale. A causa di questo rifiuto del progetto da parte del popolo del Sud Sudan, il Movimento/Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan (SPLM/A), ha interrotto lo scavo del Canale nel 1984 distruggendo la macchina utilizzata per lo scavo del canale. L'attuale intenzione del regime di Salva Kiir di riprendere gli scavi del Canale Jonglei, contraddice la posizione [storica] assunta durante la lotta SPLM/A.
L'area di Sudd, una delle zone umide più grandi del mondo, è la più grande zona umida d'acqua dolce del bacino del Nilo. Lo scavo del canale Jonglei ha lo scopo di deviare l'acqua del Nilo Bianco dal Sudd con il conseguente impatto del prosciugamento delle sue acque nell'area di Sudd. Il progetto Jonglei, se fosse stato completato, avrebbe prosciugato le zone umide di Sudd e avrebbe avuto impatti ambientali, sociali, economici e sanitari negativi sulle persone e sul territorio del Sud Sudan e oltre nella regione dell'Africa orientale. Secondo le perizie, le conseguenze del prosciugamento dell'area di Sudd includeranno il crollo del settore ittico, il prosciugamento dei terreni agricoli e pascoli, il calo del livello delle falde acquifere e la riduzione delle precipitazioni idriche; e peggio di tutte la fame e la perdita di vite umane e animali. È probabile che il prosciugamento dell'area di Sudd abbia effetti ambientali negativi paragonabili al prosciugamento del lago Ciad, che si trova in Ciad e nell'Africa occidentale o al prosciugamento del lago d'Aral in Asia centrale. Il Lago d'Aral, situato in Kazakistan-Uzbekistan, si è ridotto a causa della deviazione delle sue acque a fini irrigui. Gli esperti sulle risorse idriche del Nilo hanno avvertito dei probabili impatti negativi permanenti dello scavo del canale Jonglei.
Sulla base delle precedenti informazioni di base, NAS desidera dichiarare quanto segue al popolo del Sud Sudan e alla Comunità internazionale:
NAS ha anche messo in dubbio la tempistica, la legittimità e la credibilità del progetto catastrofico che prosciugherà le zone umide del Sudd - un sito protetto dall'UNESCO - affermando che "qualsiasi progetto che comporti l'utilizzo delle sue risorse idriche [il sito protetto] richiede credibilità, trasparenza e indipendente ricerca internazionale e valutazione di impatto per garantire la sicurezza e la sua sostenibilità”.
NAS ha rilasciato queste dichiarazioni in un comunicato stampa emesso il 10 maggio 2022 intitolato Re: Jonglei Canal e firmato da Suba Samuel, il portavoce ufficiale.
La Leadership ei membri del Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) hanno seguito con grande preoccupazione l'intenzione del governo del Sud Sudan di riprendere lo scavo dell'impopolare Progetto del Canale di Jonglei.
Nel dicembre 2021, il ministro per le risorse idriche e l'irrigazione della Repubblica del Sud Sudan del governo di transizione rivitalizzato di unità nazionale (R-TGoNU), Manawa Peter Gatkouth (SPLM-IO), ha presentato una proposta sul progetto di sviluppo del canale Jonglei a sud Consiglio dei ministri di transizione del Sudan per l'approvazione.
Il controverso progetto del canale Jonglei è stato attivato nel 1978 dal governo dell'ex presidente sudanese Jaafar Mohammed Nimeiri ed è stato impostato per l'attuazione senza alcuno studio scientifico degli impatti ambientali, economici e sociali del progetto sulla popolazione del Sud Sudan. Tra il 1978 e il 1983 furono scavati 240 km (67%) dei 360 km totali del canale.
Le acque del Nilo e le zone umide di Sudd costituiscono una risorsa importante per l'esistenza e la sopravvivenza della popolazione del Sud Sudan. Per questo motivo, la manomissione dell'area Sudd costituisce quindi una minaccia alla sicurezza nazionale per la popolazione del Sud Sudan
Il progetto del canale Jonglei è stato totalmente respinto da tutto il popolo del Sud Sudan, inclusi politici, intellettuali, studenti e gruppi preoccupati di persone di ogni ceto sociale. A causa di questo rifiuto del progetto da parte del popolo del Sud Sudan, il Movimento/Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan (SPLM/A), ha interrotto lo scavo del Canale nel 1984 distruggendo la macchina utilizzata per lo scavo del canale. L'attuale intenzione del regime di Salva Kiir di riprendere gli scavi del Canale Jonglei, contraddice la posizione [storica] assunta durante la lotta SPLM/A.
L'area di Sudd, una delle zone umide più grandi del mondo, è la più grande zona umida d'acqua dolce del bacino del Nilo. Lo scavo del canale Jonglei ha lo scopo di deviare l'acqua del Nilo Bianco dal Sudd con il conseguente impatto del prosciugamento delle sue acque nell'area di Sudd. Il progetto Jonglei, se fosse stato completato, avrebbe prosciugato le zone umide di Sudd e avrebbe avuto impatti ambientali, sociali, economici e sanitari negativi sulle persone e sul territorio del Sud Sudan e oltre nella regione dell'Africa orientale. Secondo le perizie, le conseguenze del prosciugamento dell'area di Sudd includeranno il crollo del settore ittico, il prosciugamento dei terreni agricoli e pascoli, il calo del livello delle falde acquifere e la riduzione delle precipitazioni idriche; e peggio di tutte la fame e la perdita di vite umane e animali. È probabile che il prosciugamento dell'area di Sudd abbia effetti ambientali negativi paragonabili al prosciugamento del lago Ciad, che si trova in Ciad e nell'Africa occidentale o al prosciugamento del lago d'Aral in Asia centrale. Il Lago d'Aral, situato in Kazakistan-Uzbekistan, si è ridotto a causa della deviazione delle sue acque a fini irrigui. Gli esperti sulle risorse idriche del Nilo hanno avvertito dei probabili impatti negativi permanenti dello scavo del canale Jonglei.
Sulla base delle precedenti informazioni di base, NAS desidera dichiarare quanto segue al popolo del Sud Sudan e alla Comunità internazionale:
- Il Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) condanna e respinge la decisione unilaterale del regime di Salva Kiir di riprendere gli scavi del Canale Jonglei.
- Le acque del Nilo e le zone umide di Sudd costituiscono una risorsa importante per l'esistenza e la sopravvivenza della popolazione del Sud Sudan. Per questo motivo, la manomissione dell'area Sudd costituisce quindi una minaccia alla sicurezza nazionale per la popolazione del Sud Sudan. Qualsiasi prosciugamento del Sudd e deviazione di qualsiasi acqua del Nilo Bianco è, quindi, un tradimento del popolo del Sud Sudan.
- L'area di Sudd è un sito protetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'istruzione, la scienza e la cultura (UNESCO) e della Convenzione di Ramsar. Qualsiasi progetto che implichi l'uso delle sue risorse idriche richiede una ricerca internazionale credibile, trasparente e indipendente e una valutazione d'impatto per garantire sicurezza e sostenibilità.
- La priorità assoluta per il popolo del Sud Sudan ora è raggiungere una pace sostenibile, rimpatriare i rifugiati e reinsediare gli sfollati interni (IDP) nei loro luoghi originari, mettendo in atto meccanismi per la sicurezza e lo stato di diritto, fornitura di servizi essenziali ecc. .e quindi, non è questo il momento di impegnarsi in un progetto così grande, senza studi scientifici, poiché il Canale Jonglei determina la vita e il destino delle generazioni presenti e future del Sud Sudan.
- Poiché la popolazione del Sud Sudan è attualmente colpita da conflitti interni e guerra civile, più della metà della popolazione è fuggita dal paese per cercare rifugio e altri sono sfollati interni (IDP), e in assenza di un governo legittimo nel paese, mancanza di una costituzione nazionale che rifletta la volontà popolare su una questione così importante come il Canale Jonglei, la decisione del regime di Salva Kiir di riprendere in questo momento lo scavo del Canale Jonglei non è nell'interesse del popolo del sud Sudan.
- Infine, NAS esorta il popolo del Sud Sudan a rimanere fermo, unito e a difendere i propri diritti e doveri nei confronti delle generazioni attuali e future.
Le parole del Vescovo di Yei prima della sua ordinazione
“Costruiamo la Chiesa nell'amore, nel perdono”
Il Vescovo eletto della diocesi cattolica di Yei in Sud Sudan, mons. Alex Lodiong Sakor Eyobo, ha invitato il popolo di Dio a lavorare insieme e a far parte della Chiesa che promuove “l'amore e il perdono”.
Mons. Lodiong, nominato Vescovo della diocesi di Yei l'11 febbraio, si stava rivolgendo alla congregazione dopo essere stato ricevuto nel Seminario Maggiore St. Paul's a Juba lo scorso venerdì 22 aprile prima della sua ordinazione episcopale prevista per il 15 maggio.
“Lavoriamo insieme, costruiamo la Chiesa nell'amore e nel perdono”, mons. Lodiong ha detto ai membri della congregazione che lo hanno ricevuto dopo il suo ritorno da un viaggio a Roma e ha aggiunto: "Dobbiamo lavorare insieme per andare avanti in modo che alla fine diventiamo una sola famiglia".
Ha continuato: "Una volta che diventiamo una famiglia, possiamo anche diventare una famiglia nella nazione e una volta che siamo una famiglia nella nazione, allora ci sarà sempre la pace".
Il Vescovo eletto del Sud Sudan, che ha prestato servizio come Formatore, Insegnante e Tesoriere al Seminario Maggiore Nazionale St. Paul di Juba, succede al Vescovo Erkolano Lodu Tombe, 78 anni, che è stato al timone della diocesi del Sud Sudan dal novembre 1986.
Nel suo discorso del 22 aprile alla congregazione radunata per accoglierlo, mons. Lodiong ha evidenziato la necessità che il popolo di Dio nel Sud Sudan promuova virtù come “sincerità, veridicità, uguaglianza e giustizia” così come “gioia, amore e carità”.
“Dobbiamo essere ricchi di buon lavoro, sincerità, veridicità, uguaglianza e giustizia. Qualunque siano le cose buone che dici, devi esserne ricco", ha detto Mnsg Lodiong.
Il novello Vescovo che ha 51 anni, ha aggiunto: "Se siamo ricchi di un buon lavoro, alla fine, tutti faranno parte della ricchezza".
Ha affermato che «la gioia, l'amore e la carità sono virtù necessarie per la crescita spirituale e la promozione della Chiesa».
Originario della diocesi cattolica di Yei, mons. Lodiong è stato ordinato sacerdote nel giugno 2001 dopo aver completato gli studi di Filosofia e Teologia presso il St. Paul National Major Seminary.
L'allievo della Pontificia Università Urbaniana di Roma, dove ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica, ha ricoperto, sin dall'ordinazione sacerdotale, vari incarichi, tra cui Vicario Parrocchiale del Sacro Cuore, Lomin, Kajo Keji (2001-2002) e Segretario Generale di Diocesi di Yei (2002-2006).
Il Vescovo eletto del Sud Sudan ha ottenuto il Diploma in Informatica presso l'Università Cattolica dell'Africa Orientale (CUEA) con sede in Kenya nel 2003).
Ha anche proseguito gli studi in gestione finanziaria e amministrazione presso la Christian Organization Research and Advisory Trust of Africa (CORAT Africa) con sede a Nairobi dal 2006 al 2007.
Nella sua diocesi natale di Yei, ha anche ricoperto in precedenza il ruolo di Economo Diocesano, Coordinatore della Comunicazione e dell'Educazione, Cappellano Diocesano dei Giovani e Rettore del Seminario Minore Diocesano di Sant'Agostino.
Una volta ordinato Vescovo, Mons. Lodiong dovrebbe supervisionare la diocesi di Yei, che misura 46.000 km² con una popolazione stimata di 231.950 cattolici, che rappresentano il 49,1% della popolazione, secondo le statistiche del 2020.
By Patrick Juma Wani
Mons. Lodiong, nominato Vescovo della diocesi di Yei l'11 febbraio, si stava rivolgendo alla congregazione dopo essere stato ricevuto nel Seminario Maggiore St. Paul's a Juba lo scorso venerdì 22 aprile prima della sua ordinazione episcopale prevista per il 15 maggio.
“Lavoriamo insieme, costruiamo la Chiesa nell'amore e nel perdono”, mons. Lodiong ha detto ai membri della congregazione che lo hanno ricevuto dopo il suo ritorno da un viaggio a Roma e ha aggiunto: "Dobbiamo lavorare insieme per andare avanti in modo che alla fine diventiamo una sola famiglia".
Ha continuato: "Una volta che diventiamo una famiglia, possiamo anche diventare una famiglia nella nazione e una volta che siamo una famiglia nella nazione, allora ci sarà sempre la pace".
Il Vescovo eletto del Sud Sudan, che ha prestato servizio come Formatore, Insegnante e Tesoriere al Seminario Maggiore Nazionale St. Paul di Juba, succede al Vescovo Erkolano Lodu Tombe, 78 anni, che è stato al timone della diocesi del Sud Sudan dal novembre 1986.
Nel suo discorso del 22 aprile alla congregazione radunata per accoglierlo, mons. Lodiong ha evidenziato la necessità che il popolo di Dio nel Sud Sudan promuova virtù come “sincerità, veridicità, uguaglianza e giustizia” così come “gioia, amore e carità”.
“Dobbiamo essere ricchi di buon lavoro, sincerità, veridicità, uguaglianza e giustizia. Qualunque siano le cose buone che dici, devi esserne ricco", ha detto Mnsg Lodiong.
Il novello Vescovo che ha 51 anni, ha aggiunto: "Se siamo ricchi di un buon lavoro, alla fine, tutti faranno parte della ricchezza".
Ha affermato che «la gioia, l'amore e la carità sono virtù necessarie per la crescita spirituale e la promozione della Chiesa».
Originario della diocesi cattolica di Yei, mons. Lodiong è stato ordinato sacerdote nel giugno 2001 dopo aver completato gli studi di Filosofia e Teologia presso il St. Paul National Major Seminary.
L'allievo della Pontificia Università Urbaniana di Roma, dove ha conseguito la Licenza in Teologia Biblica, ha ricoperto, sin dall'ordinazione sacerdotale, vari incarichi, tra cui Vicario Parrocchiale del Sacro Cuore, Lomin, Kajo Keji (2001-2002) e Segretario Generale di Diocesi di Yei (2002-2006).
Il Vescovo eletto del Sud Sudan ha ottenuto il Diploma in Informatica presso l'Università Cattolica dell'Africa Orientale (CUEA) con sede in Kenya nel 2003).
Ha anche proseguito gli studi in gestione finanziaria e amministrazione presso la Christian Organization Research and Advisory Trust of Africa (CORAT Africa) con sede a Nairobi dal 2006 al 2007.
Nella sua diocesi natale di Yei, ha anche ricoperto in precedenza il ruolo di Economo Diocesano, Coordinatore della Comunicazione e dell'Educazione, Cappellano Diocesano dei Giovani e Rettore del Seminario Minore Diocesano di Sant'Agostino.
Una volta ordinato Vescovo, Mons. Lodiong dovrebbe supervisionare la diocesi di Yei, che misura 46.000 km² con una popolazione stimata di 231.950 cattolici, che rappresentano il 49,1% della popolazione, secondo le statistiche del 2020.
By Patrick Juma Wani
L'arcidiocesi di Juba da il benvenuto a Msgr. Alex Lodiong Sakor Eyobo
L'ordinazione episcopale avverrà in Yei domenica 15 maggio 2022
Guarda il video su:
https://publish.twitter.com/?query=https%3A%2F%2Ftwitter.com%2FLEquatoria%2Fstatus%2F1525376206174044160&widget=Tweet
https://publish.twitter.com/?query=https%3A%2F%2Ftwitter.com%2FLEquatoria%2Fstatus%2F1525376206174044160&widget=Tweet
29 aprile 2022
Decine di migliaia di rifugiati appena arrivati in Uganda hanno bisogno di un sostegno urgente
GINEVRA — Più di 35.000 rifugiati fuggiti in Uganda quest'anno in cerca di salvezza dalla violenza nella Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria.
L'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'UNHCR e 44 partner umanitari chiedono urgentemente 47,8 milioni di dollari per rispondere ai bisogni critici dei rifugiati appena arrivati.
L'Uganda ospita già oltre 1,5 milioni di rifugiati, la più grande popolazione di rifugiati del continente africano. Mentre i 35.000 rifugiati arrivati quest'anno costituiscono solo una piccola parte di quel numero, i loro bisogni sono comunque grandi.
Il portavoce dell'UNHCR Boris Cheshirkov ha affermato che un terzo di questi è arrivato nelle ultime tre settimane dalla Repubblica Democratica del Congo. Erano fuggiti dagli intensi combattimenti nelle province del Nord Kivu e dell'Ituri.
Sporadici scontri nello stato del Nilo occidentale del Sud Sudan hanno anche mandato migliaia di persone a fuggire in Uganda quest'anno. Cheshirkov ha affermato che una grande percentuale dei rifugiati quest'anno, come in passato, sono donne e bambini.
"In effetti, questa è una delle priorità che abbiamo", ha affermato. "La prevenzione e la risposta, ad esempio, alla violenza di genere per le esigenze di protezione dei bambini. Ma la cosa principale che dobbiamo fornire ora è un riparo, è cibo, sono articoli per la casa di base e queste cose sono necessarie con urgenza. Ed è per questo che abbiamo bisogno di quei fondi in questo momento”.
Cheshirkov ha affermato che l'appello ha lo scopo di sostenere una prima risposta di emergenza a un afflusso previsto di un massimo di 60.000 rifugiati in Uganda nella prima metà di quest'anno.
"Mentre continuano le segnalazioni di violenze nell'est della Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, questo appello rafforzerà anche la capacità dell'Uganda di accogliere più rifugiati in caso di ulteriore sfollamento", ha affermato. "I finanziamenti servono anche a sostenere urgentemente le forniture sanitarie necessarie, oltre all'acqua , servizi igienici e igienici necessari per prevenire la diffusione del COVID-19 e di altre malattie”.
Cheshirkov ha affermato che l'UNHCR sta lavorando con il governo dell'Uganda e con i partner umanitari per fornire assistenza di emergenza e protezione ai rifugiati nelle aree di confine. Ha aggiunto che sono stati compiuti sforzi per spostarli negli insediamenti di rifugiati il prima possibili
L'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'UNHCR e 44 partner umanitari chiedono urgentemente 47,8 milioni di dollari per rispondere ai bisogni critici dei rifugiati appena arrivati.
L'Uganda ospita già oltre 1,5 milioni di rifugiati, la più grande popolazione di rifugiati del continente africano. Mentre i 35.000 rifugiati arrivati quest'anno costituiscono solo una piccola parte di quel numero, i loro bisogni sono comunque grandi.
Il portavoce dell'UNHCR Boris Cheshirkov ha affermato che un terzo di questi è arrivato nelle ultime tre settimane dalla Repubblica Democratica del Congo. Erano fuggiti dagli intensi combattimenti nelle province del Nord Kivu e dell'Ituri.
Sporadici scontri nello stato del Nilo occidentale del Sud Sudan hanno anche mandato migliaia di persone a fuggire in Uganda quest'anno. Cheshirkov ha affermato che una grande percentuale dei rifugiati quest'anno, come in passato, sono donne e bambini.
"In effetti, questa è una delle priorità che abbiamo", ha affermato. "La prevenzione e la risposta, ad esempio, alla violenza di genere per le esigenze di protezione dei bambini. Ma la cosa principale che dobbiamo fornire ora è un riparo, è cibo, sono articoli per la casa di base e queste cose sono necessarie con urgenza. Ed è per questo che abbiamo bisogno di quei fondi in questo momento”.
Cheshirkov ha affermato che l'appello ha lo scopo di sostenere una prima risposta di emergenza a un afflusso previsto di un massimo di 60.000 rifugiati in Uganda nella prima metà di quest'anno.
"Mentre continuano le segnalazioni di violenze nell'est della Repubblica Democratica del Congo e nel Sud Sudan, questo appello rafforzerà anche la capacità dell'Uganda di accogliere più rifugiati in caso di ulteriore sfollamento", ha affermato. "I finanziamenti servono anche a sostenere urgentemente le forniture sanitarie necessarie, oltre all'acqua , servizi igienici e igienici necessari per prevenire la diffusione del COVID-19 e di altre malattie”.
Cheshirkov ha affermato che l'UNHCR sta lavorando con il governo dell'Uganda e con i partner umanitari per fornire assistenza di emergenza e protezione ai rifugiati nelle aree di confine. Ha aggiunto che sono stati compiuti sforzi per spostarli negli insediamenti di rifugiati il prima possibili
LO STEMMA EPISCOPALE DI PADRE CARLASSARE VESCOVO DI RUMBEK
Zelensky, il messaggio per la Pasqua Ortodossa dalla cattedrale di Santa Sofia a Kiev
Ortodossi: metropolita Hilarion su rinvio incontro tra il Papa e il Patriarca Kirill. “Eventi hanno reso necessari adeguamenti ai piani” “Gli eventi degli ultimi due mesi hanno reso necessari adeguamenti ai piani e il rinvio dell’incontro”.
Lo ha detto oggi il metropolita Hilarion, capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, commentando con i giornalisti la decisione – resa nota oggi dallo stesso Papa Francesco in un’intervista pubblicata dal quotidiano argentino La Nación – di rinviare l’incontro tra il Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia e Papa Francesco, che presumibilmente avrebbe potuto svolgersi la prossima estate. Il rinvio è dovuto ai problemi causati dagli eventi internazionali degli ultimi mesi, ha detto il metropolita Hilarion. Secondo quanto riporta l’agenzia russa interfax-religion in lingua inglese, Hilarion ha detto che “troppi problemi sorgerebbero ora durante i suoi preparativi”, aggiungendo che “aspetteremo un momento migliore per questo evento”. “L’accordo di tenere l’incontro nel 2022 è stato raggiunto nell’autunno del 2021”, ha poi affermato Hilarion. “Una delle possibili sedi dell’incontro era il Medio Oriente, per essere più precisi, Gerusalemme, forse a giugno. Tuttavia, la data e il luogo non sono mai stati annunciati. Inoltre, non abbiamo nemmeno iniziato a considerare la logistica dell’incontro e il suo contenuto”, ha detto. Il metropolita Hilarion ha ricordato il recente colloquio tra il Papa e il Patriarca, avvenuto in videoconferenza. È stato – ha sottolineato – “molto cordiale e di buon cuore”. “Li ha aiutati a discutere le questioni più critiche e lasceremo il resto per il futuro”, ha affermato il metropolita.
Tu che muori da ultimo, da ultimo anche Risorgi!
BUONA PASQUA DI RESURREZIONE A TUTTI
Padre Daniele, Padre Sergio e Simone
COMUNITA' COMBONIANA A CASTELVOLTURNO
Rumbek - Sud Sudan, 25 marzo 2022
Ordinazione a Vescovo di p. Christian Carlassare
Il 25 marzo padre Christian Carlassare è stato ordinato vescovo nella sua cattedrale della Sacra Famiglia a Rumbek, Chiesa del Sud Sudan della quale papa Francesco lo ha voluto guida e pastore. «Le celebrazioni sono state molto sentite da me e da tutti – ci scrive ad alcuni giorni di distanza – un buon incoraggiamento per il lavoro a venire... molto esigente, ma sotto la guida del Buon Pastore che mai abbandona e apre sempre nuovi cammini».
Una giornata storica, come la definisce un altro comboniano, padre Diego dalle Carbonare, di Cogollo del Cengio, ora in servizio a Kartoum, in Sudan. Il card. Gabriel Zubeir Wako, che ha presieduto la messa di consacrazione – durata oltre quattro ore e molto partecipata dalla gente di Rumbek con canti in dinka, inglese, latino e arabo – nella sua omelia ha sottolineato che il vescovo è chiamato a essere successore degli apostoli, i quali hanno dato la vita per l’Annuncio, nessuno di loro si è tirato indietro.
Alla fine della celebrazione, anche il nuovo vescovo ha preso la parola e in un passaggio chiave del suo intervento ha parlato di don Andrea Osman, il prete che dormiva nella stanza accanto a lui la notte dell’attentato (25 aprile 2021) ed è stato il primo a soccorrerlo. Di lui padre Christian ha detto: «Quest’uomo è mio fratello, il mio sangue e il suo sangue sono un unico sangue». Parole che, «per come sono state dette e per l’abbraccio che ne è seguito – osserva padre Diego – confermano che il vescovo Christian è tutt’uno con il popolo di Rumbek e del Sud Sudan».
Sud Sudan: ordinato vescovo Christian Carlassare
Sud Sudan: ordinato vescovo Christian Carlassarehttps://t.co/rPersPhx4z via @FacebookWatch
— LeCasettaperl'Equatoria (@LEquatoria) March 26, 2022
"Molto spesso, il lavoro di un vescovo è frainteso, specialmente dalla nostra gente. Molti vedono il vescovo come un grande uomo. Proprio come si vede un generale dell'esercito o un ministro... Credetemi, non sarete niente quando diventerete un vescovo. Guardate me. Vi sembro un uomo ricco? E sono vescovo dal 1975. Si potrebbe pensare che ormai, con una così lunga esperienza, quest'uomo abbia molti soldi, molte case o automobili. Invece Gesù ci ha detto che non è per questo che siamo qui". È questo uno dei passaggi centrali dell’omelia pronunciata dal cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo emerito di Khartoum, durante la cerimonia di ordinazione del nuovo vescovo di Rumbek, monsignor Christian Carlassare. “L'unica cosa che avrai da me - ha detto il porporato - è questa: Che il Signore ti benedica per aver accettato la sua chiamata".
Il cardinale Wako: grazie per essere vescovo qui
“Un vescovo - ha spiegato il cardinale Wako rivolgendosi ai fedeli - ha bisogno di persone che lo aiutino. I vescovi hanno bisogno di sostegno, e questo sostegno siete voi. Sostenete i vostri vescovi in modo che loro sostengano i poveri tra di voi”. Rivolgendosi direttamente a monsignor Carlassare, il porporato ha infine affermato: “Hai scelto di essere un vescovo qui. Grazie”.
Accanto al popolo di Rumbek
La cerimonia di ordinazione, che sarebbe dovuta avvenire lo scorso anno, è stata posticipata a causa della lunga riabilitazione dopo l’aggressione subita dal missionario comboniano.
Padre Christian è il vescovo italiano più giovane al mondo, posto alla guida di una diocesi che fu quella anche di un altro missionario comboniano, padre Cesare Mazzolari, morto nel 2011 pochi giorni prima della dichiarazione di indipendenza del Sud Sudan. Da quel momento, la diocesi di Rumbek era rimasta sede vacante.
Città del Vaticano 25 marzo 2022 - Paul Samasumo e Amedeo Lomonaco
Il cardinale Wako: grazie per essere vescovo qui
“Un vescovo - ha spiegato il cardinale Wako rivolgendosi ai fedeli - ha bisogno di persone che lo aiutino. I vescovi hanno bisogno di sostegno, e questo sostegno siete voi. Sostenete i vostri vescovi in modo che loro sostengano i poveri tra di voi”. Rivolgendosi direttamente a monsignor Carlassare, il porporato ha infine affermato: “Hai scelto di essere un vescovo qui. Grazie”.
Accanto al popolo di Rumbek
La cerimonia di ordinazione, che sarebbe dovuta avvenire lo scorso anno, è stata posticipata a causa della lunga riabilitazione dopo l’aggressione subita dal missionario comboniano.
Padre Christian è il vescovo italiano più giovane al mondo, posto alla guida di una diocesi che fu quella anche di un altro missionario comboniano, padre Cesare Mazzolari, morto nel 2011 pochi giorni prima della dichiarazione di indipendenza del Sud Sudan. Da quel momento, la diocesi di Rumbek era rimasta sede vacante.
Città del Vaticano 25 marzo 2022 - Paul Samasumo e Amedeo Lomonaco
Padre Christian Carlassare: «Con me c’è tutta la comunità cristiana»
Sud Sudan: intervista con il comboniano tra pochi giorni pastore di Rumbek
Alla vigilia della sua ordinazione vescovile e del ritorno tra la sua gente, il missionario ha ben chiaro le sfide pastorali e sociali che ha di fronte. E sull’attentato di un anno fa: «Mi sono riconciliato con quanto è successo e disposto al perdono vero del cuore»
Alla vigilia della sua ordinazione vescovile e del ritorno tra la sua gente, il missionario ha ben chiaro le sfide pastorali e sociali che ha di fronte. E sull’attentato di un anno fa: «Mi sono riconciliato con quanto è successo e disposto al perdono vero del cuore»
Il prossimo 25 marzo, festa dell’Annunciazione, padre Christian Carlassare sarà ordinato vescovo nella cattedrale di Rumbek, in Sud Sudan. La consacrazione era già fissata per il 23 maggio 2021, solennità di Pentecoste, ma era stata posticipata in seguito a un attentato che ha subito a Rumbek la notte del 25 aprile 2021, quando colpi di arma da fuoco sparati da un gruppo di persone piombate nella sua stanza, lo ferirono gravemente alle gambe.
A un anno da quel fatto, padre Christian, comboniano originario di Schio (Vicenza), viene ordinato vescovo di Rumbek, diocesi rimasta per otto anni senza pastore in seguito alla scomparsa del compianto e benvoluto monsignor Cesare Mazzolari. Abbiamo sentito padre Christian pochi giorni prima della sua partenza per il Sud Sudan. Il quarantacinquenne, a breve vescovo, che ha già speso 16 anni in missione tra la popolazione di etnia nuer, ci racconta le nuove sfide che incontrerà tra la popolazione denka.
Padre Christian, è passato un anno dall’attentato di Rumbek, come ha trascorso questi mesi? Come rilegge oggi quegli avvenimenti?
È stato per me come un anno sabbatico in cui mi sono dedicato sia alla riabilitazione delle gambe che a una rilettura di quanto successo alla luce del Vangelo e della chiamata che ho ricevuto nella Chiesa per la missione. Molte persone e comunità mi hanno dimostrato la loro solidarietà, sostenendomi con la loro preghiera e condividendo la loro esperienza di fede e lettura sapienziale degli eventi della vita.
L’attentato dell’anno scorso mi ha fatto riflettere sulla fragilità della mia vita stessa, come anche di ogni strategia e programma; e su quanto invece sia importante che io viva il quotidiano con coraggio e generosità. Un quotidiano che deve essere rivolto alle persone nell’ascolto e attenzione della dignità di ciascuno e nel desiderio di liberazione da quanto ancora oggi purtroppo schiavizza.
Opera che non sempre raccoglie il plauso o la cooperazione anche di chi dovrebbe lavorare in più stretto contatto. Quanto è successo a me servirà per purificare e far spazio all’opera di Dio. San Daniele Comboni usava dire che le opere di Dio, a differenza di quelle umane, nascono e crescono ai piedi della croce. E quindi mi sembra di poter intravedere la cura e la presenza di Dio in quanto è successo, per un maggior bene della missione e della Chiesa di Rumbek.
Sarà un cammino difficile e prego per la conversione e disponibilità mia come quella di tutte le persone di buona volontà che nutrono grandi speranze, come anche di chi si è lasciato condurre da una mentalità chiusa e divisiva. La nostra conversione è un miracolo sempre possibile. Nulla è impossibile a Dio.
Il 25 marzo inizierà il suo servizio come pastore della Chiesa di Rumbek. Quali sensazioni prova, che speranze e che preoccupazioni nutre in questi ultimi giorni di attesa?
Ho la sensazione di non essere più in controllo della mia vita e di quanto succederà, ma di essere portato da un popolo ad assumere questo ministero per il bene della comunità. Attraverso gli anni di intensa attività pastorale e missionaria in Sud Sudan, sedici in tutto e marcati da tanti eventi alcuni felici altri più sofferti, sento di appartenere alla Chiesa di questo paese e di essere ora con l’ordinazione episcopale interamente adottato.
La mia speranza è di operare come umile figlio della Chiesa e degno figlio della gente che Dio mi affida, un popolo che vuole vivere in convivenza pacifica dopo l’indipendenza raggiunta nel 2011, ma che ancora fatica a raggiungere la pace a causa delle tante divisioni. Qualcuno mi potrà vedere come vescovo “bianco”. E so di esserlo. Tuttavia, non mi sento diverso dalle mie pecore: abbiamo gli stessi occhi, le stesse mani, gli stessi piedi e lo stesso cuore.
Ciò che divide non è il colore della pelle, ma l’incapacità di aprire il cuore e mostrare il proprio apprezzamento per culture diverse che non negano l’umanità di ciascuno. L’unità arriva quando impariamo ad impostare le nostre relazioni sulla giusta considerazione e sull’accettazione reciproca.
La Chiesa di Rumbek l’attende certamente con ansia e l’accoglierà con gioia. Quali sono le maggiori sfide pastorali, sociali, etniche che incontrerà?
Le sfide sono innumerevoli. A causa del conflitto e della violenza provocata da una forte presenza di armi, la popolazione è molto polarizzata, frustrata e divisa: ci dovrà essere un grande impegno per promuovere distensione, ascolto e riconciliazione; e per superare una dinamica ostile molto radicata.
Dal punto di vista sociale la povertà è lampante, non perché manchino le risorse, ma perché la popolazione ha un accesso molto limitato ad esse, come anche ai servizi basilari: la Chiesa si trova ad essere solidale mettendo in atto progetti concreti per sostenere chi cerca di alzare la testa. Un forte impegno della diocesi riguarda l’educazione, volta ad offrire a bambini e giovani una istruzione e formazione integrale in ben 56 scuole sparse nel territorio, raggiungendo così quasi sedici mila studenti. E sostenendo altre scuole nei villaggi con cibo e materiale scolastico.
Non manca anche l’impegno nel campo della sanità. La solidarietà internazionale è molto sensibile e generosa, ma nel tempo si dovrà lavorare per dare fondamento locale a questi interventi perché siano sempre più sostenibili. La mia preoccupazione è che Cristo sia al centro di tutta l’opera della Chiesa perché è Lui il principio e il compimento di un vero processo di umanizzazione dei singoli e della società.
La Chiesa lavora per la pace, per la formazione integrale, per lo sviluppo sociale ed economico della società quando, attraverso le opere, evangelizza, offre dignità alle persone, le mobilita ad essere protagoniste del proprio riscatto. Molte persone sono disponibili a porre in atto questo cambiamento, e la grazia di Dio è sempre abbondante.
Con quale spirito ritorna a Rumbek dopo aver sperimentato in prima persona la violenza?
Desidero guardare ai futuri passi con fiducia. So di non essere solo. E mi sento in profonda solidarietà con tante persone che chiedono di avere un pastore che si prenda cura della gente che vive nell’abbandono. Ritorno con il desiderio di mettermi a servizio di questa Chiesa e percorrere il cammino con la gente, accogliendo tutto ciò che incontreremo nella fede di avere come compagno Gesù, la Sua Parola di vita e il suo messaggio di liberazione dei poveri, di coloro che sono umili e pronti al servizio vicendevole.
Per vivere questo sento importante l’essermi riconciliato con quanto è successo e disposto al perdono vero del cuore. Il male purtroppo trova sempre spazio. Errare è umano. Ma nessuno è condannato a rimanere nell’errore. Tutti, come cristiani, siamo chiamati a conversione e alla santità di vita.
Lei ha già in varie circostanze espresso il suo perdono per chi ha attentato alla sua persona. Ha avuto concrete dimostrazioni di solidarietà da parte della Chiesa ufficiale, dei fedeli e delle autorità del Sud Sudan e di Rumbek?
Sì, posso testimoniare di avere ricevuto la solidarietà e vicinanza della Santa Sede, dei vescovi e della Chiesa locale di Rumbek, così come anche del governo e della comunità civile. Conto che questo sostegno continui ad esserci anche nel cammino futuro quando ce ne sarà ancor più bisogno.
Prima di rientrare per la sua ordinazione episcopale cosa desidera dire alla sua Chiesa d’origine, ai suoi amici e benefattori?
So di esserci e di servire con serenità perché c’è una comunità cristiana alle mie spalle. Non sono partito solo e di testa mia. Ma perché tante persone mi hanno sempre sostenuto e sono sensibili all’opera missionaria, desiderosi di realizzare un mondo più giusto e fraterno a partire dai nostri territori. Non sono tempi facili, e sempre di più ci si rende conto che siamo sulla stessa barca e che, per avanzare dritti, bisogna remare insieme da entrambi i lati. Ognuno deve fare la propria parte.
Copyright © Nigrizia
A un anno da quel fatto, padre Christian, comboniano originario di Schio (Vicenza), viene ordinato vescovo di Rumbek, diocesi rimasta per otto anni senza pastore in seguito alla scomparsa del compianto e benvoluto monsignor Cesare Mazzolari. Abbiamo sentito padre Christian pochi giorni prima della sua partenza per il Sud Sudan. Il quarantacinquenne, a breve vescovo, che ha già speso 16 anni in missione tra la popolazione di etnia nuer, ci racconta le nuove sfide che incontrerà tra la popolazione denka.
Padre Christian, è passato un anno dall’attentato di Rumbek, come ha trascorso questi mesi? Come rilegge oggi quegli avvenimenti?
È stato per me come un anno sabbatico in cui mi sono dedicato sia alla riabilitazione delle gambe che a una rilettura di quanto successo alla luce del Vangelo e della chiamata che ho ricevuto nella Chiesa per la missione. Molte persone e comunità mi hanno dimostrato la loro solidarietà, sostenendomi con la loro preghiera e condividendo la loro esperienza di fede e lettura sapienziale degli eventi della vita.
L’attentato dell’anno scorso mi ha fatto riflettere sulla fragilità della mia vita stessa, come anche di ogni strategia e programma; e su quanto invece sia importante che io viva il quotidiano con coraggio e generosità. Un quotidiano che deve essere rivolto alle persone nell’ascolto e attenzione della dignità di ciascuno e nel desiderio di liberazione da quanto ancora oggi purtroppo schiavizza.
Opera che non sempre raccoglie il plauso o la cooperazione anche di chi dovrebbe lavorare in più stretto contatto. Quanto è successo a me servirà per purificare e far spazio all’opera di Dio. San Daniele Comboni usava dire che le opere di Dio, a differenza di quelle umane, nascono e crescono ai piedi della croce. E quindi mi sembra di poter intravedere la cura e la presenza di Dio in quanto è successo, per un maggior bene della missione e della Chiesa di Rumbek.
Sarà un cammino difficile e prego per la conversione e disponibilità mia come quella di tutte le persone di buona volontà che nutrono grandi speranze, come anche di chi si è lasciato condurre da una mentalità chiusa e divisiva. La nostra conversione è un miracolo sempre possibile. Nulla è impossibile a Dio.
Il 25 marzo inizierà il suo servizio come pastore della Chiesa di Rumbek. Quali sensazioni prova, che speranze e che preoccupazioni nutre in questi ultimi giorni di attesa?
Ho la sensazione di non essere più in controllo della mia vita e di quanto succederà, ma di essere portato da un popolo ad assumere questo ministero per il bene della comunità. Attraverso gli anni di intensa attività pastorale e missionaria in Sud Sudan, sedici in tutto e marcati da tanti eventi alcuni felici altri più sofferti, sento di appartenere alla Chiesa di questo paese e di essere ora con l’ordinazione episcopale interamente adottato.
La mia speranza è di operare come umile figlio della Chiesa e degno figlio della gente che Dio mi affida, un popolo che vuole vivere in convivenza pacifica dopo l’indipendenza raggiunta nel 2011, ma che ancora fatica a raggiungere la pace a causa delle tante divisioni. Qualcuno mi potrà vedere come vescovo “bianco”. E so di esserlo. Tuttavia, non mi sento diverso dalle mie pecore: abbiamo gli stessi occhi, le stesse mani, gli stessi piedi e lo stesso cuore.
Ciò che divide non è il colore della pelle, ma l’incapacità di aprire il cuore e mostrare il proprio apprezzamento per culture diverse che non negano l’umanità di ciascuno. L’unità arriva quando impariamo ad impostare le nostre relazioni sulla giusta considerazione e sull’accettazione reciproca.
La Chiesa di Rumbek l’attende certamente con ansia e l’accoglierà con gioia. Quali sono le maggiori sfide pastorali, sociali, etniche che incontrerà?
Le sfide sono innumerevoli. A causa del conflitto e della violenza provocata da una forte presenza di armi, la popolazione è molto polarizzata, frustrata e divisa: ci dovrà essere un grande impegno per promuovere distensione, ascolto e riconciliazione; e per superare una dinamica ostile molto radicata.
Dal punto di vista sociale la povertà è lampante, non perché manchino le risorse, ma perché la popolazione ha un accesso molto limitato ad esse, come anche ai servizi basilari: la Chiesa si trova ad essere solidale mettendo in atto progetti concreti per sostenere chi cerca di alzare la testa. Un forte impegno della diocesi riguarda l’educazione, volta ad offrire a bambini e giovani una istruzione e formazione integrale in ben 56 scuole sparse nel territorio, raggiungendo così quasi sedici mila studenti. E sostenendo altre scuole nei villaggi con cibo e materiale scolastico.
Non manca anche l’impegno nel campo della sanità. La solidarietà internazionale è molto sensibile e generosa, ma nel tempo si dovrà lavorare per dare fondamento locale a questi interventi perché siano sempre più sostenibili. La mia preoccupazione è che Cristo sia al centro di tutta l’opera della Chiesa perché è Lui il principio e il compimento di un vero processo di umanizzazione dei singoli e della società.
La Chiesa lavora per la pace, per la formazione integrale, per lo sviluppo sociale ed economico della società quando, attraverso le opere, evangelizza, offre dignità alle persone, le mobilita ad essere protagoniste del proprio riscatto. Molte persone sono disponibili a porre in atto questo cambiamento, e la grazia di Dio è sempre abbondante.
Con quale spirito ritorna a Rumbek dopo aver sperimentato in prima persona la violenza?
Desidero guardare ai futuri passi con fiducia. So di non essere solo. E mi sento in profonda solidarietà con tante persone che chiedono di avere un pastore che si prenda cura della gente che vive nell’abbandono. Ritorno con il desiderio di mettermi a servizio di questa Chiesa e percorrere il cammino con la gente, accogliendo tutto ciò che incontreremo nella fede di avere come compagno Gesù, la Sua Parola di vita e il suo messaggio di liberazione dei poveri, di coloro che sono umili e pronti al servizio vicendevole.
Per vivere questo sento importante l’essermi riconciliato con quanto è successo e disposto al perdono vero del cuore. Il male purtroppo trova sempre spazio. Errare è umano. Ma nessuno è condannato a rimanere nell’errore. Tutti, come cristiani, siamo chiamati a conversione e alla santità di vita.
Lei ha già in varie circostanze espresso il suo perdono per chi ha attentato alla sua persona. Ha avuto concrete dimostrazioni di solidarietà da parte della Chiesa ufficiale, dei fedeli e delle autorità del Sud Sudan e di Rumbek?
Sì, posso testimoniare di avere ricevuto la solidarietà e vicinanza della Santa Sede, dei vescovi e della Chiesa locale di Rumbek, così come anche del governo e della comunità civile. Conto che questo sostegno continui ad esserci anche nel cammino futuro quando ce ne sarà ancor più bisogno.
Prima di rientrare per la sua ordinazione episcopale cosa desidera dire alla sua Chiesa d’origine, ai suoi amici e benefattori?
So di esserci e di servire con serenità perché c’è una comunità cristiana alle mie spalle. Non sono partito solo e di testa mia. Ma perché tante persone mi hanno sempre sostenuto e sono sensibili all’opera missionaria, desiderosi di realizzare un mondo più giusto e fraterno a partire dai nostri territori. Non sono tempi facili, e sempre di più ci si rende conto che siamo sulla stessa barca e che, per avanzare dritti, bisogna remare insieme da entrambi i lati. Ognuno deve fare la propria parte.
Copyright © Nigrizia
Papa Francesco visiterà finalmente Giuba a luglio 2022.
Le informazioni dall'ambasciata vaticana in Sud Sudan rivelano che il Santo Padre, Papa Francesco visiterà ufficialmente il paese nel luglio 2022.
Monsignor Inout Paul ha detto oggi ai media che il pontefice visiterà per la prima volta la Repubblica Democratica del Congo dal 2 al 5 luglio 2022 e si collegherà a Giuba dal 5 al 7 dello stesso mese.
Il vescovo metropolita dell'arcidiocesi cattolica di Juba, H. G Stephen Ameyu Martin Mulla ha rivelato che l'obiettivo della visita del Papa è quello di solidarizzare con il popolo del Sud Sudan.
Il Pontefice ha fatto quattro visite nel continente africano da quando è diventato Papa nel 2013.
Tra i paesi africani ci sono: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana nel 2015, e Egitto nel 2017.
Baria Johnson.
Le informazioni dall'ambasciata vaticana in Sud Sudan rivelano che il Santo Padre, Papa Francesco visiterà ufficialmente il paese nel luglio 2022.
Monsignor Inout Paul ha detto oggi ai media che il pontefice visiterà per la prima volta la Repubblica Democratica del Congo dal 2 al 5 luglio 2022 e si collegherà a Giuba dal 5 al 7 dello stesso mese.
Il vescovo metropolita dell'arcidiocesi cattolica di Juba, H. G Stephen Ameyu Martin Mulla ha rivelato che l'obiettivo della visita del Papa è quello di solidarizzare con il popolo del Sud Sudan.
Il Pontefice ha fatto quattro visite nel continente africano da quando è diventato Papa nel 2013.
Tra i paesi africani ci sono: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana nel 2015, e Egitto nel 2017.
Baria Johnson.
BUONA PASQUA di RISURREZIONE 2022 – Ripartire dal Perdono
Ricordo che papa Francesco, quando nel 2015 ha indetto l’anno santo della misericordia, aveva confidato:“Ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia”. E ci ha fatto riflettere su una verità profonda e cioè che “La misericordia è la sostanza stessa del Vangelo”.
Dopo un anno dalla nomina a vescovo e dall’attacco di cui sono stato vittima, ritorno a Rumbek per l’ordinazione episcopale e per celebrare la Pasqua. Parto con in cuore sentimenti di rinnovato affidamento sia a Dio che mai abbandona, sia alla chiesa locale e comunità cristiana per camminare insieme mano nella mano.
La chiesa Sud Sudanese è una chiesa povera dove mancano sicurezze e mezzi, ma può contare sulla solidarietà e resilienza della gente. É una chiesa ferita e sofferente, ma non mancano fede e speranza nella guarigione. È una chiesa giovane che ha un lungo cammino da percorrere davanti ad essa. È una chiesa fragile e imperfetta che fa esperienza dell’amore compassionevole di Dio ed è chiamata ad essere testimone di misericordia.
La preghiera di Gesù ci è di grande conforto: “Io prego per loro perché sono tuoi. Custodiscili nel tuo amore perché siano una cosa sola. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv 17s). E la verità è che tutti abbiamo bisogno di misericordia. Dobbiamo accoglierla per fare verità nella nostra vita, per convertirci e scoprire che la vita è un dono che ci chiede di spenderci al servizio gli uni degli altri per la vita di tutti. La chiesa di Rumbek ha bisogno di verità e perdono. Il paese, poiché continuano purtroppo miseria e violenze, ha bisogno di verità e misericordia. Solo accogliendo questi doni ci sarà spazio per la pace.
Mi sono interrogato sul significato etimologico della parola misericordia. Viene da una parola latina che unisce il concetto di miseria o miserere, aver pietà, con il cuore cor o cordis. Significa avere il cuore impietosito o, meglio, nutrire in cuore un sentimento di compassione per la miseria morale o materiale altrui. Le miserie altrui mi stanno a cuore perché mi rimandano alla mia miseria colmata solo dall’amore misericordioso di Dio.
Avere un cuore aperto per ricevere i fratelli richiama molto da vicino quello che il mondo ebraico esprimeva con il termine rahamim. Questo termine parla di misericordia riferendosi alle viscere materne che accolgono la vita che nasce. La dinamica della misericordia allora vuole che si faccia spazio dentro di sé alla vita dell’altro: uno spazio di profonda comunione, di sentire con l’altro, di gioire con l’altro e di patire con l’altro. La misericordia quindi altro non è che l’appello di Dio contro l’egoismo, l’indifferenza e il rifiuto dell’altro. Indica invece l’accoglienza, la compassione, l’abbraccio dell’altro. E diventa capacità di allacciare rapporti e ricostruire relazioni laddove si erano interrotte.
Il 25 Marzo, festa dell’Annunciazione, sarò ordinato vescovo di Rumbek. Non è una ricorrenza che mi sono scelto, ma mi è stata data in dono. Il sì di Maria è una risposta bellissima al sì di Dio per l’umanità. Anch’io sono chiamato a ripetere il mio sì alla chiesa e al popolo del Sud Sudan in maniera forse un po' più radicale di quanto sia riuscito a vivere fino ad ora. Prego perché la gente di Rumbek possa anche dire il suo sì al cammino di chiesa da compiersi insieme. Per questo mi affido al Signore e alle vostre preghiere.
Custodisco nel cuore quanto scritto da sant’Agostino riguardo al suo ministero episcopale: “Pregate per me perché io sia in grado di portarne il peso. E sorreggetemi in modo che portiamo l'un l'altro i nostri pesi. Se Cristo non condividesse il nostro peso, ne resteremmo schiacciati; se egli non portasse noi, finiremmo per soccombere. Nel momento in cui mi dà timore l'essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell'incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza”.
Così mi dispongo a vivere questa Quaresima in attesa della Pasqua, perché nella misericordia possiamo ripartire ogni giorno e trovare vita nuova in Cristo.
BUONA PASQUA di RISURREZIONE
padre Christian Carlassare
vescovo eletto di Rumbek
Dopo un anno dalla nomina a vescovo e dall’attacco di cui sono stato vittima, ritorno a Rumbek per l’ordinazione episcopale e per celebrare la Pasqua. Parto con in cuore sentimenti di rinnovato affidamento sia a Dio che mai abbandona, sia alla chiesa locale e comunità cristiana per camminare insieme mano nella mano.
La chiesa Sud Sudanese è una chiesa povera dove mancano sicurezze e mezzi, ma può contare sulla solidarietà e resilienza della gente. É una chiesa ferita e sofferente, ma non mancano fede e speranza nella guarigione. È una chiesa giovane che ha un lungo cammino da percorrere davanti ad essa. È una chiesa fragile e imperfetta che fa esperienza dell’amore compassionevole di Dio ed è chiamata ad essere testimone di misericordia.
La preghiera di Gesù ci è di grande conforto: “Io prego per loro perché sono tuoi. Custodiscili nel tuo amore perché siano una cosa sola. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv 17s). E la verità è che tutti abbiamo bisogno di misericordia. Dobbiamo accoglierla per fare verità nella nostra vita, per convertirci e scoprire che la vita è un dono che ci chiede di spenderci al servizio gli uni degli altri per la vita di tutti. La chiesa di Rumbek ha bisogno di verità e perdono. Il paese, poiché continuano purtroppo miseria e violenze, ha bisogno di verità e misericordia. Solo accogliendo questi doni ci sarà spazio per la pace.
Mi sono interrogato sul significato etimologico della parola misericordia. Viene da una parola latina che unisce il concetto di miseria o miserere, aver pietà, con il cuore cor o cordis. Significa avere il cuore impietosito o, meglio, nutrire in cuore un sentimento di compassione per la miseria morale o materiale altrui. Le miserie altrui mi stanno a cuore perché mi rimandano alla mia miseria colmata solo dall’amore misericordioso di Dio.
Avere un cuore aperto per ricevere i fratelli richiama molto da vicino quello che il mondo ebraico esprimeva con il termine rahamim. Questo termine parla di misericordia riferendosi alle viscere materne che accolgono la vita che nasce. La dinamica della misericordia allora vuole che si faccia spazio dentro di sé alla vita dell’altro: uno spazio di profonda comunione, di sentire con l’altro, di gioire con l’altro e di patire con l’altro. La misericordia quindi altro non è che l’appello di Dio contro l’egoismo, l’indifferenza e il rifiuto dell’altro. Indica invece l’accoglienza, la compassione, l’abbraccio dell’altro. E diventa capacità di allacciare rapporti e ricostruire relazioni laddove si erano interrotte.
Il 25 Marzo, festa dell’Annunciazione, sarò ordinato vescovo di Rumbek. Non è una ricorrenza che mi sono scelto, ma mi è stata data in dono. Il sì di Maria è una risposta bellissima al sì di Dio per l’umanità. Anch’io sono chiamato a ripetere il mio sì alla chiesa e al popolo del Sud Sudan in maniera forse un po' più radicale di quanto sia riuscito a vivere fino ad ora. Prego perché la gente di Rumbek possa anche dire il suo sì al cammino di chiesa da compiersi insieme. Per questo mi affido al Signore e alle vostre preghiere.
Custodisco nel cuore quanto scritto da sant’Agostino riguardo al suo ministero episcopale: “Pregate per me perché io sia in grado di portarne il peso. E sorreggetemi in modo che portiamo l'un l'altro i nostri pesi. Se Cristo non condividesse il nostro peso, ne resteremmo schiacciati; se egli non portasse noi, finiremmo per soccombere. Nel momento in cui mi dà timore l'essere per voi, mi consola il fatto di essere con voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell'incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza”.
Così mi dispongo a vivere questa Quaresima in attesa della Pasqua, perché nella misericordia possiamo ripartire ogni giorno e trovare vita nuova in Cristo.
BUONA PASQUA di RISURREZIONE
padre Christian Carlassare
vescovo eletto di Rumbek
Papa Francesco a luglio sarà in Congo e Sud Sudan
Papa Francesco a luglio sarà in Congo e Sud SudanA Giuba dovrebbe esserci anche il primate anglicano Justin WelbyCittà del Vaticano, 3 mar. (askanews) – Il Papa torna in Africa: dal 2 al 7 luglio Francesco visiterà la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. Lo annuncia la sala stampa vaticana.
"Accogliendo l’invito dei rispettivi Capi di Stato e dei Vescovi, il Santo Padre Francesco compirà un Viaggio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo dal 2 al 5 luglio prossimi, visitando le città di Kinshasa e Goma, e in Sud Sudan dal 5 al 7 luglio, recandosi a Giuba”, ha dichiarato il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Il programma del viaggio sarà pubblicato a suo tempo”.Il viaggio in Sud Sudan, preannunciato da tempo, è stato sinora rinviato per motivi di sicurezza.
Il prossimo viaggio del pontefice argentino è a Malta il due e tre aprile prossimi.
A Giuba, capitale del Sud Sudan – Stato nato con il sostanzioso sostegno dei missionari cattolici – dovrebbe convergere, a quanto si apprende, il primate anglicano, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, con il quale Jorge Mario Bergoglio in questi anni ha portato avanti un comune impegno per la pace nel paese.
Ad aprile del 2019, quando ricevette in Vaticano per un ritiro spirituale di due giorni i leader politici delle contrapposte fazioni del Sud Sudan -il presidente della Repubblica Salva Kiir Mayardit, i vice presidenti designati Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio – il papa, a suggello della sua implorazione per la pace, si mise carponi per baciare loro le scarpe. “A voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore”, disse allora il papa. “Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due: sì. Anche queste siano dentro l’ufficio; davanti al popolo, le mani unite. Così da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi”.
A luglio del 2021 Francesco, insieme a Justin Welby ed al moderatore della Chiesa di Scozia Jim Wallace, inviò nel decennale dell’indipendenza del Sud Sudan un messaggio per chiedere maggiore impegno a favore di una pace ancora irrealizzata, tornando a prospettare una visita congiunta nel paese, già ipotizzata prima della pandemia, se i responsabili politici del paese scrivevano all’epoca i tre leader cristiai, sapranno avrebbero mantenuto le “ponderose promesse” fatte tre anni prima a Roma. “Quando via abbiamo scritto l’ultima volta a Natale, abbiamo pregato affinché poteste sperimentare una maggiore fiducia tra voi ed essere più generosi nel servizio al vostro popolo”, scrivevano il Papa, Welby e Wallace. “Da allora siamo stati lieti di constatare qualche piccolo progresso. Purtroppo il vostro popolo continua a vivere nella paura e nell’incertezza, e non ha fiducia che la sua nazione possa di fatto dar vita alla ‘giustizia, libertà e prosperità’ celebrate nel vostro inno nazionale. C’è ancora molto da fare in Sud Sudan per plasmare una nazione che rispecchi il regno di Dio, dove è rispettata la dignità di tutti e tutti sono riconciliati (cfr. 2 Corinzi 5). Ciò può esigere sacrificio personale da voi come leader – l’esempio di leadership di Cristo stesso lo mostra in modo potente – e oggi desideriamo che sappiate che siamo al vostro fianco mentre guardate al futuro e cercate di discernere di nuovo come servire al meglio tutto il popolo del Sud Sudan. Ricordiamo con gioia e rendimento di grazie lo storico incontro dei leader politici e religiosi del Sud Sudan in Vaticano nel 2019 e le ponderose promesse fatte in tale occasione. Preghiamo perché quelle promesse plasmino le vostre azioni, di modo che diventi possibile per noi venire in visita e celebrare di persona con voi e il vostro popolo, onorando i vostri contributi a una nazione che realizza le speranze del 9 luglio 2011. Nel frattempo, invochiamo su di voi e su tutti in Sud Sudan le benedizioni di Dio di fraternità e pace”.Papa Francesco è già stato in Africa. Dal 4 al 10 settembre 2019 ha visitato Mozambico, Madagascar e Isole Mauritius. Dal 25 al 30 novembre 2015 aveva si era recato in Kenya, Uganda e Repubblica centrafricana, dove da aveva aperto il giubileo della misericordia.
"Accogliendo l’invito dei rispettivi Capi di Stato e dei Vescovi, il Santo Padre Francesco compirà un Viaggio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo dal 2 al 5 luglio prossimi, visitando le città di Kinshasa e Goma, e in Sud Sudan dal 5 al 7 luglio, recandosi a Giuba”, ha dichiarato il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Il programma del viaggio sarà pubblicato a suo tempo”.Il viaggio in Sud Sudan, preannunciato da tempo, è stato sinora rinviato per motivi di sicurezza.
Il prossimo viaggio del pontefice argentino è a Malta il due e tre aprile prossimi.
A Giuba, capitale del Sud Sudan – Stato nato con il sostanzioso sostegno dei missionari cattolici – dovrebbe convergere, a quanto si apprende, il primate anglicano, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, con il quale Jorge Mario Bergoglio in questi anni ha portato avanti un comune impegno per la pace nel paese.
Ad aprile del 2019, quando ricevette in Vaticano per un ritiro spirituale di due giorni i leader politici delle contrapposte fazioni del Sud Sudan -il presidente della Repubblica Salva Kiir Mayardit, i vice presidenti designati Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio – il papa, a suggello della sua implorazione per la pace, si mise carponi per baciare loro le scarpe. “A voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore”, disse allora il papa. “Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due: sì. Anche queste siano dentro l’ufficio; davanti al popolo, le mani unite. Così da semplici cittadini diventerete Padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi”.
A luglio del 2021 Francesco, insieme a Justin Welby ed al moderatore della Chiesa di Scozia Jim Wallace, inviò nel decennale dell’indipendenza del Sud Sudan un messaggio per chiedere maggiore impegno a favore di una pace ancora irrealizzata, tornando a prospettare una visita congiunta nel paese, già ipotizzata prima della pandemia, se i responsabili politici del paese scrivevano all’epoca i tre leader cristiai, sapranno avrebbero mantenuto le “ponderose promesse” fatte tre anni prima a Roma. “Quando via abbiamo scritto l’ultima volta a Natale, abbiamo pregato affinché poteste sperimentare una maggiore fiducia tra voi ed essere più generosi nel servizio al vostro popolo”, scrivevano il Papa, Welby e Wallace. “Da allora siamo stati lieti di constatare qualche piccolo progresso. Purtroppo il vostro popolo continua a vivere nella paura e nell’incertezza, e non ha fiducia che la sua nazione possa di fatto dar vita alla ‘giustizia, libertà e prosperità’ celebrate nel vostro inno nazionale. C’è ancora molto da fare in Sud Sudan per plasmare una nazione che rispecchi il regno di Dio, dove è rispettata la dignità di tutti e tutti sono riconciliati (cfr. 2 Corinzi 5). Ciò può esigere sacrificio personale da voi come leader – l’esempio di leadership di Cristo stesso lo mostra in modo potente – e oggi desideriamo che sappiate che siamo al vostro fianco mentre guardate al futuro e cercate di discernere di nuovo come servire al meglio tutto il popolo del Sud Sudan. Ricordiamo con gioia e rendimento di grazie lo storico incontro dei leader politici e religiosi del Sud Sudan in Vaticano nel 2019 e le ponderose promesse fatte in tale occasione. Preghiamo perché quelle promesse plasmino le vostre azioni, di modo che diventi possibile per noi venire in visita e celebrare di persona con voi e il vostro popolo, onorando i vostri contributi a una nazione che realizza le speranze del 9 luglio 2011. Nel frattempo, invochiamo su di voi e su tutti in Sud Sudan le benedizioni di Dio di fraternità e pace”.Papa Francesco è già stato in Africa. Dal 4 al 10 settembre 2019 ha visitato Mozambico, Madagascar e Isole Mauritius. Dal 25 al 30 novembre 2015 aveva si era recato in Kenya, Uganda e Repubblica centrafricana, dove da aveva aperto il giubileo della misericordia.
Non dimenticare: aiutare e proteggere i civili in Sud Sudan (ed anche i profughi in Congo, Uganda e Kenya)
Con 4 milioni di persone, un terzo della sua popolazione, impossibilitate a tornare a casa, il Sud Sudan continua ad affrontare una delle più grandi crisi umanitarie e sfollate al mondo. Inondazioni terribili, cicli di violenza e la lenta attuazione della pace hanno peggiorato le cose. Eppure l'attenzione di donatori e diplomatici sta diminuendo
Nel 2022, la nazione dell'Africa orientale, povera e senza sbocco sul mare, continuerà ad affrontare immense – e probabilmente crescenti – tensioni politiche e bisogni umanitari. Come ha recentemente avvertito il massimo funzionario delle Nazioni Unite in Sud Sudan, l'accordo di pace del 2018, che ha posto fine ai combattimenti a livello nazionale, potrebbe essere minato da un'attuazione in stallo. Ciò rischierebbe un ritorno al tipo di violenza su larga scala che ha causato circa 400.000 morti dal 2013 fino alla dichiarazione di pace. Entro marzo 2022, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve rinnovare la sua missione di mantenimento della pace in Sud Sudan, nota come UNMISS. Ciò darà ai funzionari che si preoccupano del Sud Sudan, in particolare dei paesi vicini e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l'opportunità di evidenziare queste sfide e di intensificare gli sforzi per mantenere la pace sulla buona strada. Dovrebbero cogliere questa opportunità.
Gli Stati Uniti sono il più grande donatore umanitario del Sud Sudan e hanno un ruolo politico fondamentale. Eppure Washington è ostacolata nella sua risposta a causa della mancanza di rappresentanza politica e impegno di alto livello. Non c'è stato un ambasciatore degli Stati Uniti dalla metà del 2020 e una posizione di inviato speciale è vacante da agosto 2021.
Nel frattempo, la crisi umanitaria mostra ogni segno di peggioramento. I 2 milioni di sfollati interni (IDP) rimangono vulnerabili alla fame e alla rinnovata violenza, e alcuni affrontano ancora un altro rischio. Decine di migliaia di sfollati interni vivevano fino a poco tempo sotto la protezione diretta dell'UNMISS in quelli che sono noti come Protection of Civilian Sites (PoCs). Tuttavia, l'UNMISS ha ceduto il controllo di tutti questi siti tranne uno alle autorità del Sud Sudan e li ha ribattezzati campi per sfollati interni. La maggior parte degli sfollati interni che vivono in questi campi ridisegnati appartengono alle minoranze etniche del paese e vivono in aree dominate da forze che in precedenza avevano combattuto contro di loro. La mancanza di progressi nelle riforme del settore della sicurezza delineate nell'accordo di pace del 2018 ha portato a una situazione precaria.
Questo significa pericolo. Nel prossimo anno, anche se l'UNMISS si concentra sul sostegno a una più ampia attuazione della pace, deve mantenere l'attenzione sulla protezione dei civili. Sebbene l'UNMISS cerchi di scoraggiare la violenza e proteggere una fascia più ampia di civili spostandosi verso pattuglie a raggio più ampio e basi operative temporanee in potenziali punti caldi, deve fare di più. Dovrebbe mantenere una presenza preventiva e una capacità di risposta rapida sopra o vicino agli ex PoC, che a loro volta rimarranno punti caldi per rinnovate violenze. La missione dovrebbe anche astenersi dal trasferire il PoC finale a Malakal fino a quando non ci saranno sufficienti disposizioni di sicurezza locale, piani di transizione chiari sviluppati con sfollati interni e umanitari e garanzie di una presenza UNMISS sostenuta.
Mentre il Consiglio di sicurezza si prepara a rinnovare il mandato dell'UNMISS, l'ampiezza dei compiti della missione merita risorse aggiuntive. Tuttavia, date le emergenze globali in competizione, ciò rimane improbabile. A corto di nuove risorse per la missione, una strategia efficace per proteggere i civili richiederà ai membri del Consiglio di sicurezza e ai donatori di intensificare l'impegno diplomatico e l'assistenza umanitaria. L'UNMISS, da parte sua, dovrà bilanciare attentamente l'uso delle sue risorse esistenti effettuando valutazioni del rischio regolarmente aggiornate dei PoC ridisegnati.
Mentre il Sud Sudan entra nel suo secondo decennio come nazione, il suo popolo, in particolare gli sfollati interni ed esterni, deve ancora affrontare sfide immense. Non è il momento di dimenticarli
Nel 2022, la nazione dell'Africa orientale, povera e senza sbocco sul mare, continuerà ad affrontare immense – e probabilmente crescenti – tensioni politiche e bisogni umanitari. Come ha recentemente avvertito il massimo funzionario delle Nazioni Unite in Sud Sudan, l'accordo di pace del 2018, che ha posto fine ai combattimenti a livello nazionale, potrebbe essere minato da un'attuazione in stallo. Ciò rischierebbe un ritorno al tipo di violenza su larga scala che ha causato circa 400.000 morti dal 2013 fino alla dichiarazione di pace. Entro marzo 2022, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve rinnovare la sua missione di mantenimento della pace in Sud Sudan, nota come UNMISS. Ciò darà ai funzionari che si preoccupano del Sud Sudan, in particolare dei paesi vicini e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l'opportunità di evidenziare queste sfide e di intensificare gli sforzi per mantenere la pace sulla buona strada. Dovrebbero cogliere questa opportunità.
Gli Stati Uniti sono il più grande donatore umanitario del Sud Sudan e hanno un ruolo politico fondamentale. Eppure Washington è ostacolata nella sua risposta a causa della mancanza di rappresentanza politica e impegno di alto livello. Non c'è stato un ambasciatore degli Stati Uniti dalla metà del 2020 e una posizione di inviato speciale è vacante da agosto 2021.
Nel frattempo, la crisi umanitaria mostra ogni segno di peggioramento. I 2 milioni di sfollati interni (IDP) rimangono vulnerabili alla fame e alla rinnovata violenza, e alcuni affrontano ancora un altro rischio. Decine di migliaia di sfollati interni vivevano fino a poco tempo sotto la protezione diretta dell'UNMISS in quelli che sono noti come Protection of Civilian Sites (PoCs). Tuttavia, l'UNMISS ha ceduto il controllo di tutti questi siti tranne uno alle autorità del Sud Sudan e li ha ribattezzati campi per sfollati interni. La maggior parte degli sfollati interni che vivono in questi campi ridisegnati appartengono alle minoranze etniche del paese e vivono in aree dominate da forze che in precedenza avevano combattuto contro di loro. La mancanza di progressi nelle riforme del settore della sicurezza delineate nell'accordo di pace del 2018 ha portato a una situazione precaria.
Questo significa pericolo. Nel prossimo anno, anche se l'UNMISS si concentra sul sostegno a una più ampia attuazione della pace, deve mantenere l'attenzione sulla protezione dei civili. Sebbene l'UNMISS cerchi di scoraggiare la violenza e proteggere una fascia più ampia di civili spostandosi verso pattuglie a raggio più ampio e basi operative temporanee in potenziali punti caldi, deve fare di più. Dovrebbe mantenere una presenza preventiva e una capacità di risposta rapida sopra o vicino agli ex PoC, che a loro volta rimarranno punti caldi per rinnovate violenze. La missione dovrebbe anche astenersi dal trasferire il PoC finale a Malakal fino a quando non ci saranno sufficienti disposizioni di sicurezza locale, piani di transizione chiari sviluppati con sfollati interni e umanitari e garanzie di una presenza UNMISS sostenuta.
Mentre il Consiglio di sicurezza si prepara a rinnovare il mandato dell'UNMISS, l'ampiezza dei compiti della missione merita risorse aggiuntive. Tuttavia, date le emergenze globali in competizione, ciò rimane improbabile. A corto di nuove risorse per la missione, una strategia efficace per proteggere i civili richiederà ai membri del Consiglio di sicurezza e ai donatori di intensificare l'impegno diplomatico e l'assistenza umanitaria. L'UNMISS, da parte sua, dovrà bilanciare attentamente l'uso delle sue risorse esistenti effettuando valutazioni del rischio regolarmente aggiornate dei PoC ridisegnati.
Mentre il Sud Sudan entra nel suo secondo decennio come nazione, il suo popolo, in particolare gli sfollati interni ed esterni, deve ancora affrontare sfide immense. Non è il momento di dimenticarli
Dimissioni e Nomina del Nuovo Vescovo di Yei (Sud Sudan)
Congratulazioni padre Alex Lodiong Sakor per aver assunto il ruolo di vescovo della diocesi cattolica di Yei. Preghiamo affinché questo viaggio possa avere successo mentre ti affidiamo a Gesù il Buon Pastore
Città del Vaticano (Agenzia Fides)
Il Santo Padre Francesco l'11 Febbraio 2022 ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Yei (SudSudan), presentata da SE Mons. Erkolano Lodu Tombe.
Città del Vaticano (Agenzia Fides)
Il Santo Padre Francesco l'11 Febbraio 2022 ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Yei (SudSudan), presentata da SE Mons. Erkolano Lodu Tombe.
Il Santo Padre ha nominato Vescovo della medesima Diocesi il Rev.do Alex Lodiong Sakor Eyobo, del clero di Yei, finora Formatore, Insegnante e Tesoriere del Seminario Maggiore Nazionale St.Paul di Juba.
L'ordinazione del vescovo eletto Msgr Alex Lodiong Sakor è riprogrammata per il 15 maggio 2022 a causa di disposizione pastorale del NunzioApostolico del Sud Sudan e Kenya
CURRICULUM VITAE
SE Mons. Alex Lodiong Sakor Eyobo è nato il 26 gennaio 1971 a Wudu (diocesi di Yei).
È entrato nel Seminario St. Mary Minor di Juba (1989-1993) e ha frequentato il Seminario Maggiore Nazionale St.Paul per i corsi di Filosofia e Teologia, conseguendo il Diploma (1996) e il Baccalaureato (2000).
Il 24 giugno 2001 è stato ordinato sacerdote per la Diocesi di Yei.
Dopo l'ordinazione sacerdotale ha svolto i seguenti incarichi e studi:
Vicario Parrocchiale del Sacro Cuore, Lomin, Kajo Keji (2001-2002);
Diploma in Informatica presso l'Università Cattolica dell'Africa Orientale, Nairobi, Kenia (2002-2003);
Segretario Generale della Diocesi di Yei( 2002-2006);
Studi in Gestione e amministrazione finanziaria presso CORAT Africa, Nairobi, Kenya (2006-2007);
Segretario Generale, Economo Generale diocesano, Coordinatore della Comunicazione e dell'Educazione (2006-2008);
Cappellano Diocesano della Gioventù (2008-2013);
Rettore del Seminario Minore Dicesano Sant'Agostino di Yei (2013-2014);
Licenza in Teologia Biblica presso l'Università Urbaniana di Roma (2014-2018).
Dal 2018 ad oggi è stato Formatore, Docente e Tesoriere del Seminario Maggiore Nazionale St.Paul di Juba.
*****
“Questa nomina è una risposta all'appaello di Sua Eccelenza Ercolano Lodu alla comunità cristiana fatto il 8/8/21”
VNS – SUD SUDAN Appello vescovo di Yei: mancano sacerdoti, preghiamo per nuove vocazioniVNS – SUD SUDAN Appello vescovo di Yei: mancano sacerdoti, preghiamo per nuove vocazioni
(VNS) – 15ago21 – Con un territorio di 46mila kmq, la diocesi di Yei, in Sud Sudan, è tra le più grandi del Paese. Comprende, infatti, due contee: quella di Mundri, nello Stato dell’Equatoria Occidentale, e quella di Yei, nell’Equatoria Centrale. Ma nonostante la vastità dell’area amministrata, la diocesi conta soltanto 12 sacerdoti, tra cui il vescovo, Monsignor Erkolano Lodu Tombe. Una cifra decisamente troppo bassa per andare incontro alle necessità di tutti i cattolici ed aiutarli a crescere nella fede. Per questo, nell’omelia di domenica scorsa, 8 agosto, presieduta nella Cattedrale locale intitolata al “Cristo Re”, il presule ha lanciato un appello affinché si preghi per nuove vocazioni.
Ma non solo: Monsignor Tombe ha invitato anche sia il Sudan che il Sud Sudan a “condividere i sacerdoti, perché la Chiesa cattolica ha un solo scopo, ovvero la missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli”. "Ci appelliamo alle diocesi del Sud Sudan e del Sudan – ha detto il vescovo di Yei - affinché mandino i loro sacerdoti tra noi. Siamo tutti un’unica Chiesa missionaria; per questo, dobbiamo essere generosi, non egoisti; dobbiamo donare i nostri figli e le nostre figlie affinché vadano nel mondo per servire”. “Noi siamo troppo pochi – ha rimarcato il presule - Chiediamo alle altre diocesi di guardare, con generosità, alla grande fede di Yei e di sostenerci”.
L’appello è stato esteso anche ai “missionari che operano all’interno del Sud Sudan, così come a quelli che prestano servizio in tutto il mondo”. Al contempo, tutti i cristiani sono stati esortati a “pregare per i seminaristi che stanno percorrendo il loro cammino di formazione, affinché possano giungere all’ordinazione sacerdotale”, perché “la Chiesa ha bisogno di sacerdoti per servire il ministero di Dio”. “Aggiungo la mia voce – ha rimarcato Monsignor Tombe – per invitare tutta la comunità cristiana a pregare per nuove vocazioni. Abbiamo bisogno di sacerdoti”.
Vatican News Service – IP
Notizie del Sud sudan, 4 febbraio 2022
3/2/2022 (JUBA) Barnaba Maria Benjamin è stato incaricato dal presidente Salva Kiir per guidare i colloqui con l'Alleanza del movimento di opposizione del Sud Sudan (SSOMA)
I colloqui sono mediati dalla comunità di Sant'Egidio a Roma, Italia.
L'anno scorso, le parti coinvolte nei colloqui di Roma hanno firmato un accordo. A oggi parteciperanno anche il Fronte Unito del Sud Sudan (SSUF) guidato da Malong e il Real SPLM guidato da Amum. Non è chiaro se il Fronte di salvezza nazionale (NAS) guidato da Cirillo parteciperà
La Farmacia di Moses Dian è qui da molto tempo prima che il Sudan si separesse in due stati, cosa che avvenne dopo un referendum per l'indipendenza. Da quel voto ci sono stati 10 anni di alti e bassi.
Nel frattempo Mosè è sopravvissuto sia alla guerra nel 2013 sia all'altra nel 2016.
Oggi la sua speranza è che il governo istituito lo scorso anno dia unità e stabilizzi l'economia. "Vorrei che tutti potessero prosperare nei loro affari, avere più sicurezza dal governo e tutte le proprietà del governo avessero libero scambio e libero mercato. Tutto ciò che desideriamo è che questa liberalizzazione, come noi abbiamo tenuto fede al nostro patto di fiducia e alla nostra parola, si concretizzi"
Il Sudan ha ricevuto miliardi di dollari di sostegno finanziario dalla comunità internazionale.
Purtroppo le tensioni tra Salva Kiir e Machar fanno si che, invece di avere un ritorno verso il progresso economico, l'economia basata principalmente sul petrolio è in affanno, e i servizi di base sono troppo costosi per i poveri.
"In una situazione normale di sana economia e visto che l'economia è un contesto molto importante, il bilancio delle entrate non dovrebbe dipendere solo da un singolo elemento, ma avere una fonte di reddito diversificata e non basarsi su una singola merce come il petrolio (che ha molti rischi soprattutto nel mercato internazionale quando i prezzi del petrolio potrebbero scendere o a volte oscillare o potrebbe finire). Questo è occuparsi di economia "
L'elevata disoccupazione, l'aumento dell'inflazione e la crisi valutaria non stanno rendendo la vita quotidiana più facile. I commercianti di denaro si trovano ovunque in città e alcune persone preferiscono cambiare la propria valuta estera sul mercato nero perché il tasso è più alto della banca, il che significa che si può ottenere un miglior rapporto qualità-prezzo.
Il presidente Kiir incolpa le sanzioni internazionali per l'economia insoddisfacente del SudSudan, quindi c'è una crescente crisi umanitaria. Al momento ci sono sette milioni di persone nello stato precario, il che significa che le loro esigenze di sicurezza alimentare non sono completamente soddisfatte. Ma ci sono anche gruppi abbastanza grandi sotto la diretta minaccia della fame.
Il Sudsudan è un paese strano. Questa crisi è molto brutta benchè localizzata perché da un lato ci sono aree che sono aree di produzione alimentare ma dall'altra parte del paese c'è la fame.
Si sono verificati alcuni sviluppi delle infrastrutture, strade stanche vengono costruite per cercare di collegare di più il paese e questo è visto come un inizio, ma molti economisti affermano che una pace duratura è ciò che è veramente necessario per far avanzare l'economia.
Haru Mutasa, (Al Jazera) - Juba
Nel frattempo Mosè è sopravvissuto sia alla guerra nel 2013 sia all'altra nel 2016.
Oggi la sua speranza è che il governo istituito lo scorso anno dia unità e stabilizzi l'economia. "Vorrei che tutti potessero prosperare nei loro affari, avere più sicurezza dal governo e tutte le proprietà del governo avessero libero scambio e libero mercato. Tutto ciò che desideriamo è che questa liberalizzazione, come noi abbiamo tenuto fede al nostro patto di fiducia e alla nostra parola, si concretizzi"
Il Sudan ha ricevuto miliardi di dollari di sostegno finanziario dalla comunità internazionale.
Purtroppo le tensioni tra Salva Kiir e Machar fanno si che, invece di avere un ritorno verso il progresso economico, l'economia basata principalmente sul petrolio è in affanno, e i servizi di base sono troppo costosi per i poveri.
"In una situazione normale di sana economia e visto che l'economia è un contesto molto importante, il bilancio delle entrate non dovrebbe dipendere solo da un singolo elemento, ma avere una fonte di reddito diversificata e non basarsi su una singola merce come il petrolio (che ha molti rischi soprattutto nel mercato internazionale quando i prezzi del petrolio potrebbero scendere o a volte oscillare o potrebbe finire). Questo è occuparsi di economia "
L'elevata disoccupazione, l'aumento dell'inflazione e la crisi valutaria non stanno rendendo la vita quotidiana più facile. I commercianti di denaro si trovano ovunque in città e alcune persone preferiscono cambiare la propria valuta estera sul mercato nero perché il tasso è più alto della banca, il che significa che si può ottenere un miglior rapporto qualità-prezzo.
Il presidente Kiir incolpa le sanzioni internazionali per l'economia insoddisfacente del SudSudan, quindi c'è una crescente crisi umanitaria. Al momento ci sono sette milioni di persone nello stato precario, il che significa che le loro esigenze di sicurezza alimentare non sono completamente soddisfatte. Ma ci sono anche gruppi abbastanza grandi sotto la diretta minaccia della fame.
Il Sudsudan è un paese strano. Questa crisi è molto brutta benchè localizzata perché da un lato ci sono aree che sono aree di produzione alimentare ma dall'altra parte del paese c'è la fame.
Si sono verificati alcuni sviluppi delle infrastrutture, strade stanche vengono costruite per cercare di collegare di più il paese e questo è visto come un inizio, ma molti economisti affermano che una pace duratura è ciò che è veramente necessario per far avanzare l'economia.
Haru Mutasa, (Al Jazera) - Juba
L'Ambasciatore cinese Hua Ning, con l'equipe medica, in visita all'orfanotrofio di Juba. 1 febbraio 2022
Costruzione della pace
Il commissario assicura ai cittadini di Yei la costruzione di strade Juba-Yei-Kaya in corso
Il Commissario Cyrus sottolinea il valore della strada per i cittadini.
Invita i leader a fornire un servizio ai cittadini piuttosto che a vantaggio personale.
“Questa strada non andrà a beneficio di noi come generazione vivente oggi, ma andrà a beneficio dei nostri figli, delle nostre generazioni che verranno davanti a noi. Quindi ciò che faremo non dovrebbe essere per noi stessi, ma non vediamo l'ora di fare ciò che andrà a beneficio del futuro di questo paese, di Central Equatoria, della contea di Yei River e del futuro della popolazione dello stato di Central Equatoria, sottolinea il commissario .
Invita i leader di Yei, Central Equatoria State e i governi nazionali a lavorare per lo sviluppo del Paese.
“Il Paese ha bisogno del nostro sforzo collettivo come figli e figlie di Morobo per lavorare insieme perché abbiamo le risorse come Marram. Quindi ha bisogno di stare insieme e sto consigliando alla gente di Morobo di collaborare con l'impresa edile,"sia che la strada passi davanti a casa tua sia ad una piantagione di zecche". Perché la rete stradale è uno sviluppo in sé e ti avvicina tutto ciò che volevi. Quindi questa è un'iniziativa molto importante presa dal governo nazionale e dallo stato e apprezziamo l'iniziativa. Ci auguriamo che ci saranno investimenti in arrivo nella contea di Morobo in particolare e nella grande area di Yei in generale, afferma Mawa.
Il Paese ha bisogno che tutti noi lavoriamo insieme per portare lo sviluppo nelle nostre contee in modo che le generazioni possano godere dei benefici di questo Paese. E' il nostro ruolo di leader del momento attuale”, aggiunge.
Il capo delle contee ha parlato alla radio Easter a Yei questo pomeriggio all'arrivo da Juba in una telefonata nazionale.
La costruzione della strada Juba-Yei-Kaya è un'iniziativa del governo nazionale per consentire la circolazione di beni e servizi e per mettere in atto infrastrutture e migliorare gli standard di vita dei cittadini.
Il Commissario Cyrus sottolinea il valore della strada per i cittadini.
Invita i leader a fornire un servizio ai cittadini piuttosto che a vantaggio personale.
“Questa strada non andrà a beneficio di noi come generazione vivente oggi, ma andrà a beneficio dei nostri figli, delle nostre generazioni che verranno davanti a noi. Quindi ciò che faremo non dovrebbe essere per noi stessi, ma non vediamo l'ora di fare ciò che andrà a beneficio del futuro di questo paese, di Central Equatoria, della contea di Yei River e del futuro della popolazione dello stato di Central Equatoria, sottolinea il commissario .
Invita i leader di Yei, Central Equatoria State e i governi nazionali a lavorare per lo sviluppo del Paese.
“Il Paese ha bisogno del nostro sforzo collettivo come figli e figlie di Morobo per lavorare insieme perché abbiamo le risorse come Marram. Quindi ha bisogno di stare insieme e sto consigliando alla gente di Morobo di collaborare con l'impresa edile,"sia che la strada passi davanti a casa tua sia ad una piantagione di zecche". Perché la rete stradale è uno sviluppo in sé e ti avvicina tutto ciò che volevi. Quindi questa è un'iniziativa molto importante presa dal governo nazionale e dallo stato e apprezziamo l'iniziativa. Ci auguriamo che ci saranno investimenti in arrivo nella contea di Morobo in particolare e nella grande area di Yei in generale, afferma Mawa.
Il Paese ha bisogno che tutti noi lavoriamo insieme per portare lo sviluppo nelle nostre contee in modo che le generazioni possano godere dei benefici di questo Paese. E' il nostro ruolo di leader del momento attuale”, aggiunge.
Il capo delle contee ha parlato alla radio Easter a Yei questo pomeriggio all'arrivo da Juba in una telefonata nazionale.
La costruzione della strada Juba-Yei-Kaya è un'iniziativa del governo nazionale per consentire la circolazione di beni e servizi e per mettere in atto infrastrutture e migliorare gli standard di vita dei cittadini.
Gallagher: la diplomazia dei valori per favorire l’incontro dei popoli
20 gennaio 2022
Nel suo intervento all’incontro “La diplomazia dei valori e lo sviluppo”, organizzato a Roma dall’associazione “Carità Politica”, il segretario per i Rapporti con gli Stati ha sottolineato che davanti alle sfide comuni che richiedono soluzioni condivise, “la diplomazia dei valori mira a promuovere il bene della famiglia umana al di là di ogni interesse particolare”
Nelle relazioni fra gli Stati, per affrontare le sfide globali di oggi, “serve andare oltre la normalità o la semplice ripetizione di cliché e di formule preordinate, sulla cui efficacia la prassi internazionale pone non pochi dubbi e riserve”. Per questo “occorre restare in mare aperto, navigando nell’orizzonte della più vasta carità”. Nell’intervento pronunciato questo pomeriggio in occasione dell’incontro “La diplomazia dei valori e lo sviluppo”, organizzato dall’associazione “Carità politica” presso l’aula Pio XI di Palazzo San Calisto a Roma, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario della Segreteria di Stato per i rapporti con gli Stati, ha sintetizzato così il senso e la prospettiva dei rapporti internazionali in un contesto, quello attuale, inedito nella sua complessità e che per questo richiede strumenti, e modelli, nuovi. O rinnovati.
All’evento promosso, come si accennava, dall’associazione di diritto pontificio ed ente morale riconosciuto dallo Stato italiano e presieduta da Alfredo Luciani, hanno partecipato 35 fra ambasciatori e rappresentanti diplomatici. Fra questi l’ambasciatore del Guatemala presso la Santa Sede, Alfredo Vásquez Rivera, che ha tenuto l’altro intervento previsto oltre a quello del presule. Una comunità, quella periodicamente riunita, e formata con impegno encomiabile, da Carità politica, fondata sulla condivisione dei valori del rispetto reciproco, del dialogo religioso, dello sviluppo equo e sostenibile. Una comunità che da Roma (il gruppo è esteso anche ai diplomatici accreditati presso lo Stato italiano) e dalla Città del Vaticano guarda al mondo e alla quale è stato dedicato il volume “La diplomazia dei valori e sviluppo”, realizzato dalla stessa associazione e distribuito ai partecipanti. “La diplomazia dei valori può veramente ispirare l’azione dei governi – ha detto l’arcivescovo Gallagher nel corso del suo intervento -. Infatti, davanti alle sfide comuni che richiedono alla Comunità internazionale di trovare soluzioni condivise, la diplomazia dei valori mirata a promuovere il bene della famiglia umana al di là di ogni interesse particolare risulta particolarmente idonea per promuovere lo stile multilaterale che ha caratterizzato i rapporti internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale e che oggi è diventato essenziale”.
La diplomazia pontificia, ha ricordato Gallagher, cerca di “ricollocare situazioni concrete nella prospettiva realistica del bene comune e dell’umanesimo”. Il traguardo dell’azione conseguente dunque deve necessariamente mirare ai valori che favoriscono nel concreto lo sviluppo umano integrale. Il quale, per essere tale, ha ricordato il presule citando la Populorum progressio, deve essere “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Oggi però, rispetto a diritti che la Dichiarazione universale del 1948 voleva validi sempre, in ogni epoca, luogo e cultura, “si nota – ha spiegato il presule - una presa di distanza”, “quasi che il senso profondo dei diritti umani sia contestualizzabile”. Di fatto, “la tentazione moderna e post-moderna” è di considerare i diritti umani “negando il loro nesso all’umanità su cui sono fondati, collocandoli in una prospettiva soggettivistica”, così che essi finiscono con il diventare semplice espressione di gruppi di interesse particolari. “Tale fenomeno – ha spiegato ancora l’arcivescovo, che ha citato più volte il compianto arcivescovo Aldo Giordano, già nunzio presso l’Unione europea – è ben percepibile alla luce delle rivendicazioni sempre più insistenti di gruppi radicali che emergono da ideologie legate alla cosiddetta Cancel culture” e che “si presentano spesso come portavoce delle vittime di alcune forme specifiche di discriminazione”, “rinchiudendosi in una difesa ad oltranza della propria identità, in ultimo intollerante nei confronti di qualsiasi altro pensiero”.
Si tratta di tendenze che sono alla base di quella “colonizzazione ideologica” di cui parla Papa Francesco, il quale invece, nella Fratelli tutti insiste su una “società in cui il valore come esseri umani è senz’altro più importante di qualsiasi gruppo minore, sia esso la famiglia, la nazione, l’etnia o la cultura”. E’, ha spiegato ancora il presule, il senso della “dimensione anzitutto sociale e relazionale della persona umana”. E la famiglia “è il primo luogo dove la persona umana impara a scoprire e vivere la propria dimensione sociale”. L’insistenza sulla “dimensione sociale dello sviluppo, la quale abitualmente si richiama alla solidarietà, risuona in modo particolare quando il Papa ci propone addirittura il concetto di fraternità come modello sociale universale”, ha continuato Gallagher, richiamando così “la politica internazionale ad un approccio integrale che includa un dialogo interdisciplinare, con la premessa che tutti sono cittadini del mondo con uguali diritti e doveri”. Ma, afferma il Papa, “mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse”. Il contributo della diplomazia dei valori è allora anche quello “di favorire una più vasta ed efficace azione per l’incontro dei popoli, per la cooperazione secondo le loro libere ed autentiche sensibilità nazionali”, poiché, come dice Papa Francesco, “la giustizia esige di riconoscere e rispettare non solo i diritti individuali ma anche i diritti sociali e i diritti dei popoli”.
“La diplomazia dei valori – ha osservato poi l’ambasciatore del Guatemala – permette di dare uno sguardo con occhi diversi alla comunità internazionale. Interpella sui grandi problemi mondiali, fra gli altri la pandemia, la migrazione, i rifugiati, la povertà, il riscaldamento globale, il disarmo, la corruzione. Chiama alla responsabilità di tutti gli attori internazionali per dare attuazione e contribuire al bene comune di tutta l’umanità. La diplomazia dei valori cerca di far prendere coscienza di come tutti i problemi dell’umanità ci appartengono e ci riguardano in tutte le maniere, che tutti siamo una famiglia e che la “Casa comune” nella quale viviamo è di tutti e che tutto, assolutamente tutto ciò che vi accade, ci porta beneficio o ci danneggia”. “La diplomazia concepita in questa maniera può contribuire nel mondo moderno alla ricerca di una armonia, di una sintesi di valori che permette di integrare o riconciliare le differenze culturali e religiose, per il bene di tutta l’umanità”.
Nelle relazioni fra gli Stati, per affrontare le sfide globali di oggi, “serve andare oltre la normalità o la semplice ripetizione di cliché e di formule preordinate, sulla cui efficacia la prassi internazionale pone non pochi dubbi e riserve”. Per questo “occorre restare in mare aperto, navigando nell’orizzonte della più vasta carità”. Nell’intervento pronunciato questo pomeriggio in occasione dell’incontro “La diplomazia dei valori e lo sviluppo”, organizzato dall’associazione “Carità politica” presso l’aula Pio XI di Palazzo San Calisto a Roma, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario della Segreteria di Stato per i rapporti con gli Stati, ha sintetizzato così il senso e la prospettiva dei rapporti internazionali in un contesto, quello attuale, inedito nella sua complessità e che per questo richiede strumenti, e modelli, nuovi. O rinnovati.
All’evento promosso, come si accennava, dall’associazione di diritto pontificio ed ente morale riconosciuto dallo Stato italiano e presieduta da Alfredo Luciani, hanno partecipato 35 fra ambasciatori e rappresentanti diplomatici. Fra questi l’ambasciatore del Guatemala presso la Santa Sede, Alfredo Vásquez Rivera, che ha tenuto l’altro intervento previsto oltre a quello del presule. Una comunità, quella periodicamente riunita, e formata con impegno encomiabile, da Carità politica, fondata sulla condivisione dei valori del rispetto reciproco, del dialogo religioso, dello sviluppo equo e sostenibile. Una comunità che da Roma (il gruppo è esteso anche ai diplomatici accreditati presso lo Stato italiano) e dalla Città del Vaticano guarda al mondo e alla quale è stato dedicato il volume “La diplomazia dei valori e sviluppo”, realizzato dalla stessa associazione e distribuito ai partecipanti. “La diplomazia dei valori può veramente ispirare l’azione dei governi – ha detto l’arcivescovo Gallagher nel corso del suo intervento -. Infatti, davanti alle sfide comuni che richiedono alla Comunità internazionale di trovare soluzioni condivise, la diplomazia dei valori mirata a promuovere il bene della famiglia umana al di là di ogni interesse particolare risulta particolarmente idonea per promuovere lo stile multilaterale che ha caratterizzato i rapporti internazionali dalla fine della seconda guerra mondiale e che oggi è diventato essenziale”.
La diplomazia pontificia, ha ricordato Gallagher, cerca di “ricollocare situazioni concrete nella prospettiva realistica del bene comune e dell’umanesimo”. Il traguardo dell’azione conseguente dunque deve necessariamente mirare ai valori che favoriscono nel concreto lo sviluppo umano integrale. Il quale, per essere tale, ha ricordato il presule citando la Populorum progressio, deve essere “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Oggi però, rispetto a diritti che la Dichiarazione universale del 1948 voleva validi sempre, in ogni epoca, luogo e cultura, “si nota – ha spiegato il presule - una presa di distanza”, “quasi che il senso profondo dei diritti umani sia contestualizzabile”. Di fatto, “la tentazione moderna e post-moderna” è di considerare i diritti umani “negando il loro nesso all’umanità su cui sono fondati, collocandoli in una prospettiva soggettivistica”, così che essi finiscono con il diventare semplice espressione di gruppi di interesse particolari. “Tale fenomeno – ha spiegato ancora l’arcivescovo, che ha citato più volte il compianto arcivescovo Aldo Giordano, già nunzio presso l’Unione europea – è ben percepibile alla luce delle rivendicazioni sempre più insistenti di gruppi radicali che emergono da ideologie legate alla cosiddetta Cancel culture” e che “si presentano spesso come portavoce delle vittime di alcune forme specifiche di discriminazione”, “rinchiudendosi in una difesa ad oltranza della propria identità, in ultimo intollerante nei confronti di qualsiasi altro pensiero”.
Si tratta di tendenze che sono alla base di quella “colonizzazione ideologica” di cui parla Papa Francesco, il quale invece, nella Fratelli tutti insiste su una “società in cui il valore come esseri umani è senz’altro più importante di qualsiasi gruppo minore, sia esso la famiglia, la nazione, l’etnia o la cultura”. E’, ha spiegato ancora il presule, il senso della “dimensione anzitutto sociale e relazionale della persona umana”. E la famiglia “è il primo luogo dove la persona umana impara a scoprire e vivere la propria dimensione sociale”. L’insistenza sulla “dimensione sociale dello sviluppo, la quale abitualmente si richiama alla solidarietà, risuona in modo particolare quando il Papa ci propone addirittura il concetto di fraternità come modello sociale universale”, ha continuato Gallagher, richiamando così “la politica internazionale ad un approccio integrale che includa un dialogo interdisciplinare, con la premessa che tutti sono cittadini del mondo con uguali diritti e doveri”. Ma, afferma il Papa, “mentre la solidarietà è il principio di pianificazione sociale che permette ai diseguali di diventare eguali, la fraternità è quello che consente agli eguali di essere persone diverse”. Il contributo della diplomazia dei valori è allora anche quello “di favorire una più vasta ed efficace azione per l’incontro dei popoli, per la cooperazione secondo le loro libere ed autentiche sensibilità nazionali”, poiché, come dice Papa Francesco, “la giustizia esige di riconoscere e rispettare non solo i diritti individuali ma anche i diritti sociali e i diritti dei popoli”.
“La diplomazia dei valori – ha osservato poi l’ambasciatore del Guatemala – permette di dare uno sguardo con occhi diversi alla comunità internazionale. Interpella sui grandi problemi mondiali, fra gli altri la pandemia, la migrazione, i rifugiati, la povertà, il riscaldamento globale, il disarmo, la corruzione. Chiama alla responsabilità di tutti gli attori internazionali per dare attuazione e contribuire al bene comune di tutta l’umanità. La diplomazia dei valori cerca di far prendere coscienza di come tutti i problemi dell’umanità ci appartengono e ci riguardano in tutte le maniere, che tutti siamo una famiglia e che la “Casa comune” nella quale viviamo è di tutti e che tutto, assolutamente tutto ciò che vi accade, ci porta beneficio o ci danneggia”. “La diplomazia concepita in questa maniera può contribuire nel mondo moderno alla ricerca di una armonia, di una sintesi di valori che permette di integrare o riconciliare le differenze culturali e religiose, per il bene di tutta l’umanità”.
Radio Bakhita 25 Dicembre 2021
·
Christmas mass at st.tereza cathediral
Gallagher in Sud Sudan, si lavora ad una visita del Papa l’anno prossimo
Dal 21 al 23 dicembre il segretario per i Rapporti con gli Stati si è recato a Juba, dove ha incontrato le autorità politiche e religiose del Paese e i collaboratori dell'Arcivescovo di Canterbury. Colloquio con il Presidente della Repubblica, Salva Kiir, che ha ribadito l'impegno nel processo di pace e la disponibilità ad accogliere Papa Francesco
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non ci sarà probabilmente mai “un momento perfetto”, ma non si esclude che il Papa visiti il Sud Sudan il prossimo anno. Un desiderio, questo, già espresso più volte dallo stesso Francesco e che riceve “grande sostegno” perché possa realizzarsi da parte delle autorità e della popolazione del Paese africano. Ad affermarlo è Monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, che ha compiuto una visita di tre giorni a Juba – dal 21 al 23 dicembre – durante la quale ha incontrato i locali leader politici e religiosi.
C’è “un grande sostegno ad una visita del Santo Padre”, ha spiegato l’Arcivescovo al microfono di Mbikoyezu John Gbemboyo, collaboratore della redazione Inglese-Africa di Vatican News: “Anche se, come per tutte queste cose, non c’è mai un momento perfetto. Dobbiamo andare avanti nell’intero processo di discernimento”.
Il desiderio del PapaLa visita prenatalizia in Sud Sudan del Segretario per i Rapporti con gli Stati era in programma da diversi mesi, coordinata con Lambeth Palace, residenza ufficiale dell’Arcivescovo di Canterbury. Proprio con il primate anglicano, Justin Welby, Papa Francesco aveva espresso nel 2017 il desiderio di compiere una missione ecumenica in Sud Sudan. Incontrando la comunità anglicana nella chiesa di All Saints di Roma, il Papa aveva rivelato il suo proposito: “I miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan. Ma perché? Perché sono venuti i Vescovi anglicano, presbiteriano e cattolico a dirmi: ‘Per favore venga in Sud Sudan magari una sola giornata. Ma non venga da solo, venga con Justin Welby’. Da loro, chiesa giovane, è venuta questa cosa, e stiamo pensando, là la situazione è molto brutta, ma vogliono la pace, insieme lavoriamo per la pace”. Già nell’ottobre di quell’anno sembrava che potesse realizzarsi la visita, ma il peggioramento del contesto politico e l’acuirsi degli scontri ripresi in diverse zone del Paese, che avevano provocato una rottura del “cessate il fuoco” ed una grave crisi umanitaria, aveva frenato l’iniziativa.
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Non ci sarà probabilmente mai “un momento perfetto”, ma non si esclude che il Papa visiti il Sud Sudan il prossimo anno. Un desiderio, questo, già espresso più volte dallo stesso Francesco e che riceve “grande sostegno” perché possa realizzarsi da parte delle autorità e della popolazione del Paese africano. Ad affermarlo è Monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, che ha compiuto una visita di tre giorni a Juba – dal 21 al 23 dicembre – durante la quale ha incontrato i locali leader politici e religiosi.
C’è “un grande sostegno ad una visita del Santo Padre”, ha spiegato l’Arcivescovo al microfono di Mbikoyezu John Gbemboyo, collaboratore della redazione Inglese-Africa di Vatican News: “Anche se, come per tutte queste cose, non c’è mai un momento perfetto. Dobbiamo andare avanti nell’intero processo di discernimento”.
Il desiderio del PapaLa visita prenatalizia in Sud Sudan del Segretario per i Rapporti con gli Stati era in programma da diversi mesi, coordinata con Lambeth Palace, residenza ufficiale dell’Arcivescovo di Canterbury. Proprio con il primate anglicano, Justin Welby, Papa Francesco aveva espresso nel 2017 il desiderio di compiere una missione ecumenica in Sud Sudan. Incontrando la comunità anglicana nella chiesa di All Saints di Roma, il Papa aveva rivelato il suo proposito: “I miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan. Ma perché? Perché sono venuti i Vescovi anglicano, presbiteriano e cattolico a dirmi: ‘Per favore venga in Sud Sudan magari una sola giornata. Ma non venga da solo, venga con Justin Welby’. Da loro, chiesa giovane, è venuta questa cosa, e stiamo pensando, là la situazione è molto brutta, ma vogliono la pace, insieme lavoriamo per la pace”. Già nell’ottobre di quell’anno sembrava che potesse realizzarsi la visita, ma il peggioramento del contesto politico e l’acuirsi degli scontri ripresi in diverse zone del Paese, che avevano provocato una rottura del “cessate il fuoco” ed una grave crisi umanitaria, aveva frenato l’iniziativa.
Gallagher a Juba
L'incontro con i leader sud sudanesi in VaticanoNell’aprile 2019, Francesco aveva ribadito il suo desiderio di viaggiare in occasione del ritiro spirituale in Vaticano delle massime autorità religiose e politiche sud sudanesi. Incontro ideato dall’Arcivescovo di Canterbury, al quale parteciparono il Presidente Salva Kiir e i Vicepresidenti designati, tra cui Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova del leader sud sudanese John Garang, e Riek Machar, leader dell’opposizione. A loro Francesco aveva baciato i piedi mettendosi in ginocchio, rendendo visibile e concreta l’implorazione espressa poco prima nel suo discorso del dono della pace per un popolo sfigurato da circa sei anni di guerra civile. Quel gesto inatteso e simbolico viene ricordato da Gallagher: “Il ritiro in Vaticano ha avuto molta attenzione soprattutto per il gesto estremo del Santo Padre che ha supplicato i leader del Sud Sudan di portare avanti il processo di pace per il bene del popolo. Quindi, abbiamo lavorato su questo” durante i giorni di visita.
Ascoltare la gente e i leaderVisita che, spiega Gallagher, “è stata indirettamente influenzata dal Covid-19, ma alla fine, abbiamo deciso che non ci sarebbe mai stato un momento perfetto per compierla. Abbiamo deciso di venire adesso. Siamo venuti con l’obiettivo di ascoltare la gente; ascoltare i leader, sia politici che della Chiesa, per vedere qual è la situazione qui e quale contributo possono dare sia la Santa Sede, in particolare Papa Francesco, e l’Arcivescovo di Canterbury nel portare avanti questo processo di pace”.
L'incontro con i leader sud sudanesi in VaticanoNell’aprile 2019, Francesco aveva ribadito il suo desiderio di viaggiare in occasione del ritiro spirituale in Vaticano delle massime autorità religiose e politiche sud sudanesi. Incontro ideato dall’Arcivescovo di Canterbury, al quale parteciparono il Presidente Salva Kiir e i Vicepresidenti designati, tra cui Rebecca Nyandeng De Mabior, vedova del leader sud sudanese John Garang, e Riek Machar, leader dell’opposizione. A loro Francesco aveva baciato i piedi mettendosi in ginocchio, rendendo visibile e concreta l’implorazione espressa poco prima nel suo discorso del dono della pace per un popolo sfigurato da circa sei anni di guerra civile. Quel gesto inatteso e simbolico viene ricordato da Gallagher: “Il ritiro in Vaticano ha avuto molta attenzione soprattutto per il gesto estremo del Santo Padre che ha supplicato i leader del Sud Sudan di portare avanti il processo di pace per il bene del popolo. Quindi, abbiamo lavorato su questo” durante i giorni di visita.
Ascoltare la gente e i leaderVisita che, spiega Gallagher, “è stata indirettamente influenzata dal Covid-19, ma alla fine, abbiamo deciso che non ci sarebbe mai stato un momento perfetto per compierla. Abbiamo deciso di venire adesso. Siamo venuti con l’obiettivo di ascoltare la gente; ascoltare i leader, sia politici che della Chiesa, per vedere qual è la situazione qui e quale contributo possono dare sia la Santa Sede, in particolare Papa Francesco, e l’Arcivescovo di Canterbury nel portare avanti questo processo di pace”.
L'incontro di Gallagher con i vescovi del Sud Sudan. Il vescovo di Yei terzo da sinistra
Gli incontriGiunto a Juba nel primo pomeriggio del 21 dicembre, accompagnato da Monsignor Andrea Piccioni della Sezione per i Rapporti con gli Stati, Gallagher è stato accolto dal Nunzio in Sud Sudan, residente a Nairobi, Mons. Hubertus Matheus Maria van Megen, da Mons. Ionuţ Paul Strejac, Incaricato d’Affari a.i. residente a Juba, dall’Arcivescovo di Juba e dai Vescovi di Malakal e Wau, nonché da una rappresentanza dei religiosi che prestano servizio nel Paese. In aeroporto si è trattenuto per un colloquio privato con il Ministro degli Affari Esteri, Mayiik Ayii Deng. Nel pomeriggio, nella Nunziatura, ha incontrato il Vescovo anglicano Precious Omuku e Martha Jarvis, rappresentanti di Lambeth Palace, ed alcuni diplomatici, con i quali ha discusso dell’attuale situazione politica, economica e sociale del Sud Sudan. È seguito un colloquio con i Vescovi sud sudanesi, che hanno espresso la propria gratitudine al Papa “per la sua paterna vicinanza” e rinnovato “l’impegno della Chiesa locale in favore del Paese”.
A colloquio col presidente Salva KiirLa mattina del 22 dicembre, Gallagher, assieme alle delegazioni della Santa Sede e di Lambeth Palace, è stato ricevuto dal Presidente Salva Kiir Mayardit, nella sua residenza. Un colloquio cordiale, durante il quale è stato riaffermato il sostegno vaticano al processo di pace e si è parlato della possibilità che il Papa, Welby e il Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia visitino il Sud Sudan il prossimo anno. Una proposta accolta con grande compiacimento dal Capo dello Stato, che ha ribadito l’impegno del governo nell’implementazione della pace, ringraziando al contempo il Papa e l’Arcivescovo di Canterbury per promuovere l’unità e la stabilità del Sud Sudan. Salva Kiir, in particolare, ha ringraziato Francesco per l’assistenza umanitaria offerta alle popolazioni colpite dalle recenti alluvioni, specialmente nella diocesi di Malakal.
Il viaggio di Gallagher è proseguito con l’incontro con alcuni rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese del Sud Sudan e con esponenti della società civile. La mattina del 23 dicembre, l’Arcivescovo ha invece presieduto una Messa nella Cattedrale di Juba - alla presenza del terzo Vice-Presidente, Taban Deng Gai-, durante la quale ha incoraggiato i fedeli a vivere il mistero del Natale, nella costante ricerca dell’unità, della carità e del perdono. Dopo la celebrazione, il prelato ha incontrato religiosi e religiose del Sud Sudan e ha visitato l’orfanotrofio St. Claire House for Children di Juba, a cui ha annunciato un dono da parte di Papa Francesco.
Gli incontriGiunto a Juba nel primo pomeriggio del 21 dicembre, accompagnato da Monsignor Andrea Piccioni della Sezione per i Rapporti con gli Stati, Gallagher è stato accolto dal Nunzio in Sud Sudan, residente a Nairobi, Mons. Hubertus Matheus Maria van Megen, da Mons. Ionuţ Paul Strejac, Incaricato d’Affari a.i. residente a Juba, dall’Arcivescovo di Juba e dai Vescovi di Malakal e Wau, nonché da una rappresentanza dei religiosi che prestano servizio nel Paese. In aeroporto si è trattenuto per un colloquio privato con il Ministro degli Affari Esteri, Mayiik Ayii Deng. Nel pomeriggio, nella Nunziatura, ha incontrato il Vescovo anglicano Precious Omuku e Martha Jarvis, rappresentanti di Lambeth Palace, ed alcuni diplomatici, con i quali ha discusso dell’attuale situazione politica, economica e sociale del Sud Sudan. È seguito un colloquio con i Vescovi sud sudanesi, che hanno espresso la propria gratitudine al Papa “per la sua paterna vicinanza” e rinnovato “l’impegno della Chiesa locale in favore del Paese”.
A colloquio col presidente Salva KiirLa mattina del 22 dicembre, Gallagher, assieme alle delegazioni della Santa Sede e di Lambeth Palace, è stato ricevuto dal Presidente Salva Kiir Mayardit, nella sua residenza. Un colloquio cordiale, durante il quale è stato riaffermato il sostegno vaticano al processo di pace e si è parlato della possibilità che il Papa, Welby e il Moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia visitino il Sud Sudan il prossimo anno. Una proposta accolta con grande compiacimento dal Capo dello Stato, che ha ribadito l’impegno del governo nell’implementazione della pace, ringraziando al contempo il Papa e l’Arcivescovo di Canterbury per promuovere l’unità e la stabilità del Sud Sudan. Salva Kiir, in particolare, ha ringraziato Francesco per l’assistenza umanitaria offerta alle popolazioni colpite dalle recenti alluvioni, specialmente nella diocesi di Malakal.
Il viaggio di Gallagher è proseguito con l’incontro con alcuni rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese del Sud Sudan e con esponenti della società civile. La mattina del 23 dicembre, l’Arcivescovo ha invece presieduto una Messa nella Cattedrale di Juba - alla presenza del terzo Vice-Presidente, Taban Deng Gai-, durante la quale ha incoraggiato i fedeli a vivere il mistero del Natale, nella costante ricerca dell’unità, della carità e del perdono. Dopo la celebrazione, il prelato ha incontrato religiosi e religiose del Sud Sudan e ha visitato l’orfanotrofio St. Claire House for Children di Juba, a cui ha annunciato un dono da parte di Papa Francesco.
Monsignor Gallagher a Juba
Il NAS avverte dello sfollamento forzato di civili di massa mentre SSPDF si prepara a ripulire i villaggi dall'estrazione illegale PUBBLICATO 10 DICEMBRE 2021
Diverse aree ricche di minerali nella contea di Morobo, nello stato dell'Equatoria centrale (CES), sono destinate a essere spopolate con la forza in un'imminente offensiva di terra bruciata guidata dall'SSPDF volta a proteggere i luoghi per l'estrazione illegale - ha avvertito il portavoce della NAS.
In un comunicato stampa dell'8 dicembre del portavoce della NAS, il sig. Suba Samuel ha affermato che "la SSPDF e i resti della milizia Mathian Anyoor intorno a Morobo e Yei" hanno ricevuto il via libera e le istruzioni per "costringere i civili che risiedono nei villaggi e nei cespugli". ” dalle località già vendute a società minerarie private di proprietà dell'élite al potere.
Pur esortando i gruppi internazionali per i diritti umani a monitorare da vicino la situazione che equivale a crimini contro l'umanità, la NAS ha anche condannato il "piano deliberato per mirare e causare lo sfollamento forzato di massa di civili dai loro villaggi per liberare le loro terre per l'estrazione illegale".
Per supervisionare questo piano malizioso e mobilitare le truppe, il governatore del CES Emmanuel Adil il 4 dicembre 2021, col favore delle tenebre, si è recato nella contea di Morobo dove ha trasmesso gli ordini rigorosi esattamente come gli erano stati dati dai suoi padroni a Juba, e dispiegò due battaglioni per l'operazione.
La leadership del NAS avverte che qualsiasi attacco alle sue basi e ai suoi civili innocenti dietro le linee di difesa del NAS non sarà tolleratoTuttavia, il NAS ha avvertito che qualsiasi aggressione contro le sue forze o civili sarà affrontata con la stessa forza e vigore che ha sconfitto diverse ondate di offensive simili negli ultimi 3 anni.
"La leadership della NAS avverte che qualsiasi attacco alle sue basi e ai suoi civili innocenti dietro le linee di difesa della NAS non sarà tollerato".
In un comunicato stampa dell'8 dicembre del portavoce della NAS, il sig. Suba Samuel ha affermato che "la SSPDF e i resti della milizia Mathian Anyoor intorno a Morobo e Yei" hanno ricevuto il via libera e le istruzioni per "costringere i civili che risiedono nei villaggi e nei cespugli". ” dalle località già vendute a società minerarie private di proprietà dell'élite al potere.
Pur esortando i gruppi internazionali per i diritti umani a monitorare da vicino la situazione che equivale a crimini contro l'umanità, la NAS ha anche condannato il "piano deliberato per mirare e causare lo sfollamento forzato di massa di civili dai loro villaggi per liberare le loro terre per l'estrazione illegale".
Per supervisionare questo piano malizioso e mobilitare le truppe, il governatore del CES Emmanuel Adil il 4 dicembre 2021, col favore delle tenebre, si è recato nella contea di Morobo dove ha trasmesso gli ordini rigorosi esattamente come gli erano stati dati dai suoi padroni a Juba, e dispiegò due battaglioni per l'operazione.
La leadership del NAS avverte che qualsiasi attacco alle sue basi e ai suoi civili innocenti dietro le linee di difesa del NAS non sarà tolleratoTuttavia, il NAS ha avvertito che qualsiasi aggressione contro le sue forze o civili sarà affrontata con la stessa forza e vigore che ha sconfitto diverse ondate di offensive simili negli ultimi 3 anni.
"La leadership della NAS avverte che qualsiasi attacco alle sue basi e ai suoi civili innocenti dietro le linee di difesa della NAS non sarà tollerato".
Lenta Implementazione della Pace in Sud Sudan, la Prolungata Chiusura delle Scuole in UG Irritata Rifugiato
A causa della pandemia del corona virus, i sud sudanesi che vivono in Uganda si sono trovati a dover affrontare più di una difficoltà. La pandemia aveva portato alla chiusura di molte scuole in tutto il mondo come misura per controllare la diffusione del virus e questo aveva interrotto gli studenti nei loro studi. Tuttavia, altre nazioni hanno presto introdotto altre modalità per consentire agli studenti di continuare con i loro programmi scolastici, altre ancora la chiusura delle scuole e da più di un anno l'Uganda è una di queste. Ciò ha fatto arrabbiare i già infelici rifugiati sud sudanesi che sono molto scontenti per la lentezza del ripristino della pace nel loro paese d'origine.
Moses Lemi, è uno studente rifugiato sud sudanese del terzo anno di Human Resource Management presso la Nkumbe University in Uganda.
Vive a Rhino Refugees Settlement camp in Uganda. Nel corso di una chat telefonica lo abbiamo intervistato:
Quanto tempo hai passato a casa senza andare a scuola?
Un anno
Come ti senti non andando a scuola per tutto questo tempo?
Mi sento male perché il mio anno è sprecato.
Quali effetti pensi che questo abbia avuto e avrà un impatto su di te e su alcuni dei tuoi colleghi?
Ha influito sul mio anno di fine del corso che sto facendo e anche i miei colleghi subiscono la stessa sorte di un anno sprecato.
Quali sono gli effetti pratici hai visto dovuti alla chiusura delle scuole e che hanno subito gli studenti in generale e in particolare le ragazze?
Ci sono gravidanze precoci per le ragazze nelle scuole primarie.
Cosa hai fatto e stai facendo da quando le scuole sono state chiuse e che effetti ha su di te questa attività?
Le scuole erano chiuse a causa del corona virus e l'unica cosa che si poteva fare era restare a casa e sensibilizzare la comunità sui pericoli di questo covid19
Dal tuo punto di vista cosa dici del significato della chiusura della scuola?
Non ha senso chiudere le scuole perché era facile controllare studenti e alunni rispetto ad altri settori come i mercati. Le scuole non dovrebbero essere chiuse ma piuttosto aperte e ci dovrebbe essere il rigoroso rispetto delle procedure operative standard.
Come un sud sudanese, vedendo gli altri tuoi colleghi a casa (in Sud Sudan) che continuano gli studi e tu no, che sensazione provi?
Penso che si debba solo andare avanti con la situazione in cui ci si trova. Mi sento bene che le scuole siano aperte a casa ma ho accettato il fatto della mia situazione attuale in una terra straniera.
In quanto giovane sud sudanese che vede il ritardo nella piena attuazione o la lenta attuazione dell'accordo di pace firmato, che appello fai alle parti responsabili?
La lenta attuazione del processo di pace mi irrita molto. Le parti avrebbero dovuto appianare le loro differenze personali e tenere a cuore i civili innocenti poiché molti sono sfollati. Lasciamo che accelerino il processo di pace in modo che le persone possano tornare a casa per iniziare una nuova vita.
Perché pensi che quello che dici sia importante per te come rifugiato, per altri giovani, altri rifugiati e per i sud sudanesi in generale?
Tutti i sud sudanesi dentro e fuori il paese vogliono la piena e rapida attuazione dell'accordo di pace (in modo che possano continuare con la vita nella contea di origine, felicemente).
Cosa ti manca del Sud Sudan?
Hmmmm, mi manca la mia adorabile città natale di Yei e le persone.
Che effetti ha su di te la guerra?
Molti effetti negativi, ma ne citerò solo alcuni. Ho perso i miei parenti stretti e amici, ho perso delle proprietà e sono stato anche rischiato di essere ucciso prima di fuggire in Uganda.
Cosa stavi facendo quando è scoppiata la guerra e in che modo questa attività avrebbe aiutato te o la nazione?
Ero impegnato nell'agricoltura e ne avrei ricavato reddito e avrei combattuto la fame nel paese poiché l'agricoltura è la spina dorsale di qualsiasi paese
Come trovi la vita da rifugiato?
La vita da rifugiato è dura (subito) fin dall'inizio, perché si pensa alle proprietà lasciate indietro, e anche il lato traumatico dell'essere chiamato come rifugiato è sempre presente. (Ci sono anche) opportunità limitate da esplorare al campo e anche le dure condizioni meteorologiche che non potrebbero sostenere l'agricoltura. (Tuttavia) d'altra parte, abbiamo acquisito alcune esperienze come rifugiati, che utilizzeremmo per cambiare il nostro paese al nostro ritorno.
Per quanto riguarda la guerra nei panni di rifugiato, cosa avresti bisogno di dire alle nazione/i e al mondo in generale?
La guerra è un'esperienza terribile; le nazioni dovrebbero valorizzare i propri cittadini perché i cittadini costituiscono il Paese. La pace dovrebbe prevalere in ogni cuore in modo che non ci sia guerra in nessuna parte del mondo. Non c'è prezzo nell'uccidere il tuo prossimo.
A causa della pandemia del corona virus, i sud sudanesi che vivono in Uganda si sono trovati a dover affrontare più di una difficoltà. La pandemia aveva portato alla chiusura di molte scuole in tutto il mondo come misura per controllare la diffusione del virus e questo aveva interrotto gli studenti nei loro studi. Tuttavia, altre nazioni hanno presto introdotto altre modalità per consentire agli studenti di continuare con i loro programmi scolastici, altre ancora la chiusura delle scuole e da più di un anno l'Uganda è una di queste. Ciò ha fatto arrabbiare i già infelici rifugiati sud sudanesi che sono molto scontenti per la lentezza del ripristino della pace nel loro paese d'origine.
Moses Lemi, è uno studente rifugiato sud sudanese del terzo anno di Human Resource Management presso la Nkumbe University in Uganda.
Vive a Rhino Refugees Settlement camp in Uganda. Nel corso di una chat telefonica lo abbiamo intervistato:
Quanto tempo hai passato a casa senza andare a scuola?
Un anno
Come ti senti non andando a scuola per tutto questo tempo?
Mi sento male perché il mio anno è sprecato.
Quali effetti pensi che questo abbia avuto e avrà un impatto su di te e su alcuni dei tuoi colleghi?
Ha influito sul mio anno di fine del corso che sto facendo e anche i miei colleghi subiscono la stessa sorte di un anno sprecato.
Quali sono gli effetti pratici hai visto dovuti alla chiusura delle scuole e che hanno subito gli studenti in generale e in particolare le ragazze?
Ci sono gravidanze precoci per le ragazze nelle scuole primarie.
Cosa hai fatto e stai facendo da quando le scuole sono state chiuse e che effetti ha su di te questa attività?
Le scuole erano chiuse a causa del corona virus e l'unica cosa che si poteva fare era restare a casa e sensibilizzare la comunità sui pericoli di questo covid19
Dal tuo punto di vista cosa dici del significato della chiusura della scuola?
Non ha senso chiudere le scuole perché era facile controllare studenti e alunni rispetto ad altri settori come i mercati. Le scuole non dovrebbero essere chiuse ma piuttosto aperte e ci dovrebbe essere il rigoroso rispetto delle procedure operative standard.
Come un sud sudanese, vedendo gli altri tuoi colleghi a casa (in Sud Sudan) che continuano gli studi e tu no, che sensazione provi?
Penso che si debba solo andare avanti con la situazione in cui ci si trova. Mi sento bene che le scuole siano aperte a casa ma ho accettato il fatto della mia situazione attuale in una terra straniera.
In quanto giovane sud sudanese che vede il ritardo nella piena attuazione o la lenta attuazione dell'accordo di pace firmato, che appello fai alle parti responsabili?
La lenta attuazione del processo di pace mi irrita molto. Le parti avrebbero dovuto appianare le loro differenze personali e tenere a cuore i civili innocenti poiché molti sono sfollati. Lasciamo che accelerino il processo di pace in modo che le persone possano tornare a casa per iniziare una nuova vita.
Perché pensi che quello che dici sia importante per te come rifugiato, per altri giovani, altri rifugiati e per i sud sudanesi in generale?
Tutti i sud sudanesi dentro e fuori il paese vogliono la piena e rapida attuazione dell'accordo di pace (in modo che possano continuare con la vita nella contea di origine, felicemente).
Cosa ti manca del Sud Sudan?
Hmmmm, mi manca la mia adorabile città natale di Yei e le persone.
Che effetti ha su di te la guerra?
Molti effetti negativi, ma ne citerò solo alcuni. Ho perso i miei parenti stretti e amici, ho perso delle proprietà e sono stato anche rischiato di essere ucciso prima di fuggire in Uganda.
Cosa stavi facendo quando è scoppiata la guerra e in che modo questa attività avrebbe aiutato te o la nazione?
Ero impegnato nell'agricoltura e ne avrei ricavato reddito e avrei combattuto la fame nel paese poiché l'agricoltura è la spina dorsale di qualsiasi paese
Come trovi la vita da rifugiato?
La vita da rifugiato è dura (subito) fin dall'inizio, perché si pensa alle proprietà lasciate indietro, e anche il lato traumatico dell'essere chiamato come rifugiato è sempre presente. (Ci sono anche) opportunità limitate da esplorare al campo e anche le dure condizioni meteorologiche che non potrebbero sostenere l'agricoltura. (Tuttavia) d'altra parte, abbiamo acquisito alcune esperienze come rifugiati, che utilizzeremmo per cambiare il nostro paese al nostro ritorno.
Per quanto riguarda la guerra nei panni di rifugiato, cosa avresti bisogno di dire alle nazione/i e al mondo in generale?
La guerra è un'esperienza terribile; le nazioni dovrebbero valorizzare i propri cittadini perché i cittadini costituiscono il Paese. La pace dovrebbe prevalere in ogni cuore in modo che non ci sia guerra in nessuna parte del mondo. Non c'è prezzo nell'uccidere il tuo prossimo.
Giovani uomini lottano mentre attraversano il fiume in piena, sulla strada a Omogo, campo profughi di Rhino, lottano per rimuovere un autobus trasportato dall'acqua
Un ragazzo lotta per coltivare la terra rocciosa con la speranza di produrre cibo per la sua famiglia a Omogo, campo profughi di Rhino, Arua, Uganda
La violenza "inimmaginabile" del Sud Sudan potrebbe equivalere a crimini di guerra
Amnesty afferma che i combattimenti nello stato di Western Equatoria quest'anno hanno ucciso dozzine di civili e sfollato decine di migliaia di persone.
9 dicembre 2021
Il Sud Sudan, ricco di petrolio, è stato inghiottito dalla violenza etnica dal dicembre 2013
Un'ondata di scontri tra gruppi armati rivali allineati con il governo e le forze di opposizione in Sud Sudan quest'anno ha ucciso dozzine di civili e scatenato "una violenza inimmaginabile" che potrebbe equivalere a crimini di guerra, secondo Amnesty International.
In un nuovo rapporto di giovedì, l'organismo di controllo dei diritti ha affermato che i combattenti di tutte le parti in guerra hanno raso al suolo indiscriminatamente interi villaggi durante un'impennata dei combattimenti tra giugno e ottobre nello stato dell'Equatoria occidentale che ha anche costretto decine di migliaia di persone a fuggire.
I combattimenti intorno alla contea di Tambura hanno coinvolto gruppi locali allineati con combattenti legati alle forze di difesa del popolo del Sud Sudan del governo (SSPDF) e all'opposizione dell'Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA-IO).
Amnesty ha affermato di aver documentato potenziali crimini di guerra e altre violazioni commesse dalle parti in lotta contro i membri delle comunità Azande e Balanda.
“Una scia di morte, distruzione e divisione è seguita dopo che i politici hanno fomentato l'odio etnico e mobilitato i giovani a combattere. Le testimonianze che abbiamo raccolto parlano di violenze inimmaginabili, inclusi civili uccisi mentre fuggivano e corpi dati alle fiamme e mutilati”, ha affermato Deprose Muchena, direttore di Amnesty per l'Africa orientale e meridionale. (Quello che hanno fatto nel Westner Equatoria è lo stesso che è successo prima nell'Equatoria Centrale e nell'Equatoria Occidentale)
Un'ondata di scontri tra gruppi armati rivali allineati con il governo e le forze di opposizione in Sud Sudan quest'anno ha ucciso dozzine di civili e scatenato "una violenza inimmaginabile" che potrebbe equivalere a crimini di guerra, secondo Amnesty International.
In un nuovo rapporto di giovedì, l'organismo di controllo dei diritti ha affermato che i combattenti di tutte le parti in guerra hanno raso al suolo indiscriminatamente interi villaggi durante un'impennata dei combattimenti tra giugno e ottobre nello stato dell'Equatoria occidentale che ha anche costretto decine di migliaia di persone a fuggire.
I combattimenti intorno alla contea di Tambura hanno coinvolto gruppi locali allineati con combattenti legati alle forze di difesa del popolo del Sud Sudan del governo (SSPDF) e all'opposizione dell'Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA-IO).
Amnesty ha affermato di aver documentato potenziali crimini di guerra e altre violazioni commesse dalle parti in lotta contro i membri delle comunità Azande e Balanda.
“Una scia di morte, distruzione e divisione è seguita dopo che i politici hanno fomentato l'odio etnico e mobilitato i giovani a combattere. Le testimonianze che abbiamo raccolto parlano di violenze inimmaginabili, inclusi civili uccisi mentre fuggivano e corpi dati alle fiamme e mutilati”, ha affermato Deprose Muchena, direttore di Amnesty per l'Africa orientale e meridionale. (Quello che hanno fatto nel Westner Equatoria è lo stesso che è successo prima nell'Equatoria Centrale e nell'Equatoria Occidentale)
"Il fatto che gli attacchi non abbiano coinvolto solo gruppi locali, ma anche combattenti affiliati al governo e alle forze di opposizione, indica che si tratta molto di più della violenza tra le comunità", ha aggiunto Muchena. Il Sud Sudan, ricco di petrolio, ha ottenuto l'indipendenza nel giugno 2011, ma è stato inghiottito dalla violenza etnica dal dicembre 2013, quando le forze fedeli al presidente Salva Kiir hanno iniziato a combattere quelle fedeli al suo vice, Riek Machar.
Kiir, di etnia Dinka, aveva precedentemente licenziato Machar, che appartiene al gruppo etnico Nuer, in un “ rimpasto di governo ”.
Kiir, di etnia Dinka, aveva precedentemente licenziato Machar, che appartiene al gruppo etnico Nuer, in un “ rimpasto di governo ”.
Una brutale guerra civile che ne seguì uccise quasi 400.000 persone e sfollarono milioni di persone.
Numerosi tentativi di pace sono falliti, incluso un accordo che ha visto Machar tornare come vicepresidente nel 2016 solo per fuggire mesi dopo in mezzo a rinnovati combattimenti.
Un secondo accordo di pace firmato nel 2018 ha in gran parte tenuto, con le parti in guerra che hanno formato un governo di coalizione l'anno scorso e Kiir e Machar hanno cercato per la terza volta di guidare il paese come presidente e vicepresidente. Ma il governo non è riuscito a realizzare molte riforme, compreso il completamento dell'unificazione del comando dell'esercito, la graduazione di una forza unificata e la ricostituzione dell'Assemblea legislativa nazionale di transizione.
Secondo Amnesty, le recenti violenze nell'Equatoria occidentale possono essere ricondotte all'assegnazione dello stato all'SPLM-IO nel maggio 2020 come parte di un accordo di condivisione del potere a seguito del più recente accordo di pace. La successiva nomina di un governatore da parte di Machar ha fatto arrabbiare figure chiave dell'élite politica nella comunità di Azande, ha affermato.
Nel suo rapporto, Amnesty ha affermato di aver parlato con i sopravvissuti che hanno fornito resoconti strazianti di essere sfuggiti a colpi di arma da fuoco indiscriminati durati per ore e di interi quartieri dati alle fiamme.
"Ci hanno ordinato di sederci e hanno detto che ci avrebbero affettato come una zucca", ha detto una donna di Azande di 41 anni al gruppo per i diritti umani.
Ha detto che i combattenti si erano legati le mani dietro la schiena e avevano messo accanto a lei suo figlio di 18 mesi. Uno dei combattenti "ha messo una gamba sulla testa [di mia sorella] e le ha tagliato il collo con un coltello", ha detto. Lei e suo figlio sono stati risparmiati quando le forze pro-Azande sono arrivate e hanno iniziato a sparare agli uomini che le tenevano.
Un'altra donna, una ventenne della comunità di Balanda, ha descritto come tre uomini armati di lingua azande che indossavano mascherine per il viso si sono presentati a casa sua nella città di Tambura la notte del 2 settembre e hanno ucciso il marito di 27 anni mentre lei e la loro figlia di tre anni guardava.
“Io, mio marito e mio figlio dormivamo... Uno di loro è entrato e ha portato fuori mio marito con la forza... lo hanno fatto sedere vicino alla porta e gli hanno sparato... davanti a me. Mio marito è caduto", ha detto.
Numerosi tentativi di pace sono falliti, incluso un accordo che ha visto Machar tornare come vicepresidente nel 2016 solo per fuggire mesi dopo in mezzo a rinnovati combattimenti.
Un secondo accordo di pace firmato nel 2018 ha in gran parte tenuto, con le parti in guerra che hanno formato un governo di coalizione l'anno scorso e Kiir e Machar hanno cercato per la terza volta di guidare il paese come presidente e vicepresidente. Ma il governo non è riuscito a realizzare molte riforme, compreso il completamento dell'unificazione del comando dell'esercito, la graduazione di una forza unificata e la ricostituzione dell'Assemblea legislativa nazionale di transizione.
Secondo Amnesty, le recenti violenze nell'Equatoria occidentale possono essere ricondotte all'assegnazione dello stato all'SPLM-IO nel maggio 2020 come parte di un accordo di condivisione del potere a seguito del più recente accordo di pace. La successiva nomina di un governatore da parte di Machar ha fatto arrabbiare figure chiave dell'élite politica nella comunità di Azande, ha affermato.
Nel suo rapporto, Amnesty ha affermato di aver parlato con i sopravvissuti che hanno fornito resoconti strazianti di essere sfuggiti a colpi di arma da fuoco indiscriminati durati per ore e di interi quartieri dati alle fiamme.
"Ci hanno ordinato di sederci e hanno detto che ci avrebbero affettato come una zucca", ha detto una donna di Azande di 41 anni al gruppo per i diritti umani.
Ha detto che i combattenti si erano legati le mani dietro la schiena e avevano messo accanto a lei suo figlio di 18 mesi. Uno dei combattenti "ha messo una gamba sulla testa [di mia sorella] e le ha tagliato il collo con un coltello", ha detto. Lei e suo figlio sono stati risparmiati quando le forze pro-Azande sono arrivate e hanno iniziato a sparare agli uomini che le tenevano.
Un'altra donna, una ventenne della comunità di Balanda, ha descritto come tre uomini armati di lingua azande che indossavano mascherine per il viso si sono presentati a casa sua nella città di Tambura la notte del 2 settembre e hanno ucciso il marito di 27 anni mentre lei e la loro figlia di tre anni guardava.
“Io, mio marito e mio figlio dormivamo... Uno di loro è entrato e ha portato fuori mio marito con la forza... lo hanno fatto sedere vicino alla porta e gli hanno sparato... davanti a me. Mio marito è caduto", ha detto.
Non è cambiato niente, 28 aprile 2017
Vivo nell'oscurità – dice Abuk Aban. Frugando tra le sue cose sparse in un mucchio di terra sotto un albero, la 35enne recupera un piccolo cellulare malconcio dallo zaino nero.
Stanno bloccando la nostra comunicazione - afferma, indicando il messaggio "nessun servizio" sullo schermo. "Non ho idea se mia madre sia viva o morta.
Da quando nel 2013 è scoppiata l'aspra guerra civile in Sud Sudan tra le forze governative fedeli al presidente Salva Kiir e le truppe dell'opposizione fedeli all'ex vicepresidente Riek Machar, il Paese è precipitato in un misto di caos e tragedia costante. Entrambi le parti sono state accusate di crimini di guerra e gravi abusi commessi in violazione dei diritti umani, inclusi stupri sistematici, saccheggi e uso di bambini soldato.
Lo sfollamento di massa e la separazione forzata delle famiglie è stato uno degli effetti più consequenziali del conflitto. Dall'inizio della guerra, si stima che 1,8 milioni di persone siano diventate profughi nei paesi vicini, con altri 1,9 milioni di sfollati interni.
Christian Carlassare: il perdono e la pace
17 NOVEMBRE 2021 Autore Vittoria Terenzi
FONTE: https://www.cittanuova.it/
Originario di Piovene Rocchette (Vi), missionario comboniano, nominato vescovo di Rumbek, in Sud Sudan, da papa Francesco l’8 marzo 2021, il 25 aprile subisce un attentato. Nel corso di una visita in Italia, monsignor Christian Carlassare ha offerto nel Santuario della Madonna dell’Angelo le pallottole che lo hanno colpito. Lo abbiamo intervistato.
Cosa significa avere una vocazione missionaria?
Ogni cristiano ha una sua vocazione che nasce dall’incontro personale con Gesù Cristo. Ogni vocazione quindi è essenzialmente vita da discepolo/a in comunione con altri compagni/e di cammino, la Chiesa. Un discepolato comune che trova la sua espressione nell’apostolato, nella missione. Non esiste vocazione cristiana senza missione intesa come annuncio del Vangelo, come riconciliazione e umanizzazione delle persone e dei loro rapporti, come vocazione all’unità e alla solidarietà, come impegno per la pace e perché tutti abbiano vita in Cristo.
Come è nata la sua?
Non so come sia nata, forse è nata prima di me. Sono nato in una famiglia credente, molto ben disposta verso l’opera di uno zio missionario che avevamo come modello. Sono cresciuto in una comunità cristiana, la parrocchia, ricca di proposte e dove, fin da piccolo, ho trovato sostegno e valorizzazione della mia persona. Fin da piccolo sentivo la fiamma della vocazione missionaria che però ha trovato modo di rivelarsi solo al tempo delle scuole superiori, al termine delle quali ho iniziato il percorso di formazione con i missionari comboniani.
Come missionario si è mai sentito solo?
Ho sempre vissuto la missione in comunione con una comunità missionaria, il mio istituto e la Chiesa. Non mi sono mai sentito solo, neanche nei momenti più difficili, quando la missione mi ha chiesto perseveranza, o di prendere responsabilità importanti in prima persona. La vocazione cristiana è sempre una vocazione ecclesiale.
In Sud Sudan ha vissuto due esperienze forti: la nomina a vescovo e poi l’attentato…
Ho vissuto questi due eventi come parte della chiamata fattami dal Signore per essere a servizio della Chiesa e del popolo Sud Sudanese. La nomina a vescovo è arrivata del tutto inaspettata, non solo per la mia giovane età, ma anche per il fatto che ero da poco stato chiamato a servire la Chiesa di Malakal come vicario generale. Non può che esserci gratitudine quando la Chiesa chiama a tale compito e quindi anche desiderio di rispondervi con generosità. Ma allo stesso tempo ho sentito timore davanti alla grandezza dell’opera che mi veniva chiesta e alle gravi problematiche che la diocesi di Rumbek stava attraversando. Il mio sì è arrivato dopo un momento di preghiera e affidamento, ripetendo le parole di Charles de Foucauld nella sua preghiera di abbandono. L’attentato è arrivato ancora più inaspettato. Certo, croci e opposizioni ci sono state preannunciate da Gesù come elementi sempre presenti nella vita del discepolo e delle opere di Dio. In qualche modo anche il martirio. Ma non avevo contemplato che la mia vita potesse essere minacciata così all’improvviso. In quei momenti mi sono affidato sapendo di essere un servo qualsiasi, attraverso il quale il Signore sa compiere la sua opera.
Cosa pensa degli autori dell’attentato?
Le mie prime parole sono state di perdono. Non sono state parole di circostanza. Ma frutto di un bisogno mio personale di liberarmi dalla paura, dal risentimento e dalla frustrazione per quanto successo. L’attacco è stato attuato da giovani che non potevano avere alcun rancore contro di me, ma stavano semplicemente eseguendo un ordine, manipolati come molti altri giovani del Sud Sudan usati per perpetuare conflitti. Anche questi giovani hanno bisogno del mio aiuto per emanciparsi e riconoscere il senso della loro vita per il progresso del paese.
Poi, confrontandomi con la sofferenza di tante persone che soffrono violenza, solo il perdono apre il cammino verso la pace passando per una giustizia che sia ben diversa da quella punitiva, una giustizia capace di riconoscere l’umanità di ciascuno e quanto ci sia di bello, buono e santo in questa umanità. Ecco che le mie ferite mi permettono di far causa comune con tutte le vittime innocenti del Sud Sudan e concorrere al cammino di riconciliazione di cui il paese ha tanto bisogno.
Come aiutare le persone a riconciliarsi con Dio e con i fratelli in Sud Sudan?
La riconciliazione, come si legge nella Fratelli tutti (FT n. 246), è un fatto personale. Nessuno può imporla all’insieme di una società esigendo un perdono generale e generalizzante, pretendendo di chiudere le ferite per decreto e coprindo le ingiustizie con un manto di oblio. Il perdono è una scelta personale che nasce solo in chi sa essere riconciliato con Dio e con se stesso. È una scelta così profetica e rivoluzionaria che va a intrecciarsi con la storia e il destino di tutti, portando cambiamento e trasformazione sociale.
L’annuncio del Vangelo, la formazione degli agenti pastorali, la celebrazione dei sacramenti e l’impegno comune delle piccole comunità di base nei loro villaggi hanno portato un grande cambiamento nella coscienza di molte persone, nel saper leggere gli avvenimenti, anche quelli più dolorosi, nell’essere capaci di fare opera di pace. Rimaniamo stupiti nel vedere quanto sia minima la parte di lievito buono che va mischiata nella pasta, quanto fragile sia la pace e rivestiti di debolezza i suoi servitori. Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi, ci dice Gesù. Vinceremo se sapremo essere come Lui: agnelli solidali e pastori buoni fino in fondo.
La Chiesa sta dando un contributo importante al Paese non solo attraverso l’evangelizzazione, che è il cuore di ogni conversione, ma anche attraverso l’impegno nel campo dell’istruzione, dove i ragazzi e i giovani possono maturare una coscienza nuova ed essere educati all’unità, e l’azione umanitaria (da quella sanitaria a quella caritativa) verso le persone più povere e marginalizzate. La rete di radio diocesana offre un grande contributo verso la pacificazione, passando costantemente messaggi positivi e valorizzando narrative di pace. Non dimentichiamo il contributo dato dall’associazione dei religiosi con il centro di spiritualità e per la pace stabilito a Kit (Juba) che offre percorsi di formazione umana, cura del trauma e impegno per la pace. A questo va aggiunto anche l’impegno ecumenico per il dialogo nazionale e la riconciliazione promosso dalle diverse denominazioni cristiane attraverso il consiglio delle chiese del Sud Sudan. Nella nostra diocesi di Rumbek vogliamo valorizzare la presenza di comitati di giustizia e pace in tutte le missioni e una commissione diocesana che possa entrare in dialogo e fare da ponte tra la base (la popolazione più umile) e i vertici (i leader politici e gruppi al potere).
Nel suo stemma episcopale molti simboli richiamano l’impegno pastorale per la pace e l’unità. È possibile sognare la pace per il Sud Sudan?
Sognare è sempre possibile, anzi fa parte della natura umana. Nelson Mandela usava dire che il vincitore è un sognatore che non si è arreso. Lui ha saputo sognare un Sudafrica dopo l’apartheid che fosse riconciliato con la propria storia e capace di abbracciare tutto e tutti basandosi su valori comuni che sono la democrazia, l’uguaglianza, la riconciliazione, la diversità, la responsabilità, il rispetto e la libertà. È un sogno non ancora del tutto realizzato ma che è diventato il sogno di tante persone. Penso che abbiamo lo stesso sogno per il Sud Sudan perché sia un paese unito nella diversità dei tanti gruppi etnici presenti nel territorio e aperto al mondo, pronto a dare il proprio contributo in chiave globale.
3 DICEMBRE 2021
Le inondazioni hanno tagliato le comunità nello Stato unitario del Sud Sudan
JUBA, SUD SUDAN — Gravi inondazioni hanno colpito lo stato settentrionale di Unity, nel Sud Sudan, impedendo alle comunità di accedere alle forniture di cibo e altri beni vitali, ha detto venerdì un funzionario statale.
Più di 700.000 persone sono state colpite dalle peggiori inondazioni nel paese da quasi 60 anni, ha dichiarato a ottobre l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR, accusando il cambiamento climatico.
A Unity, al confine con il Sudan, le inondazioni hanno lasciato una scia di scarsità di cibo, hanno causato malnutrizione nei bambini e aumentato la diffusione di malattie come la malaria, ha affermato Lam Tungwar Kueigwong, ministro statale del territorio, degli alloggi e dei servizi pubblici.
Il petrolio dei campi della regione aveva contaminato l'acqua, ha detto, provocando la morte di animali domestici.
Le sofferenze causate dalle inondazioni, comprese la scarsità di cibo e le malattie, stanno mettendo sotto pressione le strutture sanitarie, ha affermato l'organizzazione benefica internazionale Médecins Sans Frontières, che opera nella zona.
"Siamo estremamente preoccupati per la malnutrizione, con livelli di malnutrizione acuta grave due volte superiori alla soglia dell'OMS e il numero di bambini ricoverati nel nostro ospedale con grave malnutrizione raddoppiato dall'inizio delle inondazioni", ha affermato MSF.
Per Nyatuak Koang, madre di tre maschi e due femmine, questa preoccupazione è fin troppo reale per lei dopo che le inondazioni l'hanno costretta a trasferirsi due volte.
"Non abbiamo un posto dove dormire, non abbiamo zanzariere e non abbiamo materiale per coprire la nostra casa", ha detto.
Quasi un decennio dopo che il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza a seguito di una guerra, deve affrontare la minaccia di conflitti, cambiamenti climatici e COVID-19, ha dichiarato a marzo il capo uscente della missione delle Nazioni Unite nel paese.
Quasi tutta la popolazione dipende dagli aiuti alimentari internazionali e la maggior parte dei servizi di base come la sanità e l'istruzione sono forniti dalle agenzie delle Nazioni Unite e dai gruppi di aiuto.
Più di 700.000 persone sono state colpite dalle peggiori inondazioni nel paese da quasi 60 anni, ha dichiarato a ottobre l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati UNHCR, accusando il cambiamento climatico.
A Unity, al confine con il Sudan, le inondazioni hanno lasciato una scia di scarsità di cibo, hanno causato malnutrizione nei bambini e aumentato la diffusione di malattie come la malaria, ha affermato Lam Tungwar Kueigwong, ministro statale del territorio, degli alloggi e dei servizi pubblici.
Il petrolio dei campi della regione aveva contaminato l'acqua, ha detto, provocando la morte di animali domestici.
Le sofferenze causate dalle inondazioni, comprese la scarsità di cibo e le malattie, stanno mettendo sotto pressione le strutture sanitarie, ha affermato l'organizzazione benefica internazionale Médecins Sans Frontières, che opera nella zona.
"Siamo estremamente preoccupati per la malnutrizione, con livelli di malnutrizione acuta grave due volte superiori alla soglia dell'OMS e il numero di bambini ricoverati nel nostro ospedale con grave malnutrizione raddoppiato dall'inizio delle inondazioni", ha affermato MSF.
Per Nyatuak Koang, madre di tre maschi e due femmine, questa preoccupazione è fin troppo reale per lei dopo che le inondazioni l'hanno costretta a trasferirsi due volte.
"Non abbiamo un posto dove dormire, non abbiamo zanzariere e non abbiamo materiale per coprire la nostra casa", ha detto.
Quasi un decennio dopo che il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza a seguito di una guerra, deve affrontare la minaccia di conflitti, cambiamenti climatici e COVID-19, ha dichiarato a marzo il capo uscente della missione delle Nazioni Unite nel paese.
Quasi tutta la popolazione dipende dagli aiuti alimentari internazionali e la maggior parte dei servizi di base come la sanità e l'istruzione sono forniti dalle agenzie delle Nazioni Unite e dai gruppi di aiuto.
La delegazione in visita dal Presidente Salva Kiir
Questa pagina ufficiale - Office of the President Republic of South Sudan @StateHouseJ1 Government organization - è stata istituita dall'autorità del Presidente della Repubblica del Sud Sudan, Sua Eccellenza Salva Kiir Mayardit. Al fine di fornire informazioni ai cittadini del Sud Sudan, al pubblico e alla comunità internazionale in generale
Sua Eccellenza il presidente Salva Kiir Mayardit ha ricevuto e incontrato la delegazione della Dichiarazione di Longechuk di Malual Gahoth, Contea di Longechok e Contea di Maiwut, Stato dell'Alto Nilo, che ha dichiarato la loro fedeltà da SPLM/A-IO sotto il Dr Riek Machar Teny a R-TGoNU sotto la guida di H. E Presidente Salva Kiir Mayardit il 9 agosto 2021.
I tre generali che si sono dichiarati insieme ai leader della comunità sono, il maggior generale Khor Chuol Giet, il maggiore generale Kang Riek Diew e il maggiore generale Lol Nguoth Chom più il commissario della contea di Longechuk, Wiyual Kun Gatluak.
Il capo della delegazione il maggiore Khor Chuol Giet ha detto a H. E il Presidente che hanno lasciato SPLM/A-IO sotto il Dr Riek Machar perché volevano liberare il loro popolo dall'odio tribale e dai conflitti sezionali proiettati su di loro da SPLM / A-IO sotto la guida del Dr. Riek Makar.
Il maggiore generale Khor Chuol Giet ha sottolineato H. E Presidente Salva Kiir Mayardit che sono loro che governano i civili e i soldati alla terra e attualmente non c'è più SPLM/A-IO nelle aree di Gajaak e non si torna indietro e sono per la pace, la stabilità e il loro popolo ha bisogno di servizi consegna ces.
I membri della delegazione hanno anche detto a H. E Presidente Salva Kiir Mayardit che il suo popolo ha sofferto abbastanza sotto la guida del Dr Riek Machar e ha assicurato H. E il Presidente che sono pienamente per la pace, la stabilità e lo sviluppo del loro popolo.
Rivolgersi alla delegazione;
Horatio. Il presidente Salva Kiir Mayardit ha detto alla delegazione di Malual Gahoth che tutte le tribù del Sudan sono la sua tribù e sono tutti i suoi figli e il suo popolo, e ha esortato che nessuno dovrebbe combattere di nuovo suo fratello e ha sottolineato che non farà accetto tutte le persone che vogliono per combattere suo fratello solo perché viene da un'altra tribù.
Horatio. Il Presidente Salva Kiir ha esortato il popolo a unirsi collettivamente per combattere il tribalismo e concentrarsi sul riunire il nostro popolo e far progredire il paese, in termini di sviluppo, crescita e prosperità.
Horatio. Il Presidente Salva Kiir Mayardit ha espresso che siamo un solo popolo e che abbiamo vissuto insieme e continueremo a vivere insieme come una sola famiglia sudanese.
L'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth il cui ruolo è stato riconosciuto dalla delegazione nel loro ritorno alla leadership di H. Il presidente Salva Kiir, ha detto a H. E il Presidente che il popolo di Malual Gahoth e Gajaak nel suo complesso più Gajaak è tornato sotto la sua guida senza spargimenti di sangue e sono pienamente per la pace, la stabilità e sosterranno la sua leadership per sempre e durante le elezioni Nel 2023.
Inoltre, l'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth ha apprezzato H. Il Presidente Salva Kiir Mayardit per aver riaccettato il suo popolo sotto la sua guida e ha sottolineato che il popolo di Gajaak continuerà a stare con il Presidente Salva Kiiir come padre fondatore del Sudan meridionale.
I membri della delegazione e l'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth hanno apprezzato l'eccellente lavoro svolto dall'on. Tut Gatluak Manime, consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale, generale Akol Koor Kuc, direttore generale per la sicurezza interna della Nati Servizio di sicurezza onal, Generale Santino Deng Wol, Capo delle Forze di Difesa, Generale Simon Yien Makuach, DG per il GIB e il maggior generale Tut Jock Hoth, per aver lavorato giorno e notte per assicurarsi che la pace venga attuata e Sua Eccellenza il Presidente Kiir è sostenuto per unire il popolo del Sudan meridionale.
Sua Eccellenza il presidente Salva Kiir Mayardit ha ricevuto e incontrato la delegazione della Dichiarazione di Longechuk di Malual Gahoth, Contea di Longechok e Contea di Maiwut, Stato dell'Alto Nilo, che ha dichiarato la loro fedeltà da SPLM/A-IO sotto il Dr Riek Machar Teny a R-TGoNU sotto la guida di H. E Presidente Salva Kiir Mayardit il 9 agosto 2021.
I tre generali che si sono dichiarati insieme ai leader della comunità sono, il maggior generale Khor Chuol Giet, il maggiore generale Kang Riek Diew e il maggiore generale Lol Nguoth Chom più il commissario della contea di Longechuk, Wiyual Kun Gatluak.
Il capo della delegazione il maggiore Khor Chuol Giet ha detto a H. E il Presidente che hanno lasciato SPLM/A-IO sotto il Dr Riek Machar perché volevano liberare il loro popolo dall'odio tribale e dai conflitti sezionali proiettati su di loro da SPLM / A-IO sotto la guida del Dr. Riek Makar.
Il maggiore generale Khor Chuol Giet ha sottolineato H. E Presidente Salva Kiir Mayardit che sono loro che governano i civili e i soldati alla terra e attualmente non c'è più SPLM/A-IO nelle aree di Gajaak e non si torna indietro e sono per la pace, la stabilità e il loro popolo ha bisogno di servizi consegna ces.
I membri della delegazione hanno anche detto a H. E Presidente Salva Kiir Mayardit che il suo popolo ha sofferto abbastanza sotto la guida del Dr Riek Machar e ha assicurato H. E il Presidente che sono pienamente per la pace, la stabilità e lo sviluppo del loro popolo.
Rivolgersi alla delegazione;
Horatio. Il presidente Salva Kiir Mayardit ha detto alla delegazione di Malual Gahoth che tutte le tribù del Sudan sono la sua tribù e sono tutti i suoi figli e il suo popolo, e ha esortato che nessuno dovrebbe combattere di nuovo suo fratello e ha sottolineato che non farà accetto tutte le persone che vogliono per combattere suo fratello solo perché viene da un'altra tribù.
Horatio. Il Presidente Salva Kiir ha esortato il popolo a unirsi collettivamente per combattere il tribalismo e concentrarsi sul riunire il nostro popolo e far progredire il paese, in termini di sviluppo, crescita e prosperità.
Horatio. Il Presidente Salva Kiir Mayardit ha espresso che siamo un solo popolo e che abbiamo vissuto insieme e continueremo a vivere insieme come una sola famiglia sudanese.
L'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth il cui ruolo è stato riconosciuto dalla delegazione nel loro ritorno alla leadership di H. Il presidente Salva Kiir, ha detto a H. E il Presidente che il popolo di Malual Gahoth e Gajaak nel suo complesso più Gajaak è tornato sotto la sua guida senza spargimenti di sangue e sono pienamente per la pace, la stabilità e sosterranno la sua leadership per sempre e durante le elezioni Nel 2023.
Inoltre, l'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth ha apprezzato H. Il Presidente Salva Kiir Mayardit per aver riaccettato il suo popolo sotto la sua guida e ha sottolineato che il popolo di Gajaak continuerà a stare con il Presidente Salva Kiiir come padre fondatore del Sudan meridionale.
I membri della delegazione e l'ambasciatore Ezekiel Lol Gatkuoth hanno apprezzato l'eccellente lavoro svolto dall'on. Tut Gatluak Manime, consigliere presidenziale per la sicurezza nazionale, generale Akol Koor Kuc, direttore generale per la sicurezza interna della Nati Servizio di sicurezza onal, Generale Santino Deng Wol, Capo delle Forze di Difesa, Generale Simon Yien Makuach, DG per il GIB e il maggior generale Tut Jock Hoth, per aver lavorato giorno e notte per assicurarsi che la pace venga attuata e Sua Eccellenza il Presidente Kiir è sostenuto per unire il popolo del Sudan meridionale.
3 DICEMBRE 2021
Il NAS ordina alle truppe di offrire un passaggio sicuro ai disertori SSPDF e alle milizie alleate
A seguito dei rapporti di intelligence sulle diserzioni di massa delle forze SSPDF e delle loro milizie alleate dai campi di addestramento e dalle stazioni di servizio in tutto il paese, la leadership del Fronte di Salvezza Nazionale (NAS) ha emesso direttive a tutte le sue forze nelle aree liberate per consentire "il corridoio umanitario senza ostacoli ” e “il passaggio sicuro” per i disertori in fuga dal fallito regime di Kiir per “riunirsi con le loro famiglie indigenti in tutte le parti del Sud Sudan e nei campi profughi” nei paesi vicini.
Questo generoso ordine è stato reso pubblico tramite un comunicato stampa datato e firmato il 2 dicembre da Suba Samual, portavoce della NAS in un comunicato stampa.
Secondo lo stesso comunicato stampa, i rapporti dell'intelligence NAS e dei comandanti suggeriscono che diversi campi di addestramento vengono abbandonati a causa del "mancato pagamento degli stipendi, delle cattive condizioni di vita, dell'ambiente di combattimento difficile, del morale basso da combattimento e dell'insoddisfazione per le false promesse fatte durante il mobilitazione". Questi rapporti sono stati supportati e convalidati anche da osservatori regionali e internazionali.
Parlando di false promesse e di un accordo di pace fallito, un recente rapporto cita Salva Kiir affermando – senza molta vergogna o rimorso – che “ forze unificate per laurearsi con i bastoni! "
Tuttavia, la leadership della NAS nella persona del suo presidente e comandante in capo generale Thomas Cirillo ha anche elogiato e applaudito i disertori per la loro "decisione tempestiva e patriottica", aggiungendo che non sarà fatto loro nulla mentre attraversano aree controllate dal NAS. raggiungere le proprie famiglie nelle altre parti del Paese o nei campi profughi dei Paesi limitrofi.
Pur applaudendo alla decisione patriottica dei disertori di liberarsi dall'essere usati come milizia personale di Kiir, la NAS ha fortemente suggerito che coloro che rimangono indecisi dovrebbero ripensare alla loro fedeltà e non permettersi di essere strumenti dell'élite politica di Juba usata per "uccidere, violentare e commettere atrocità contro i loro concittadini”.
Il comunicato stampa ha continuato a ribadire l'impegno del NAS a portare una pace duratura nel Sud Sudan affrontando le cause profonde del conflitto.
Questo generoso ordine è stato reso pubblico tramite un comunicato stampa datato e firmato il 2 dicembre da Suba Samual, portavoce della NAS in un comunicato stampa.
Secondo lo stesso comunicato stampa, i rapporti dell'intelligence NAS e dei comandanti suggeriscono che diversi campi di addestramento vengono abbandonati a causa del "mancato pagamento degli stipendi, delle cattive condizioni di vita, dell'ambiente di combattimento difficile, del morale basso da combattimento e dell'insoddisfazione per le false promesse fatte durante il mobilitazione". Questi rapporti sono stati supportati e convalidati anche da osservatori regionali e internazionali.
Parlando di false promesse e di un accordo di pace fallito, un recente rapporto cita Salva Kiir affermando – senza molta vergogna o rimorso – che “ forze unificate per laurearsi con i bastoni! "
Tuttavia, la leadership della NAS nella persona del suo presidente e comandante in capo generale Thomas Cirillo ha anche elogiato e applaudito i disertori per la loro "decisione tempestiva e patriottica", aggiungendo che non sarà fatto loro nulla mentre attraversano aree controllate dal NAS. raggiungere le proprie famiglie nelle altre parti del Paese o nei campi profughi dei Paesi limitrofi.
Pur applaudendo alla decisione patriottica dei disertori di liberarsi dall'essere usati come milizia personale di Kiir, la NAS ha fortemente suggerito che coloro che rimangono indecisi dovrebbero ripensare alla loro fedeltà e non permettersi di essere strumenti dell'élite politica di Juba usata per "uccidere, violentare e commettere atrocità contro i loro concittadini”.
Il comunicato stampa ha continuato a ribadire l'impegno del NAS a portare una pace duratura nel Sud Sudan affrontando le cause profonde del conflitto.
Rifugiati Sud Sudanesi in Congo in una Difficile Situazione Umanitaria
Un prete cattolico afferma che i Sud Sudanesi che erano fuggiti dal Paese per cercare rifugio nel vicino Congo stanno ancora “attraversando una situazione difficile”.
Padre Lazarus Mundua, che vive tra i rifugiati in Congo dal 2016, in un'intervista telefonica a Lecasetteonlus venerdì, sottolinea che il cibo insufficiente, il sistema sanitario scadente, la carenza di acqua e la mancanza di strutture educative sono le principali difficoltà che i rifugiati stanno affrontando.
Lazarus spiega che i rifugiati ricevono 19 franchi congolesi, che equivalgono a 10 dollari al mese. Questi soldi vengono dato loro per provvedere alla loro alimentazione per il periodo di un mese. Tuttavia, non è sufficiente acquistare i prodotti alimentari che dureranno per questo periodo, rendendo conto dei prezzi elevati delle cose. I soldi, che dovrebbero essere dati mensilmente, la maggior parte delle volte passano alcuni mesi senza che i rifugiati li ricevano e non sono quasi mai sufficienti visto che finora capita che per tre o quattro mesi non vengano neanche dati." Padre Lazzaro dice: "C'è molta sofferenza".
Sebbene alcune persone che sono in grado di accedere ad alcune terre siano capaci di coltivare e produrre cibo per le loro famiglie, molte sopravvivono con un lavoro occasionale. Vanno a lavorare per la comunità ospitante nel loro giardino per ottenere dei soldi per l'acquisto di cibo per aiutare a sfamare le loro famiglie. Oltre alla scarsità di cibo, p. Lazarus afferma che ci sono molti problemi di salute - affrontati principalmente da bambini e donne - e strutture idriche insufficienti per fornire acqua pulita al campo di insediamento dei rifugiati.
Padre Lazarus sottolinea inoltre che nel campo mancano strutture educative. Le uniche scuole costruite nei campi dei rifugiati sono solo due asili nido supportati dal Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia UNICEF. Tuttavia, l'UNICEF sta progettando di ritirarsi dal sostegno a queste scuole. Ha così affermato padre Lazzaro: “Ieri dovevamo incontrarci con responsabili dell'UNICEF per parlare delle scuole da loro sostenute, ma ci dicono che l'UNICEF non sosterrà più i bambini che sono all'asilo”
Il motivo per ritirarsi non è conosciuto. Alcuni dei ragazzi in età scolare escono dai campi profughi per cercare l'ammissione nelle scuole dei nativi del Congo, che sono in lingua francese mentre il Sud Sudan sia un paese di lingua inglese.
Il Congo ospita un certo numero di rifugiati sud sudanesi fuggiti dal paese a seguito della guerra civile scoppiata nel 2013 e intensificatasi nel 2016 portando alla perdita di molte vite e proprietà e allo sfollamento di persone interne o in fuga dal paese.
Sebbene sia stato firmato un accordo di pace, la sua piena attuazione è ancora in ritardo e l'insicurezza nel paese rimane elevata, caratterizzata principalmente da una serie di attacchi stradali. L'economia rimane ancora fragile.
Commemorando San Daniele Comboni
https://www.raiplay.it/video/2021/10/Sulla-via-di-Damasco---Testimoni-e-profeti---24102021-d92fe9a9-1b11-4a5d-84fb-cb04b3bf751b.html
Il Sud Sudan è una terra che ha disperso la sua gente facendola scappare in lungo e in largo, sta vergognosamente danneggiando la propria. È un paese incapace di svolgere anche le funzioni più elementari di uno stato, inclusa l'incapacità di proteggere le sue comunità e ha persino attaccato direttamente alcune, manca di disposizioni sanitarie per i malati o i feriti, ha attivamente facilitato un'altra generazione di bambini a vivere senza un istruzione di base e non è stata in grado di fornire o negare l'accesso per la consegna di cibo alla sua popolazione. La corruzione ha accecato coloro che hanno il potere mentre si riempiono le tasche della ricchezza dei NOSTRI paesi e questi stessi leader cleptocratici (governati da ladri) hanno priorità fuori luogo come l'acquisto di ulteriori armi mentre la sua gente muore di fame, è semplicemente indifendibile.
Non continuiamo a illuderci o a fingere che andrà tutto bene, la ricchezza petrolifera è ormai spesa e anche il denaro preso in prestito in questi ultimi anni deve essere rimborsato con gli interessi, il che significa che la nostra generazione non vedrà altro che difficoltà economiche. Ma se lavoriamo duramente insieme possiamo almeno salvare la nostra terra per il bene della generazione dei nostri figli.
Il paese è nostro da coltivare, è nostra responsabilità collettiva come 64 tribù far funzionare tutto questo. L'accordo di pace dell'ARCSS è crollato, ma è stato ampiamente ignorato e non c'è soluzione nel mantenere la pretesa per il bene delle apparenze.
Basta con i problemi, li conosciamo, basta con i criminali che ci hanno tenuto in ostaggio per troppo tempo, ciò di cui abbiamo bisogno sono soluzioni e vie da seguire.
Il Fronte di Salvezza Nazionale fa questo impegno nei vostri confronti che utilizzerà vigorosamente tutti i mezzi a sua disposizione per ripristinare la legge e l'ordine, il rispetto dei diritti umani e della dignità senza riguardo all'età, al sesso, all'origine etnica, alla religione e crede nella retta via di coesistenza nazionale, abbracciando gli ideali di nazioni libere, sovrane e governate democraticamente.
Correggere gli errori del passato è un compito enorme che richiede la partecipazione di tutti i cittadini, iniziando in modo minimo e simultaneo con compiti di sviluppo insieme all'assistenza umanitaria necessaria per sistemare i cittadini nelle loro case e impegnarli in un lavoro produttivo. Abbiamo bisogno che tu faccia questo lavoro.
Unisciti a NAS per dichiarare la nascita di un cambiamento imposto dai cittadini in Sud Sudan, che ci permetterà di vivere e lavorare ancora una volta nelle nostre case e di lavorare in modo produttivo, questa volta in completa sicurezza
6 Novembre 2021 - Juba, https://www.jubamonitor.com/
Siv Kaspersen "Eccomi come giornalista per un giorno!
Oggi ho incontrato lo staff di Juba monitor (Juba Monitor is an independent daily newspaper published Monday to Saturday in South Sudan). Questa settimana abbiamo partecipato all'evento #IDEI2021 Events around the world - UNESCO
per sottolineare l'importanza di un luogo più sicuro per il giornalismo. #Libertà di parola. #SSOT"
Oggi ho incontrato lo staff di Juba monitor (Juba Monitor is an independent daily newspaper published Monday to Saturday in South Sudan). Questa settimana abbiamo partecipato all'evento #IDEI2021 Events around the world - UNESCO
per sottolineare l'importanza di un luogo più sicuro per il giornalismo. #Libertà di parola. #SSOT"
4 Novembre 2021, Juba - Central Equatoria
Una visita nella zona di Gudele a Juba dove, grazie alla Fondazione Strømme ed ai partner locali, si sta sostenendo nei centri di formazione corsi tecnici e professionali. Riferisce Siv Kaspersen (Norwegian ambassador to South Sudan): "Ho incontrato giovani in fase di formazione e costruzione di abilità di vita. La formazione ha davvero trasformato le loro vite. Diminuita la criminalità in zona.Ringrazio la Fondazione Norvegese Strømme Micro Finance East Africa Limited & Prtner".
Il Sud Sudan lancia la Dichiarazione Scuole Sicure
Il governo ha lanciato la Dichiarazione sulle scuole sicure, impegnandosi a proteggere le istituzioni scolastiche dagli attacchi e dall'occupazione da parte delle forze armate in tutto il paese
Il documento di 27 pagine è un impegno politico e un accordo intergovernativo che delinea una serie di impegni per rafforzare la protezione dell'istruzione dagli attacchi e limitare l'uso delle scuole e di altri istituti di apprendimento da parte delle forze armate.
La dichiarazione offre una linea guida sulle misure concrete che le forze armate e gli attori non statali possono adottare per evitare l'uso militare delle strutture educative, per ridurre il rischio di attacco e mitigare l'impatto degli attacchi e l'uso militare quando si verificano.
Parlando oggi durante la cerimonia di lancio a Juba, il vicepresidente di Service Cluster ha affermato che coloro che hanno compiuto attacchi alle scuole durante i sei anni di conflitto devono affrontare la giustizia.
Hussein Abdelbagi, tuttavia, ha sottolineato l'importanza di sostenere i sopravvissuti agli attacchi alle scuole.
"Gli autori devono essere perseguiti, ma i sopravvissuti agli attacchi all'istruzione devono anche ricevere servizi e supporto per consentire loro di guarire", ha affermato il vicepresidente.
Secondo il Ministero della Pubblica Istruzione, più di 150 scuole sono state utilizzate per scopi militari e centinaia di bambini sono stati rapiti dalle loro classi dall'inizio del conflitto nel dicembre 2013.
Aggiunge che dal 2013 ad oggi sono stati segnalati in tutto il Paese circa 293 episodi di attacchi a scuole o persone protette o di uso militare delle scuole.
Il documento, intitolato: "Proteggi i bambini nei conflitti in Sud Sudan" dovrebbe proteggere studenti, insegnanti, scuole e altre istituzioni di apprendimento da alcuni dei peggiori effetti dei conflitti armati.
Il documento mette in evidenza la struttura fisica, l'ambiente scolastico e le strutture utilizzate nelle aree rurali e urbane del Sud Sudan.
Nel settembre 2020, il ministro della Difesa ha firmato una lettera di impegno riaffermando l'impegno dell'esercito che vieta ai membri militari di occupare le scuole e di interferire o distruggere le scuole.
Liberare le strutture di apprendimento
Nel frattempo, il ministero della Difesa ha ordinato ai soldati che occupano le scuole di Tambura di liberarle immediatamente.
“Ciò che sta accadendo in Western Equatoria è ancora una nostra responsabilità. Le nostre forze chiederanno loro di evacuare quelle scuole", ha affermato il maggiore generale Chuol Bial, sottosegretario.
L'ONU afferma che il conflitto di Tambura tra due gruppi armati è scoppiato a giugno, uccidendo oltre 200 persone e circa 100.000 altre sfollate principalmente a Ezo, Nzara, Yambio, Nagero e Wau.
Ha accusato SPLA-IO e SSPDF nello stato di alimentare il conflitto tra due comunità della zona.
Nel settembre 2021, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani in Sud Sudan ha rivelato che oltre 100 civili sono stati massacrati nelle violenze di agosto.
Ha affermato che alcune delle vittime – per lo più donne e bambini – sono state “stuprate e violentate sessualmente prima di essere uccise”.
Diversi leader, tra cui sacerdoti, attivisti e alcuni funzionari governativi, hanno chiesto la fine del conflitto.
https://eyeradio.org/s-sudan-launches-safe-schools-declaration/
Il documento di 27 pagine è un impegno politico e un accordo intergovernativo che delinea una serie di impegni per rafforzare la protezione dell'istruzione dagli attacchi e limitare l'uso delle scuole e di altri istituti di apprendimento da parte delle forze armate.
La dichiarazione offre una linea guida sulle misure concrete che le forze armate e gli attori non statali possono adottare per evitare l'uso militare delle strutture educative, per ridurre il rischio di attacco e mitigare l'impatto degli attacchi e l'uso militare quando si verificano.
Parlando oggi durante la cerimonia di lancio a Juba, il vicepresidente di Service Cluster ha affermato che coloro che hanno compiuto attacchi alle scuole durante i sei anni di conflitto devono affrontare la giustizia.
Hussein Abdelbagi, tuttavia, ha sottolineato l'importanza di sostenere i sopravvissuti agli attacchi alle scuole.
"Gli autori devono essere perseguiti, ma i sopravvissuti agli attacchi all'istruzione devono anche ricevere servizi e supporto per consentire loro di guarire", ha affermato il vicepresidente.
Secondo il Ministero della Pubblica Istruzione, più di 150 scuole sono state utilizzate per scopi militari e centinaia di bambini sono stati rapiti dalle loro classi dall'inizio del conflitto nel dicembre 2013.
Aggiunge che dal 2013 ad oggi sono stati segnalati in tutto il Paese circa 293 episodi di attacchi a scuole o persone protette o di uso militare delle scuole.
Il documento, intitolato: "Proteggi i bambini nei conflitti in Sud Sudan" dovrebbe proteggere studenti, insegnanti, scuole e altre istituzioni di apprendimento da alcuni dei peggiori effetti dei conflitti armati.
Il documento mette in evidenza la struttura fisica, l'ambiente scolastico e le strutture utilizzate nelle aree rurali e urbane del Sud Sudan.
Nel settembre 2020, il ministro della Difesa ha firmato una lettera di impegno riaffermando l'impegno dell'esercito che vieta ai membri militari di occupare le scuole e di interferire o distruggere le scuole.
Liberare le strutture di apprendimento
Nel frattempo, il ministero della Difesa ha ordinato ai soldati che occupano le scuole di Tambura di liberarle immediatamente.
“Ciò che sta accadendo in Western Equatoria è ancora una nostra responsabilità. Le nostre forze chiederanno loro di evacuare quelle scuole", ha affermato il maggiore generale Chuol Bial, sottosegretario.
L'ONU afferma che il conflitto di Tambura tra due gruppi armati è scoppiato a giugno, uccidendo oltre 200 persone e circa 100.000 altre sfollate principalmente a Ezo, Nzara, Yambio, Nagero e Wau.
Ha accusato SPLA-IO e SSPDF nello stato di alimentare il conflitto tra due comunità della zona.
Nel settembre 2021, la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani in Sud Sudan ha rivelato che oltre 100 civili sono stati massacrati nelle violenze di agosto.
Ha affermato che alcune delle vittime – per lo più donne e bambini – sono state “stuprate e violentate sessualmente prima di essere uccise”.
Diversi leader, tra cui sacerdoti, attivisti e alcuni funzionari governativi, hanno chiesto la fine del conflitto.
https://eyeradio.org/s-sudan-launches-safe-schools-declaration/
Oltre la guerra in Sud Sudan, i giovani guardano a un futuro guidato dalla tecnologia
MERCOLEDI 27 OTTOBRE 2021
Denaya Dennis
Denaya Dennis (nella foto) forma i giovani sud sudanesi sulle competenze tecnologiche presso il Koneta Hub di Juba.
Nella capitale Juba e in altre città, un numero crescente di giovani sta superando gli effetti di anni di conflitto che sono costati il futuro a genitori e nonni.
Koneta Hub, che si descrive come "un'organizzazione guidata dai giovani che si concentra sulla fornitura di soluzioni guidate dalla comunità ai problemi socioeconomici che interessano la nostra società", offre formazione gratuita ai giovani.
Il programma di sicurezza informatica su Safety Comm è in collaborazione con l'Autorità nazionale per le comunicazioni e partner internazionali, che stanno anche cercando di aumentare la velocità di Internet per dargli un raggio d'azione più ampio.
L'immagine che il mondo ha del Sud Sudan è quella della guerra, ma i giovani del paese più giovane del mondo sono determinati a creare una realtà diversa.
Nella capitale Juba e in altre città, un numero crescente di giovani sta superando gli effetti di anni di conflitto che sono costati il futuro a genitori e nonni. Hanno scelto i media in cui si trovano a loro agio: tecnologia e innovazione.
Sono nati centri tecnologici e iniziative online per affrontare i problemi quotidiani dei giovani e delle loro famiglie. Stanno prendendo di mira una serie di questioni dalla crisi ambientale, fornendo modalità alternative di consegna di carburante ai loro villaggi, mitigando le notizie false e la disinformazione, all'apertura del mondo digitale alle ragazze insegnando loro abilità vitali.
Nei locali di Dio
Koneta Hub, che si descrive come "un'organizzazione guidata dai giovani che si concentra sulla fornitura di soluzioni guidate dalla comunità ai problemi socioeconomici che interessano la nostra società", offre formazione gratuita ai giovani. Insolitamente, i suoi uffici si trovano nel complesso di una chiesa, la cui congregazione costituisce la maggior parte dei suoi clienti. Koneta si concentra principalmente su salute, istruzione e costruzione della pace.
La forza dietro Koneta è il direttore esecutivo, Denaya Dennis, lo specialista ICT di 33 anni da sempre appassionato di tecnologia. Le sue idee e i suoi progetti si concentrano sulla costruzione delle capacità dei giovani. Offre corsi gratuiti a diplomati, studenti universitari e giovani disoccupati in difficoltà economiche.
di MAURA AJAK
Commento di Rosa Dellepiane
"Questo articolo dimostra che ai giovani viene insegnato di pensare solo a se stessi dimenticandosi dei numerosi loro coetanei che nei campi profughi non hanno scuole e non hanno futuro"
25 ottobre 2021 - Padre Christian Carlassare, religioso e missionario vicentino, vescovo di Rumbek (Sud Sudan)
Oltre il muro
, Nella foto: padre Christian Carlassare, sua la citazione di una poesia di don Politi
Dio non ha disposto che io potessi stare a guardare
E guarda lo scorrere del fiume
Seduto comodamente tra l'erba del terrapieno.
Sono stato preso e gettato nel vortice del flusso d'acqua
Ed ero sopraffatto. Non voglio essere salvato.
Ma semplicemente fai qualcosa
Per logorare le rive del fiume e abbatterle
Nella sicurezza che il diluvio traboccherà
e sparse su deserti assetati
Per portare vita ovunque.
Se questo sogno non si avvera durante la mia vita,
Allora preferisco essere travolto dalle onde
E perdersi con tutti gli altri,
Perché vorrebbe dire che l'umanità
Ha ancora bisogno di morte per la sua resurrezione,
E finalmente annunciare un nuovo tempo nella storia.
don Sirio Politi, prete operaio 1920-1988
http://54.37.224.33/pretioperai/?p=10247
Dio non ha disposto che io potessi stare a guardare
E guarda lo scorrere del fiume
Seduto comodamente tra l'erba del terrapieno.
Sono stato preso e gettato nel vortice del flusso d'acqua
Ed ero sopraffatto. Non voglio essere salvato.
Ma semplicemente fai qualcosa
Per logorare le rive del fiume e abbatterle
Nella sicurezza che il diluvio traboccherà
e sparse su deserti assetati
Per portare vita ovunque.
Se questo sogno non si avvera durante la mia vita,
Allora preferisco essere travolto dalle onde
E perdersi con tutti gli altri,
Perché vorrebbe dire che l'umanità
Ha ancora bisogno di morte per la sua resurrezione,
E finalmente annunciare un nuovo tempo nella storia.
don Sirio Politi, prete operaio 1920-1988
http://54.37.224.33/pretioperai/?p=10247
In questo video presenteremo 10 fatti interessanti sul Sud Sudan.
Il Sud Sudan è un paese che si trova nell'Africa orientale delimitato a nord dal Sudan, a est dall'Etiopia, a sud da Kenya Uganda e Repubblica Democratica del Congo, e ad ovest dalla Repubblica Centrafricana.
Il Sud Sudan è uno stato membro della Comunità dell'Africa orientale, dell'Unione africana e di altre organizzazioni politiche.
Il Sud Sudan è uno stato membro della Comunità dell'Africa orientale, dell'Unione africana e di altre organizzazioni politiche.
ARC costruisce la strada Juba-Bor. Il suo capo, Benjamin Bol Mel, lo ha istituito dopo che gli Stati Uniti gli hanno imposto sanzioni per la grande corruzione nel paese.
Due uomini d'affari strettamente legati al presidente Salva Kiir stanno ancora gestendo l' attività per miliardi di dollari USA, secondo il rapporto.
Sono Benjamin Bol Mel e Kur Ajing, rispettivamente impegnati nella costruzione di strade e nell'importazione di forniture militari.
Nel dicembre 2017, Bol Mel e due società della sua vasta rete aziendale, ABMC e Home and Away LTD, sono state designate dagli Stati Uniti per il loro coinvolgimento nella corruzione in Sud Sudan.
Tuttavia, il rapporto di The Sentry suggerisce che Bol Mel abbia costituito almeno tre nuove società di costruzioni stradali collegate, vale a dire: Winners Construction, ARC Resources e Save Nation.
"Sembra essere un segreto di Pulcinella in Sud Sudan che l'ARC sia controllata da Bol Mel, e a lui si fa riferimento in numerosi articoli di stampa sulla ricezione da parte dell'ARC di esenzioni fiscali speciali e altri contratti", si legge in parte nel rapporto, citando vari documenti autenticati.
Il rapporto afferma che le società di Bol Mel si sono aggiudicate la costruzione di strade e altri contratti per progetti infrastrutturali per un valore di almeno 3,5 miliardi di dollari, compresa la costruzione della strada Bor-Juba.
Questi contratti sono garantiti dal petrolio, ma assegnati in chiara violazione della legge sugli appalti pubblici del 2018.
Nel frattempo, nell'ottobre 2019, la Casa Bianca ha imposto sanzioni ad Ajing e a una delle sue società di lui, Lou Trading and Investment Company Limited, per "coinvolgimento in tangenti, tangenti e frodi negli appalti con alti funzionari del governo in Sud Sudan.
Appena un mese dopo essere stato inserito nella lista nera, secondo quanto riferito, Ajing ha fondato Amuk for Trading and Investment sotto la moglie di lui Christine Achol Akot.
"In pochi mesi, il Ministero della Difesa del Sud Sudan ha iniziato ad aggiudicare i contratti Amuk di nuova costituzione per un totale di oltre un miliardo di dollari USA per la fornitura di cibo alle forze armate del Paese, tra cui un contratto da 539,4 milioni di dollari nel marzo 2020 e un contratto da 644 milioni di dollari in Settembre 2020, ”
Su raccomandazioni, The Sentry afferma che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti dovrebbe indagare e, nel caso, imporre sanzioni alle persone e alle entità citate in questo rapporto.
Ha inoltre invitato gli Stati Uniti a modificare gli ordini esecutivi del Sud Sudan e del Global Magnitsky per sanzionare individualmente i familiari diretti delle persone coinvolte.
La Guerra e la Lotta per lo Studio; La Storia di un Sud Sudanese
Mi chiamo Modi Gilbert, un sud sudanese nato durante la guerra e cresciuto in guerra. Sono nato in Sudan (ora Sud Sudan) ma sono cresciuto nella Repubblica Democratica del Congo e in Uganda. I miei genitori hanno cercato rifugio nella Repubblica Democratica del Congo non appena sono nato a causa dell'intensità della guerra nella mia città, Yei. È stato in Congo che ho iniziato ad andare a scuola anche se non ricordo nulla. Nemmeno io so se le persone che ci guidavano parlavano in Francese o in inglese. Questo descrive quanto ero piccolo in Congo. Sfortunatamente il vivere in Congo non sembrava essere molto buono. Questo ha costretto molte persone a lasciare il Congo per l'Uganda. Siamo andati a piedi dal Congo all'Uganda. Abbiamo impiegato molto tempo, non riuscivo a ricordare se settimane o un mese.
In Uganda è dove ho potuto sapere almeno una serie di cose perché ero già un po' grande, avrei dovuto avere cinque anni. Ed è qui che ho iniziato la mia scuola primaria. Ho studiato primaria 1, 2 e secondo trimestre di primaria tre. Di nuovo, i miei studi furono interrotti. C’era una crescente insicurezza in Uganda nell'area in cui si trovavano alcuni campi di rifugiati. Ricordo una notte che abbiamo passato nella boscaglia perché si diceva che ci fossero dei ribelli che erano entrati nel nostro campo. A causa di tutto ciò, la situazione di vivere divenne insopportabile e le persone che avevano le loro città in Sudan (ora Sud Sudan) sotto il controllo dell'SPLA/M (Sudan People's Liberation Army o Movement, il gruppo ribelle che combatteva per la liberazione del popolo di Sudan) ha dovuto lasciare l'Uganda per il Sudan. E noi eravamo tra queste persone perché all'epoca la mia città era già sotto il controllo dell'SPLM/A. Si trattava di nuovo di un altro movimento a piedi dall'Uganda al sud Sudan.
Nel Sudan (ora Sud Sudan) è dove il destino dei miei studi è diventato imprevedibile. La scuola può cominciare bene dall'inizio dell'anno ma non si sa come finirà perché sempre esserci qualche interruzione per un reclutamento forzato della gente nell'esercito. Quello che succede qui è: insegnanti e alunni sono stati arrestati e costretti ad essere reclutati con la forza nell'esercito o si nascondono per evitare di essere reclutati con la forza nell'esercito.
Nel 2002, ero tra i tanti ad essere reclutati con la forza anche se avevo meno di 13anni. Ma mio padre in seguito mi ha sostituito. Tuttavia per fortuna è stato poi liberato grazie all'aiuto del capo della zona e degli anziani che avevano fatto pressioni per il suo rilascio. Questo tentativo ha fatto venire l'idea ai miei genitori di mandarmi in Uganda per continuare i miei studi, cosa molto intelligente e utile. Non sono sicuro se avrei continuato a questo livello se avessi continuato a vivere nel villaggio. In Uganda ho completato la scuola primaria e sono tornato in Sud Sudan. Ho studiato tre anni della mia scuola secondaria in Sud Sudan, ma sono andato a completare in Uganda.
Nel 2011 sono entrato in seminario. Purtroppo il seminario è stato chiuso dopo un anno per più di due anni e quando ha riaperto non ci sono tornato subito perchè avevo perso mio padre. Durante il periodo in cui il seminario è stato chiuso, mi sono iscritto ad insegnare in una delle scuole primarie della diocesi cattolica di Yei, Christ is the King primary school poiché l'insegnamento è il lavoro accessibile a molte persone. E' un lavoro che chi ha terminato gli studi secondari può fare come volontario, anche se il lavoro è meno retribuito e meno dignitoso. Mentre insegnavo ho fatto un breve corso di giornalismo e successivamente ho lavorato come giornalista con un'azienda, , la Radio Easter FM, Yei, (una stazione membro della rete radio cattolica), The Nation Mirror weekly news paper, una radio, Radio Easter FM, Yei (una stazione membra della rete cattolica) e successivamente con il sito web Gurtong al fino al 2016, quando sono tornato in seminario nel 2019 dove ho completato i miei studi filosofici.
Mi è capitato di essere uno dei beneficiari della borsa di studio offerto da Propaganda Fide attraverso la diocesi cattolica di Yei, che è la mia diocesi. A facilitarlo sono stati il Vescovo Ercolano Ladu Tombe e John Lo'boka Morris ex rettore del seminario maggiore di San Paolo, in Sud Sudan. Alla fine di luglio 2019 attraverso questa offerta sono venuto in italia per continuare i miei studi teologici a Milano.
In tutto il periodo dei miei studi sono stata totalmente separato dalla mia famiglia. Ho iniziato a godermi la loro compagnia quando ho terminato gli studi liceali, ma di più è stato quando il seminario è stato chiuso. Quando sono tornato in seminario, la guerra scoppiata nel 2013 e in parte terminata nel 2016 si è rinnovata nello stesso anno. Questa volta la mia città è stata duramente colpita e tra le zone più colpite c'era quella in cui risiedevo. Le persone sono state cacciate e la maggior parte delle case sono state completamente vandalizzate - infatti mi è rimasto solo ciò che avevo portato con me in seminario. Qualunque cosa avessi lasciato a casa non era mai più appartenuta a me né alla mia famiglia. Con tutto questo, la mia famiglia ha dovuto fuggire dalla città in Uganda. Per quasi tre anni non ho potuto incontrarli.
In Uganda è dove ho potuto sapere almeno una serie di cose perché ero già un po' grande, avrei dovuto avere cinque anni. Ed è qui che ho iniziato la mia scuola primaria. Ho studiato primaria 1, 2 e secondo trimestre di primaria tre. Di nuovo, i miei studi furono interrotti. C’era una crescente insicurezza in Uganda nell'area in cui si trovavano alcuni campi di rifugiati. Ricordo una notte che abbiamo passato nella boscaglia perché si diceva che ci fossero dei ribelli che erano entrati nel nostro campo. A causa di tutto ciò, la situazione di vivere divenne insopportabile e le persone che avevano le loro città in Sudan (ora Sud Sudan) sotto il controllo dell'SPLA/M (Sudan People's Liberation Army o Movement, il gruppo ribelle che combatteva per la liberazione del popolo di Sudan) ha dovuto lasciare l'Uganda per il Sudan. E noi eravamo tra queste persone perché all'epoca la mia città era già sotto il controllo dell'SPLM/A. Si trattava di nuovo di un altro movimento a piedi dall'Uganda al sud Sudan.
Nel Sudan (ora Sud Sudan) è dove il destino dei miei studi è diventato imprevedibile. La scuola può cominciare bene dall'inizio dell'anno ma non si sa come finirà perché sempre esserci qualche interruzione per un reclutamento forzato della gente nell'esercito. Quello che succede qui è: insegnanti e alunni sono stati arrestati e costretti ad essere reclutati con la forza nell'esercito o si nascondono per evitare di essere reclutati con la forza nell'esercito.
Nel 2002, ero tra i tanti ad essere reclutati con la forza anche se avevo meno di 13anni. Ma mio padre in seguito mi ha sostituito. Tuttavia per fortuna è stato poi liberato grazie all'aiuto del capo della zona e degli anziani che avevano fatto pressioni per il suo rilascio. Questo tentativo ha fatto venire l'idea ai miei genitori di mandarmi in Uganda per continuare i miei studi, cosa molto intelligente e utile. Non sono sicuro se avrei continuato a questo livello se avessi continuato a vivere nel villaggio. In Uganda ho completato la scuola primaria e sono tornato in Sud Sudan. Ho studiato tre anni della mia scuola secondaria in Sud Sudan, ma sono andato a completare in Uganda.
Nel 2011 sono entrato in seminario. Purtroppo il seminario è stato chiuso dopo un anno per più di due anni e quando ha riaperto non ci sono tornato subito perchè avevo perso mio padre. Durante il periodo in cui il seminario è stato chiuso, mi sono iscritto ad insegnare in una delle scuole primarie della diocesi cattolica di Yei, Christ is the King primary school poiché l'insegnamento è il lavoro accessibile a molte persone. E' un lavoro che chi ha terminato gli studi secondari può fare come volontario, anche se il lavoro è meno retribuito e meno dignitoso. Mentre insegnavo ho fatto un breve corso di giornalismo e successivamente ho lavorato come giornalista con un'azienda, , la Radio Easter FM, Yei, (una stazione membro della rete radio cattolica), The Nation Mirror weekly news paper, una radio, Radio Easter FM, Yei (una stazione membra della rete cattolica) e successivamente con il sito web Gurtong al fino al 2016, quando sono tornato in seminario nel 2019 dove ho completato i miei studi filosofici.
Mi è capitato di essere uno dei beneficiari della borsa di studio offerto da Propaganda Fide attraverso la diocesi cattolica di Yei, che è la mia diocesi. A facilitarlo sono stati il Vescovo Ercolano Ladu Tombe e John Lo'boka Morris ex rettore del seminario maggiore di San Paolo, in Sud Sudan. Alla fine di luglio 2019 attraverso questa offerta sono venuto in italia per continuare i miei studi teologici a Milano.
In tutto il periodo dei miei studi sono stata totalmente separato dalla mia famiglia. Ho iniziato a godermi la loro compagnia quando ho terminato gli studi liceali, ma di più è stato quando il seminario è stato chiuso. Quando sono tornato in seminario, la guerra scoppiata nel 2013 e in parte terminata nel 2016 si è rinnovata nello stesso anno. Questa volta la mia città è stata duramente colpita e tra le zone più colpite c'era quella in cui risiedevo. Le persone sono state cacciate e la maggior parte delle case sono state completamente vandalizzate - infatti mi è rimasto solo ciò che avevo portato con me in seminario. Qualunque cosa avessi lasciato a casa non era mai più appartenuta a me né alla mia famiglia. Con tutto questo, la mia famiglia ha dovuto fuggire dalla città in Uganda. Per quasi tre anni non ho potuto incontrarli.
Modi Gilbert
Il Vescovo di Rumbek Christian Carlassare protagonista a "Di buon Mattino" con un'intervista sul suo attentato nella notte del 25 aprile
Quartely Report JRS Kenia by Angelo Pittaluga
Paula C Aguirregabiria
Country Communications Officer
Jesuit Refugee Service - Kenya & East Africa
Rapporto trimestrale per il periodo luglio-settembre realizzato durante questo periodo nel campo profughi di Kakuma e a Nairobi.
Ringrazio calorosamente e mi complimento per il lavoro eccellente da voi svolto. Buon proseguimento. Rosa Dellepiane
Country Communications Officer
Jesuit Refugee Service - Kenya & East Africa
Rapporto trimestrale per il periodo luglio-settembre realizzato durante questo periodo nel campo profughi di Kakuma e a Nairobi.
Ringrazio calorosamente e mi complimento per il lavoro eccellente da voi svolto. Buon proseguimento. Rosa Dellepiane
Gov 't esortato a tornare al tavolo delle trattative di Roma
(foto di repertorio 2020)
Autore: Emmanuel Akile 3 settembre 2021
Un attivista della società civile ha lanciato un appello al presidente Salva Kiir affinché riconsideri la decisione di ritirarsi dai colloqui di pace di Roma.
Il direttore esecutivo della Community Empowerment for Progress Organization sostiene che sia il governo che l'Alleanza del Movimento di opposizione del Sud Sudan dovrebbero adottare un approccio non violento per ripristinare una pace duratura nel paese.
"Con il dovuto rispetto e onore a Sua Eccellenza, il simbolo della nazione, dovrebbe assicurarsi che il dialogo continui con i gruppi di resistenza", ha detto Edmund Yakani a Eye Radio venerdì.
Lunedì, il presidente Salva Kiir ha annunciato che il governo si è ritirato dai colloqui di pace di Roma, affermando che l'Alleanza del Movimento di opposizione del Sud Sudan, o SSOMA, sta violando l'accordo di cessazione delle ostilità.
Il presidente ha affermato che il gruppo, in particolare il Fronte di salvezza nazionale, o NAS guidato dal generale Thomas Cirilo, sta attaccando i viaggiatori sull'autostrada Juba – Nimule e sulla strada Juba-Yei.
Il presidente Kiir ha incolpato gli Holdout Groups per il recente attacco che ha ucciso due suore cattoliche e altre lungo l'autostrada Juba – Nimule.
Ha detto che l'atto è una violazione dell'accordo di cessazione delle ostilità firmato tra i gruppi di resistenza e il governo di Roma, Italia.
Ma SSOMA e NAS hanno entrambi negato il coinvolgimento nell'uccisione di civili lungo le autostrade.
Hanno denunciato ciò che hanno descritto come l'efferata uccisione di civili innocenti e membri del clero.
Nel suo intervento alla prima sessione congiunta dei membri dell'Assemblea legislativa nazionale, il presidente Kiir ha annunciato il ritiro del governo dai colloqui mediati da Sant'Egidio.
“Non otterremo mai nulla dal confronto; il dialogo dovrebbe essere il modo migliore per affrontare i gruppi di resistenza", ha aggiunto Yakani.
La mediazione guidata da Sant'Egidio mira a sostenere un accordo di pace inclusivo in Sud Sudan persuadendo il gruppo di resistenza ad aderire all'accordo di pace rivitalizzato firmato nel settembre 2018.
Nel gennaio dello scorso anno, il governo e la SSOMA hanno firmato la Dichiarazione di Roma per cessare le ostilità.
Autore: Emmanuel Akile 3 settembre 2021
Un attivista della società civile ha lanciato un appello al presidente Salva Kiir affinché riconsideri la decisione di ritirarsi dai colloqui di pace di Roma.
Il direttore esecutivo della Community Empowerment for Progress Organization sostiene che sia il governo che l'Alleanza del Movimento di opposizione del Sud Sudan dovrebbero adottare un approccio non violento per ripristinare una pace duratura nel paese.
"Con il dovuto rispetto e onore a Sua Eccellenza, il simbolo della nazione, dovrebbe assicurarsi che il dialogo continui con i gruppi di resistenza", ha detto Edmund Yakani a Eye Radio venerdì.
Lunedì, il presidente Salva Kiir ha annunciato che il governo si è ritirato dai colloqui di pace di Roma, affermando che l'Alleanza del Movimento di opposizione del Sud Sudan, o SSOMA, sta violando l'accordo di cessazione delle ostilità.
Il presidente ha affermato che il gruppo, in particolare il Fronte di salvezza nazionale, o NAS guidato dal generale Thomas Cirilo, sta attaccando i viaggiatori sull'autostrada Juba – Nimule e sulla strada Juba-Yei.
Il presidente Kiir ha incolpato gli Holdout Groups per il recente attacco che ha ucciso due suore cattoliche e altre lungo l'autostrada Juba – Nimule.
Ha detto che l'atto è una violazione dell'accordo di cessazione delle ostilità firmato tra i gruppi di resistenza e il governo di Roma, Italia.
Ma SSOMA e NAS hanno entrambi negato il coinvolgimento nell'uccisione di civili lungo le autostrade.
Hanno denunciato ciò che hanno descritto come l'efferata uccisione di civili innocenti e membri del clero.
Nel suo intervento alla prima sessione congiunta dei membri dell'Assemblea legislativa nazionale, il presidente Kiir ha annunciato il ritiro del governo dai colloqui mediati da Sant'Egidio.
“Non otterremo mai nulla dal confronto; il dialogo dovrebbe essere il modo migliore per affrontare i gruppi di resistenza", ha aggiunto Yakani.
La mediazione guidata da Sant'Egidio mira a sostenere un accordo di pace inclusivo in Sud Sudan persuadendo il gruppo di resistenza ad aderire all'accordo di pace rivitalizzato firmato nel settembre 2018.
Nel gennaio dello scorso anno, il governo e la SSOMA hanno firmato la Dichiarazione di Roma per cessare le ostilità.
Il governo si ritira dai colloqui di Roma, 31 agosto 2021
Koang Pal - Eye Radio Juba
Il governo si è ritirato dai colloqui di pace di Roma, affermando che l'Alleanza del Movimento di opposizione del Sud Sudan sta violando l'accordo di cessazione delle ostilità, ha affermato il presidente Salva Kiir.
Il presidente ha affermato che il gruppo, in particolare il Fronte di salvezza nazionale, o NAS guidato dal generale Thomas Cirilo, sta attaccando i viaggiatori sull'autostrada Juba – Nimule e sulla strada Juba-Yei.
Il presidente Kiir ha accusato gli Holdout Groups di aver recentemente compiuto attacchi che hanno ucciso due suore cattoliche e altre lungo l'autostrada Juba – Nimule due settimane fa, sebbene nessun gruppo abbia rivendicato la responsabilità.
Ha detto che l'atto è una violazione dell'accordo di cessazione delle ostilità firmato tra i gruppi di resistenza e il governo di Roma, Italia.
Il presidente Kiir ha affermato che la ricerca del governo per una pace inclusiva non dovrebbe mai essere considerata una debolezza e utilizzata come una finestra per uccidere gli innocenti.
Kiir ha annunciato ieri il ritiro della delegazione del governo dai colloqui di pace di Roma durante una sessione congiunta del parlamento nazionale e del consiglio degli stati a Juba.
"Le recenti uccisioni di civili innocenti lungo l'autostrada Juba-Nimule e sulla strada Yei-Juba da parte di elementi dell'alleanza del movimento di opposizione del Sud Sudan hanno messo alla prova la nostra pazienza", ha affermato il presidente Kiir.
"Ora che SSOMA, in particolare gli elementi del Fronte di Salvezza Nazionale, continuano a violare questi impegni [accordo di cessate il fuoco], abbiamo deciso di mettere in pausa l'iniziativa di pace di Roma guidata da Sant'Egidio".
"La nostra ricerca di una pace inclusiva non dovrebbe essere presa per una debolezza e usata come una finestra per uccidere gli innocenti".
“I colloqui con la SSOMA riprenderanno solo dopo che avranno smesso di uccidere innocenti e mostreranno il loro impegno per i documenti che hanno firmato a Roma. È solo quando soddisfano queste condizioni che riprenderà il dialogo autentico con loro”.
Due settimane fa, l'Alleanza dei movimenti di opposizione del Sud Sudan o SSOMA ha negato il coinvolgimento nell'uccisione di civili lungo l'autostrada Juba-Nimule.
Denuncia ciò che descrive come l'efferata uccisione di civili innocenti e membri del clero.
Da parte loro, il Fronte di Salvezza Nazionale, o NAS guidato dal generale Thomas Cirilo, ha negato i suoi attacchi ai civili lungo l'autostrada Juba – Nimule e la strada Juba – Yei.
La mediazione guidata da Sant'Egidio mira a sostenere un accordo di pace inclusivo in Sud Sudan persuadendo il gruppo di resistenza ad aderire all'accordo di pace rivitalizzato firmato nel settembre 2018.
Nel gennaio dello scorso anno, il governo e la SSOMA hanno firmato la Dichiarazione di Roma per cessare le ostilità.
Martedì 31 agosto 2021
@Mjakovsk73
#SudSudan Nel silenzio dei media nostrani, a Roma colloqui tra le fazioni locali per cercare difficile pace
#SudSudan Nel silenzio dei media nostrani, a Roma colloqui tra le fazioni locali per cercare difficile pace
Il presidente Salva Kiir ha annunciato un aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici
A proposito dell'ordine di chiusura di Radio Jonglei
Segno di debolezza di Juba verso dimostranti pacifici Sud Sudan: Manifestazione contro il governo. Impedita con minacce e violenze Il 30 agosto doveva essere la Giornata nazionale del risveglio organizzata dalla società civile per chiedere le dimissioni dell’esecutivo. Ma tra arresti arbitrari, internet saltato e la paura alimentata tra la gente la protesta è stata rinviata 31 Agosto 2021 17:29 Bruna Sironi di Telepace
Paragraph. Clicca qui per modificare.
Paragraph. Clicca qui per modificare.
Lunedì 30 agosto, avrebbe dovuto essere un giorno “storico” per il Sud Sudan, il National awakening day (Giornata nazionale del risveglio), in cui avrebbe dovuto svolgersi la prima dimostrazione pacifica pubblica per chiedere le dimissioni del governo, accusato di non essere al servizio dei cittadini e di riportare il paese alla guerra civile. La dimostrazione avrebbe dovuto svolgersi in concomitanza con l’insediamento ufficiale del nuovo parlamento.
Era stata organizzata dalla Coalizione popolare per un’azione civica (Pcca), una rete di organizzazioni della società civile, attivisti, giuristi ed ex funzionari governativi che, alla fine di luglio, aveva presentato la campagna Ne abbiamo avuto abbastanza per chiedere un passo indietro alla leadership del paese. Nel manifesto politico, un documento di 22 pagine, l’aveva descritta come «un sistema politico fallito diventato pericoloso, che ha sottoposto la nostra gente a immense sofferenze».
Ma il governo è riuscito a impedire la riuscita della dimostrazione con una serie di misure intimidatorie preventive attuate su tutto il territorio nazionale.
Misure intimidatorie
La scorsa settimana sono stati arrestati attivisti, giornalisti e leader religiosi in diverse parti del paese. Il 25 agosto a Yei, nello stato dell’Equatoria Centrale, è stato fermato Justoson Victor Yoasa, direttore esecutivo di una ong locale. Il giorno dopo è toccato al vescovo Yemba, della chiesa evangelica presbiteriana del Sud Sudan e poi, secondo le dichiarazioni di un parente, a suo fratello Guya Robert. Tutti sarebbero stati accusati di essere sostenitori del Pcca.
Il 27 agosto a Wau, capoluogo del Bahr el Gazal occidentale, sono stati arrestati tre operatori di Iniziativa strategica per le donne nel Corno d’Africa (Siha, nell’acronimo inglese), una ben nota e autorevole rete regionale. I tre – Jal Atem Moses, Peter Rizik e Mustafa Juma – erano diretti allo stadio dove era in programma il lancio di un progetto per l’empowerment di giovani e donne. La sera stessa il commissario della polizia dello stato, general maggiore Samuel Ajuang Chwar, aveva svelato l’intenzione intimidatoria – «Stavano distribuendo T-shirt ed era evidente che questa gente è parte delle dimostrazioni» –. Di fatto non avevano commesso alcun reato. E aveva colto l’occasione per avvisare la cittadinanza e i giornalisti di non scendere in strada per la dimostrazione organizzata dal Pcca perché le forze dell’ordine erano schierate in tutta la regione con l’ordine di impedire ogni assembramento.
Sempre il 27 a Bor, nello stato di Jonglei, il Servizio per la sicurezza nazionale (Nss) ha chiuso Radio Jonglei 95.9 FM, una radio comunitaria locale, e ha arrestato e trattenuto per qualche ora tre giornalisti. Il direttore, Matuor Mabior, ha dichiarato che erano sospettati di voler trasmettere informazioni riguardanti la manifestazione del 30 agosto. Un altro giornalista, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha detto di essersi nascosto perché teme per la propria vita. La chiusura della radio è stata definita illegale dall’Unione dei giornalisti in Sud Sudan, così come le minacce agli attivisti della società civile sono state stigmatizzate da diverse persone note ed autorevoli.
Saltata la Rete
Il 30 agosto, come ulteriore e persuasivo deterrente alla manifestazione programmata, la rete internet non funzionava e le maggiori città del paese, e Juba in particolare, erano presidiate dall’esercito in assetto antisommossa, armato di kalashnikov. Nei giorni precedenti i capi delle forze di sicurezza avevano sprezzantemente osservato che i loro uomini non erano dotati di gas lacrimogeni o di pallottole di gomma, ma solo di proiettili veri e propri.
Non meraviglia, dunque che la gente abbia preferito rimanere a casa. Secondo numerose testimonianze, erano chiusi anche numerosi esercizi commerciali, mentre le strade delle città erano semideserte e silenziose.
La debolezza dell’esecutivo
Complessivamente però, il governo del Sud Sudan ha dimostrato una notevole debolezza, perché non ha saputo confrontarsi con una dimostrazione di dissenso pacifica e organizzata pubblicamente. «Il governo è nel panico» ha osservato James David Kolok, della Fondazione per la democrazia e un governo responsabile e presidente del Forum della società civile sudsudanese. Dello stesso parere è Jok Madut Jok, antropologo, professore in università americane e fondatore del centro di ricerca sudsudanese Suud. Il 29 agosto ha postato sulla sua pagina Facebook un documento, apparentemente del Pcca, in cui si dice che la dimostrazione prevista per il 30 agosto è stata spostata a data da destinarsi. Jok Madut assicura che il documento è falso e si chiede se «il regime di Salva Kiir è così disperato?». Continua con una osservazione: in questo momento cittadini che amano il paese, che rispettano la dignità umana, che rifiutano la violenza si confrontano con la forza delle armi. «È la verità contro le armi. Chi vincerà sulla lunga distanza?».
COPYRIGHT 2021 © NIGRIZIA - TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
Proff Jok Maduk of Anthropology and Public Affairs presso Syracuse University
"Giusto per la cronaca a tutti voi, questo documento che ora circola sulla cancellazione delle proteste del 30 agosto è falso. Tutti i segni della sua falsità sono scritti su di esso. La gente del PCCA mi dice che dovremmo ignorarlo, e che pubblicheranno una confutazione molto presto. Mmmm, il regime di Salva Kiir è così disperato? Pensavamo che i carri armati che hanno già schierato fossero un segno che sono falliti fino al midollo quando si tratta di idee per far avanzare il Sud Sudan. Ma ora con l'emissione di documenti falso stanno dimostrando che la disperazione è tanta.
Con umiltà posso assicurarvi che qualsiasi cosa facciano domani 30 agosto per intimidire, minacciare e saccheggiare i cittadini del Sudan meridionale, una cosa è chiara, che nessuna minaccia di violenza può sconfiggere lo spirito delle persone di cui l'unico potere è l'amore della nazione, il rispetto della dignità umana, il rifiuto della violenza e l'impegno costante nei confronti del loro Dio e dei diritti costituzionali; e l'unico potere che il regime ha è la forza militare! È la verità contro le pistole grosse. Chi lo farà a lungo termine?
Se Salva Kiir ha davvero quel potere militare, dovrebbe usarlo per respingere l'insistenza del Sudan per prendere Abyei e altre 5 aree contestate ai confini, tra cui Panthou e altre località di confine. Non rivolgere la tua frustrazione contro i cittadini disarmati, che chiedono solo semplici e fondamentali diritti!"
'Il presidente Kiir vuole uscire dai colloqui di Roma per fare la guerra'-SSOMA 20 agosto 2021
L'Alleanza dei movimenti di opposizione del Sud Sudan (SSOMA) guidata dal generale Thomas Cirillo ha accusato il presidente Salva Kiir di aver deliberatamente pianificato di uscire dai colloqui di Roma mediati da Sant'Egidio in modo da poter lanciare attacchi a tutto campo contro le forze dell'alleanza, in particolare la Salvezza Nazionale Front (NAS) nelle aree dello Stato dell'Equatoria Centrale.
In un comunicato stampa di giovedì in risposta alla dichiarazione del presidente Kiir sull'imboscata e l'uccisione di due suore e altri tre (uomini) viaggiatori sulla strada Juba-Nimule lunedì, SSOMA ha condannato la dichiarazione del presidente e lo ha accusato di voler mantenere il paese in uno stato di guerra perpetua e di insicurezza.
Martedì, il presidente Kiir ha scritto: “Il governo ha firmato la Dichiarazione di Roma, il nuovo impegno per la cessazione delle ostilità e la Dichiarazione di principi con i gruppi di controllo con l'obiettivo di fermare i combattimenti e salvare vite innocenti. Ora che i non firmatari dell'Accordo di Pace Rivitalizzato continuano a violare questi impegni, il Governo può riconsiderare la sua posizione sull'Iniziativa di Roma guidata da Sant'Egidio. La nostra ricerca di una pace inclusiva non dovrebbe mai essere presa per debolezza e usata come una finestra per uccidere gli innocenti".
La dichiarazione della SSOMA recitava in parte: “La South Sudan Opposition Movements Alliance (SSOMA) si è imbattuta in una dichiarazione inquietante del Presidente della Repubblica del Sud Sudan. Il 17 agosto. 2021, il Presidente della Repubblica del Sud Sudan, Gen. Salva Kiir Mayardit, ha rilasciato una dichiarazione sull'uccisione di civili innocenti lungo la strada Juba-Nimule, in cui ha erroneamente attribuito la responsabilità degli attacchi al “Gruppo Holdout” , consueto riferimento dispregiativo del regime alla SSOMA. Nella stessa dichiarazione, il presidente ha minacciato di riconsiderare la posizione del suo regime sul processo di pace di Sant'Egidio in corso".
Ha aggiunto: “SSOMA denuncia e condanna con la massima fermezza la dichiarazione del presidente Salva Kiir. La dichiarazione è irresponsabile, falsa, fuorviante, rivelando ancora una volta la mancanza di simpatia per le vite perse e il solito desiderio di mantenere il paese in uno stato di guerra perpetua e insicurezza mentre il presidente si prepara a lanciare un'offensiva militare sui membri della SSOMA. posizione."
SSOMA ha affermato che è un'alleanza di organizzazioni patriottiche che si impegnano a realizzare le aspirazioni del popolo del Sud Sudan a vivere in libertà e dignità e non possono commettere atrocità contro le stesse persone che sta lottando per liberare dalla tirannia del regime di Juba.
“SSOMA ritiene il regime di Salva Kiir responsabile delle rapine e degli omicidi autostradali in Sud Sudan. Gli agguati stradali in Sud Sudan sono aumentati drammaticamente, specialmente sulla strada Juba-Nimule", afferma la dichiarazione della SSOMA. “Il governo in diverse occasioni ha mostrato alla TV nazionale i criminali sospettati di essere dietro queste imboscate stradali e rapimenti. La maggior parte di questi criminali, purtroppo, sono membri della SSPDF e della Tiger Division, le guardie del corpo personali del presidente”.
Il gruppo di opposizione ha affermato di non essere sorpreso dalla retorica anti-dialogo e pro-violenza del presidente Kiir e che non li dissuaderà dal perseguire una pace giusta e duratura in Sud Sudan.
"SSOMA assicura ai cittadini del Sud Sudan il suo impegno a lavorare duramente con tutti i gruppi che la pensano allo stesso modo nel paese per porre fine alle sofferenze della gente", si legge nella nota. “SSOMA è a conoscenza e monitora da vicino l'accumulo di truppe del regime a Yei, Morobo, Kojo-Keji e Lobonok in preparazione di attacchi a tutto campo contro le forze del Fronte di Salvezza Nazionale (NAS).
Secondo SSOMA, le dichiarazioni volte a revocare la Dichiarazione di Roma sono una tattica disperata e una cortina fumogena per cercare una giustificazione per condurre un'offensiva militare contro le loro posizioni.
Il consorzio di opposizione armata ha anche accusato le truppe SSPDF di aver preso di mira la chiesa e di aver ucciso decine di sacerdoti in passato.
“La Chiesa e la comunità cristiana sono state perseguitate e prese di mira da elementi del regime di Kiir negli ultimi anni. Almeno quaranta (40) leader ecclesiastici sono stati uccisi dal regime di Salva Kiir in tutto il Sud Sudan tra dicembre 2013 e marzo 2017”, ha accusato SSOMA. “Questi attacchi e casi di omicidi includono: l'uccisione di una suora e medico cattolica slovacca, Veronica Teresa Rackova, nella contea di Yei nel 2016 da parte di un SSPDF, il reverendo Simon Kwaje nel 2017 nella contea di Yei; Johnson Makueth Akken e sua moglie di House of God for All Nations sono stati uccisi a Gudele Block 4 il 3 maggio 2021…”
La SSOMA ha invitato la comunità internazionale e le organizzazioni competenti a indagare sugli incidenti e ad informare la popolazione del Sud Sudan degli autori di questi omicidi.
“SSOMA è impegnata nella Dichiarazione di Roma e ha riaffermato il suo impegno per la cessazione delle ostilità; tuttavia, si riserva il diritto di difendere se stesso e il popolo del Sud Sudan in caso di attacco”, conclude il comunicato.
Due religiose assassinate in Sud-Sudan
Suor Mary Abbud e suor Regina Roba sono state uccise, lunedì 16 agosto, mentre si recavano a Giuba (Sud-Sudan). Le religiose rientravano dalla messa della celebrazione del centenario della parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione, della vicina diocesi di Torit, nell’Est del Paese.L’arcidiocesi di Giuba, nella parte sud-orientale del Sud-Sudan, ha confermato martedì 17 agosto 2021 la morte di due religiose: suor Mary Abbud e suor Regina Roba, religiose della congregazione delle suore del Sacro Cuore a Giuba, sono state assassinate lunedì 16 agosto. Almeno altre tre persone avrebbero trovato la morte nell’attentato.
Le religiose viaggiavano sull’autostrada Giuba-Nimule, che collega il Sud-Sudan all’Uganda. A bordo dell’autobus condividevano la tratta diverse altre suore. Stando ad ACI Africa, avevano lasciato la loro diocesi (di Giuba) per recarsi nella vicina diocesi di Torit, luogo di fondazione della comunità. Appunto lì, le due avevano preso parte alle celebrazioni per il centenario di fondazione della parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione.
Un asse stradale pericoloso Il convoglio sarebbe stato attaccato da uomini armati non identificati, i quali avrebbero cercato di incendiare il veicolo e inseguito le religiose che tentavano di fuggire. Secondo i media locali, su quell’asse stradale l’insicurezza regna sovrana: esso è vitale per l’economia del Paese, ma gli attacchi contro i viaggiatori sono numerosi. La settimana scorsa, altri due sud-sudanesi avevano trovato la morte in circostanze simili.
Per bocca del suo segretario generale, padre Samuel Abe, l’arcidiocesi di Giuba ha annunciato la sospensione delle attività della segreteria della diocesi per cinque giorni, nonché un lutto di quattro giorni.
Le università, i seminari, i collegi, gli asili e le scuole cattoliche – ha indicato in un comunicato – resteranno chiusi fino a lunedì 23 agosto. Dietro l’esempio dell’apostolo Paolo, suor Mary Abbud e suor Regina Roba hanno condotto la buona battaglia e completato la loro corsa. Sia benedetto il nome del Signore.
In un telegramma inviato a mons. Mark Kadima, della Nunziatura apostolica in Sud-Sudan e diffuso dall’Ufficio Stampa della Santa Sede, il Papa si è detto “profondamente rattristato”. Su tutte le persone che prenderanno parte alla messa esequiale per le consacrate, il Santo Padre «invoca la forza e la consolazione del Cristo risorto».
Il Pontefice ha pure accordato la benedizione apostolica a tutti coloro che saranno presenti ai funerali, previsti per domani, venerdì 20 agosto, nella cattedrale di Santa Teresa in Guba.
Attivisti del Sud Sudan annunciano proteste antigovernative
La People's Coalition for Civil Action (PCCA) ha affermato che sono in corso piani per le proteste contro il governo di transizione in tutto il Sud Sudan e la diaspora.
PCCA è un gruppo di gruppi della società civile che ha lanciato una campagna pubblica all'inizio di questo mese per chiedere un cambiamento politico dopo 10 anni turbolenti e spesso sanguinosi di indipendenza.
Kuel Aguer Kuel, un ex governatore dello stato è stato arrestato dal Servizio di sicurezza nazionale (NSS) nella capitale Juba per aver firmato la dichiarazione della campagna.
In una registrazione audio estesa a Radio Tamazuj venerdì, Abraham Awolich, rappresentante PCCA del gruppo di esperti nazionale Sudd Institute, ha affermato che il 30 agosto 2021 è l'inizio di "una serie di manifestazioni pacifiche, scioperi e disobbedienza civile in tutto il paese".
Secondo il rappresentante del gruppo, le proteste continueranno fino a quando le richieste della popolazione del Sud Sudan non saranno soddisfatte. Il gruppo ha chiesto il "rilascio immediato dell'ex governatore Kuel Aguer Kuel, dei difensori dei diritti civili e dei detenuti politici".
Ha anche chiesto le dimissioni del presidente Salva Kiir e del primo vicepresidente Riek Machar "per aver deluso il popolo del Sud Sudan dall'indipendenza".
Il governo di coalizione formato nell'ambito dell'accordo di pace del 2018 deve ancora commentare le suddette proteste .
Il Sud Sudan ha lottato per riprendersi da una guerra civile scatenata solo due anni dopo l'indipendenza del 2011 e ora è alle prese con l'instabilità e una disperata crisi della fame
PCCA è un gruppo di gruppi della società civile che ha lanciato una campagna pubblica all'inizio di questo mese per chiedere un cambiamento politico dopo 10 anni turbolenti e spesso sanguinosi di indipendenza.
Kuel Aguer Kuel, un ex governatore dello stato è stato arrestato dal Servizio di sicurezza nazionale (NSS) nella capitale Juba per aver firmato la dichiarazione della campagna.
In una registrazione audio estesa a Radio Tamazuj venerdì, Abraham Awolich, rappresentante PCCA del gruppo di esperti nazionale Sudd Institute, ha affermato che il 30 agosto 2021 è l'inizio di "una serie di manifestazioni pacifiche, scioperi e disobbedienza civile in tutto il paese".
Secondo il rappresentante del gruppo, le proteste continueranno fino a quando le richieste della popolazione del Sud Sudan non saranno soddisfatte. Il gruppo ha chiesto il "rilascio immediato dell'ex governatore Kuel Aguer Kuel, dei difensori dei diritti civili e dei detenuti politici".
Ha anche chiesto le dimissioni del presidente Salva Kiir e del primo vicepresidente Riek Machar "per aver deluso il popolo del Sud Sudan dall'indipendenza".
Il governo di coalizione formato nell'ambito dell'accordo di pace del 2018 deve ancora commentare le suddette proteste .
Il Sud Sudan ha lottato per riprendersi da una guerra civile scatenata solo due anni dopo l'indipendenza del 2011 e ora è alle prese con l'instabilità e una disperata crisi della fame
Un decennio di indipendenza, racconta la sua esperienza di guerra civile: Pious Lokale dell'Equatoria Centrale
OKELLO JAMES
Questo mese, mentre il Sud Sudan celebra i 10 anni di indipendenza dal suo vicino settentrionale, il Sudan, il 43enne Pious Lokale della contea di Lafon nell'Equatoria orientale ci racconta la speranza che l'indipendenza ha portato, la devastazione provocata dalle successive guerre civili e fa il punto di dove si trova il suo paese in questo momento storico.
Quali sono le tue aspettative per questo paese come segni del Sud Sudan il suo 10 ° anniversario come una nazione sovrana?
La mia più grande speranza quando sono tornato al mio villaggio nel 2008 era che avremmo avuto pace e sviluppo. Questa è la stessa aspettativa che ho oggi, che la pace stia finalmente arrivando. Credo che il nostro 10 ° anniversario dovrebbe essere un punto di svolta per i nostri leader, le nostre comunità ei giovani. I nostri politici devono adeguare il sistema di governo e perseguire un buon governo fondato su principi democratici in modo da godere di una pace duratura e partecipare allo sviluppo economico del nostro paese.
È tempo per noi di mettere ordine nella nostra casa, ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro governo e avviare un processo di guarigione e riconciliazione in modo che tutti i sud sudanesi possano essere uniti.
In che modo le guerre civili del 2013 e del 2016 hanno influito sulla vita?
La speranza che l'indipendenza suscitava in me fu presto distrutta dallo scoppio della guerra civile. Come cittadini non solo temevamo per le nostre vite, ma eravamo immersi in un violento pantano di avidità, politica meschina e totale disperazione. Vite e proprietà personali sono state perse, anche edifici pubblici e privati sono stati vandalizzati, i bambini hanno perso l'istruzione.
La guerra ha seminato odio tra la nostra gente. L'unità e l'identità nazionale furono perse; secondo me, questo è il motivo per cui le persone sono ora divise lungo linee etniche senza un percorso immediato per riconciliarsi tra loro poiché le cicatrici del passato sono profonde.
L'attuale tendenza alla violenza intercomunale, agli agguati stradali e all'aumento delle razzie di bestiame che si verificano in tutto il paese è il risultato dell'impatto divisivo delle guerre.
Vedi una via da seguire? Cosa possono fare i cittadini ei leader per migliorare la situazione?
L'attuale insicurezza lungo le strade, nelle città e nei villaggi è terrificante e interrompe lo sviluppo economico. Ad esempio, gli agricoltori in determinate aree non possono accedere alle loro aziende agricole e i commercianti hanno paura di aprire un'attività. Ora è difficile per le famiglie sopravvivere, con molte che sopravvivono con un solo pasto al giorno.
Se vogliamo andare avanti, dovrebbe esserci pace. Il governo dovrebbe costruire strade che collegheranno stati, contee e comunità agricole. Anche le strade dissestate dovrebbero essere riabilitate. Quando le strade vengono mantenute, i crimini su tali strade saranno ridotti e creeranno un ambiente favorevole per lo sviluppo. Dovrebbero essere affrontati anche lo scarso sviluppo infrastrutturale e la mancanza di Stato di diritto. Penso che le forze dell'ordine non stiano facendo abbastanza per tenerci tutti al sicuro.
C'è qualche appello che vuoi fare al tuo popolo e al tuo governo?
Penso che il nostro governo debba identificare le cause del conflitto e prestare attenzione a mitigare questi fattori. Il governo di transizione di unità nazionale dovrebbe essere una forza trainante per costruire una pace duratura. Sono certo che i conflitti e gli agguati intercomunitari ricorrenti cesseranno una volta che ci sarà una pace sostenibile.
Anche un dialogo nazionale per la pace dovrebbe essere prioritario. Rivisitiamo l'idea che tutti si trovino a un tavolo negoziale e che tutte le nostre preoccupazioni vengano affrontate. Durante le precedenti consultazioni con i cittadini sulle loro opinioni su ciò che riguarda il popolo del Sud Sudan, la maggior parte dei cittadini ha espresso il proprio desiderio di pace. Questo rimane valido anche oggi.
Qual è il tuo messaggio ai giovani, alle donne e ai cittadini di questo paese?
Il mio messaggio ai giovani, alle donne e agli anziani, in questo momento cruciale è di rimanere fiduciosi. Questo è il nostro paese. Ai giovani in particolare, in particolare ai giovani, non lasciatevi usare per il capitale politico o per fare leva su ristrette linee domestiche. Lascia che ti spieghi, puoi usare la legna da ardere per cucinare del buon cibo per altre persone, ma quella legna da ardere non può godersi il cibo che ha cucinato ma può solo trasformarsi in cenere. Costruiamo insieme questo paese come un solo popolo.
A poem by,
Samse Sam & Justin Lo Kiden.
11 luglio 2021
WHY REVENGE? SOUTH SUDAN AT 10 YEARS, just a 1 minute read.
At a time my country shall be a waste, Revenge, at a time you will ask, why I kill for animals, why I killed innocent souls for tribalism and ethnic violence. When the ashes disappear, you bullets, you continue to greet my flesh, when I’m in a critical advancing state, your declaration is sustaining minor injuries at the roads in my country.
Revenge! Take a rest, go off, you keep telling me at least one is dead and you left forests of wounds in the hearts of many, years are gone, and deaths are uncounted. Today one is dead, yesterday were five and tens battling with wounds and you take no account Revenge!
At a time all shall be a waste by you Revenge, why don’t you take a rest, go off. Give peace and security a chance so that my country people can go about their sources of livelihoods deeper in our villages blessed with fertile lands.
Revenge! Yours is a weapon attitude, at a time all will never benefit the hand acting, yet it’s the greatest burden, turning my tears heating up the sky and dropping blood wetting the land, turning farmers to abandon tilling as the handgun pulling the trigger is busy harvesting my flesh, why on Revenge?.
At a time my country shall be waste because of you Revenge, it could be your ideal, up till now it has no benefit because all it cares about is pain! 10 years down the road of “Independence, many are crying, we are experiencing crisis, and our land is being heavily shaken to the core, the cry for Freedom, Justice and Prosperity for all is never ending all because of you Revenger, and the response upon the unrelenting unknown continued to be unknown.
Revenge! Our environment is in crisis with her people and until when shall this continue in our beautiful ecosystem? At a time all shall be a waste, Revenge will never unite, it divides us further and breaks bonds, and PEACE in my country will never have a SPACE because of Revenge!.
fonte: https://www.facebook.com/sam.sebit
Oggi il Sud Sudan celebra i suoi primi dieci anni di vita. Ma c’è poco da festeggiare in un Paese precipitato nella guerra civile nel dicembre 2013, due anni dopo la sua indipendenza dal Sudan. Il conflitto, innescatosi per una lotta di potere tra il presidente Salva Kiir, esponente dell’etnia dinka, e il suo vice Riek Machar, dell’etnia nuer, leader della ribellione, ha provocato un’escalation di violenze interetniche, scontri tra le comunità e atrocità nei confronti della popolazione civile costate 400.000 morti.
(Marco Trovato) https://www.africarivista.it/sud-sudan-un-compleanno-amaro/188175/
A tre mesi esatti dall’attentato di cui è stato vittima in Sud Sudan, padre Christian Carlassare sale alla Madonna dell’Angelo, nella sua Piovene Rocchette, per una preghiera di ringraziamento e di affidamento del ministero che lo attende come vescovo di Rumbek e per offrire alla Regina del monte Summano le pallottole che nella notte del 25 aprile lo hanno ferito alle gambe costringendolo a rinviare l’ordinazione episcopale e il suo ingresso nella Diocesi sud sudanese.
Domenica 25 luglio alle 10 tutta la comunità religiosa e civile di Piovene scioglie, come ogni anno, il voto alla Vergine. Un gesto simbolico fortissimo che ricorda quello compiuto da papa Giovanni Paolo II a Fatima, dopo l’attentato di Alì Agca, avvenuto esattamente quarant’anni fa. Per l’occasione sarà presente anche il superiore generale dei missionari comboniani, padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, etiope.La celebrazione della festa del voto in questo 2021 è presieduta dal missionario comboniano che in queste settimane continua la convalescenza in famiglia. «L’attentato mi ha fatto la grazia di fermarmi un po’ e di rimanere più in contatto con me stesso e con il Signore – ci racconta alla vigilia – Le tante incombenze possono essere un luogo di servizio: il fare per gli altri è certamente molto importante. Ma la parte migliore sta nell’essere ciò che siamo stati chiamati a essere, vivendo la nostra vocazione con autenticità. La grazia di Dio poi ci accompagna e fa sì che le parole del Vangelo si cristallizzino nella nostra vita superando i nostri limiti e paure».
Prima la nomina a vescovo, poi gli spari nella notte: fermarsi aiuta padre Christian anche a riordinare pensieri e sensazioni di un anno del tutto particolare. Così si riallacciano i fili delle relazioni con le persone e i luoghi in cui è cresciuto e ha maturato le scelte fondamentali. «Il mio legame con la Madonna dell’Angelo è forte come per tutti i piovenesi che sperimentano la presenza e la protezione di Maria nelle vicende personali e comunitarie. Quella della Madonna dell’Angelo è un’immagine presente in tutte le case del paese. Noi di Piovene siamo cresciuti salendo al santuario per la preghiera di affidamento alla Madonna alla quarta di luglio, oltre che tutti i martedì del periodo estivo. Oltre che per la preghiera, sono stati per me momenti per coltivare i vincoli di amicizia con tante persone e di appartenenza a questa comunità cristiana».
In questi mesi di “soggiorno obbligato” in Italia, il vescovo eletto di Rumbek ha anche modo di toccare con mano la vita ecclesiale in Italia e le conseguenze del Covid, e c’è qualcosa dell’Africa che forse possiamo fare nostro: «Mi piace pensare all’Africa come a un grande polmone spirituale che ci fa respirare e superare le asfissie dell’interesse personale, del successo a ogni costo, del vincere sempre, che ci chiudono dentro i nostri piccoli recinti. Questo tempo ci fa riscoprire e valorizzare l’appartenenza comune di tutto il genere umano a cui non possiamo sottrarci e quindi prenderci cura della nostra umanità, il bene comune e la cura del creato».
In una recente intervista a Nigrizia, padre Christian ha parlato della necessità di un Concilio Vaticano III per la Chiesa. «Parlare di Concilio in questo momento è certamente prematuro, questa è espressione del bisogno di dialogo e rinnovamento di cui nella Chiesa si avverte la necessità per essere a servizio del popolo di Dio e rispondere alle grandi sfide che il mondo contemporaneo ci presenta. Credo che questo pensiero sia molto in linea con il ministero di papa Francesco e lo slancio in tante chiese locali che si stanno impegnando a vivere la dinamica del Sinodo. Credo che la Chiesa oggi sia richiamata dalla storia a vivere l’autenticità del Vangelo». «Perdono chi mi ha sparato dal profondo del cuore. E chiedo di pregare per la gente di Rumbek che sicuramente soffre più di me». Queste parole di padre Christian, pronunciate poche ore dopo l’attentato, hanno fatto il giro del mondo. Pur immerso negli incontri e nelle testimonianze tra Vicentino e Padovano, il missionario comboniano ha il pensiero rivolto alla sua gente in Sud Sudan dove ha annunciato che farà ritorno a ottobre: «Attendo con fiducia la partenza sapendo che il Signore accompagna la storia. Tutto quanto accade porta con sé una grazia se sappiamo disporci con spirito di fede e siamo pronti a fare scelte evangeliche. È comprensibile che ogni percorso prenda tempo; e sia necessario dare tempo alle persone perché comincino a camminare prendendo passi sulla retta via». Nelle stesse ore a Padova si ricorda un altro comboniano, padre Ezechiele Ramin: «Io, come lui, guardo a Gesù crocifisso, e a tutti coloro che portano la croce con coraggio e speranza».
Luca Bortoli
https://www.difesapopolo.it/Chi-siamo
La guerra che chiamano pace - Giosuè Mania - 9 luglio 2021
A partire dal 9 luglio 2021, dieci anni dopo l'indipendenza, il Sud Sudan è in rovina. Una guerra civile iniziata nel 2013 ha raso al suolo molte città del paese, sfollando milioni di persone e lasciando intere regioni sull'orlo della fame. Un accordo di pace, firmato nel settembre 2018, è riuscito solo a riportare le principali parti belligeranti a Juba, la capitale del Paese. Dai loro trespoli in un governo di transizione, i comandanti che hanno condotto l'ultima guerra civile continuano a scontrarsi in tutto il paese. Che differenza fa un nome. Le ostilità sono ora depoliticizzate come campagne di disarmo oppure liquidate come violenza etnica dalla missione miliardaria delle Nazioni Unite. L'ONU è desiderosa di aggrapparsi a una narrativa che vede l'accordo di pace come un successo, nonostante il fatto che le proprie agenzie abbiano scoperto che il livello di violenza nel paese è aumentato dal 2018.violenza politica », indica deplorevoli conflitti interetnici e suggerisce che è responsabilità del governo controllarli. Ogni volta che i ricercatori sottolineano il coinvolgimento dei politici nazionali nella presunta violenza locale che colpisce il Sud Sudan, le Nazioni Unite interpretano un credibile Capitano Renault da Rick's, annunciano il loro shock e raddoppiano il loro sostegno al governo.
Questo non era il piano. Un decennio prima, il 9 luglio 2011, i dignitari hanno visitato Juba per congratularsi con se stessi per la creazione del più nuovo stato del mondo. Questo nonostante il nuovo partito di governo del Sud Sudan, il Sudan People's Liberation Movement (SPLM), avesse combattuto una guerra civile lunga ventidue anni contro il governo sudanese a Khartoum, e che fossero stati i sud sudanesi a votare per la secessione dal il loro vicino settentrionale. Per gli americani, i britannici e i norvegesi coinvolti nell'accordo di pace che pose fine alla guerra civile, il Sud Sudan era il loro bambino. Un rapporto della Banca Mondiale scritto poco prima dell'indipendenza ha portato queste fantasie neonatali alla loro apoteosi coloniale, salutando il Sud Sudan come una tabula rasa. Non ci sono strade, né mercati, né istituzioni, afferma il rapporto, e come luccicavano gli occhi dei consulenti, aggiungevano: bisognerà crearle. Per gli internazionali che si accalcavano per l'aeroporto di Juba, desiderosi di costruire una nuova nazione, quel Sud Sudan era terra nullius ha ovviato a qualsiasi necessità di imparare qualcosa sul paese. Approcci alla statualità e racconti semplicistici su un sud cristiano vittima, ora libero dal giogo dell'oppressore islamico settentrionale, erano più funzionali di una reale comprensione della storia della regione. Bisognava costruire uno stato, al diavolo le conseguenze.
La leadership dell'SPLM ha tratto profitto dall'ignoranza internazionale. Un aspetto duraturo della storia dell'SPLM è la sua capacità di trasformare a proprio favore le storie – spesso semplicistiche, se non semplicemente razziste – che gli estranei raccontano sul Sudan meridionale. È ugualmente abile nel produrre storie destinate al consumo esterno. Il primo leader dell'SPLM, John Garang, era un maestro in questo senso. Un politico carismatico con un dottorato di ricerca dello stato dell'Iowa, Garang ha fondato l'SPLM nel 1983 con un appello per la rivoluzione a Khartoum. (L'indipendenza del Sud, diplomaticamente un frutto a penzoloni, è emersa come obiettivo in parte grazie alla pressione americana). L'incoerenza delle dichiarazioni successive di Garang non era il risultato di ore insufficienti in biblioteca, ma un apprezzamento della discordanza come strumento diplomatico del mestiere. I movimenti ribelli in Sudan hanno sempre fatto affidamento sulla manipolazione dei sostenitori esterni. Garang potrebbe apparire marxista ai sostenitori etiopi dell'SPLM e poi, in seguito ai cambiamenti regionali tettonici e al crollo del regime del Derg ad Addis Abeba, diventare miracolosamente il modello di autodeterminazione nazionale che le sue cheerleader americane volevano che fosse. Morì in un incidente in elicottero subito dopo che l'America costrinse Khartoum a firmare un accordo di pace nel 2005. Tra i disastri del Medio Oriente, questa doveva essere una facile vittoria della politica estera americana. L'accordo garantiva al sud Sudan sei anni di autogoverno e un referendum sulla secessione nel 2011. Salva Kiir, il successore di Garang, non ha ereditato nulla del suo carisma, ma tutta la sua capacità di manipolare gli stranieri egoisti. Dal 2005-11, quando le entrate petrolifere e i fondi dei donatori sono confluiti nel sud, Kiir coltivava l'adorazione dei costruttori di stati stranieri, desiderosi di vedere realizzarsi i loro sogni di un nuovo stato-nazione. Entrò in scena lui stesso poco dopo l'indipendenza. Sud Sudan, ha affermato: è untabula rasa !
Non lo era, ovviamente. La Gran Bretagna ha impiegato trent'anni per pacificare il Sudan meridionale, principalmente attraverso un governo indiretto, poiché ha classificato i numerosi gruppi della regione in base all'etnia, mettendoli l'uno contro l'altro. All'indipendenza nel 1956, il Sudan settentrionale, più urbanizzato e presumibilmente arabo, era pronto a continuare le politiche britanniche e ad utilizzare il sud come cortile da cui estrarre risorse e lavoro. La prima guerra civile del Sudan (1955-1972) era iniziata l'anno prima dell'indipendenza, mettendo l'élite del nord contro le periferie emarginate del paese. La guerra si è conclusa con sogni socialisti di sviluppo nel sud, aspirazioni che sono morte quando la crisi finanziaria degli anni '70 ha colpito il Sudan, e Khartoum è crollata sotto il peso del suo debito. La seconda guerra civile (1983-2005) iniziò subito dopo. Secondo le storie che si sono diffuse durante l'indipendenza del Sud Sudan, la guerra ha contrapposto lo stato del Sudan settentrionale ai gruppi ribelli del sud. In realtà, il nord ha preso in prestito un trucco dagli inglesi e ha messo le popolazioni del sud l'una contro l'altra in violenti conflitti etnici. Per Khartoum, questa era una guerra a buon mercato. Il petrolio era stato scoperto nel sud del Sudan alla fine degli anni '70 e le forze della milizia sponsorizzate dal nord sotto il comando di Paulino Matip per combattere l'SPLM e liberare le popolazioni dai pozzi petroliferi. Altrove, sono emersi più gruppi di miliziani, cambiando spesso schieramento, mentre manipolavano i venti del favore regionale. Dall'esterno, questo sembrava un intenso caso di divide et impera, il nord che metteva i gruppi del sud l'uno contro l'altro. All'interno del Sudan meridionale, se è vero che Khartoum ha manipolato i comandanti del sud,
Sia che i comandanti fossero quadri del più grande gruppo etnico del Sud Sudan, i Dinka, fedeli all'SPLA (l'ala militarizzata dell'SPLM), o membri delle milizie di Matip, in gran parte provenienti dai Nuer, il secondo gruppo etnico del paese, usavano armi da sostenitori esterni per manipolare gli aiuti umanitari, controllare i mercati del bestiame e dei cereali e posizionarsi in cima a un'economia di guerra. Dotati di armi, hanno predato le popolazioni locali, arricchendosi a spese degli agricoltori e dei pastori del Sud Sudan. Geopoliticamente dipendenti da forze esterne, in lotta tra loro, questi comandanti erano tuttavia impegnati in un processo di formazione di classe. È stata questa classe militarizzata che ha assunto il controllo dello stato del sud sudanese nel 2005.
Una volta terminata la seconda guerra civile, le forniture umanitarie sono state integrate da fonti di reddito più redditizie. I proventi del petrolio ei fondi dei donatori sono andati nelle tasche dei comandanti che hanno costruito un'economia basata sulla rendita basata sulla ridistribuzione del reddito esterno ai sostenitori armati. Superficialmente, si stava creando uno stato moderno e liberale sotto l'occhio vigile dell'Adam Smith Institute. sub mensa, il progetto di formazione di classe iniziato durante la guerra proseguì a ritmo sostenuto. I comandanti hanno spostato le popolazioni ostili, premiato i fedeli elettori con progetti di sviluppo delle ONG e hanno attaccato gli oppositori con il pretesto di campagne di disarmo e smobilitazione. Se a Juba la comunità internazionale cenava con vino e mozzarella d'importazione nei ristoranti vicino al Nilo, nel resto del Paese la guerra civile continuava.
Non era solo che l'ONU e il corpo diplomatico erano volontariamente ciechi ai travagli del paese fuori dalla capitale; la forma stessa dell'accordo di pace firmato nel 2005, il Comprehensive Peace Agreement (CPA), ha incoraggiato questo processo di formazione di classe. Il CPA era un quadro bilaterale tra due parti belligeranti: l'SPLM e il governo sudanese, ed escludeva tutte le milizie che avevano combattuto contro il movimento ribelle del sud. Ignorava il fatto che per gran parte del Sudan meridionale l'SPLM era un esercito di occupazione. L'accordo non lasciava spazio alla discussione politica ed era concepito per procedere in modo strettamente tecnocratico. Questo ha lasciato il problema di tutti i gruppi di miliziani in tutto il paese. Kiir ha preso una foglia dal libro di giochi di Khartoum e ha deciso di comprarli.
Nel 2006, la Dichiarazione di Juba ha portato le milizie di Matip – tra molte altre – nell'SPLA, premiando l'effimera lealtà con i petrodollari e mettendo in moto un sistema in cui i comandanti hanno sfruttato la potenziale violenza in guadagni lucrosi. I comandanti iniziarono a organizzare ribellioni ea chiedere posizioni migliori come prezzo per il loro riassorbimento nell'esercito. I ranghi dell'SPLA si riempirono di soldati fantasma, inventati in modo che i comandanti potessero aumentare i loro stipendi. Ben presto, quasi l'intero bilancio statale fu destinato ad alimentare la macchina da guerra. Niente di tutto questo è stato riconosciuto dalla comunità intenzionale. Formalmente, lo stato del Sud Sudan era in costruzione e l'esercito riformato. Milioni sono stati spesi in fantastiche riforme del settore della sicurezza, diligentemente supervisionate da consulenti internazionali, ma prive di significato al di fuori degli uffici climatizzati della capitale.
In tutto il paese ha preso piede una politica sempre più a somma zero. Comandanti e politici hanno fatto appelli etnici ai loro collegi elettorali, mettendo le comunità l'una contro l'altra. Lo stato esisteva sulla carta, una sottile patina di legittimità data dalla comunità internazionale a un'élite predatrice. La maggior parte dei commentatori colloca la fine di questa abbondanza nel 2012, quando in una situazione di stallo sulle tasse di transito del petrolio con il Sudan (l'unico oleodotto nel sud corre a nord), l'SPLM ha spento il petrolio, attivando quello che Alex de Waal ha definito un "giorno del giudizio". macchina'. Senza i soldi per ungere le ruote degli imponenti 4x4 dei comandanti, sosteneva de Waal, la guerra civile era imminente. Il sistema sarebbe imploso a prescindere. Kiir e la sua cricca di politici in gran parte Dinka non avrebbero potuto permettersi indefinitamente di evitare la guerra aumentando continuamente i pagamenti di rendita ai comandanti, soprattutto in considerazione del crollo dei prezzi globali del petrolio che sarebbe seguito nel 2014. Allarmata dal predominio numerico delle forze Nuer di Matip nell'SPLA, la cricca di Kiir aveva iniziato a formare milizie monoetniche tra i loro collegi elettorali, reclutate al di fuori dell'ambito dell'esercito . Lo sviluppo di queste milizie private era semplicemente un riflesso di ciò che l'esercito era diventato: un insieme di comandanti legati solo dal comune progetto di arricchimento.
Nel giugno 2013, di fronte a una situazione finanziaria sempre più austera, Kiir aveva licenziato sia Riek Machar, il suo vicepresidente Nuer, sia il suo gabinetto, ed era chiaro a tutti tranne che al corpo diplomatico che la guerra era all'orizzonte. I combattimenti all'interno della guardia presidenziale nel dicembre 2013 sono stati la scintilla che ha infiammato il paese. Da una parte: Kiir, le sue milizie e ciò che restava dei proventi del petrolio. Dall'altro: Machar e praticamente tutti i comandanti Nuer sono entrati nell'SPLA nel 2006. Potrebbe essere stata la seconda guerra civile, redux, se non fosse avvenuto un riallineamento regionale. L'Uganda di Museveni appoggiò la cricca al potere di Kiir e inviò truppe per fermare la nascente forza ribelle, l'Esercito Popolare di Liberazione del Sudan in Opposizione (SPLA-IO), che raggiungeva Juba. Khartoum si spostò di lato. Kiir aveva cacciato la maggior parte dei cosiddetti "ragazzi Garang", fedeli al sogno di una rivoluzione a Khartoum, e li sostituì con politici del sud che avevano servito il nemico del nord e più suscettibili di un accordo con il Sudan basato su interessi economici condivisi nel petrolio e nell'estrazione mineraria. Senza un sostenitore esterno, lo SPLA-IO fu presto superato. Un importante generale ribelle, Gathoth Gatkuoth, ora comodamente sistemato nel governo, ha detto a un investigatore delle Nazioni Unite che si sarebbe felicemente convertito all'Islam, se solo Khartoum gli avesse offerto rifornimenti.
L'SPLM avrebbe sempre vinto la guerra. Per la cricca di Kiir, il conflitto era un'opportunità per consolidare il controllo del paese. La guerra ha continuato il processo di formazione della classe, piuttosto che interromperlo. Due modalità, una sostanza. Dal 2005-13, il governo ha utilizzato la riorganizzazione dei confini di contea per costringere gli oppositori a lasciare la propria terra. Quando iniziò la guerra, il governo completò il processo, effettuando la pulizia etnica all'ingrosso delle popolazioni dell'opposizione. I de facto spostamenti della guerra sarebbero quindi essere fatti oggetto di de juresentenze legali, a seguito dell'ultimo accordo di pace, che santificano i furti di terra. In alcuni paesi, le popolazioni sfollate sarebbero poi state rimandate a lavorare la terra che un tempo possedevano, questa volta come lavoratori salariati. Per aggiungere al danno la beffa, il cibo così prodotto viene talvolta acquistato dall'élite dai governi donatori, per essere distribuito agli sfollati come aiuto alimentare. La grande storia non raccontata della guerra civile del Sud Sudan è che è stato un massiccio trasferimento di ricchezza da una popolazione immiserita a un'élite militarizzata, consentita dalla comunità internazionale.
Gli unici a non vedere queste continuità sono l'ONU e il corpo diplomatico, per i quali la guerra civile è stata uno shock. Vista vagamente da dietro il velo internazionale di fogli di calcolo e composti sorvegliati, la guerra non faceva parte della loro matrice di attuazione. C'era un calendario per la costruzione dello stato, e la guerra lo divise a pezzi. Per riparare questo buco nella rete del tempo, è stato inviato un esercito da quella che Séverine Autesserre chiama "Pacelandia". I cortigiani di Peaceland sono corpi diplomatici, esperti internazionali nella riforma del settore della sicurezza e l'ONU. Ben presto ci furono innumerevoli riunioni in costosi hotel ad Addis Abeba, molti falliti cessate il fuoco e due accordi di pace. Il processo tecnocratico formalizzato di questi accordi è stato volontariamente cieco alla reale economia politica del Sud Sudan quanto il processo di costruzione dello stato,
Nel 2018, l'SPLA aveva ottenuto una consumata vittoria militare. Il secondo accordo di pace – quello che a quanto pare ora è in vigore – era in effetti una resa negoziata. Machar tornò di soppiatto nella capitale, dipendente dalle briciole del tavolo di Kiir. Il processo di riforma del settore della sicurezza attualmente in corso nell'ambito dell'accordo è un gigantesco schema piramidale, in cui i comandanti reclutano truppe con la promessa di stipendi e gradi, proprio come avveniva ai bei vecchi tempi dopo il 2005. Nessuna tale abbondanza è imminente. Il governo vuole non ripetere la Dichiarazione di Juba e riportare le truppe Nuer nell'esercito. In ogni caso, la maggiore potenza militare del Paese è ora una serie di servizi di sicurezza monoetnici controllati direttamente dalla cricca di Kiir. Il più grande di loro, il National Security Service, modellato sulla polizia segreta di Khartoum,
A Juba, l'élite ha formato un governo di transizione. La guerra di classe continua, questa volta in condizioni di austerità. La produzione di petrolio notevolmente ridotta del Sud Sudan è già stata prevenduta alle banche degli Emirati e del Qatar, e al posto dei petrodollari, il regime di Kiir dispensa licenze a comandanti e politici che si contendono la posizione. Il loro reddito deriva dalla terra, dai minerali, dalle tasse e dalla manipolazione delle ONG umanitarie. Un comandante che conosco guadagna bene creando complessi prêt-a-porter su terreni che ha occupato e affittandoli a ONG che dovrebbero assistere le persone sfollate dal comandante. L'élite può essere una classe irritabile, ma è molto consapevole del fatto che la sua posizione dipende dalla parvenza di legittimità datale dall'accordo di pace. È una farsa adatta a tutti a Juba.
La Banca Mondiale considera formalmente la guerra un disastro, ma per molti aspetti il conflitto ha raggiunto gli obiettivi dell'organizzazione. Vasti tratti del paese sono ora disabitati, poiché le popolazioni si ritirano in aree urbane relativamente più sicure. La popolazione di 12 milioni del Sud Sudan è ora per il 20% urbana. La terra vuota che ne risulta può essere svenduta a società straniere e baroni locali. La popolazione sud sudanese, sfollata nelle città, dipende sempre più dai mercati per il cibo e dai salari per il reddito. Negli ultimi mesi proteste e rivolte si sono diffuse in tutto il Paese. I gruppi giovanili hanno chiesto alle ONG internazionali di assumere persone locali oppure di andarsene. I magazzini sono stati bruciati. A Juba, gli internazionali respingono queste richieste come rivendicazioni etniche identitarie, create dalle manipolazioni di politici senza scrupoli. C'è del vero in queste affermazioni, ma è nondimeno notevole che anche se le richieste dei giovani sono articolate etnicamente, sono identiche a livello nazionale, e una mobilitazione socio-economica che la comunità internazionale vorrebbe minimizzare. Dopotutto, c'è uno stato da sostenere.
Continua a leggere: Alex de Waal, "Sfruttare la schiavitù" , NLR I/227.
https://starvationaccountability.org/about/alex-de-waal
Padre Christian Carlassare offre a Maria le pallottole che lo hanno ferito
21 luglio 2021
A tre mesi esatti dall’attentato di cui è stato vittima in Sud Sudan, padre Christian Carlassare sale alla Madonna dell’Angelo, nella sua Piovene Rocchette, per una preghiera di ringraziamento e di affidamento del ministero che lo attende come vescovo di Rumbek e per offrire alla Regina del Monte Summano le pallottole che nella notte del 25 aprile lo hanno ferito alle gambe costringendolo a rinviare l’ordinazione episcopale e il suo ingresso nella Diocesi sud sudanese.
Domenica 25 luglio alle 10 tutta la comunità religiosa e civile di Piovene scioglie, come ogni anno, il voto alla Vergine. Un gesto simbolico fortissimo che ricorda quello compiuto da papa Giovanni Paolo II a Fatima, dopo l’attentato di Alì Agca, avvenuto esattamente quarant’anni fa. Per l’occasione sarà presente anche il superiore generale dei padri comboniani, padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, etiope. (fonte www.difesapopolo.it)
«In ottobre torno in Sud Sudan»Padre Christian Carlassare, vescovo di Rumbek, 43 anni, conosce bene il complesso conflitto etnico che attraversa il Sud Sudan, anche se non sembra essere lì la spiegazione dell’attentato che ha subìto lo scorso aprile nel quale è rimasto ferito alle gambe. Rientrato nelle scorse settimane in Italia, il padre comboniano nato residente a Piovene, ha da pochi giorni concluso il periodo di quarantena e lunedì ha visitato il convento delle canossiane di Schio, dove sono conservate le spoglie della Santa sudanese Giuseppina Bakhita.
Padre Christian, come prosegue il recupero dal ferimento?
«Ora riesco a camminare senza stampelle, mi muovo autonomamente anche se non riesco a correre, salire in montagna o sostenere lunghe camminate. Ma è solo questione di esercizio per rafforzare il muscolo».
In un suo articolo pubblicato nel numero di “Nigrizia” di questo mese descrive la situazione della Chiesa in Sud Sudan, dove “il sangue della cultura e dell’etnia rimane più forte e più importante dell’acqua sacra del battesimo”. Lo dico scherzando: è sicuro di voler tornare?
«L’Africa è così, è molto complessa. Quando però noi perdiamo la speranza, lì sono abituati a non abbandonare mai la sfida, hanno sempre la speranza attiva, credono che qualcosa possa cambiare. Non posso fare a meno di essere parte di questa speranza».
A tre mesi esatti dall’attentato di cui è stato vittima in Sud Sudan, padre Christian Carlassare sale alla Madonna dell’Angelo, nella sua Piovene Rocchette, per una preghiera di ringraziamento e di affidamento del ministero che lo attende come vescovo di Rumbek e per offrire alla Regina del Monte Summano le pallottole che nella notte del 25 aprile lo hanno ferito alle gambe costringendolo a rinviare l’ordinazione episcopale e il suo ingresso nella Diocesi sud sudanese.
Domenica 25 luglio alle 10 tutta la comunità religiosa e civile di Piovene scioglie, come ogni anno, il voto alla Vergine. Un gesto simbolico fortissimo che ricorda quello compiuto da papa Giovanni Paolo II a Fatima, dopo l’attentato di Alì Agca, avvenuto esattamente quarant’anni fa. Per l’occasione sarà presente anche il superiore generale dei padri comboniani, padre Tesfaye Tadesse Gebresilasie, etiope. (fonte www.difesapopolo.it)
«In ottobre torno in Sud Sudan»Padre Christian Carlassare, vescovo di Rumbek, 43 anni, conosce bene il complesso conflitto etnico che attraversa il Sud Sudan, anche se non sembra essere lì la spiegazione dell’attentato che ha subìto lo scorso aprile nel quale è rimasto ferito alle gambe. Rientrato nelle scorse settimane in Italia, il padre comboniano nato residente a Piovene, ha da pochi giorni concluso il periodo di quarantena e lunedì ha visitato il convento delle canossiane di Schio, dove sono conservate le spoglie della Santa sudanese Giuseppina Bakhita.
Padre Christian, come prosegue il recupero dal ferimento?
«Ora riesco a camminare senza stampelle, mi muovo autonomamente anche se non riesco a correre, salire in montagna o sostenere lunghe camminate. Ma è solo questione di esercizio per rafforzare il muscolo».
In un suo articolo pubblicato nel numero di “Nigrizia” di questo mese descrive la situazione della Chiesa in Sud Sudan, dove “il sangue della cultura e dell’etnia rimane più forte e più importante dell’acqua sacra del battesimo”. Lo dico scherzando: è sicuro di voler tornare?
«L’Africa è così, è molto complessa. Quando però noi perdiamo la speranza, lì sono abituati a non abbandonare mai la sfida, hanno sempre la speranza attiva, credono che qualcosa possa cambiare. Non posso fare a meno di essere parte di questa speranza».
Il 23 maggio si sarebbe dovuta svolgere la sua consacrazione a Vescovo dopo la nomina avvenuta l’8 marzo. Nella notte tra il 25 e 26 aprile le hanno sparato alle gambe. È stato ricoverato a Nairobi e poi è rientrato in Italia. Oggi la situazione a Rumbek qual è?
«La Diocesi è attualmente retta da un amministratore apostolico che ha il compito di traghettarla fino al mio arrivo e risolvere le problematiche che si sono create dopo l’attentato. Le indagini sono in corso, quando la vicenda si sarà conclusa in tribunale vedremo come procedere. Quanto a me ho deciso di ritornare in Italia proprio perchè tutto questo possa svolgersi nel migliore dei modi. Conto di tornare in Sud Sudan per ottobre. Nel frattempo mi riposerò e in settembre sarò a Roma per incontrare la Segreteria di Stato e Propaganda Fide».
A proposito di Segreteria di Stato, in maggio era previsto il viaggio in Sud Sudan del cardinale Gallagher, che poi avrebbe dovuto presiedere la sua consacrazione. Perché la Chiesa è così coinvolta nei colloqui di pace in Sud Sudan?
«Nella Chiesa c’è sempre un’attenzione per gli ultimi, per le realtà più disperate e le situazioni più difficili come lo sono, in Africa, la Repubblica Centrafricana o la Repubblica Democratica del Congo. Nel caso del Sud Sudan, è stata anche la comunità internazionale a chiedere alla Chiesa di interessarsi al processo di pace perché è l’unica realtà presente in tutte le comunità etniche del Paese, l’unica istituzione credibile e accettata da tutti».
Le indagini, non ancora concluse, sul suo attentato hanno coinvolto autorevoli responsabili della Diocesi. Sarà difficile rimarginare questa ferita?
«Dopo l’attentato ho ricevuto la solidarietà dal Governo, dalle autorità locali, dalla Chiesa e dalla gente. C’è un grande desiderio di cambiamento e la speranza è che questo possa avvenire a partire dalla mia presenza. Come dicevo all’inizio, nonostante quello che è accaduto la speranza c’è e sento di farne parte in qualche modo. C’è bisogno di ripartire dal nostro interno come diocesi, di purificare aspetti non chiari e ricominciare. La gente ha bisogno di questo».
http://www.vocedeiberici.it/chi-siamo/
Le notizie dal Sud Sudan negli ultimi 10 anni sono state inesorabilmente cupe. La gioia e le celebrazioni che hanno segnato l'indipendenza il 9 luglio 2011 sono state sostituite da denunce di violenze sessuali, conflitti, instabilità economica e fame.
La pandemia di Covid-19 ha aggravato i problemi del Paese. Un rapporto all'inizio di quest'anno prevedeva che migliaia di persone moriranno di fame nel 2021 a causa delle ricadute economiche della pandemia e degli effetti della crisi climatica. Questa settimana, il rapporto alimentare delle Nazioni Unite ha affermato che oltre il 60% della popolazione del Sud Sudan è ora considerata gravemente insicura dal punto di vista alimentare.
È difficile essere ottimisti sul futuro del paese più giovane del mondo. Ma c'era un barlume di speranza nell'intervista di Lizzy Davies con Gloria Soma, la direttrice della Titi Foundation di Juba. La fondazione sta lavorando per sostenere donne e bambini con forniture di cibo, sapone e acqua pulita e affrontando il problema endemico della violenza sessuale. Come ha detto Soma a Davies, c'è stata un'"accettazione stanca e traumatizzata" dell'omicidio, dello stupro e degli abusi a cui le donne sono e sono soggette. La fondazione sta ora lavorando con altri gruppi per i diritti delle donne per porre fine alla stanchezza e portare giustizia per le sopravvissute.
Il lavoro che Soma e molte altre donne stanno facendo in tutto il mondo avrà bisogno di sostegno per crescere. Il voto che martedì ha sancito i tagli di 4 miliardi di sterline agli aiuti del Regno Unito sarà un duro colpo.
Ma $ 40 miliardi (£ 30 miliardi) sono stati promessi da governi, imprese e fondazioni filantropiche al recente Generation Equality Forum per sostenere i diritti delle donne e porre fine alle disuguaglianze globali. Aspettiamo di vedere dove andranno a finire i soldi. Ma sarebbe sbagliato se una fetta significativa non finisse nelle mani dei gruppi locali per i diritti delle donne come quello di Soma, che vedono il bisogno in prima persona, sanno cosa vogliono le loro comunità e ci sono dentro per il lungo periodo
9 LUGLIO 2011
Albeggiava appena ma quel 9 luglio era stato preparato da mesi, anzi da anni.
Quel giorno era così denso di attese che fiumi di persone erano già arrivate da ogni parte del Paese con i loro abiti tradizionali, le bandiere e i tamburi. Prima dello spuntar del sole, la grande piazza del mausoleo di John Garang, considerato l’eroe che aveva liberato il popolo dall’oppressione di Khartoum, era gremita da una moltitudine di gruppi etnici che cantavano e danzavano. Il protocollo della cerimonia annunciava l’arrivo di capi di Stato e delegazioni di alto rango, ma la gente continuava a festeggiare imperturbata, con spontanea semplicità.
Quanta gioia accolse la dichiarazione d’indipendenza letta dal portavoce del parlamento della neonata Repubblica del Sud Sudan! La radio la diffuse “in diretta” anche nei villaggi più sperduti del Paese, dove piccoli ricevitori alimentati a manovella o con pannello solare la rilanciarono nell’aria: Libertà! Pace e prosperità!
A 10 anni di distanza cosa rimane di quel tripudio di festa che aveva coronato la fine di mezzo secolo di guerra (1955-2005) costato oltre 2 milioni e mezzo di morti?
Due anni di ricostruzione euforica e disordinata sono stati spazzati via in pochi mesi. Dal 15 dicembre 2013 a oggi quasi 400.000 persone sono uccise in scontri “etnici” di indicibile efferatezza e l’infanzia cresce affamata e priva di futuro.
Luka Biong Deng, analista sud sudanese dell’Africa Centre for Strategic Studies, parla di “tradimento”: l’incapacità politica dei leader e una Costituzione provvisoria costellata di falle ha trasformato in incubo il sogno di quel popolo analfabeta e festoso, che per il 35% vive oggi nella desolazione dei campi profughi. La pace, firmata nel 2018 fra le fazioni belligeranti, rimane una tregua fragilissima.
Eppure c’è speranza: è quella che le donne non violente e capaci di dialogare alimentano. Lo hanno fatto prima che l’indipendenza venisse dichiarata e continuano a farlo oggi. Allora osavano chiedere ai parlamentari-soldati di consegnare l’arma prima di entrare in Assemblea legislativa o si dimettevano da ministeri di prestigio per dissociarsi da scelte politiche ingiuste.
Suor Bakhita Francis, della diocesi di Yambio, ritiene che il “tradimento” sia radicato nei decenni di violenza che hanno lacerato la popolazione prima del 2005: ai traumi sofferti, che hanno bisogno di molto tempo e di paziente cura per venire sanati, non è stata prestata la dovuta attenzione.
Elena Balatti, suora missionaria comboniana, parla da Malakal, una città rasa al suolo nel 2014 e non ancora ricostruita: «Per questo anniversario non sono in programma celebrazioni, ma dopo l’accordo di pace del 2018 il Paese si sta riprendendo, seppur molto lentamente: il conflitto nazionale, per esempio, si è ridotto a focolai locali. La nostra speranza è nella gente, che desidera una vita dignitosa e “normale”. Noi, comunità cristiane, continuiamo a offrire un messaggio: la pace è frutto della giustizia. E confido che, dopo 10 anni di immane fatica, i prossimi 10 saranno un po’ più lievi»
ComboniFem
Sudan Post - 04/07/2021
Il portavoce dell'esercito del Sud Sudan Lui Rua Koang (SSPDF) ha accusato l'ex capo il generale dell'esercito di difesa popolare Paul Malong Awan (SSUF/A) di aver compromesso i negoziati, avendo accolto membri dell'esercito ricercati per crimini commessi durante il servizio.
JUBA 4 luglio 2021 – L'esercito del Sud Sudan ha accusato il resistente South Sudan United Front/Army (SSUF/A) guidato dall'ex capo dell'esercito, il generale Paul Malong Awan, di aver compromesso i negoziati per l'accoglienza di membri dell'esercito ricercati per crimini commessi durante il servizio.
Ciò avviene una settimana dopo che il gruppo di opposizione guidato da Malong ha dichiarato che un gruppo di cinque membri delle Forze di difesa popolare del Sud Sudan (SSPDF) si è unito ai suoi ranghi insieme a un numero imprecisato di soldati.
Parlando con il Sudans Post in esclusiva domenica pomeriggio, il portavoce dell'esercito, il generale Lul Ruai Koang, ha affermato che due degli ufficiali disertori sono latitanti in fuga dall'esercito per sfuggire alla responsabilità.
«Solo due ufficiali di grado maggiore e capitano hanno disertato. Avevano problemi amministrativi con i rispettivi comandi. Hanno disertato per eludere le misure amministrative prese contro di loro", ha detto il generale Lul da Juba.
L'alto ufficiale dell'esercito ha affermato che il gesto del gruppo di Malong di accogliere i membri disertori della SSPDF contravviene al negoziato di pace in corso mediato dalla comunità di Sant'Egidio tra il governo e il gruppo di Malong.
"Dimostra che SSUF/A non sta negoziando in buona fede", ha detto il generale Lul Ruai Koang. "La celebrazione della SSUF/A per la defezione dei fuorilegge ai loro ranghi e file equivale a una tempesta in una tazza da tè."
https://www.sudanspost.com/army-says-malongs-rebel-group-not-negotiating-in-good-faith-for-welcoming-sspdf
Okello James / UNMISS
Ciò avviene una settimana dopo che il gruppo di opposizione guidato da Malong ha dichiarato che un gruppo di cinque membri delle Forze di difesa popolare del Sud Sudan (SSPDF) si è unito ai suoi ranghi insieme a un numero imprecisato di soldati.
Parlando con il Sudans Post in esclusiva domenica pomeriggio, il portavoce dell'esercito, il generale Lul Ruai Koang, ha affermato che due degli ufficiali disertori sono latitanti in fuga dall'esercito per sfuggire alla responsabilità.
«Solo due ufficiali di grado maggiore e capitano hanno disertato. Avevano problemi amministrativi con i rispettivi comandi. Hanno disertato per eludere le misure amministrative prese contro di loro", ha detto il generale Lul da Juba.
L'alto ufficiale dell'esercito ha affermato che il gesto del gruppo di Malong di accogliere i membri disertori della SSPDF contravviene al negoziato di pace in corso mediato dalla comunità di Sant'Egidio tra il governo e il gruppo di Malong.
"Dimostra che SSUF/A non sta negoziando in buona fede", ha detto il generale Lul Ruai Koang. "La celebrazione della SSUF/A per la defezione dei fuorilegge ai loro ranghi e file equivale a una tempesta in una tazza da tè."
https://www.sudanspost.com/army-says-malongs-rebel-group-not-negotiating-in-good-faith-for-welcoming-sspdf
Okello James / UNMISS
Un decennio di indipendenza: parla Pious Lokale dell'Equatoria Orientale
Con la nazione più giovane del mondo che celebra un decennio di indipendenza questo mese, Pious Lokale dell'Equatoria orientale racconta la sua esperienza della guerra civile, le sue devastanti conseguenze e valuta dove, secondo lui, si trova il Sud Sudan in questo momento della sua storia.
Questo mese, mentre il Sud Sudan celebra i 10 anni di indipendenza dal suo vicino settentrionale, il Sudan, il 43enne Pious Lokale della contea di Lafon nell'Equatoria orientale ci racconta la speranza che l'indipendenza ha portato, la devastazione provocata dalle successive guerre civili e fa il punto di dove si trova il suo paese in questo momento storico.
Quali sono le tue aspettative per questo paese mentre il Sud Sudan celebra il suo decimo anniversario come nazione sovrana?
La mia più grande speranza quando sono tornato al mio villaggio nel 2008 era che avremmo avuto pace e sviluppo. Questa è la stessa aspettativa che ho oggi, che la pace stia finalmente arrivando. Credo che il nostro decimo anniversario dovrebbe essere un punto di svolta per i nostri leader, le nostre comunità e i giovani. I nostri politici devono adeguare il sistema di governo e perseguire un buon governo fondato su principi democratici in modo da godere di una pace duratura e partecipare allo sviluppo economico del nostro paese.
È tempo per noi di mettere ordine nella nostra casa, ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro governo e avviare un processo di guarigione e riconciliazione in modo che tutti i sud sudanesi possano essere uniti.
In che modo le guerre civili del 2013 e del 2016 hanno influito sulla vita?
La speranza che l'indipendenza suscitava in me fu presto distrutta dallo scoppio della guerra civile. Come cittadini non solo temevamo per le nostre vite, ma eravamo immersi in un violento pantano di avidità, politica meschina e totale disperazione. Vite e proprietà personali sono state perse, anche edifici pubblici e privati sono stati vandalizzati, i bambini hanno perso l'istruzione.
La guerra ha seminato odio tra la nostra gente. L'unità e l'identità nazionale furono perse; secondo me, questo è il motivo per cui le persone sono ora divise lungo linee etniche senza un percorso immediato per riconciliarsi tra loro poiché le cicatrici del passato sono profonde.
L'attuale tendenza alla violenza intercomunale, agli agguati stradali e all'aumento dei raid di bestiame che si verificano in tutto il paese è il risultato dell'impatto divisivo delle guerre.
Vedi una via da seguire? Cosa possono fare i cittadini ei leader per migliorare la situazione?
L'attuale precarietà lungo le strade, nei paesi e nei villaggi è terrificante e sta interrompendo lo sviluppo economico. Ad esempio, gli agricoltori in determinate aree non possono accedere alle loro aziende agricole ei commercianti hanno paura di aprire un'attività. Ora è difficile per le famiglie sopravvivere, con molte che sopravvivono con un solo pasto al giorno.
Se vogliamo andare avanti, dovrebbe esserci pace. Il governo dovrebbe costruire strade che collegheranno stati, contee e comunità agricole. Anche le strade dissestate dovrebbero essere riabilitate. Quando le strade saranno mantenute, i crimini su tali strade saranno ridotti e creeranno un ambiente favorevole allo sviluppo. Dovrebbero essere affrontati anche lo scarso sviluppo infrastrutturale e la mancanza di Stato di diritto. Penso che le forze dell'ordine non stiano facendo abbastanza per tenerci tutti al sicuro.
C'è qualche appello che vuoi fare al tuo popolo e al tuo governo?
Penso che il nostro governo debba identificare le cause del conflitto e prestare attenzione a mitigare questi fattori. Il governo di transizione di unità nazionale dovrebbe essere una forza trainante per costruire una pace duratura. Sono certo che i conflitti e gli agguati intercomunitari ricorrenti cesseranno una volta che ci sarà una pace sostenibile.
Anche un dialogo nazionale per la pace dovrebbe essere prioritario. Rivisitiamo l'idea che tutti si trovino a un tavolo negoziale e che tutte le nostre preoccupazioni vengano affrontate. Durante le precedenti consultazioni con i cittadini sulle loro opinioni su ciò che riguarda il popolo del Sud Sudan, la maggior parte dei cittadini ha espresso il proprio desiderio di pace. Questo rimane valido anche oggi.
Qual è il tuo messaggio ai giovani, alle donne e ai cittadini di questo paese?
Il mio messaggio ai giovani, alle donne e agli anziani, in questo momento cruciale è di rimanere fiduciosi. Questo è il nostro paese. Ai giovani in particolare, in particolare ai giovani, non lasciatevi usare per il capitale politico o per fare leva lungo le strette linee domestiche. Lascia che ti spieghi, puoi usare la legna da ardere per cucinare del buon cibo per altre persone, tuttavia quella legna da ardere non può godersi il cibo che ha cucinato ma può solo trasformarsi in cenere. Costruiamo insieme questo paese come un solo popoCon la nazione più giovane del mondo che celebra un decennio di indipendenza questo mese, Pious Lokale dell'Equatoria orientale racconta la sua esperienza della guerra civile, le sue devastanti conseguenze e valuta dove, secondo lui, si trova il Sud Sudan in questo momento della sua storia. Foto di Okello James/UNMISS
Questo mese, mentre il Sud Sudan celebra i 10 anni di indipendenza dal suo vicino settentrionale, il Sudan, il 43enne Pious Lokale della contea di Lafon nell'Equatoria orientale ci racconta la speranza che l'indipendenza ha portato, la devastazione provocata dalle successive guerre civili e fa il punto di dove si trova il suo paese in questo momento storico.
Quali sono le tue aspettative per questo paese mentre il Sud Sudan celebra il suo decimo anniversario come nazione sovrana?
La mia più grande speranza quando sono tornato al mio villaggio nel 2008 era che avremmo avuto pace e sviluppo. Questa è la stessa aspettativa che ho oggi, che la pace stia finalmente arrivando. Credo che il nostro decimo anniversario dovrebbe essere un punto di svolta per i nostri leader, le nostre comunità e i giovani. I nostri politici devono adeguare il sistema di governo e perseguire un buon governo fondato su principi democratici in modo da godere di una pace duratura e partecipare allo sviluppo economico del nostro paese.
È tempo per noi di mettere ordine nella nostra casa, ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro governo e avviare un processo di guarigione e riconciliazione in modo che tutti i sud sudanesi possano essere uniti.
In che modo le guerre civili del 2013 e del 2016 hanno influito sulla vita?
La speranza che l'indipendenza suscitava in me fu presto distrutta dallo scoppio della guerra civile. Come cittadini non solo temevamo per le nostre vite, ma eravamo immersi in un violento pantano di avidità, politica meschina e totale disperazione. Vite e proprietà personali sono state perse, anche edifici pubblici e privati sono stati vandalizzati, i bambini hanno perso l'istruzione.
La guerra ha seminato odio tra la nostra gente. L'unità e l'identità nazionale furono perse; secondo me, questo è il motivo per cui le persone sono ora divise lungo linee etniche senza un percorso immediato per riconciliarsi tra loro poiché le cicatrici del passato sono profonde.
L'attuale tendenza alla violenza intercomunale, agli agguati stradali e all'aumento dei raid di bestiame che si verificano in tutto il paese è il risultato dell'impatto divisivo delle guerre.
Vedi una via da seguire? Cosa possono fare i cittadini ei leader per migliorare la situazione?
L'attuale precarietà lungo le strade, nei paesi e nei villaggi è terrificante e sta interrompendo lo sviluppo economico. Ad esempio, gli agricoltori in determinate aree non possono accedere alle loro aziende agricole ei commercianti hanno paura di aprire un'attività. Ora è difficile per le famiglie sopravvivere, con molte che sopravvivono con un solo pasto al giorno.
Se vogliamo andare avanti, dovrebbe esserci pace. Il governo dovrebbe costruire strade che collegheranno stati, contee e comunità agricole. Anche le strade dissestate dovrebbero essere riabilitate. Quando le strade saranno mantenute, i crimini su tali strade saranno ridotti e creeranno un ambiente favorevole allo sviluppo. Dovrebbero essere affrontati anche lo scarso sviluppo infrastrutturale e la mancanza di Stato di diritto. Penso che le forze dell'ordine non stiano facendo abbastanza per tenerci tutti al sicuro.
C'è qualche appello che vuoi fare al tuo popolo e al tuo governo?
Penso che il nostro governo debba identificare le cause del conflitto e prestare attenzione a mitigare questi fattori. Il governo di transizione di unità nazionale dovrebbe essere una forza trainante per costruire una pace duratura. Sono certo che i conflitti e gli agguati intercomunitari ricorrenti cesseranno una volta che ci sarà una pace sostenibile.
Anche un dialogo nazionale per la pace dovrebbe essere prioritario. Rivisitiamo l'idea che tutti si trovino a un tavolo negoziale e che tutte le nostre preoccupazioni vengano affrontate. Durante le precedenti consultazioni con i cittadini sulle loro opinioni su ciò che riguarda il popolo del Sud Sudan, la maggior parte dei cittadini ha espresso il proprio desiderio di pace. Questo rimane valido anche oggi.
Qual è il tuo messaggio ai giovani, alle donne e ai cittadini di questo paese?
Il mio messaggio ai giovani, alle donne e agli anziani, in questo momento cruciale è di rimanere fiduciosi. Questo è il nostro paese. Ai giovani in particolare, in particolare ai giovani, non lasciatevi usare per il capitale politico o per fare leva lungo le strette linee domestiche. Lascia che ti spieghi, puoi usare la legna da ardere per cucinare del buon cibo per altre persone, tuttavia quella legna da ardere non può godersi il cibo che ha cucinato ma può solo trasformarsi in cenere. Costruiamo insieme questo paese come un solo
popolo.
UNMISS/ MISSIONE DELLE NAZIONI UNITE IN SUD SUDAN, 01/07/2021
Questo mese, mentre il Sud Sudan celebra i 10 anni di indipendenza dal suo vicino settentrionale, il Sudan, il 43enne Pious Lokale della contea di Lafon nell'Equatoria orientale ci racconta la speranza che l'indipendenza ha portato, la devastazione provocata dalle successive guerre civili e fa il punto di dove si trova il suo paese in questo momento storico.
Quali sono le tue aspettative per questo paese mentre il Sud Sudan celebra il suo decimo anniversario come nazione sovrana?
La mia più grande speranza quando sono tornato al mio villaggio nel 2008 era che avremmo avuto pace e sviluppo. Questa è la stessa aspettativa che ho oggi, che la pace stia finalmente arrivando. Credo che il nostro decimo anniversario dovrebbe essere un punto di svolta per i nostri leader, le nostre comunità e i giovani. I nostri politici devono adeguare il sistema di governo e perseguire un buon governo fondato su principi democratici in modo da godere di una pace duratura e partecipare allo sviluppo economico del nostro paese.
È tempo per noi di mettere ordine nella nostra casa, ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro governo e avviare un processo di guarigione e riconciliazione in modo che tutti i sud sudanesi possano essere uniti.
In che modo le guerre civili del 2013 e del 2016 hanno influito sulla vita?
La speranza che l'indipendenza suscitava in me fu presto distrutta dallo scoppio della guerra civile. Come cittadini non solo temevamo per le nostre vite, ma eravamo immersi in un violento pantano di avidità, politica meschina e totale disperazione. Vite e proprietà personali sono state perse, anche edifici pubblici e privati sono stati vandalizzati, i bambini hanno perso l'istruzione.
La guerra ha seminato odio tra la nostra gente. L'unità e l'identità nazionale furono perse; secondo me, questo è il motivo per cui le persone sono ora divise lungo linee etniche senza un percorso immediato per riconciliarsi tra loro poiché le cicatrici del passato sono profonde.
L'attuale tendenza alla violenza intercomunale, agli agguati stradali e all'aumento dei raid di bestiame che si verificano in tutto il paese è il risultato dell'impatto divisivo delle guerre.
Vedi una via da seguire? Cosa possono fare i cittadini ei leader per migliorare la situazione?
L'attuale precarietà lungo le strade, nei paesi e nei villaggi è terrificante e sta interrompendo lo sviluppo economico. Ad esempio, gli agricoltori in determinate aree non possono accedere alle loro aziende agricole ei commercianti hanno paura di aprire un'attività. Ora è difficile per le famiglie sopravvivere, con molte che sopravvivono con un solo pasto al giorno.
Se vogliamo andare avanti, dovrebbe esserci pace. Il governo dovrebbe costruire strade che collegheranno stati, contee e comunità agricole. Anche le strade dissestate dovrebbero essere riabilitate. Quando le strade saranno mantenute, i crimini su tali strade saranno ridotti e creeranno un ambiente favorevole allo sviluppo. Dovrebbero essere affrontati anche lo scarso sviluppo infrastrutturale e la mancanza di Stato di diritto. Penso che le forze dell'ordine non stiano facendo abbastanza per tenerci tutti al sicuro.
C'è qualche appello che vuoi fare al tuo popolo e al tuo governo?
Penso che il nostro governo debba identificare le cause del conflitto e prestare attenzione a mitigare questi fattori. Il governo di transizione di unità nazionale dovrebbe essere una forza trainante per costruire una pace duratura. Sono certo che i conflitti e gli agguati intercomunitari ricorrenti cesseranno una volta che ci sarà una pace sostenibile.
Anche un dialogo nazionale per la pace dovrebbe essere prioritario. Rivisitiamo l'idea che tutti si trovino a un tavolo negoziale e che tutte le nostre preoccupazioni vengano affrontate. Durante le precedenti consultazioni con i cittadini sulle loro opinioni su ciò che riguarda il popolo del Sud Sudan, la maggior parte dei cittadini ha espresso il proprio desiderio di pace. Questo rimane valido anche oggi.
Qual è il tuo messaggio ai giovani, alle donne e ai cittadini di questo paese?
Il mio messaggio ai giovani, alle donne e agli anziani, in questo momento cruciale è di rimanere fiduciosi. Questo è il nostro paese. Ai giovani in particolare, in particolare ai giovani, non lasciatevi usare per il capitale politico o per fare leva lungo le strette linee domestiche. Lascia che ti spieghi, puoi usare la legna da ardere per cucinare del buon cibo per altre persone, tuttavia quella legna da ardere non può godersi il cibo che ha cucinato ma può solo trasformarsi in cenere. Costruiamo insieme questo paese come un solo popoCon la nazione più giovane del mondo che celebra un decennio di indipendenza questo mese, Pious Lokale dell'Equatoria orientale racconta la sua esperienza della guerra civile, le sue devastanti conseguenze e valuta dove, secondo lui, si trova il Sud Sudan in questo momento della sua storia. Foto di Okello James/UNMISS
Questo mese, mentre il Sud Sudan celebra i 10 anni di indipendenza dal suo vicino settentrionale, il Sudan, il 43enne Pious Lokale della contea di Lafon nell'Equatoria orientale ci racconta la speranza che l'indipendenza ha portato, la devastazione provocata dalle successive guerre civili e fa il punto di dove si trova il suo paese in questo momento storico.
Quali sono le tue aspettative per questo paese mentre il Sud Sudan celebra il suo decimo anniversario come nazione sovrana?
La mia più grande speranza quando sono tornato al mio villaggio nel 2008 era che avremmo avuto pace e sviluppo. Questa è la stessa aspettativa che ho oggi, che la pace stia finalmente arrivando. Credo che il nostro decimo anniversario dovrebbe essere un punto di svolta per i nostri leader, le nostre comunità e i giovani. I nostri politici devono adeguare il sistema di governo e perseguire un buon governo fondato su principi democratici in modo da godere di una pace duratura e partecipare allo sviluppo economico del nostro paese.
È tempo per noi di mettere ordine nella nostra casa, ripristinare la fiducia dei cittadini nel nostro governo e avviare un processo di guarigione e riconciliazione in modo che tutti i sud sudanesi possano essere uniti.
In che modo le guerre civili del 2013 e del 2016 hanno influito sulla vita?
La speranza che l'indipendenza suscitava in me fu presto distrutta dallo scoppio della guerra civile. Come cittadini non solo temevamo per le nostre vite, ma eravamo immersi in un violento pantano di avidità, politica meschina e totale disperazione. Vite e proprietà personali sono state perse, anche edifici pubblici e privati sono stati vandalizzati, i bambini hanno perso l'istruzione.
La guerra ha seminato odio tra la nostra gente. L'unità e l'identità nazionale furono perse; secondo me, questo è il motivo per cui le persone sono ora divise lungo linee etniche senza un percorso immediato per riconciliarsi tra loro poiché le cicatrici del passato sono profonde.
L'attuale tendenza alla violenza intercomunale, agli agguati stradali e all'aumento dei raid di bestiame che si verificano in tutto il paese è il risultato dell'impatto divisivo delle guerre.
Vedi una via da seguire? Cosa possono fare i cittadini ei leader per migliorare la situazione?
L'attuale precarietà lungo le strade, nei paesi e nei villaggi è terrificante e sta interrompendo lo sviluppo economico. Ad esempio, gli agricoltori in determinate aree non possono accedere alle loro aziende agricole ei commercianti hanno paura di aprire un'attività. Ora è difficile per le famiglie sopravvivere, con molte che sopravvivono con un solo pasto al giorno.
Se vogliamo andare avanti, dovrebbe esserci pace. Il governo dovrebbe costruire strade che collegheranno stati, contee e comunità agricole. Anche le strade dissestate dovrebbero essere riabilitate. Quando le strade saranno mantenute, i crimini su tali strade saranno ridotti e creeranno un ambiente favorevole allo sviluppo. Dovrebbero essere affrontati anche lo scarso sviluppo infrastrutturale e la mancanza di Stato di diritto. Penso che le forze dell'ordine non stiano facendo abbastanza per tenerci tutti al sicuro.
C'è qualche appello che vuoi fare al tuo popolo e al tuo governo?
Penso che il nostro governo debba identificare le cause del conflitto e prestare attenzione a mitigare questi fattori. Il governo di transizione di unità nazionale dovrebbe essere una forza trainante per costruire una pace duratura. Sono certo che i conflitti e gli agguati intercomunitari ricorrenti cesseranno una volta che ci sarà una pace sostenibile.
Anche un dialogo nazionale per la pace dovrebbe essere prioritario. Rivisitiamo l'idea che tutti si trovino a un tavolo negoziale e che tutte le nostre preoccupazioni vengano affrontate. Durante le precedenti consultazioni con i cittadini sulle loro opinioni su ciò che riguarda il popolo del Sud Sudan, la maggior parte dei cittadini ha espresso il proprio desiderio di pace. Questo rimane valido anche oggi.
Qual è il tuo messaggio ai giovani, alle donne e ai cittadini di questo paese?
Il mio messaggio ai giovani, alle donne e agli anziani, in questo momento cruciale è di rimanere fiduciosi. Questo è il nostro paese. Ai giovani in particolare, in particolare ai giovani, non lasciatevi usare per il capitale politico o per fare leva lungo le strette linee domestiche. Lascia che ti spieghi, puoi usare la legna da ardere per cucinare del buon cibo per altre persone, tuttavia quella legna da ardere non può godersi il cibo che ha cucinato ma può solo trasformarsi in cenere. Costruiamo insieme questo paese come un solo
popolo.
UNMISS/ MISSIONE DELLE NAZIONI UNITE IN SUD SUDAN, 01/07/2021
SSOMA-Gen. La fazione di Cirillo loda il rinnovo dell'embargo sulle armi
La fazione dell'Alleanza per i movimenti di opposizione del Sud Sudan (SSOMA), guidata dal generale Thomas Cirillo, in una dichiarazione rilasciata, ha accolto con favore il rinnovo della settimana scorsa dell'embargo sulle armi al Sud Sudan da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC).
La scorsa settimana il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha prorogato di un anno l'embargo sulle armi imposto al Sud Sudan dal 2018, con una clausola che prevedeva una revisione della sua rilevanza nell'aprile 2022.
La risoluzione che proroga l'embargo fino al 31 maggio 2022 è stata adottata con 13 voti a favore nel collegio di 15 membri. India e Kenya si sono astenuti.
“La South Sudan Opposition Movements Alliance (SSOMA) accoglie con favore la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) di rinnovare l'embargo sulle armi, il divieto di viaggio e il congelamento dei beni imposti al Sud Sudan per un anno fino al 31 maggio 2022, attraverso l'adozione della risoluzione 2577 (2021 ) ai sensi del capo VII della Carta delle Nazioni Unite. La SSOMA elogia il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per questa posizione con il popolo del Sud Sudan”, si legge in parte nella dichiarazione della SSOMA.
Il gruppo politico di opposizione ha affermato che il Sud Sudan sta ancora affrontando una diffusa insicurezza nonostante la firma del rinnovato accordo di pace.
“Nonostante la firma dell'R-ARCSS, la Repubblica del Sud Sudan è ancora testimone di una diffusa insicurezza a causa della proliferazione di armi da fuoco nelle mani dei civili e della violenza sponsorizzata dallo stato attraverso l'uso di milizie per procura per combattere l'opposizione, Il comunicato di SSOMA ha detto. "La decisione di rinnovare l'embargo sulle armi, il divieto di viaggio e il congelamento dei beni è tempestiva ed è la misura giusta per ridurre la violenza armata in Sud Sudan".
L'alleanza di opposizione ha incaricato l'organismo mondiale di ritenere responsabili i paesi vicini che consentono il movimento di armi verso il Sud Sudan.
“La SSOMA esorta il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a mantenere il controllo sulle questioni di pace e sicurezza in Sud Sudan. I paesi regionali che stanno facilitando il flusso di armi nel Sud Sudan dovrebbero essere ritenuti responsabili poiché queste azioni stanno aggravando e aggravando la sofferenza del popolo sud sudanese e, indirettamente, aiutando il governo di Juba a continuare le sue sfacciate violazioni dei diritti umani in tutto il paese " concludeva il comunicato.
Testimoni di speranza Sud Sudan: nel nome di Abraham e Moses
I due giovani operatori del Cuamm, uccisi nell'agguato di lunedì scorso, sono un grande segno di impegno, senza risparmio, per la vita del loro popolo susudanese fino alle estreme conseguenze. Mentre lotte fratricide, violenze e vendette per bestiame, terre e controllo del territorio aumentano e affossano il paese. La testimonianza di un comboniano e la solidarietà di Nigrizia
13 giugno 2021
Ai testimoni Moses e Abraham, alle loro famiglie e a tutto il personale del Cuamm la sincera solidarietà, stima e amicizia di Nigrizia.
Difficile, o forse possibile solo per occhi davvero contemplativi, scorgere nel Sud Sudan di oggi il seme che germoglia e cresce di cui parla il vangelo di oggi (Mc 4,26-34). A quasi dieci anni dall’indipendenza, il paese è al collasso economico, sanitario e sociale, martoriato da continui attacchi e razzie per il controllo di bestiame, risorse del sottosuolo e terre. I contenziosi tra etnie e clan si risolvono spesso con la legge delle armi, metodo preso a modello di gestione del paese anche da parte delle autorità, evidentemente più a loro agio con i kalashnikov che non con programmi di governo. I frutti dell’accordo di pace del settembre 2018 dovevano, sulla carta, mettere fine ai terribili scontri che hanno fatto ripiombare il paese nella guerra civile dal 2013. Qualcosa, e in modo parziale, si è cominciato a vedere soltanto un anno dopo ma in alcune aree il cessate il fuoco non è mai iniziato e gli scontri intercomunitari, le razzie e le vendette tra clan sono riprese negli stati di Jonglei, Bahr el Ghazal, Lakes e Equatoria.
“In diverse aree del paese ci sono moltissimi episodi di violenza locale – racconta a Nigrizia suor Elena Balatti, missionaria comboniana a Malakal – la maggior parte dei quali resta per lo più sconosciuta mentre solo alcuni più eclatanti finiscono sui racconti in rete”. Tra questi la tragedia di lunedì scorso, nella contea di Yirol West, nello stato dei Laghi, quando un convoglio del Cuamm, Medici con l’Africa, è stato attaccato provocando la morte di due giovani sudsudanesi, Moses Maker e Abraham Galung, che monitoravano le attività di intervento sulla nutrizione in un paese dove l’insicurezza alimentare è di casa. Non risparmiavano le loro energie per raggiungere i dispensari medici più lontani e di difficile accesso.
Presenze del Cuamm in Sud SudanAlessandra Anafi, coordinatrice del Cuamm Sud Sudan racconta al microfono di Nigrizia: “da inizio febbraio, nella zona di Yirol, ci sono stati scontri tra due diversi clan legati al controllo delle mucche e tra loro la vendetta regna sovrana. C’erano stati scontri anche lo scorso fine settimana e pensavamo di annullare il viaggio. Poi, vista la situazione di emergenza alimentare, ci siamo fatti coraggio e abbiamo deciso di partire con un convoglio composto da due macchine del Cuamm e una della polizia. Comunque non dovevamo sorpassare la zona dove di solito avvengono i conflitti. L’obiettivo era la distribuzione di Clampinat, il cibo per i bambini colpiti da malnutrizione severa ma anche quello di valutare il lavoro svolto in alcune strutture e predisporre le scorte di supplementi nutrizionali prima della stagione delle piogge”.
Nel viaggio di ritorno, l’agguato: alcuni uomini sono usciti dai cespugli al lato della strada e hanno sparato alla macchina colpendo Moses e Abraham. La loro macchina è uscita di strada e gli uomini armati hanno tentato di colpire la seconda ma la polizia ha aperto il fuoco e sono fuggiti.
“L’intento sembra fosse quello di uccidere – rivela un’altra fonte sul posto – perché se avessero voluto rubare avrebbero bloccato la strada. Si tratta più facilmente di vendetta perché la tensione è altissima e gli aggressori hanno visto veicoli provenienti da Rumbek sconfinare nel territorio di Yirol”. Il conflitto si sta inasprendo sempre più e le vendette incrociate mettono in ginocchio intere famiglie e clan mentre la violenza sembra non avere fine. L’insicurezza economica del paese, gli stipendi ridotti e sempre in ritardo di militari, personale sanitario e insegnanti mettono tante persone nelle condizioni di rubare per tirare avanti e così la criminalità cresce.
Dentro questo immenso caos il seme che germoglia e cresce in Sud Sudan sono loro: Moses e Abraham, dai nomi eloquenti e scomodi. Testimoni sudsudanesi della lotta per la vita e segni di resurrezione di un popolo che, nonostante tutto, vuole voltare pagina dentro una terra insanguinata da troppi anni e segnata sempre più da una cultura di violenza e di morte. Li ricorda così don Dante Carraro, direttore del Cuamm: “Erano al servizio della loro gente, con passione, spirito di sacrificio e dedizione”.
Moses Maker, 33 anni, infermiere e nutrizionista, era incaricato di organizzare e supervisionare tutte le attività relative alla prevenzione e al trattamento della malnutrizione acuta. Sposato con cinque figli, lavorava con il Cuamm da gennaio 2020.
Abraham Gulung, 32 anni, autista, accompagnava le visite di supervisione alle strutture sanitarie periferiche e la distribuzione di farmaci e supplementi nutrizionali. Figlio unico, sposato con quattro figli, lavorava con il Cuamm dal febbraio 2020.
Ai testimoni Moses e Abraham, alle loro famiglie e a tutto il personale del Cuamm la sincera solidarietà, stima e amicizia di Nigrizia.
Difficile, o forse possibile solo per occhi davvero contemplativi, scorgere nel Sud Sudan di oggi il seme che germoglia e cresce di cui parla il vangelo di oggi (Mc 4,26-34). A quasi dieci anni dall’indipendenza, il paese è al collasso economico, sanitario e sociale, martoriato da continui attacchi e razzie per il controllo di bestiame, risorse del sottosuolo e terre. I contenziosi tra etnie e clan si risolvono spesso con la legge delle armi, metodo preso a modello di gestione del paese anche da parte delle autorità, evidentemente più a loro agio con i kalashnikov che non con programmi di governo. I frutti dell’accordo di pace del settembre 2018 dovevano, sulla carta, mettere fine ai terribili scontri che hanno fatto ripiombare il paese nella guerra civile dal 2013. Qualcosa, e in modo parziale, si è cominciato a vedere soltanto un anno dopo ma in alcune aree il cessate il fuoco non è mai iniziato e gli scontri intercomunitari, le razzie e le vendette tra clan sono riprese negli stati di Jonglei, Bahr el Ghazal, Lakes e Equatoria.
“In diverse aree del paese ci sono moltissimi episodi di violenza locale – racconta a Nigrizia suor Elena Balatti, missionaria comboniana a Malakal – la maggior parte dei quali resta per lo più sconosciuta mentre solo alcuni più eclatanti finiscono sui racconti in rete”. Tra questi la tragedia di lunedì scorso, nella contea di Yirol West, nello stato dei Laghi, quando un convoglio del Cuamm, Medici con l’Africa, è stato attaccato provocando la morte di due giovani sudsudanesi, Moses Maker e Abraham Galung, che monitoravano le attività di intervento sulla nutrizione in un paese dove l’insicurezza alimentare è di casa. Non risparmiavano le loro energie per raggiungere i dispensari medici più lontani e di difficile accesso.
Presenze del Cuamm in Sud SudanAlessandra Anafi, coordinatrice del Cuamm Sud Sudan racconta al microfono di Nigrizia: “da inizio febbraio, nella zona di Yirol, ci sono stati scontri tra due diversi clan legati al controllo delle mucche e tra loro la vendetta regna sovrana. C’erano stati scontri anche lo scorso fine settimana e pensavamo di annullare il viaggio. Poi, vista la situazione di emergenza alimentare, ci siamo fatti coraggio e abbiamo deciso di partire con un convoglio composto da due macchine del Cuamm e una della polizia. Comunque non dovevamo sorpassare la zona dove di solito avvengono i conflitti. L’obiettivo era la distribuzione di Clampinat, il cibo per i bambini colpiti da malnutrizione severa ma anche quello di valutare il lavoro svolto in alcune strutture e predisporre le scorte di supplementi nutrizionali prima della stagione delle piogge”.
Nel viaggio di ritorno, l’agguato: alcuni uomini sono usciti dai cespugli al lato della strada e hanno sparato alla macchina colpendo Moses e Abraham. La loro macchina è uscita di strada e gli uomini armati hanno tentato di colpire la seconda ma la polizia ha aperto il fuoco e sono fuggiti.
“L’intento sembra fosse quello di uccidere – rivela un’altra fonte sul posto – perché se avessero voluto rubare avrebbero bloccato la strada. Si tratta più facilmente di vendetta perché la tensione è altissima e gli aggressori hanno visto veicoli provenienti da Rumbek sconfinare nel territorio di Yirol”. Il conflitto si sta inasprendo sempre più e le vendette incrociate mettono in ginocchio intere famiglie e clan mentre la violenza sembra non avere fine. L’insicurezza economica del paese, gli stipendi ridotti e sempre in ritardo di militari, personale sanitario e insegnanti mettono tante persone nelle condizioni di rubare per tirare avanti e così la criminalità cresce.
Dentro questo immenso caos il seme che germoglia e cresce in Sud Sudan sono loro: Moses e Abraham, dai nomi eloquenti e scomodi. Testimoni sudsudanesi della lotta per la vita e segni di resurrezione di un popolo che, nonostante tutto, vuole voltare pagina dentro una terra insanguinata da troppi anni e segnata sempre più da una cultura di violenza e di morte. Li ricorda così don Dante Carraro, direttore del Cuamm: “Erano al servizio della loro gente, con passione, spirito di sacrificio e dedizione”.
Moses Maker, 33 anni, infermiere e nutrizionista, era incaricato di organizzare e supervisionare tutte le attività relative alla prevenzione e al trattamento della malnutrizione acuta. Sposato con cinque figli, lavorava con il Cuamm da gennaio 2020.
Abraham Gulung, 32 anni, autista, accompagnava le visite di supervisione alle strutture sanitarie periferiche e la distribuzione di farmaci e supplementi nutrizionali. Figlio unico, sposato con quattro figli, lavorava con il Cuamm dal febbraio 2020.
❝ Il tempo è adesso e il NAS sta già aprendo la strada verso la terra promessa di un moderno Sud Sudan inclusivo [dove] l'unità e la prosperità saranno in abbondanza.❝
17 giugno 2021
La leadership del Fronte della Salvezza Nazionale (NAS), come da mandato e visione della rivoluzione popolare, chiede ai suoi membri, sostenitori e al grande pubblico di inviare commenti, domande e feedback sul documento recentemente rilasciato La visione del NAS per un moderno e prospero Sudan meridionale moderno.
NAS, che mira a creare una pace sostenibile e trasformare la più nuova nazione del mondo in una che soddisfi tutti gli standard e le caratteristiche di uno stato moderno, ritiene che:
"...In quanto questo documento di vita ed evoluzione appartenga ai NAS, appartiene anche a voi popolo del Sudan. Spetta quindi a tutti noi sforzarci di realizzare le nostre aspirazioni collettive per preparare e rendere la nostra nazione una che si unirà e staremo alla pari del resto delle nazioni mentre noi, cittadini, godiamoci la nostra pace dignitosa ".
La leadership del Fronte della Salvezza Nazionale (NAS), come da mandato e visione della rivoluzione popolare, chiede ai suoi membri, sostenitori e al grande pubblico di inviare commenti, domande e feedback sul documento recentemente rilasciato La visione del NAS per un moderno e prospero Sudan meridionale moderno.
NAS, che mira a creare una pace sostenibile e trasformare la più nuova nazione del mondo in una che soddisfi tutti gli standard e le caratteristiche di uno stato moderno, ritiene che:
"...In quanto questo documento di vita ed evoluzione appartenga ai NAS, appartiene anche a voi popolo del Sudan. Spetta quindi a tutti noi sforzarci di realizzare le nostre aspirazioni collettive per preparare e rendere la nostra nazione una che si unirà e staremo alla pari del resto delle nazioni mentre noi, cittadini, godiamoci la nostra pace dignitosa ".
Dio sopra ogni cosa
Apostoli in motocicletta nel West Nile:
Frs. Lazarus Mundua, Abraham Alahayi e Alex L. Sakor
Frs. Lazarus Mundua, Abraham Alahayi e Alex L. Sakor
Celebrazione della Domenica delle Palme con i rifugiati sud sudanesi a Rhino Settlements. Niente è più appagante che condividere la vita di fede con gli indifesi. Dio sopra ogni cosa.
Grazie Padre Alex per questa bella iniziativa
https://www.jmecsouthsudan.org/index.php/media-center/news/item/568-the-launch-of-constitution-making-process-is-historic-says-rjmec
Tutte le parti e le parti interessate all'R-ARCSS nominano rappresentanti al seminario, ovvero ITGoNU, SPLM / A-IO, SSOA, FDs, OPP, gruppi di donne, giovani, leader basati sulla fede, persone eminenti, università, società civile e comunità imprenditoriali . RJMEC ha organizzato 6 riunioni di sensibilizzazione con le diverse parti, parti interessate e istituzioni competenti per lo stato di diritto. C'è stato anche un seminario congiunto di tutti i candidati per prepararli alle aree chiave delle discussioni che si svolgeranno in questo seminario.
La legislazione disciplinerà il processo di costituzione, tra cui:
· La ricostituzione del NCRC;
· La nomina di un sottocomitato per la convocazione della Conferenza Costituzionale Nazionale (NCC);
· Educazione civica e partecipazione pubblica.
· Redazione della costituzione;
· La convocazione del NCC e
· Trasformazione di RTNLA in Assemblea Costituente a. Adotta la Costituzione.
@RadioMiraya
La Dott.ssa Kathrin Maria Scherr, Amministratore Delegato Fondazione Max Planck e Steven Oola, consigliere giuridico RJMEC e gli ospiti guardano all'esito del seminario recentemente concluso sul processo di costituzione permanente
Conflitto e crisi nell'Equatoria del Sud Sudan
di: Alan Boswell
La guerra civile del Sud Sudan si è estesa a Equatoria, la regione più meridionale del paese, nel 2016, costringendo centinaia di migliaia a fuggire nel vicino Uganda in quello che è stato definito il più grande esodo di rifugiati dell'Africa dal genocidio ruandese del 1994. Equatoria è ora l'ultimo grande punto caldo della guerra civile. Se nel Sud Sudan deve giungere una pace duratura, scrive Alan Boswell, sarà necessario uno sforzo di pace che tenga maggiormente conto delle lamentele di lunga data degli equatoriani.
Articolo di Alan Boswell del 14 aprile 2021
Per maggiori approfondimenti: https://www.usip.org/publications/2021/04/conflict-and-crisis-south-sudans-equatoria
Radio Bakhita 25 maggio 2021
Il vescovo cattolico di Yei afferma che la pandemia #COVID-19 non dovrebbe essere una ragione per i cristiani per diventare spiritualmente pigri, dormienti e paralizzati nello svolgimento delle loro attività in Chiesa.
Il vescovo Erkolano Lodu Tombe sottolinea che la Chiesa non può impedire alle persone di prendere il sacramento a causa del coronavirus.
Il vescovo cattolico di Yei afferma che la pandemia #COVID-19 non dovrebbe essere una ragione per i cristiani per diventare spiritualmente pigri, dormienti e paralizzati nello svolgimento delle loro attività in Chiesa.
Il vescovo Erkolano Lodu Tombe sottolinea che la Chiesa non può impedire alle persone di prendere il sacramento a causa del coronavirus.
Radio Bakhita 24 Maggio 2021
Coordinatore umanitario nel Sudan meridionale, Alain Noudéhou, condanna fortemente la brutale uccisione di un aiutante nella contea di Panyijiar, nello Stato dell'Unità, il 21 maggio.
Condanna anche l'orribile attacco contro un convoglio umanitario chiaramente marcato, tra cui un'ambulanza, in un incidente separato riportato nello stesso giorno, a pochi chilometri di distanza, a Koch.
Coordinatore umanitario nel Sudan meridionale, Alain Noudéhou, condanna fortemente la brutale uccisione di un aiutante nella contea di Panyijiar, nello Stato dell'Unità, il 21 maggio.
Condanna anche l'orribile attacco contro un convoglio umanitario chiaramente marcato, tra cui un'ambulanza, in un incidente separato riportato nello stesso giorno, a pochi chilometri di distanza, a Koch.
Radio Bakhita 21 maggio 2021
Il vescovo Erkolano Ladu Tombe della diocesi cattolica di #Yei si appella al governo perchè giunga alla conclusione il caso sui 3 soldati della #SPLA accusati di aver ucciso nel 2016 suor Veronica mentre svolgeva il suo servizio come medico.
Il Sud Sudan in primo piano:
Il legno pregiato commercializzato in Europa Sud Sudan: la razzia del teak
Mar, 18/05/2021
.Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Grazie ad una triangolazione attraverso l’India che ne ripulisce l’origine illegale, il pregiato legname proveniente dal Sud Sudan arriva sul mercato europeo. Un business in aumento grazie all’assenza di leggi e controlli che garantiscano la salvaguardia del patrimonio ambientale
E' ormai risaputo che il legno pregiato delle piantagioni e delle foreste Sud Sudanesi è razziato illegalmente in grandi quantità e costituisce una delle maggiori fonti di finanziamento dei gruppi armati che si sono combattuti durante la guerra civile – terminata ufficialmente con un accordo firmato nell’agosto del 2018 – e che ancora oggi si combattono in diverse zone del paese.
Al saccheggio ha partecipato e partecipa anche l’esercito nazionale. Particolarmente instabile e insicura è la regione dell’Equatoria, proprio quella dove si trovano le vastissime aree forestali e le imponenti piantagioni di teak, essenza di origine asiatica – introdotta nel paese dagli inglesi in epoca coloniale – che in Sud Sudan ha prosperato.
Ѐ un patrimonio, il secondo dopo il petrolio, di cui il paese è quotidianamente spogliato a beneficio di pochissimi sud sudanesi che lo investono molto spesso in armi. Ricavano comunque dal traffico pochi spiccioli rispetto all’enorme giro d’affari complessivo di cui si avvantaggiano soprattutto commercianti senza scrupoli stranieri.
La raccolta illegale del legname è talmente diffusa in Sud Sudan che The Elephant – una piattaforma digitale africana che pubblica approfondite analisi su questioni che riguardano il continente – titola un articolo sull’argomento: Foreste per ladri.
Secondo le autrici del documentato pezzo, Romy van der Burgh e Linda van der Pol, il legname pregiato sud sudanese, e in particolare il teak, è una facile preda perché il paese, indipendente dal luglio del 2011 e precipitato in una disastrosa guerra civile nel dicembre del 2013, non si è ancora dotato di una legislazione atta a gestirne e difenderne la coltivazione e il commercio.
Un commercio in espansione
Negli ultimi anni i trafficanti di legname hanno rivolto un’attenzione particolare al Sud Sudan perché vi si trovano le piantagioni più vecchie, produttive ed estese dell’Africa. Riserve ingentissime a cui, in linea di principio, non sarebbe proibito attingere. Ѐ invece sottoposto a restrizioni il teak proveniente dalle foreste dell’Asia meridionale, di cui l’albero è originario.
Per l’importazione nei paesi europei, ad esempio, si deve dimostrare unicamente che il legname proviene da una filiera legale. Ma il 90% del teak sud sudanese è raccolto e commerciato illegalmente. E dunque bisogna mascherarne l’origine, obiettivo facilmente raggiungibile dato lo scarso controllo del territorio da parte dei governi della regione e la diffusa corruzione dei loro funzionari.
Passaggio in India
Le due autrici dell’articolo si sono finte interessate ad acquistare e importare in Europa una partita di teak e hanno contattato una delle numerose pagine Facebook delle ditte che lo commercializzano. In particolare, l’articolo cita la Pratham Exim Solution, ma è solo uno dei tanti possibili esempi.
Per aggirare le restrizioni poste dalla legislazione europea, la soluzione proposta dalla compagnia è stata la seguente: «… facciamo rifornimento in Sudan (Sud Sudan, ndr). Ma possiamo fare un certificato di origine dall’Uganda, dal Congo o da dove vogliamo. Diamo qualcosa ad un funzionario e possiamo avere le dichiarazioni di origine che vogliamo».
La “ripulitura” definitiva del legno avviene attraverso il trasporto illegale in uno dei paesi confinanti, Uganda soprattutto, e l’esportazione in India che è anche un paese produttore e dunque può commerciarlo sul mercato internazionale senza destare sospetti.
Anche il viaggio del legno viene descritto dettagliatamente attraverso le parole del rappresentante della ditta contattata: «Prendiamo il teak dal Sudan, che ci arriva attraverso l’Uganda. A Kampala riempiamo i conteiner che poi partono per il porto di Mombasa (in Kenya, ndr) dove lo imbarchiamo per l’India …» che ne lavora annualmente la maggior quantità al mondo e poi ne esporta i prodotti finiti.
Secondo dati delle dogane indiane, acquisiti dalle autrici dell’articolo, nel 2019 un centinaio di compagnie hanno trasportato in India teak la cui origine è quasi sicuramente sud sudanese. Sono state registrate in arrivo circa 500 navi con un carico complessivo di 20mila metri cubi di legname per un valore ufficiale stimabile in 12 milioni di euro.
Le stime sono ampiamente confermate da ricerche più approfondite. Secondo quelle dell’organizzazione americana C4ADS, specializzata nell’acquisizione e analisi dei dati provenienti da paesi in conflitto, ogni anno sarebbero commercializzate ben 100mila tonnellate di teak sud sudanese; il 73% arriverebbe in India.
Le responsabilità di Kenya, Uganda e Unione europea
Anche i paesi confinanti hanno responsabilità nel commercio illegale del teak sud sudanese. In Kenya e in Uganda si contano almeno 120 ditte che si occupano di commerciare legname, con ogni probabilità sud sudanese. Alcune vendono direttamente in Europa. Non essendoci una legislazione che regolamenta il mercato di origine, il legname riceve un’etichetta nel paese di transito.
Ѐ chiaramente il primo tentativo di mascherarne la provenienza illegale, perché né Kenya né Uganda producono teak. Spesso, inoltre, il teak sud sudanese viene mischiato con legname proveniente da paesi dove la raccolta e commercializzazione sono legali. Secondo l’Interpol, il mischiare legname di diverse provenienze è lo stratagemma più diffuso per mascherarne il traffico illegale.
Secondo stime dell’Onu, il Sud Sudan potrebbe raccogliere tasse per circa 50 milioni di dollari all’anno se riuscisse a controllare il mercato del legname pregiato. Invece, ne riceve tra l’uno e i due milioni solamente.
Per questa spoliazione, neppure l’Unione europea è esente da responsabilità. Il regolamento per la commercializzazione del legname (European Union Timber Regulation), introdotto nel 2013, è rimasto largamente inapplicato o è stato facilmente aggirato a causa di alcune falle dell’atto stesso, della complessità delle norme e della mancanza di controlli.
Sta di fatto che si contano sulle dita di una mano le multe per l’importazione di legname di cui non è chiara la filiera di provenienza, mentre il mercato europeo è pieno di prodotti di legno pregiato a buon mercato, in gran parte proveniente dall’India. Anzi, dice l’articolo citato, negli ultimi anni l’importazione è di molto aumentata.
Sentinelle contro la deforestazione
Ma ci sono piccoli segni di un cambio di passo. Nei giorni scorsi sono stati arrestati nello stato sud sudanese dell’Equatoria orientale sei ugandesi che stavano tagliando illegalmente legname pregiato. La denuncia alle autorità competenti era arrivata da contadini che stavano lavorando i campi nelle vicinanze.
Le comunità, informate da un lavoro capillare delle organizzazioni della società civile, sperimentano ormai sulla propria pelle i problemi dovuti alla deforestazione e alla razzia delle risorse naturali e cominciano a difendersi. Se i consumatori europei sostenessero i loro sforzi acquistando solo manufatti di legno certificato, il traffico illegale ne risentirebbe certamente.
L’informazione che orienta le scelte dei consumatori si è rivelata di enorme importanza in altri settori, come ad esempio quello dell’oro, e non c’è motivo perché non possa incidere anche sul traffico illegale di legname se saranno messi a punto strumenti di informazione e di controllo adeguato.
Grazie ad una triangolazione attraverso l’India che ne ripulisce l’origine illegale, il pregiato legname proveniente dal Sud Sudan arriva sul mercato europeo. Un business in aumento grazie all’assenza di leggi e controlli che garantiscano la salvaguardia del patrimonio ambientale
E' ormai risaputo che il legno pregiato delle piantagioni e delle foreste Sud Sudanesi è razziato illegalmente in grandi quantità e costituisce una delle maggiori fonti di finanziamento dei gruppi armati che si sono combattuti durante la guerra civile – terminata ufficialmente con un accordo firmato nell’agosto del 2018 – e che ancora oggi si combattono in diverse zone del paese.
Al saccheggio ha partecipato e partecipa anche l’esercito nazionale. Particolarmente instabile e insicura è la regione dell’Equatoria, proprio quella dove si trovano le vastissime aree forestali e le imponenti piantagioni di teak, essenza di origine asiatica – introdotta nel paese dagli inglesi in epoca coloniale – che in Sud Sudan ha prosperato.
Ѐ un patrimonio, il secondo dopo il petrolio, di cui il paese è quotidianamente spogliato a beneficio di pochissimi sud sudanesi che lo investono molto spesso in armi. Ricavano comunque dal traffico pochi spiccioli rispetto all’enorme giro d’affari complessivo di cui si avvantaggiano soprattutto commercianti senza scrupoli stranieri.
La raccolta illegale del legname è talmente diffusa in Sud Sudan che The Elephant – una piattaforma digitale africana che pubblica approfondite analisi su questioni che riguardano il continente – titola un articolo sull’argomento: Foreste per ladri.
Secondo le autrici del documentato pezzo, Romy van der Burgh e Linda van der Pol, il legname pregiato sud sudanese, e in particolare il teak, è una facile preda perché il paese, indipendente dal luglio del 2011 e precipitato in una disastrosa guerra civile nel dicembre del 2013, non si è ancora dotato di una legislazione atta a gestirne e difenderne la coltivazione e il commercio.
Un commercio in espansione
Negli ultimi anni i trafficanti di legname hanno rivolto un’attenzione particolare al Sud Sudan perché vi si trovano le piantagioni più vecchie, produttive ed estese dell’Africa. Riserve ingentissime a cui, in linea di principio, non sarebbe proibito attingere. Ѐ invece sottoposto a restrizioni il teak proveniente dalle foreste dell’Asia meridionale, di cui l’albero è originario.
Per l’importazione nei paesi europei, ad esempio, si deve dimostrare unicamente che il legname proviene da una filiera legale. Ma il 90% del teak sud sudanese è raccolto e commerciato illegalmente. E dunque bisogna mascherarne l’origine, obiettivo facilmente raggiungibile dato lo scarso controllo del territorio da parte dei governi della regione e la diffusa corruzione dei loro funzionari.
Passaggio in India
Le due autrici dell’articolo si sono finte interessate ad acquistare e importare in Europa una partita di teak e hanno contattato una delle numerose pagine Facebook delle ditte che lo commercializzano. In particolare, l’articolo cita la Pratham Exim Solution, ma è solo uno dei tanti possibili esempi.
Per aggirare le restrizioni poste dalla legislazione europea, la soluzione proposta dalla compagnia è stata la seguente: «… facciamo rifornimento in Sudan (Sud Sudan, ndr). Ma possiamo fare un certificato di origine dall’Uganda, dal Congo o da dove vogliamo. Diamo qualcosa ad un funzionario e possiamo avere le dichiarazioni di origine che vogliamo».
La “ripulitura” definitiva del legno avviene attraverso il trasporto illegale in uno dei paesi confinanti, Uganda soprattutto, e l’esportazione in India che è anche un paese produttore e dunque può commerciarlo sul mercato internazionale senza destare sospetti.
Anche il viaggio del legno viene descritto dettagliatamente attraverso le parole del rappresentante della ditta contattata: «Prendiamo il teak dal Sudan, che ci arriva attraverso l’Uganda. A Kampala riempiamo i conteiner che poi partono per il porto di Mombasa (in Kenya, ndr) dove lo imbarchiamo per l’India …» che ne lavora annualmente la maggior quantità al mondo e poi ne esporta i prodotti finiti.
Secondo dati delle dogane indiane, acquisiti dalle autrici dell’articolo, nel 2019 un centinaio di compagnie hanno trasportato in India teak la cui origine è quasi sicuramente sud sudanese. Sono state registrate in arrivo circa 500 navi con un carico complessivo di 20mila metri cubi di legname per un valore ufficiale stimabile in 12 milioni di euro.
Le stime sono ampiamente confermate da ricerche più approfondite. Secondo quelle dell’organizzazione americana C4ADS, specializzata nell’acquisizione e analisi dei dati provenienti da paesi in conflitto, ogni anno sarebbero commercializzate ben 100mila tonnellate di teak sud sudanese; il 73% arriverebbe in India.
Le responsabilità di Kenya, Uganda e Unione europea
Anche i paesi confinanti hanno responsabilità nel commercio illegale del teak sud sudanese. In Kenya e in Uganda si contano almeno 120 ditte che si occupano di commerciare legname, con ogni probabilità sud sudanese. Alcune vendono direttamente in Europa. Non essendoci una legislazione che regolamenta il mercato di origine, il legname riceve un’etichetta nel paese di transito.
Ѐ chiaramente il primo tentativo di mascherarne la provenienza illegale, perché né Kenya né Uganda producono teak. Spesso, inoltre, il teak sud sudanese viene mischiato con legname proveniente da paesi dove la raccolta e commercializzazione sono legali. Secondo l’Interpol, il mischiare legname di diverse provenienze è lo stratagemma più diffuso per mascherarne il traffico illegale.
Secondo stime dell’Onu, il Sud Sudan potrebbe raccogliere tasse per circa 50 milioni di dollari all’anno se riuscisse a controllare il mercato del legname pregiato. Invece, ne riceve tra l’uno e i due milioni solamente.
Per questa spoliazione, neppure l’Unione europea è esente da responsabilità. Il regolamento per la commercializzazione del legname (European Union Timber Regulation), introdotto nel 2013, è rimasto largamente inapplicato o è stato facilmente aggirato a causa di alcune falle dell’atto stesso, della complessità delle norme e della mancanza di controlli.
Sta di fatto che si contano sulle dita di una mano le multe per l’importazione di legname di cui non è chiara la filiera di provenienza, mentre il mercato europeo è pieno di prodotti di legno pregiato a buon mercato, in gran parte proveniente dall’India. Anzi, dice l’articolo citato, negli ultimi anni l’importazione è di molto aumentata.
Sentinelle contro la deforestazione
Ma ci sono piccoli segni di un cambio di passo. Nei giorni scorsi sono stati arrestati nello stato sud sudanese dell’Equatoria orientale sei ugandesi che stavano tagliando illegalmente legname pregiato. La denuncia alle autorità competenti era arrivata da contadini che stavano lavorando i campi nelle vicinanze.
Le comunità, informate da un lavoro capillare delle organizzazioni della società civile, sperimentano ormai sulla propria pelle i problemi dovuti alla deforestazione e alla razzia delle risorse naturali e cominciano a difendersi. Se i consumatori europei sostenessero i loro sforzi acquistando solo manufatti di legno certificato, il traffico illegale ne risentirebbe certamente.
L’informazione che orienta le scelte dei consumatori si è rivelata di enorme importanza in altri settori, come ad esempio quello dell’oro, e non c’è motivo perché non possa incidere anche sul traffico illegale di legname se saranno messi a punto strumenti di informazione e di controllo adeguato.
Il Sud Sudan in primo piano
Mar, 18/05/2021 -
Il governatore dello stato di Central Equatoria fa appello alle agenzie umanitarie per fornire assistenza umanitaria a migliaia di sfollati interni nelle contee di Yei e Lainya, dove molte famiglie sono state sfollate dalle loro case a seguito dei recenti attacchi di allevatori di bestiame e ribelli; Il Sovrano Consiglio sudanese licenzia il capo della giustizia del paese; La popolazione di rifugiati dell'Uganda non ha segnalato casi di Covid-19. nell'insediamento di Bidibidi del distretto di Yumbe.
Per approfondimenti visitare il sito al link qui di seguito: https://www.facebook.com/casetteSudSudan/
Il Sud Sudan in primo piano:
Le autorità del Sud Sudan lottano per fermare gli attacchi stradali
Di Viola Elias , Daniel Martin Friday , Waakhe Simon Wudu
14 maggio 2021
JUBA, SUD SUDAN - Organizzazioni non governative, attivisti della società civile e civili chiedono al governo del Sud Sudan di trovare un modo per fermare gli attacchi dilaganti di uomini armati sconosciuti sulle strade principali dopo che questa settimana si sono verificati altri tre agguati mortali.
Nell'attacco più mortale, cinque civili sono stati uccisi e altri due feriti in un'imboscata sulla strada tra le città di Yei e Kaya mercoledì. Sempre mercoledì, un operatore umanitario è stato ucciso su una strada nello stato dell'Equatoria orientale. E giovedì, quattro guardie del corpo del governatore dello stato di Central Equatoria sono state uccise a colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulla strada tra Juba e Yei.
Il mese scorso, più di 10 persone sono state uccise in altre tre imboscate lungo la strada Juba-Yei.
In tutti e tre gli incidenti di questa settimana, nessuno ha rivendicato la responsabilità e nessuno è stato arrestato.
L'arcivescovo della Chiesa evangelica presbiteriana del Sud Sudan ha esortato il governo e i gruppi ribelli di resistenza a rispettare l'accordo per la cessazione delle ostilità che hanno firmato nel dicembre 2017.
L'arcivescovo Elias Taban ha condannato le ripetute violazioni dell'accordo e ha invitato le parti a riprendere il dialogo pacifico per porre fine alle sofferenze dei civili.
"Questa mattina ci sono stati colpi di arma da fuoco vicino alla città [di Yei]. Tutti questi accordi di cessate il fuoco firmati non stanno resistendo", ha detto Taban.
Nella città di Yei, dozzine di persone in lutto hanno pianto apertamente giovedì mentre osservavano i corpi delle vittime dell'attacco stradale di Yei-Kaya all'obitorio dell'ospedale civile di Yei.
Uno dei sopravvissuti all'attacco, che ha chiesto di essere identificato solo come "John" per la sua sicurezza, ha detto che alcuni uomini armati hanno attaccato il gruppo di viaggiatori nel villaggio di Payawa della contea di Yei River mercoledì sera.
"Alcuni uomini armati sconosciuti sono saltati sulla strada e ci hanno fermato sotto la minaccia delle armi e ci hanno trascinato nella boscaglia e hanno preso tutte le nostre borse, i nostri soldi e hanno preso i nostri telefoni e ci hanno ordinato di sederci e subito ci hanno sparato e cinque di noi erano Colpito a morte sul posto e mi hanno sparato sulle spalle e sono caduto. Pensavano fossi morto e hanno lasciato la scena ", ha detto John a South Sudan in Focus.
Il commissario della contea di Yei River, Agrey Cyrus, ha accusato i ribelli del National Salvation Front (NAS) di aver eseguito l'attacco. Cyrus ha detto che nelle ultime settimane, i ribelli della NAS hanno intensificato i loro attacchi contro i civili intorno alla città di Yei.
"Ieri è stato lo scenario peggiore in cui i civili sono stati raccolti e colpiti a caso", ha detto Cyrus. Ha invitato i NAS ad assumersi la piena responsabilità per "la morte di civili innocenti".
Il portavoce del NAS Suba Samuel ha negato che il suo gruppo sia stato coinvolto nell'attacco nell'area di Yei.
"Non ho sentito alcun rapporto dalle nostre forze sul campo su qualsiasi cosa sia accaduta, quindi non posso giustificare quello che è successo lì perché diverse accuse che sono arrivate sono prive di fondamento", ha detto Samuel.
Giovedì, quattro guardie del corpo del governatore dello stato dell'Equatoria Centrale, Emmanuel Adil Anthony, sono state uccise a colpi d'arma da fuoco e due agenti di polizia sono rimasti feriti da uomini armati sconosciuti quando il convoglio del governatore è caduto in un'imboscata sulla strada Juba-Yei. Paulino Lukudu, ministro dell'Informazione dello stato dell'Equatoria centrale, ha detto che il convoglio stava viaggiando da Juba a Yei quando è stato attaccato a Ganja Payam, nella contea di Juba.
Lukudu ha detto che le autorità statali sospettano che i ribelli del Fronte di Salvezza Nazionale siano dietro l'attacco e crede che gli uomini armati abbiano probabilmente preso di mira il convoglio di Adil.
"Quando si guarda alla natura dell'attacco, prendono di mira principalmente i veicoli dei governatori e del ministro del governo locale e delle forze dell'ordine", ha detto Lukudu.
Mercoledì, un operatore umanitario dell'ONG Cordaid è stato ucciso e un autista ferito nella contea di Budi, nello stato dell'Equatoria orientale, quando il loro convoglio umanitario è caduto in un'imboscata.
Cordaid ha detto che la vittima è stata una collaboratrice dell'Uganda, specialista in salute riproduttiva. Il gruppo di soccorso ha detto che il convoglio, che comprendeva veicoli gestiti da Cordaid e Save the Children International, è stato preso di mira da aggressori non identificati.
Il ministro dell'Informazione di Stato Patrick Oting non è stato in grado di elaborare le azioni intraprese dalle autorità per trovare gli autori.
"Non abbiamo ancora informazioni concrete, ma abbiamo il commissario della contea di Budi che è andato sul campo, quindi ci aspettiamo che ci fornisca informazioni", ha detto Oting.
Un giovane attivista ha detto che l'incidente ha causato paura tra gli operatori umanitari che operano nello stato. Daniel Mwaka, direttore esecutivo della locale ONG Youth Empowerment Organization, ha esortato il governo ad arrestare rapidamente i sospetti.
"La situazione ha inviato un cattivo segnale agli operatori umanitari e anche alla gente dell'Equatoria orientale, perché questo non è il primo incidente; abbiamo sentito di diversi episodi di attacchi", ha detto Mwaka.
Alain Noudehou, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Sud Sudan, ha invitato le autorità e le comunità a garantire che il personale umanitario possa muoversi in sicurezza lungo le strade e fornire assistenza ai più vulnerabili.
Lukudu ha ammesso che l'insicurezza è un grosso problema in alcune parti dell'Equatoria centrale e ha fortemente consigliato al pubblico di evitare di utilizzare la strada Yei-Juba fino a quando le autorità non svilupperanno una strategia per combattere gli attacchi dilaganti.
14 maggio 2021
JUBA, SUD SUDAN - Organizzazioni non governative, attivisti della società civile e civili chiedono al governo del Sud Sudan di trovare un modo per fermare gli attacchi dilaganti di uomini armati sconosciuti sulle strade principali dopo che questa settimana si sono verificati altri tre agguati mortali.
Nell'attacco più mortale, cinque civili sono stati uccisi e altri due feriti in un'imboscata sulla strada tra le città di Yei e Kaya mercoledì. Sempre mercoledì, un operatore umanitario è stato ucciso su una strada nello stato dell'Equatoria orientale. E giovedì, quattro guardie del corpo del governatore dello stato di Central Equatoria sono state uccise a colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulla strada tra Juba e Yei.
Il mese scorso, più di 10 persone sono state uccise in altre tre imboscate lungo la strada Juba-Yei.
In tutti e tre gli incidenti di questa settimana, nessuno ha rivendicato la responsabilità e nessuno è stato arrestato.
L'arcivescovo della Chiesa evangelica presbiteriana del Sud Sudan ha esortato il governo e i gruppi ribelli di resistenza a rispettare l'accordo per la cessazione delle ostilità che hanno firmato nel dicembre 2017.
L'arcivescovo Elias Taban ha condannato le ripetute violazioni dell'accordo e ha invitato le parti a riprendere il dialogo pacifico per porre fine alle sofferenze dei civili.
"Questa mattina ci sono stati colpi di arma da fuoco vicino alla città [di Yei]. Tutti questi accordi di cessate il fuoco firmati non stanno resistendo", ha detto Taban.
Nella città di Yei, dozzine di persone in lutto hanno pianto apertamente giovedì mentre osservavano i corpi delle vittime dell'attacco stradale di Yei-Kaya all'obitorio dell'ospedale civile di Yei.
Uno dei sopravvissuti all'attacco, che ha chiesto di essere identificato solo come "John" per la sua sicurezza, ha detto che alcuni uomini armati hanno attaccato il gruppo di viaggiatori nel villaggio di Payawa della contea di Yei River mercoledì sera.
"Alcuni uomini armati sconosciuti sono saltati sulla strada e ci hanno fermato sotto la minaccia delle armi e ci hanno trascinato nella boscaglia e hanno preso tutte le nostre borse, i nostri soldi e hanno preso i nostri telefoni e ci hanno ordinato di sederci e subito ci hanno sparato e cinque di noi erano Colpito a morte sul posto e mi hanno sparato sulle spalle e sono caduto. Pensavano fossi morto e hanno lasciato la scena ", ha detto John a South Sudan in Focus.
Il commissario della contea di Yei River, Agrey Cyrus, ha accusato i ribelli del National Salvation Front (NAS) di aver eseguito l'attacco. Cyrus ha detto che nelle ultime settimane, i ribelli della NAS hanno intensificato i loro attacchi contro i civili intorno alla città di Yei.
"Ieri è stato lo scenario peggiore in cui i civili sono stati raccolti e colpiti a caso", ha detto Cyrus. Ha invitato i NAS ad assumersi la piena responsabilità per "la morte di civili innocenti".
Il portavoce del NAS Suba Samuel ha negato che il suo gruppo sia stato coinvolto nell'attacco nell'area di Yei.
"Non ho sentito alcun rapporto dalle nostre forze sul campo su qualsiasi cosa sia accaduta, quindi non posso giustificare quello che è successo lì perché diverse accuse che sono arrivate sono prive di fondamento", ha detto Samuel.
Giovedì, quattro guardie del corpo del governatore dello stato dell'Equatoria Centrale, Emmanuel Adil Anthony, sono state uccise a colpi d'arma da fuoco e due agenti di polizia sono rimasti feriti da uomini armati sconosciuti quando il convoglio del governatore è caduto in un'imboscata sulla strada Juba-Yei. Paulino Lukudu, ministro dell'Informazione dello stato dell'Equatoria centrale, ha detto che il convoglio stava viaggiando da Juba a Yei quando è stato attaccato a Ganja Payam, nella contea di Juba.
Lukudu ha detto che le autorità statali sospettano che i ribelli del Fronte di Salvezza Nazionale siano dietro l'attacco e crede che gli uomini armati abbiano probabilmente preso di mira il convoglio di Adil.
"Quando si guarda alla natura dell'attacco, prendono di mira principalmente i veicoli dei governatori e del ministro del governo locale e delle forze dell'ordine", ha detto Lukudu.
Mercoledì, un operatore umanitario dell'ONG Cordaid è stato ucciso e un autista ferito nella contea di Budi, nello stato dell'Equatoria orientale, quando il loro convoglio umanitario è caduto in un'imboscata.
Cordaid ha detto che la vittima è stata una collaboratrice dell'Uganda, specialista in salute riproduttiva. Il gruppo di soccorso ha detto che il convoglio, che comprendeva veicoli gestiti da Cordaid e Save the Children International, è stato preso di mira da aggressori non identificati.
Il ministro dell'Informazione di Stato Patrick Oting non è stato in grado di elaborare le azioni intraprese dalle autorità per trovare gli autori.
"Non abbiamo ancora informazioni concrete, ma abbiamo il commissario della contea di Budi che è andato sul campo, quindi ci aspettiamo che ci fornisca informazioni", ha detto Oting.
Un giovane attivista ha detto che l'incidente ha causato paura tra gli operatori umanitari che operano nello stato. Daniel Mwaka, direttore esecutivo della locale ONG Youth Empowerment Organization, ha esortato il governo ad arrestare rapidamente i sospetti.
"La situazione ha inviato un cattivo segnale agli operatori umanitari e anche alla gente dell'Equatoria orientale, perché questo non è il primo incidente; abbiamo sentito di diversi episodi di attacchi", ha detto Mwaka.
Alain Noudehou, coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Sud Sudan, ha invitato le autorità e le comunità a garantire che il personale umanitario possa muoversi in sicurezza lungo le strade e fornire assistenza ai più vulnerabili.
Lukudu ha ammesso che l'insicurezza è un grosso problema in alcune parti dell'Equatoria centrale e ha fortemente consigliato al pubblico di evitare di utilizzare la strada Yei-Juba fino a quando le autorità non svilupperanno una strategia per combattere gli attacchi dilaganti.
L'arcivescovo della provincia interna dell'Equatoria Centrale, dott. Paul Yugusuk, ha affermato che le prove raccolte da centinaia di testimonianze suggeriscono fortemente che l'aggressione da parte delle forze governative nell'area ha provocato lo sfollamento di migliaia di civili e la morte di un numero imprecisato di civili.
“Siamo venuti qui per ascoltare le storie, le testimonianze… ed è infatti evidente che è stato il governo (di Salva Kiir) ad aver dato il via a queste aggressioni”, ha detto l'Arcivescovo.
L'Arcivescovo, che ha anche sollecitato il sostegno umanitario, ha affermato che i responsabili di questo crimine umanitario continuo di ampia portata devono essere denunciati e ritenuti responsabili dei loro crimini.
“Non c'è modo di spostare così tante persone e nessuno è ritenuto responsabile. Dobbiamo trovare chi è responsabile…. Chiedo al CTSAMM (organismo di monitoraggio del cessate il fuoco) di verificare esattamente cosa è successo e di portare i trasgressori del CoHA a prenotare! "
“Siamo venuti qui per ascoltare le storie, le testimonianze… ed è infatti evidente che è stato il governo (di Salva Kiir) ad aver dato il via a queste aggressioni”, ha detto l'Arcivescovo.
L'Arcivescovo, che ha anche sollecitato il sostegno umanitario, ha affermato che i responsabili di questo crimine umanitario continuo di ampia portata devono essere denunciati e ritenuti responsabili dei loro crimini.
“Non c'è modo di spostare così tante persone e nessuno è ritenuto responsabile. Dobbiamo trovare chi è responsabile…. Chiedo al CTSAMM (organismo di monitoraggio del cessate il fuoco) di verificare esattamente cosa è successo e di portare i trasgressori del CoHA a prenotare! "
RUMBEK - 9 MAGGIO 2021
I fedeli della Chiesa cattolica hanno accolto con favore la nomina da parte di Papa Francesco del vescovo Wau, reverendo Mathew Remijio, come amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, che governerà temporaneamente fino al vescovo eletto, p. Christian Carlassare, si riprende dalle ferite da arma da fuoco.
La lettera vista da Radio Tamazuj, datata 5 maggio 2021, diceva anche che il vescovo Remijio continuerà a servire come vescovo della diocesi di Wau.
Parlando venerdì a Radio Tamazuj, il capo del comitato recentemente formato della diocesi cattolica di Rumbek, p. Andrea Osman, ha detto che i fedeli di Rumbek hanno accolto con favore la nomina di Papa Francesco a Vescovo della diocesi di Wau.
Ha detto che la Chiesa cattolica è una chiesa universale e le nomine possono essere effettuate da qualsiasi luogo senza discriminazioni.
“Abbiamo un comitato di cinque persone che gestiranno le attività quotidiane e lavoreranno con il vescovo Remijo di Wau, l'amministratore apostolico della diocesi di Rumbek. Sono solo il capo del comitato dei cinque qui a Rumbek ”, p. Ha detto Osman. “In quanto chiesa universale, un vescovo può essere di qualsiasi luogo, di qualsiasi nazionalità, di qualsiasi tribù. La Chiesa cattolica è universale e per tutti ".
Ha detto che l'uccisione del vescovo eletto della diocesi di Rumbek è stata orchestrata da alcune persone, alcune delle quali ora sono state arrestate.
Daniel Laat Kon, un membro della chiesa, ha detto che accolgono favorevolmente la nomina di un amministratore apostolico fino a quando p. Carlassare si riprende e subentra.
“Non c'è rifiuto perché qualcuno è stato nominato dall'esterno di Rumbek. La Chiesa cattolica in tutto il mondo è universale ”, ha detto Laat.
I fedeli della Chiesa cattolica hanno accolto con favore la nomina da parte di Papa Francesco del vescovo Wau, reverendo Mathew Remijio, come amministratore apostolico della diocesi di Rumbek, che governerà temporaneamente fino al vescovo eletto, p. Christian Carlassare, si riprende dalle ferite da arma da fuoco.
La lettera vista da Radio Tamazuj, datata 5 maggio 2021, diceva anche che il vescovo Remijio continuerà a servire come vescovo della diocesi di Wau.
Parlando venerdì a Radio Tamazuj, il capo del comitato recentemente formato della diocesi cattolica di Rumbek, p. Andrea Osman, ha detto che i fedeli di Rumbek hanno accolto con favore la nomina di Papa Francesco a Vescovo della diocesi di Wau.
Ha detto che la Chiesa cattolica è una chiesa universale e le nomine possono essere effettuate da qualsiasi luogo senza discriminazioni.
“Abbiamo un comitato di cinque persone che gestiranno le attività quotidiane e lavoreranno con il vescovo Remijo di Wau, l'amministratore apostolico della diocesi di Rumbek. Sono solo il capo del comitato dei cinque qui a Rumbek ”, p. Ha detto Osman. “In quanto chiesa universale, un vescovo può essere di qualsiasi luogo, di qualsiasi nazionalità, di qualsiasi tribù. La Chiesa cattolica è universale e per tutti ".
Ha detto che l'uccisione del vescovo eletto della diocesi di Rumbek è stata orchestrata da alcune persone, alcune delle quali ora sono state arrestate.
Daniel Laat Kon, un membro della chiesa, ha detto che accolgono favorevolmente la nomina di un amministratore apostolico fino a quando p. Carlassare si riprende e subentra.
“Non c'è rifiuto perché qualcuno è stato nominato dall'esterno di Rumbek. La Chiesa cattolica in tutto il mondo è universale ”, ha detto Laat.
Le tensioni in Africa Centrale e il ruolo di mediazione della chiesa: stasera nel Direttamente Su – video di
Giacomo Rizzi - 3 Maggio 2021 - 12:30 https://www.teleradiopace.tv/2021/05/03/le-tensioni-in-africa-centrale-e-il-ruolo-di-mediazione-della-chiesa-stasera-nel-direttamente-su-video/ Che cosa sta succedendo in Africa Centrale? Dopo il recente attentato in Sud Sudan al giovane vescovo mons. Christian Carlassare, la nostra trasmissione di approfondimento Direttamente su… proverà questa sera a tracciare il quadro della situazione geopolitica di questi paesi e capire dove nascono i flussi migratori. Diverse le testimonianze raccolte, tra le quali quella del sestrese Angelo Pittaluga (impegnato con i padri Gesuiti) e quella della giornalista di Nigrizia Bruna Sironi, entrambi a Nairobi in Kenya. Sentiamo un passaggio dell’intervista a quest’ultima fatta da Maurizio Garreffa. |
REGNO UNITO - 28 APRILE 2021
Il Regno Unito sanziona l'uomo d'affari sudanese "Al Cardinal" per accordi dubbi in Sud Sudan
by RADIO TAMAZUJ https://radiotamazuj.org/en/rss/news.xml
Il Regno Unito ha inflitto sanzioni all'imprenditore sudanese Ashraf Seed Ahmed Hussein Ali, noto anche come Al Cardinal, per aver partecipato a affari dubbi e aver sottratto denaro dal Sud Sudan.
Il ministro degli Esteri, Dominic Raab, ha annunciato lunedì le prime sanzioni del Regno Unito nell'ambito del nuovo regime anticorruzione globale contro 22 persone coinvolte in noti casi di corruzione in Russia, Sud Africa e Sud Sudan e in tutta l'America Latina.
Il ministro degli Esteri Raab ha promesso di impedire alle persone corrotte di utilizzare il Regno Unito come rifugio per denaro sporco e ha affermato che il nuovo regime di sanzioni impedisce a coloro che sono coinvolti in grave corruzione di entrare e convogliare denaro attraverso il Regno Unito.
"La prima ondata di sanzioni del Regno Unito nell'ambito di questo nuovo regime di sanzioni sta prendendo di mira: l'uomo d'affari sudanese Ashraf Seed Ahmed Hussein Ali, ampiamente noto come Al Cardinal, per il suo coinvolgimento nell'appropriazione indebita di quantità significative di beni statali in uno dei paesi più poveri del mondo. . Questa deviazione di risorse in collusione con le élite sud-sudanesi ha contribuito all'instabilità e al conflitto continui ", si legge in parte nel comunicato stampa.
“La corruzione ha un effetto corrosivo poiché rallenta lo sviluppo, prosciuga la ricchezza delle nazioni più povere e mantiene la loro gente intrappolata nella povertà. Avvelena il pozzo della democrazia ", ha detto il ministro degli Esteri Dominic Raab. "Le persone che abbiamo sanzionato oggi sono state coinvolte in alcuni dei più noti casi di corruzione in tutto il mondo".
Ha aggiunto: “La Gran Bretagna globale si batte per la democrazia, il buon governo e lo stato di diritto. Stiamo dicendo a chi è coinvolto in una grave corruzione: non tollereremo né te né i tuoi soldi sporchi nel nostro paese. Le misure sono deliberatamente mirate, quindi il Regno Unito può imporre sanzioni a individui corrotti e ai loro facilitatori, piuttosto che a intere nazioni ".
Raab ha detto che le sanzioni vengono prese in parte in tandem con gli Stati Uniti, che stanno anche annunciando ulteriori sanzioni contro la corruzione: "Agire insieme invia il segnale più chiaro possibile che la corruzione ha un prezzo pesante".
Il Regno Unito ha, per la prima volta, imposto il congelamento dei beni e il divieto di viaggio a 22 persone nell'ambito del nuovo regime di sanzioni anti-corruzione globale che conferisce al Regno Unito un potere senza precedenti per impedire agli attori corrotti di trarre profitto dall'economia del Regno Unito.
“La corruzione danneggia gli individui e mina il commercio globale, lo sviluppo e lo Stato di diritto. Ogni anno oltre il 2% del PIL globale viene perso a causa della corruzione e la corruzione aumenta il costo di fare affari per le singole aziende fino al 10%. La corruzione minaccia anche la nostra sicurezza nazionale esacerbando i conflitti e facilitando la criminalità organizzata e grave, creando spazio per il funzionamento di gruppi terroristici e criminali come Daesh e Boko Haram ", afferma la dichiarazione del Foreign, Commonwealth and Development Office.
Non estranei alle sanzioni, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche al magnate Ashraf Seed Ahmed Al-Cardinal nell'ottobre dello scorso anno.
Al Cardinal è stato anche denunciato per pratiche corrotte da The Sentry, un team investigativo e politico che segue denaro sporco collegato a criminali di guerra africani e profittatori di guerra transnazionali.
28 Aprile 2021 Bruna Sironi (da Nairobi, Kenya)
Sud Sudan: la legge del clan
L’aggressione al nuovo vescovo di Rumbek Christian Carlassare è avvenuta nel contesto di una regione, e di un paese, ancora fortemente legati all’appartenenza clanica, dove l’accaparramento di risorse è rampante.
Il “nostro” mondo – quello della famiglia comboniana e delle case missionarie in genere, del volontariato, delle associazioni e delle numerose persone che hanno sostenuto il diritto all’autodeterminazione del Sud Sudan e continuano a lavorare per fornire aiuto alla popolazione in questi lunghi anni di crisi, in attesa che si possa sostenere il suo sviluppo – è rimasto a dir poco scioccato dal ferimento del vescovo eletto di Rumbek, padre Christian Carlassare, nominato da Papa Francesco lo scorso 8 marzo e arrivato nella sua nuova diocesi il 15 aprile, dove dovrebbe essere insediato ufficialmente il 23 maggio prossimo, giorno di Pentecoste.
Non ci sono dubbi sulla dinamica dell’aggressione: due uomini armati, di notte, sono andati a cercare padre Christian nella sua camera, nel compound della diocesi, e gli hanno sparato alle gambe. Poi sono fuggiti. Non ci possono essere dubbi neppure sull’obiettivo dell’agguato: un pesante avvertimento sul pericolo per la sua vita, cui la carica che aveva accettato lo espone. Secondo informazioni di fonti attendibili, prima di lui un altro possibile vescovo era stato minacciato di morte se avesse accettato l’incarico.
La diocesi di Rumbek si estende su circa 65mila chilometri quadrati, è grande cioè come la Svizzera, è abitata da meno di un milione di persone, vi si trovano undici stazioni missionarie. È posta nel cuore del Sud Sudan ed è particolarmente nota e cara ai cattolici italiani, ma non solo, perché è stata retta per oltre un decennio da Cesare Mazzolari, vescovo comboniano originario di Brescia, che era stato capace di mobilitare risorse e solidarietà in favore della popolazione duramente colpita dalla più che ventennale guerra di liberazione dal nord del paese. Il conflitto si è concluso con l’indipendenza, raggiunta nel luglio del 2011, pochi giorni prima della morte di monsignor Mazzolari per infarto, durante la celebrazione della messa.
La diocesi è abitata in grandissima maggioranza da popolazione denka, il più numeroso e potente gruppo etnico sud sudanese, ed è tra le zone più turbolente e insicure di un paese giudicato tra i meno sicuri del pianeta. L’area è rimasta a lungo isolata durante gli anni della guerra di liberazione e poi durante la recente guerra civile, scoppiata nel dicembre del 2013 e terminata nel settembre del 2018, ma la pace è tutt’altro che consolidata. Ancora oggi è difficilmente raggiungibile via terra durante la stagione delle piogge. Lo stile di vita è perciò ancora fortemente radicato in schemi tradizionali.
L’economia denka è basata sull’allevamento dei bovini. Le mandrie sono spesso formate da migliaia di capi di bestiame, nonostante siano state gravemente ridimensionate a causa dei ricorrenti e duraturi conflitti. Sono alla base dei rapporti sociali e di potere tra i vari clan dello stesso gruppo etnico. I giovani, cui è delegata la difesa del patrimonio del clan, sono generalmente pesantemente armati.
Frequenti sono infatti le razzie che innescano veri e propri conflitti tra diversi clan, con numerose vittime. A causa dell’isolamento e della fragilità delle istituzioni governative, è diffusa l’abitudine di risolvere le controversie in modo tradizionale, spesso con l’uso delle armi.
Negli ultimi giorni in conflitti intercomunitari nella zona di Yirol ci sono state almeno 13 vittime. Contemporaneamente a Cuibet, in un’altra zona della diocesi, in scontri legati al bestiame, le vittime sono state 8. Ne dà conto l’emittente locale Radio Tamazuj, che sottolinea come si tratti solo di episodi di annose faide che le autorità non sono in grado di fermare.
Gli indici di sviluppo umano disponibili, seppur ormai molto datati e probabilmente non particolarmente accurati, dipingono una situazione grave. Il tasso di alfabetizzazione sarebbe del 18%; alla scuola primaria si iscriverebbero il 67,2% dei bambini, moltissimi dei quali non raggiungono la fine del primo o del secondo anno. Le iscrizioni alla scuola secondaria riguarderebbero il 3,6% dei ragazzi. Il 48,9% della popolazione vivrebbe sotto la soglia di povertà; il 13,6% sperimenterebbe la vera e propria miseria.
In questo contesto si colloca l’azione sociale della Chiesa cattolica, che offre una buona parte dei servizi alla popolazione, diventando per forza di cose un centro di potere che raccoglie e dispensa rilevanti risorse.
La diocesi di Rumbek è rimasta senza vescovo per una decina d’anni. Dal 2014 è stata gestita dal clero locale, per cui è estremamente difficile, anche volendo, resistere alle pressioni e alle richieste economiche e di servizi del proprio gruppo, familiare e clanico. Raccogliere e dispensare risorse è inoltre fonte di grande potere personale.
In Sud Sudan le élite hanno fatto di questa dinamica un modello di gestione politica, definito da molti analisti politici come cleptocrazia, che ancora oggi rischia di far sprofondare il paese in una nuova guerra civile. Non sorprende che anche la Chiesa ne sia stata in qualche modo contagiata.
Con ogni probabilità questa è la dinamica alla base dell’agguato al vescovo, estraneo alla società locale e che avrebbe inevitabilmente messo in gioco equilibri consolidati. La pista è stata indicata da subito dalle autorità locali.
Già ieri il ministro ad interim dell’informazione dello stato di Lakes aveva rilasciato a Radio Tamazuj la seguente dichiarazione: «Ogni caso criminale qui ha una ragione. Ci sono casi relativi a fughe con ragazze, altri a razzie di bestiame, altri a vendette. Questo è diverso e lo stiamo trattando come un caso politico all’interno della stessa Chiesa cattolica… sembra essere qualcosa all’interno della sua stessa amministrazione perché (il vescovo eletto) è appena arrivato e non ha problemi con nessuno». Nello stesso articolo si dice che erano già state arrestate 24 persone che dovevano sapere qualcosa, perché non si può entrare armati nel compound della diocesi e arrivare alla residenza del vescovo senza essere fermati.
L’agenzia di stampa cattolica ACI Africa fa anche qualche nome. Il più importante è quello dello stesso coordinatore della diocesi, padre John Mathiang, in carica dal dicembre 2013. Nell’articolo si dice che una dozzina di nomi, tra cui evidentemente anche quello del coordinatore, sono emersi dall’analisi di un cellulare caduto ad uno degli assalitori e involontariamente nascosto nella caduta, dal corpo di padre Christian.
Che si tratti di una questione politica, di bassa politica veramente, è chiaro anche dalla dichiarazione rilasciata ieri sera dal presidente Salva Kiir, denka, membro di uno dei clan residenti nella diocesi, che va probabilmente interpretata come un forte richiamo ai suoi, in cui sottolinea che il vescovo eletto è al di sopra e al di fuori delle beghe dei denka della zona.
Certo, San Daniele Comboni affermava che bisogna “salvare l’Africa con l’Africa”. Ma in Sud Sudan il contesto generale è talmente problematico, per non dire degradato, che sembra essere necessario un importante percorso propedeutico di formazione e conversione, anche all’interno della stessa Chiesa.
L’aggessione al vescovo eletto di Rumbek non è infatti isolato. Anche il nuovo arcivescovo di Juba è passato attraverso le forche caudine di alcuni esponenti della curia che hanno cercato di diffamarlo perché il Papa ripensasse alla sua nomina.
Padre Christian già ieri ha chiesto di pregare per la gente sud sudanese che soffre e sembra fortemente motivato a non lasciarsi intimidire. Ma è chiaro che il suo ministero come vescovo inizia in salita e avrà bisogno di tutte le nostre preghiere, ma anche di un forte ombrello “politico” che lo salvaguardi da altri problemi che potrebbero mettere a rischio la sua sicurezza personale e anche la sua azione come pastore al di sopra delle parti
Sud Sudan: agguato al padre Carlassare. Tra gli arrestati anche 3 preti della diocesi
Tra i fermati alcuni preti e laici in posizioni preminenti nella diocesi. Dopo l'agguato a Monsignor Christian Carlassare si comincia a parlare anche dei presunti mandanti. Intanto la voce del pastore oltrepassa odio e rivalità, con il cuore rivolto al suo popolo
27 aprile 2021 19:21
Dodici persone sono stati arrestate a Rumbek, in Sud Sudan, accusate di essere coinvolte nell'agguato al vescovo Christian Carlassare.
"Tre di loro, tra cui spicca il nome del coordinatore diocesano John Mathiang, sono preti della Diocesi di Rumbek mentre gli altri sono laici con diverse responsabilità a livello della Chiesa locale", riferisce il portale dei missionari di cui fa parte lo steso padre Carlassare.
La Chiesa sudsudanese sarebbe dunque in qualche modo coinvolta. Scrive Nigrizia, il portale dei Comboniani, facendo parlare una fonte anonima ma 'sicura' : "Le cose erano chiare da subito ma ora sono evidenti e possiamo dire con certezza che la responsabilità è di una porzione di Chiesa dinka (l'etnia del presidente Slava Kirr), che chiamo 'clan', all'interno delle autorità ecclesiali locali. John Mathiang è solo una pedina di questo clan. Il vero mandante è più lontano ancora ed è collettivo. Si tratta di una frazione della comunità ecclesiale di origine dinka che vuole avere il suo peso nella Chiesa e nel Paese per mettere mano sulle sue ricchezze".
Aci Africa rivela che gli arresti sono stati possibili grazie al ritrovamento del telefonino che sarebbe caduto ad uno dei due assalitori durante l'agguato e che padre Christian, colpito alle gambe, avrebbe involontariamente nascosto cadendovi sopra. Dai tabulati sarebbe così stato possibile per le autorità, che investigavano sulla vicenda, di risalire ai responsabili. Ma l'operazione tempestiva della polizia locale è realmente stata possibile soltanto grazie al comunicato del presidente Salva Kirr che ieri, in un'apposita nota, chiedeva investigazioni rapide dopo l'accaduto. "Quello del presidente è stato un segnale preciso - dice la fonte citata da Nigrizia - che si doveva agire perché si erano oltrepassati i limiti. Lui, che si definisce cattolico, sognava da tempo un vescovo dinka ma con questa vicenda a livello internazionale il Sud Sudan ne esce distrutto e stavolta Salva Kirr non può permetterselo".
https://youtu.be/S8lgupAW6t8 un’intervista di Maurizio Di Schino per il Tg2000, il telegiornale di Tv2000, in collegamento dal letto d’ospedale a Nairobi in Kenya racconta il suo stato di salute in seguito al grave attentato
Dodici persone sono stati arrestate a Rumbek, in Sud Sudan, accusate di essere coinvolte nell'agguato al vescovo Christian Carlassare.
"Tre di loro, tra cui spicca il nome del coordinatore diocesano John Mathiang, sono preti della Diocesi di Rumbek mentre gli altri sono laici con diverse responsabilità a livello della Chiesa locale", riferisce il portale dei missionari di cui fa parte lo steso padre Carlassare.
La Chiesa sudsudanese sarebbe dunque in qualche modo coinvolta. Scrive Nigrizia, il portale dei Comboniani, facendo parlare una fonte anonima ma 'sicura' : "Le cose erano chiare da subito ma ora sono evidenti e possiamo dire con certezza che la responsabilità è di una porzione di Chiesa dinka (l'etnia del presidente Slava Kirr), che chiamo 'clan', all'interno delle autorità ecclesiali locali. John Mathiang è solo una pedina di questo clan. Il vero mandante è più lontano ancora ed è collettivo. Si tratta di una frazione della comunità ecclesiale di origine dinka che vuole avere il suo peso nella Chiesa e nel Paese per mettere mano sulle sue ricchezze".
Aci Africa rivela che gli arresti sono stati possibili grazie al ritrovamento del telefonino che sarebbe caduto ad uno dei due assalitori durante l'agguato e che padre Christian, colpito alle gambe, avrebbe involontariamente nascosto cadendovi sopra. Dai tabulati sarebbe così stato possibile per le autorità, che investigavano sulla vicenda, di risalire ai responsabili. Ma l'operazione tempestiva della polizia locale è realmente stata possibile soltanto grazie al comunicato del presidente Salva Kirr che ieri, in un'apposita nota, chiedeva investigazioni rapide dopo l'accaduto. "Quello del presidente è stato un segnale preciso - dice la fonte citata da Nigrizia - che si doveva agire perché si erano oltrepassati i limiti. Lui, che si definisce cattolico, sognava da tempo un vescovo dinka ma con questa vicenda a livello internazionale il Sud Sudan ne esce distrutto e stavolta Salva Kirr non può permetterselo".
https://youtu.be/S8lgupAW6t8 un’intervista di Maurizio Di Schino per il Tg2000, il telegiornale di Tv2000, in collegamento dal letto d’ospedale a Nairobi in Kenya racconta il suo stato di salute in seguito al grave attentato
Durissimo colpo alla Chiesa Sud Sudan: agguato al vescovo Carlassare
26 Aprile 2021 09:30
A quasi due mesi dalla sua nomina a vescovo di Rumbek, Monsignor Christian Carlassare, missionario comboniano, è stato colpito nella notte da colpi di arma da fuoco. Sarà trasportato a breve per le cure a Nairobi. Rassicurando tutti, da vero pastore, chiede di pregare e di occuparsi soprattutto della sua gente
Secondo quanto rilanciato da Nigrizia, la rivista dei Comboniani, la notte tra il 25 e il 26 aprile, trenta minuti dopo la mezzanotte, due persone armate e ancora sconosciute, hanno fatto irruzione nella casa di Monsignor Christian Carlassare, missionario comboniano e nuovo vescovo di Rumbek in Sud Sudan, e gli hanno sparato alle gambe.Padre Christian è fuori pericolo e i medici del Cuamm si stanno prendendo cura di lui nell’ospedale di Rumbek ma il vescovo ha perso molto sangue e verrà presto trasferito nella capitale Juba e poi a Nairobi, dove sarà sottoposto a una trasfusione. Cosciente e sofferente, padre Christian ha telefonato direttamente la famiglia per informarla e ha detto al responsabile dei Missionari Comboniani in Italia: «pregate non tanto per me ma per la gente di Rumbek che soffre più di me».
Parole di un vero pastore che dà la vita per le sue pecore, come ricordava il Vangelo di ieri. I fedeli di Rumbek, Diocesi a maggioranza dinka, una delle etnie più numerose nel paese, avevano accolto nella gioia padre Christian con un rito di benvenuto lo scorso 16 aprile.
Papa Francesco l’ha infatti nominato vescovo l’8 marzo e padre Christian è diventato, a 43 anni, il vescovo italiano più giovane del mondo, a guida della giovanissima Diocesi di Rumbek, nata solo nel 1975 e guidata, prima di lui, anche dal “padre del popolo” Cesare Mazzolari, missionario comboniano morto nel luglio del 2011, una settimana dopo la dichiarazione dell’indipendenza del Sud Sudan.
Ma probabilmente a qualcuno non andava giù che un giovane venuto da lontano e che avesse lavorato per quindici anni con l’altro gruppo etnico preponderante nel paese, i Nuer, fosse stato scelto proprio per guidare la Diocesi di Rumbek.
Ora si attende una grande risposta popolare nonviolenta dei fedeli, nel segno dell’autenticità del Vangelo e dell’unità della Chiesa, a dimostrazione del sostegno e dell’affetto verso il loro pastore con l’ “odore delle pecore” come lo vuole Papa Francesco.
Poche settimane fa, padre Christian aveva dichiarato a Nigrizia il suo sogno: «Sogno che i giovani del Sud Sudan possano realizzare i loro sogni, che non siano costretti a darsi alle armi o a lasciare il paese, che possano studiare e trovare un lavoro che costruisca il futuro e dia stabilità al paese. Sogno che le giovani ragazze del Sud Sudan possano emanciparsi e non essere totalmente dipendenti dai loro capi famiglia e che possano fare le proprie scelte in libertà».
Vedendo le tue foto all’ospedale con la maglietta macchiata di sangue, carissimo Christian, questa mattina ho ricordato quelle di Lele Ramin, martire comboniano in Brasile il 24 luglio del 1985. Tu sei vivo e lo sarai sempre, e come diceva Lele: «il seminatore getta il seme e non torna indietro».
Che queste parole di Lele diano forza a te, alla tua famiglia, al tuo popolo e a noi tuoi fratelli. Noi di Nigrizia siamo con te, sicuri che quella vita che già hai dato per il Sud Sudan continuerai a spenderla sempre per e con gli ultimi del mondo, come hanno fatto Gesù di Nazaret e i profeti a te cari: Daniele Comboni, Oscar Romero e Charles De Foucauld.
Parlando questa mattina a Radio Tamazuj, il ministro dell'Informazione e della Comunicazione, William Kocji Kerjok, ha condannato l'attentato a padre Christian Carlassare, il vescovo eletto.
Ha detto che p. Carlassare è stato ferito ad entrambe le gambe dagli uomini armati che sono entrati nella sua stanza la scorsa notte e ora sta ricevendo farmaci nell'ospedale statale di Rumbek.
“Sai che ogni caso qui ha una ragione. Ci sono casi legati alla fuga di ragazze, al fruscio del bestiame e alcuni di questi sono legati alle uccisioni per vendetta. Questo caso è così speciale e lo stiamo trattando come una politica all'interno della stessa Chiesa cattolica ”, ha detto il ministro Kocji. "E questo del Vescovo sembra essere qualcosa all'interno della sua amministrazione perché è molto nuovo del posto e non ha problemi con nessuno ma è stato colpito in porta".
“Quei ragazzi sono venuti direttamente nella sua stanza, hanno lottato per aprire la sua stanza finché non hanno iniziato a sparare nella sua stanza. Quasi 13 proiettili sono stati sparati contro di lui. E più tardi, quando sono riusciti a entrare, gli hanno detto di sedersi e gli hanno sparato alle gambe. Quindi, non intendevano ucciderlo, ma penso che intendessero spaventarlo. Quindi stiamo dicendo, la leadership della Chiesa cattolica dovrebbe essere responsabile di questo. Ed è per questo che il governo sta arrestando quasi tutti lì in modo che siano ritenuti responsabili di questo ", ha aggiunto.
Il coordinatore diocesano della diocesi cattolica di Rumbek, padre John Mathiang Machol, ha condannato l'attacco.
“Siamo stati svegliati dal grido e dal suono degli spari. Siamo andati lì e abbiamo scoperto che il vescovo è stato colpito a entrambe le gambe ei criminali sono scappati. Abbiamo portato il vescovo all'ospedale di Rumbek per le cure fino ad ora siamo in ospedale con lui ”, p. Mathiang ha detto.
Ha detto che p. Le condizioni di Carlassare sono stabili e sarà trasferito a Juba con un aereo della Croce Rossa e da lì a Nairobi per ulteriori cure.
“Nessuna gamba rotta e nessuna frattura causata dai proiettili su entrambe le gambe. Ma c'è una grave emorragia persistente che è stata mascherata ", ha detto Matur Rany, amministratore dell'ospedale statale di Rumbek.
Secondo l'Associazione per l'informazione cattolica in Africa (ACI-Africa) il religioso ferito è in condizioni stabili e sono in corso piani per trasportarlo in aereo nella capitale del Kenya, Nairobi, attraverso i servizi dell'African Medical and Research Foundation (AMREF).
Il chierico missionario comboniano nato in Italia è stato nominato vescovo della diocesi di Rumbek l'8 marzo. La sua ordinazione episcopale era prevista per domenica di Pentecoste, il 23 maggio.
Ha prestato servizio nella diocesi di Malakal, in Sud Sudan, da quando è arrivato nel paese dell'Africa centro-orientale nel 2005.
Si è recato nella diocesi di Rumbek il 15 aprile dopo i giorni di ritiro spirituale nella capitale del Sud Sudan, Juba.
La diocesi di Rumbek è diventata vacante nel luglio 2011 in seguito alla morte improvvisa del vescovo Cesare Mazzolari. Il vescovo missionario comboniano è crollato durante la celebrazione della Santa Eucaristia la mattina del 16 luglio 2011, una settimana dopo l'indipendenza del Sud Sudan, ed è stato confermato morto quella mattina all'ospedale statale di Rumbek.
P. Fernando Colombo, membro dei Missionari Comboniani, ha governato la diocesi come amministratore diocesano fino al 27 dicembre 2013, quando Fernando Cardinal Filoni, allora Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha nominato Coordinatore diocesano Padre Jhon Mathiang Machol.
Parole di un vero pastore che dà la vita per le sue pecore, come ricordava il Vangelo di ieri. I fedeli di Rumbek, Diocesi a maggioranza dinka, una delle etnie più numerose nel paese, avevano accolto nella gioia padre Christian con un rito di benvenuto lo scorso 16 aprile.
Papa Francesco l’ha infatti nominato vescovo l’8 marzo e padre Christian è diventato, a 43 anni, il vescovo italiano più giovane del mondo, a guida della giovanissima Diocesi di Rumbek, nata solo nel 1975 e guidata, prima di lui, anche dal “padre del popolo” Cesare Mazzolari, missionario comboniano morto nel luglio del 2011, una settimana dopo la dichiarazione dell’indipendenza del Sud Sudan.
Ma probabilmente a qualcuno non andava giù che un giovane venuto da lontano e che avesse lavorato per quindici anni con l’altro gruppo etnico preponderante nel paese, i Nuer, fosse stato scelto proprio per guidare la Diocesi di Rumbek.
Ora si attende una grande risposta popolare nonviolenta dei fedeli, nel segno dell’autenticità del Vangelo e dell’unità della Chiesa, a dimostrazione del sostegno e dell’affetto verso il loro pastore con l’ “odore delle pecore” come lo vuole Papa Francesco.
Poche settimane fa, padre Christian aveva dichiarato a Nigrizia il suo sogno: «Sogno che i giovani del Sud Sudan possano realizzare i loro sogni, che non siano costretti a darsi alle armi o a lasciare il paese, che possano studiare e trovare un lavoro che costruisca il futuro e dia stabilità al paese. Sogno che le giovani ragazze del Sud Sudan possano emanciparsi e non essere totalmente dipendenti dai loro capi famiglia e che possano fare le proprie scelte in libertà».
Vedendo le tue foto all’ospedale con la maglietta macchiata di sangue, carissimo Christian, questa mattina ho ricordato quelle di Lele Ramin, martire comboniano in Brasile il 24 luglio del 1985. Tu sei vivo e lo sarai sempre, e come diceva Lele: «il seminatore getta il seme e non torna indietro».
Che queste parole di Lele diano forza a te, alla tua famiglia, al tuo popolo e a noi tuoi fratelli. Noi di Nigrizia siamo con te, sicuri che quella vita che già hai dato per il Sud Sudan continuerai a spenderla sempre per e con gli ultimi del mondo, come hanno fatto Gesù di Nazaret e i profeti a te cari: Daniele Comboni, Oscar Romero e Charles De Foucauld.
Parlando questa mattina a Radio Tamazuj, il ministro dell'Informazione e della Comunicazione, William Kocji Kerjok, ha condannato l'attentato a padre Christian Carlassare, il vescovo eletto.
Ha detto che p. Carlassare è stato ferito ad entrambe le gambe dagli uomini armati che sono entrati nella sua stanza la scorsa notte e ora sta ricevendo farmaci nell'ospedale statale di Rumbek.
“Sai che ogni caso qui ha una ragione. Ci sono casi legati alla fuga di ragazze, al fruscio del bestiame e alcuni di questi sono legati alle uccisioni per vendetta. Questo caso è così speciale e lo stiamo trattando come una politica all'interno della stessa Chiesa cattolica ”, ha detto il ministro Kocji. "E questo del Vescovo sembra essere qualcosa all'interno della sua amministrazione perché è molto nuovo del posto e non ha problemi con nessuno ma è stato colpito in porta".
“Quei ragazzi sono venuti direttamente nella sua stanza, hanno lottato per aprire la sua stanza finché non hanno iniziato a sparare nella sua stanza. Quasi 13 proiettili sono stati sparati contro di lui. E più tardi, quando sono riusciti a entrare, gli hanno detto di sedersi e gli hanno sparato alle gambe. Quindi, non intendevano ucciderlo, ma penso che intendessero spaventarlo. Quindi stiamo dicendo, la leadership della Chiesa cattolica dovrebbe essere responsabile di questo. Ed è per questo che il governo sta arrestando quasi tutti lì in modo che siano ritenuti responsabili di questo ", ha aggiunto.
Il coordinatore diocesano della diocesi cattolica di Rumbek, padre John Mathiang Machol, ha condannato l'attacco.
“Siamo stati svegliati dal grido e dal suono degli spari. Siamo andati lì e abbiamo scoperto che il vescovo è stato colpito a entrambe le gambe ei criminali sono scappati. Abbiamo portato il vescovo all'ospedale di Rumbek per le cure fino ad ora siamo in ospedale con lui ”, p. Mathiang ha detto.
Ha detto che p. Le condizioni di Carlassare sono stabili e sarà trasferito a Juba con un aereo della Croce Rossa e da lì a Nairobi per ulteriori cure.
“Nessuna gamba rotta e nessuna frattura causata dai proiettili su entrambe le gambe. Ma c'è una grave emorragia persistente che è stata mascherata ", ha detto Matur Rany, amministratore dell'ospedale statale di Rumbek.
Secondo l'Associazione per l'informazione cattolica in Africa (ACI-Africa) il religioso ferito è in condizioni stabili e sono in corso piani per trasportarlo in aereo nella capitale del Kenya, Nairobi, attraverso i servizi dell'African Medical and Research Foundation (AMREF).
Il chierico missionario comboniano nato in Italia è stato nominato vescovo della diocesi di Rumbek l'8 marzo. La sua ordinazione episcopale era prevista per domenica di Pentecoste, il 23 maggio.
Ha prestato servizio nella diocesi di Malakal, in Sud Sudan, da quando è arrivato nel paese dell'Africa centro-orientale nel 2005.
Si è recato nella diocesi di Rumbek il 15 aprile dopo i giorni di ritiro spirituale nella capitale del Sud Sudan, Juba.
La diocesi di Rumbek è diventata vacante nel luglio 2011 in seguito alla morte improvvisa del vescovo Cesare Mazzolari. Il vescovo missionario comboniano è crollato durante la celebrazione della Santa Eucaristia la mattina del 16 luglio 2011, una settimana dopo l'indipendenza del Sud Sudan, ed è stato confermato morto quella mattina all'ospedale statale di Rumbek.
P. Fernando Colombo, membro dei Missionari Comboniani, ha governato la diocesi come amministratore diocesano fino al 27 dicembre 2013, quando Fernando Cardinal Filoni, allora Prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha nominato Coordinatore diocesano Padre Jhon Mathiang Machol.
Il Vescovo Christian Carlassare
Aprile, 20 2021
Il vescovo eletto della diocesi cattolica di Rumbek preoccupa il peggioramento della situazione di sicurezza causata dai pastori, nei campi di bestiame dei Laghi.
Nel fine settimana, si dice che 22 giovani siano stati uccisi nell'area, ha riportato Radio Good News.
Mgr. Christian Carlassare si rammarica che i giovani abbiano scelto di andare fuori strada e perdere vite senza motivo.
Vescovo - Eletto Cristiano invita i giovani a non scegliere di morire a causa del bestiame.
Consiglia ai giovani di abbracciare il modo pacifico di partire l'uno con l'altro.
Il Mgr parlava domenica alla Cattedrale della Sacra Famiglia a Rumbek durante la sua prima visita alla sua diocesi di assegnazione.graph. Clicca qui per modificare.
Il vescovo eletto della diocesi cattolica di Rumbek preoccupa il peggioramento della situazione di sicurezza causata dai pastori, nei campi di bestiame dei Laghi.
Nel fine settimana, si dice che 22 giovani siano stati uccisi nell'area, ha riportato Radio Good News.
Mgr. Christian Carlassare si rammarica che i giovani abbiano scelto di andare fuori strada e perdere vite senza motivo.
Vescovo - Eletto Cristiano invita i giovani a non scegliere di morire a causa del bestiame.
Consiglia ai giovani di abbracciare il modo pacifico di partire l'uno con l'altro.
Il Mgr parlava domenica alla Cattedrale della Sacra Famiglia a Rumbek durante la sua prima visita alla sua diocesi di assegnazione.graph. Clicca qui per modificare.
Il generale Thomas Cirillo condanna la morte del generale Abraham Wana - "un vero fratello, ed un connazionale" - National Salvation Front NAS - 24 APRILE 2021 ·
Secondo una dichiarazione di Kwaje Lasu, il segretario generale del Movimento nazionale per il cambiamento del Sud Sudan (SSNMDC) sotto la guida del dottor Vakindi Unvu, il generale Abraham Wana Yoane, il capo di stato maggiore dell'SSNMDC / A è stato "attaccato, gravemente picchiato e lasciato a morire nelle prime ore del 20 aprile 2021 a Kampala ". Il Gen Abraham Wana muore dopo due giorni cedendo alle ferite di quell'attacco che l'SSNMDC ritiene sia stato effettuato dai "teppisti di Juba" e deve, in quanto tale, essere considerato un assassinio in quanto reca i "segni distintivi di Il regime di Juba e i suoi brutali [agenti] della sicurezza nazionale sono i principali sospettati ”.
“Per NAS, il Gen Abraham è un vero fratello, una guida ed un connazionale; la sua brutale fine è scioccante e deplorevole, ma non saremo minacciati né intimiditi ad arrenderci. I sacrifici del Gen Abraham Wana e tutte le nostre faccende non saranno vani. La sua eredità, determinazione e spirito risoluto contro l'ingiustizia ci rafforzerà per continuare la lotta con più zelo fino a quando la libertà e la giustizia non saranno raggiunte nel nostro amato Paese.Possa l'Iddio Onnipotente riposare l'anima del generale Abraham Wana Yoane nella pace eterna ”.
“Per NAS, il Gen Abraham è un vero fratello, una guida ed un connazionale; la sua brutale fine è scioccante e deplorevole, ma non saremo minacciati né intimiditi ad arrenderci. I sacrifici del Gen Abraham Wana e tutte le nostre faccende non saranno vani. La sua eredità, determinazione e spirito risoluto contro l'ingiustizia ci rafforzerà per continuare la lotta con più zelo fino a quando la libertà e la giustizia non saranno raggiunte nel nostro amato Paese.Possa l'Iddio Onnipotente riposare l'anima del generale Abraham Wana Yoane nella pace eterna ”.
e segnalare 17 APRILE 2021 ·
L'arcivescovo episcopale della provincia interna dell'Equatoria Centrale, dott. Paul Yugusuk, ha affermato che le prove raccolte da centinaia di testimonianze suggeriscono fortemente che l'aggressione da parte delle forze governative nell'area ha provocato lo sfollamento di migliaia di civili e la morte di un numero imprecisato.
“Siamo venuti qui per ascoltare le storie, le testimonianze… ed è infatti evidente che è stato il governo (di Salva Kiir) ad aver dato il via a queste aggressioni”, ha detto l'Arcivescovo.
L'Arcivescovo, che ha anche sollecitato il sostegno umanitario, ha affermato che i responsabili di questo crimine umanitario continuo di ampia portata devono essere denunciati e ritenuti responsabili dei loro crimini.
“Non c'è modo di spostare così tante persone e nessuno è ritenuto responsabile. Dobbiamo trovare chi è responsabile…. Chiedo al CTSAMM (organismo di monitoraggio del cessate il fuoco) di verificare esattamente cosa è successo e quindi segnalare i trasgressori della Risoluzione sul monitoraggio CoHA firmata dal SSOMA e dal GRSS (Government of South Sudan) sotto la mediazione della Comunità di Sant’Egidio il 14 febbraio 2020
L'arcivescovo episcopale della provincia interna dell'Equatoria Centrale, dott. Paul Yugusuk, ha affermato che le prove raccolte da centinaia di testimonianze suggeriscono fortemente che l'aggressione da parte delle forze governative nell'area ha provocato lo sfollamento di migliaia di civili e la morte di un numero imprecisato.
“Siamo venuti qui per ascoltare le storie, le testimonianze… ed è infatti evidente che è stato il governo (di Salva Kiir) ad aver dato il via a queste aggressioni”, ha detto l'Arcivescovo.
L'Arcivescovo, che ha anche sollecitato il sostegno umanitario, ha affermato che i responsabili di questo crimine umanitario continuo di ampia portata devono essere denunciati e ritenuti responsabili dei loro crimini.
“Non c'è modo di spostare così tante persone e nessuno è ritenuto responsabile. Dobbiamo trovare chi è responsabile…. Chiedo al CTSAMM (organismo di monitoraggio del cessate il fuoco) di verificare esattamente cosa è successo e quindi segnalare i trasgressori della Risoluzione sul monitoraggio CoHA firmata dal SSOMA e dal GRSS (Government of South Sudan) sotto la mediazione della Comunità di Sant’Egidio il 14 febbraio 2020
Quasi l'80% di tutti i decessi e feriti legati al conflitto nel 2020 sono stati causati da milizie tribali e comunitarie che sono sostenute e mantenute dalle élite locali e nazionali nel regime di Kiir - ha confermato un recente rapporto delle Nazioni Unite (ONU) .
Secondo il rapporto, le aree più colpite includono Jonglei, Greater Pibor, Warrap e Lakes State, dove le comunità rivali hanno spesso tentato di eliminarsi a vicenda senza alcuno sforzo da parte del governo nazionale per fermare o evitare la catastrofe.
Invece, le prove delle armi usate negli attacchi, oltre alla facilitazione e alla mobilitazione delle comunità, hanno suggerito una strategia orchestrata dal regime per istigare conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan.
Sul conflitto nello Stato dei laghi che infuria da oltre 7 anni e che ha causato centinaia di vite innocenti, il presidente Kiir ha pubblicamente e ripetutamente detto "lasciali combattere finché non sono stanchi" quando gli è stato chiesto di cercare di fermare le continue uccisioni senza senso in quella regione.
Allo stesso modo, nel gennaio 2021, il presidente Salva Kiir ha detto alle comunità nella grande Jonglei che non interverrà più se si impegnano in un conflitto etnico, suggerendo di nuovo che possono combattere fino a quando non si stancano!
"La prossima volta che andrai a combattere, non verrò ad aiutarti ... non nominerò nessun comitato per andare a indagare sui combattimenti in quella zona", ha detto Kiir.
Con queste prove crescenti di una nazione in uno stato di caos (sotto il regime di Kiir) che sta precipitando nel collasso e nella frammentazione, le persone dicono che abbastanza è abbastanza e chiedono che venga fatto qualcosa per liberare la nazione dalle politiche tribali malvagie del presidente Kiir e del suo lealisti.
Il regime ha rifiutato di perseguire la via della pace e della stabilità, ma ha scelto di mantenere lo status quo orchestrando conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan
Rivolgendosi alla nazione durante il suo discorso annuale di Pasqua, il presidente e comandante in capo del Fronte di salvezza nazionale (NAS) Gen Thomas Cirillo ha esortato il popolo del Sud Sudan "... ad avere speranza e restare uniti con coraggio e determinazione per superare l'oppressione regime e determinare il destino del nostro popolo e del nostro paese ”.
“… Il nostro paese è in uno stato di caos e sta andando al collasso e alla frammentazione. Il regime si è rifiutato di perseguire la via della pace e della stabilità, ma ha scelto di mantenere lo status quo orchestrando conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan. Il regime si illude che compiere uccisioni, stupri, terrore e intimidazioni sottometterà il popolo del Sud Sudan e continuerà le sue politiche malvagie ”
Secondo il rapporto, le aree più colpite includono Jonglei, Greater Pibor, Warrap e Lakes State, dove le comunità rivali hanno spesso tentato di eliminarsi a vicenda senza alcuno sforzo da parte del governo nazionale per fermare o evitare la catastrofe.
Invece, le prove delle armi usate negli attacchi, oltre alla facilitazione e alla mobilitazione delle comunità, hanno suggerito una strategia orchestrata dal regime per istigare conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan.
Sul conflitto nello Stato dei laghi che infuria da oltre 7 anni e che ha causato centinaia di vite innocenti, il presidente Kiir ha pubblicamente e ripetutamente detto "lasciali combattere finché non sono stanchi" quando gli è stato chiesto di cercare di fermare le continue uccisioni senza senso in quella regione.
Allo stesso modo, nel gennaio 2021, il presidente Salva Kiir ha detto alle comunità nella grande Jonglei che non interverrà più se si impegnano in un conflitto etnico, suggerendo di nuovo che possono combattere fino a quando non si stancano!
"La prossima volta che andrai a combattere, non verrò ad aiutarti ... non nominerò nessun comitato per andare a indagare sui combattimenti in quella zona", ha detto Kiir.
Con queste prove crescenti di una nazione in uno stato di caos (sotto il regime di Kiir) che sta precipitando nel collasso e nella frammentazione, le persone dicono che abbastanza è abbastanza e chiedono che venga fatto qualcosa per liberare la nazione dalle politiche tribali malvagie del presidente Kiir e del suo lealisti.
Il regime ha rifiutato di perseguire la via della pace e della stabilità, ma ha scelto di mantenere lo status quo orchestrando conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan
Rivolgendosi alla nazione durante il suo discorso annuale di Pasqua, il presidente e comandante in capo del Fronte di salvezza nazionale (NAS) Gen Thomas Cirillo ha esortato il popolo del Sud Sudan "... ad avere speranza e restare uniti con coraggio e determinazione per superare l'oppressione regime e determinare il destino del nostro popolo e del nostro paese ”.
“… Il nostro paese è in uno stato di caos e sta andando al collasso e alla frammentazione. Il regime si è rifiutato di perseguire la via della pace e della stabilità, ma ha scelto di mantenere lo status quo orchestrando conflitti etnici diffusi e insicurezza in tutti gli angoli del Sud Sudan. Il regime si illude che compiere uccisioni, stupri, terrore e intimidazioni sottometterà il popolo del Sud Sudan e continuerà le sue politiche malvagie ”
Un vicentino il più giovane vescovo al mondo
9 marzo 2021
Christian Carlassare, 43 anni, nato a Schio ma originario di Piovene Rocchette, con fede maturata dai comboniani di Thiene, è stato nominato l’8 marzo da papa Francesco nuovo vescovo di Rumbek. Succede a Cesare Mazzolari, deceduto nel luglio 2011. Un legame, quello con il Sud Sudan, la terra di santa Giuseppina Bakhita, che a Schio visse, operò e morì, che appare fin dalla sua data di nascita. Christian è nato il 1 ottobre 1977 e il 1 ottobre 2000 Giovanni Paolo II proclamò santa “madre moretta” in piazza San Pietro .
Un cammino, quello del più giovane presule al mondo, secondo le prime indiscrezioni, partito da Thiene per passar poi agli studi filosofici alla facoltà teologica dell'Italia centrale di Firenze. Il noviziato lo svolge a Venegono Superiore. A Roma ottiene il baccalaureato in teologia alla Pontificia Università Gregoriana, nel 2003, e quello in missiologia alla Pontificia università urbaniana, nel 2004. Nel 2003 emette la professione solenne dei voti a Roma e poi parte per il Sudan del Sud, trova ospitalità nella parrocchia della Santissima Trinità, stato di Fangak, dove impara la lingua. In seguito è vicario parrocchiale, dal 2006 al 2007, e poi parroco della stessa parrocchia nello stato di Jonglei, dal 2007 al 2016.
Nella sua congregazione è membro del segretariato dell'animazione vocazionale e della formazione di base, dal 2011 al 2019; consigliere provinciale per il Sud Sudan, dal 2012 al 2019; segretario del consiglio provinciale, dal 2014 al 2016; vice-provinciale in Sud Sudan, dal 2017 al 2019; promotore delle vocazioni e direttore del corso di orientamento a Moroyok, nei pressi di Giuba, dal 2017 al 2020. Poi la nomina a vicario generale della diocesi di Malakal. Ed ora è vescovo, nella patria di origine della santa venerata tanto là quanto a Schio, dove egli stesso nacque.
Ai profughi in Congo e in Uganda, ed ai bambini che non hanno possibilità di frequentare una scuola, non ci pensa nessuno.
RADIO BAKHITA - 17 marzo 2021
L ' UNCHR in una dichiarazione afferma che la fragile pace regge ancora con un aumento del numero di persone in cerca di soluzioni.
Arafat Jamal, rappresentante dell'UNHCR nel Sudan del Sud afferma che c'è ancora un'opportunità unica davanti.
Aggiunge che il processo appartiene al governo così come al Sudan meridionale, con l'inclusione di una continua vigorosa partecipazione degli sfollati a tutti i livelli.
RADIO BAKHITA - 15 marzo 2021
Il segretario generale della diocesi cattolica di Yei incoraggia tutti a prendere seriamente le misure preventive per il covid-19 visto che il paese sta registrando più casi.
Parlando con Radio Pasqua, Fr. Emmanuel Lodongo Sebit si rammarica che le persone non vogliano seguire misure preventive come mantenere la distanza sociale, evitando di stringere la mano e di indossare maschere per il viso.
15 marzo 2021
Arafat Jamal, rappresentante dell'UNHCR nel Sudan del Sud afferma che c'è ancora un'opportunità unica davanti.
Aggiunge che il processo appartiene al governo così come al Sudan meridionale, con l'inclusione di una continua vigorosa partecipazione degli sfollati a tutti i livelli.
RADIO BAKHITA - 15 marzo 2021
Il segretario generale della diocesi cattolica di Yei incoraggia tutti a prendere seriamente le misure preventive per il covid-19 visto che il paese sta registrando più casi.
Parlando con Radio Pasqua, Fr. Emmanuel Lodongo Sebit si rammarica che le persone non vogliano seguire misure preventive come mantenere la distanza sociale, evitando di stringere la mano e di indossare maschere per il viso.
15 marzo 2021
PADRE ALEX SAKOR
Alex Sakor
19 febbraio alle ore 19:59
"Non permettere a nessuno di approfittarsi di te quando sei in una situazione disperata, perché lui / lei vorrebbe possederti alla fine. Abbiate pazienza, una situazione migliore sarà lì per voi al momento stabilito."
Sud Sudan - IEY, Parrocchia di Cristo Re - 21 febbraio 2021
Il Vescovo Erkolano Lodu Tombe alla Messa domenicale: ′′Dio ha usato l'acqua per punire l'umanità da tutti gli errori che ha commesso. E ha usato la stessa acqua per salvare l'umanità dopo il pentimento′′
Il Vescovo Erkolano Lodu Tombe alla Messa domenicale: ′′Dio ha usato l'acqua per punire l'umanità da tutti gli errori che ha commesso. E ha usato la stessa acqua per salvare l'umanità dopo il pentimento′′
Il vescovo cattolico sud-sudanese ha zittito il governatore dello stato del fiume Yei David Lokonga Moses per aver presumibilmente fuorviato il popolo del suo stato con false notizie secondo cui tutte le strade che portano a Yei sono sicure e aperte a civili e operatori umanitari. La scorsa settimana, il governatore Lokonga ha annunciato che la strada Yei-Kaya era aperta e che un gran numero di sfollati è tornato a Yei.
Il vescovo Erkolano Lodu Tombe di Yei ha detto che il governo dello stato non ha dato informazioni corrette al pubblico.
"Noi siamo sempre in mezzo al popolo e sappiamo cosa sta succedendo alla nostra gente locale nello stato di Yei River"
Il leader religioso ha inoltre affermato che la gente di Yei vive e si muove ancora nella paura. Aggiungendo che false notizie sull'apertura delle strade hanno portato a rapimenti e uccisioni di civili innocenti.
“Questa apertura di strade è una bugia. Mi dispiace dirlo, le strade non sono ancora aperte. Abbiamo incidenti di persone che sono uscite e non sono tornate. E aggiungo che abbiamo sentito che alcune di loro sono state uccise".
Il vescovo Tombe ha contestato il rapporto del governo statale secondo cui un gran numero di famiglie sfollate dal conflitto sono tornate alle loro case dopo la firma di pace.
“La questione di dire che la gente sta tornando in gran numero è una bugia. Voglio andare a vedere dove è arrivato questo gran numero di persone, dove vengono messe e voglio vedere la loro situazione.
Riferire che un gran numero di persone sta arrivando, è esagerare la realtà su ciò che sta accadendo. Non dovremmo dire bugie"
I RESIDENTI DELLA CONTEA DEL FIUME YEI
chiedono ai governi nazionali e statali di controllare il movimento dei custodi del bestiame mentre gli agricoltori si preparano per la stagione delle coltivazioni.
La terza relazione del segretario generale per i bambini e il conflitto armato nel Sudan meridionale pubblicato lunedì ha evidenziato un calo significativo delle violazioni contro i bambini dalla firma dell'Accordo Rivitalizzato nel settembre 2018.
Il rapporto del 2018 luglio e del 2020 giugno afferma che le Nazioni Unite hanno verificato più di 700 gravi violazioni contro i bambini in tutto il paese, con lo stato dell'Equatoria centrale che è la regione più colpita.
La maggior parte delle violazioni sono state attribuite a #SPLA-IO e alle forze di sicurezza governative, comprese le Forze di difesa popolare del Sudan meridionale.
La Rappresentante speciale del Segretario Generale per i Bambini e il conflitto armato, Virginia Gamba afferma di essere stata incoraggiata dal notevole calo delle gravi violazioni dei bambini nel Sudan meridionale.
Lei invita le parti a rispettare i loro obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.
Il rapporto del 2018 luglio e del 2020 giugno afferma che le Nazioni Unite hanno verificato più di 700 gravi violazioni contro i bambini in tutto il paese, con lo stato dell'Equatoria centrale che è la regione più colpita.
La maggior parte delle violazioni sono state attribuite a #SPLA-IO e alle forze di sicurezza governative, comprese le Forze di difesa popolare del Sudan meridionale.
La Rappresentante speciale del Segretario Generale per i Bambini e il conflitto armato, Virginia Gamba afferma di essere stata incoraggiata dal notevole calo delle gravi violazioni dei bambini nel Sudan meridionale.
Lei invita le parti a rispettare i loro obblighi previsti dal diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.
Cornelia I. Toelgyes
[email protected]
@cotoelgyes
Uno dei maggiori problemi ancora aperti resta l’unificazione degli eserciti, ribelli e regolari sono stati responsabili della morte di ben oltre 380 mila persone durante il conflitto interno iniziato nel 2013.
Quando finalmente le truppe sono state radunate per esercitazioni in comune, dopo poco hanno disertato per la mancanza di cibo e altri servizi essenziali. Shearer ha espresso grande preoccupazione, perchè potrebbero esplodere nuove violenze. “I ribelli sono stati illusi di essere inseriti nell’esercito regolare e ora sono ritornati nei loro villaggi senza nulla di fatto”, ha precisato il capo di UNMISS.
Shearer ha anche sottolineato che l’Assemblea nazionale non è ancora stata costituita, parecchie leggi non sono state adottate, la preparazione della nuova Costituzione è in una fase di stallo. Le elezioni previste per il 2022 potrebbero essere rinviate per i gravi ritardi accumulati. E ha inoltre rimproverato al governo di riunirsi troppo irregolarmente.
Il diplomatico si è anche soffermato sul problema delle finanze in quanto la Commissione per i diritti umani in Sud Sudan ha accusato politici di primo piano e alti funzionari di appropriazione indebita di fondi pubblici di decine di milioni di dollari dal 2016. Solo pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto della Commissione, il presidente Salva Kiir aveva silurato il ministro delle Finanze, il capo dell’autorità tributaria e il direttore della compagnia petrolifera statale.
E Yasmin Sooka, a capo della Commissione nel Sud Sudan, senza peli sulla lingua ha aggiunto: “E’ davvero incredibile che questi crimini siano stati commessi con l’aiuto di società e banche internazionali. Molte vite sono andate distrutte a causa della corruzione. E l’elite politica ha combattuto solo per ottenere il controllo delle risorse di petrolio e minerarie del Paese, defraudando la popolazione del proprio futuro”.
Intanto la situazione umanitaria è peggiorata dopo le recenti inondazioni, che ha messo in ginocchio oltre 600 mila persone. Il World Food Programme ha chiesto aiuto al resto del mondo per venire incontro alle popolazioni di questa nazione già così provata da anni di guerra civile.
Corre l’anno 2011, quando i primi di febbraio Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, annuncia i risultati del referendum: il 98,83 per cento delle schede sono a favore della secessione; i sud sudanesi scelgono l’indipendenza. La vittoria dei sì – giunta dopo oltre trent’anni di guerra – viene festeggiata nelle città e nei villaggi del sud. Ma, secondo gli accordi di pace, l’indipendenza viene proclamata il 9 luglio 2011.
Le speranze, la gioia della gente sono ben presto seppellite quando il presidente Salva Kiir Mayardit accusa il suo vice Riek Marchar di complottare contro di lui e aver tentato un colpo di Stato. Iniziano i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri risalgono al il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto raggiungono anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti non fanno che alimentare questo conflitto. L’ennesimo trattato di pace viene firmato nell’estate del 2018, ma solo a febbraio di quest’anno è sciolto il vecchio governo. Kiir, il presidente, resta al suo posto, mentre Machar viene nuovamente insediato come primo vice-presidente. Durante la cerimonia tenutasi nella capitale Juba, Kiir dichiara ufficialmente conclusa la guerra, aggiungendo: ” “Dobbiamo perdonarci a vicenda e estendo questo appello alle popolazioni di etnia dinka e nuer”, i due gruppi etnici rivali.
[email protected]
@cotoelgyes
Uno dei maggiori problemi ancora aperti resta l’unificazione degli eserciti, ribelli e regolari sono stati responsabili della morte di ben oltre 380 mila persone durante il conflitto interno iniziato nel 2013.
Quando finalmente le truppe sono state radunate per esercitazioni in comune, dopo poco hanno disertato per la mancanza di cibo e altri servizi essenziali. Shearer ha espresso grande preoccupazione, perchè potrebbero esplodere nuove violenze. “I ribelli sono stati illusi di essere inseriti nell’esercito regolare e ora sono ritornati nei loro villaggi senza nulla di fatto”, ha precisato il capo di UNMISS.
Shearer ha anche sottolineato che l’Assemblea nazionale non è ancora stata costituita, parecchie leggi non sono state adottate, la preparazione della nuova Costituzione è in una fase di stallo. Le elezioni previste per il 2022 potrebbero essere rinviate per i gravi ritardi accumulati. E ha inoltre rimproverato al governo di riunirsi troppo irregolarmente.
Il diplomatico si è anche soffermato sul problema delle finanze in quanto la Commissione per i diritti umani in Sud Sudan ha accusato politici di primo piano e alti funzionari di appropriazione indebita di fondi pubblici di decine di milioni di dollari dal 2016. Solo pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto della Commissione, il presidente Salva Kiir aveva silurato il ministro delle Finanze, il capo dell’autorità tributaria e il direttore della compagnia petrolifera statale.
E Yasmin Sooka, a capo della Commissione nel Sud Sudan, senza peli sulla lingua ha aggiunto: “E’ davvero incredibile che questi crimini siano stati commessi con l’aiuto di società e banche internazionali. Molte vite sono andate distrutte a causa della corruzione. E l’elite politica ha combattuto solo per ottenere il controllo delle risorse di petrolio e minerarie del Paese, defraudando la popolazione del proprio futuro”.
Intanto la situazione umanitaria è peggiorata dopo le recenti inondazioni, che ha messo in ginocchio oltre 600 mila persone. Il World Food Programme ha chiesto aiuto al resto del mondo per venire incontro alle popolazioni di questa nazione già così provata da anni di guerra civile.
Corre l’anno 2011, quando i primi di febbraio Omar al Bashir, allora presidente del Sudan, annuncia i risultati del referendum: il 98,83 per cento delle schede sono a favore della secessione; i sud sudanesi scelgono l’indipendenza. La vittoria dei sì – giunta dopo oltre trent’anni di guerra – viene festeggiata nelle città e nei villaggi del sud. Ma, secondo gli accordi di pace, l’indipendenza viene proclamata il 9 luglio 2011.
Le speranze, la gioia della gente sono ben presto seppellite quando il presidente Salva Kiir Mayardit accusa il suo vice Riek Marchar di complottare contro di lui e aver tentato un colpo di Stato. Iniziano i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri risalgono al il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto raggiungono anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti non fanno che alimentare questo conflitto. L’ennesimo trattato di pace viene firmato nell’estate del 2018, ma solo a febbraio di quest’anno è sciolto il vecchio governo. Kiir, il presidente, resta al suo posto, mentre Machar viene nuovamente insediato come primo vice-presidente. Durante la cerimonia tenutasi nella capitale Juba, Kiir dichiara ufficialmente conclusa la guerra, aggiungendo: ” “Dobbiamo perdonarci a vicenda e estendo questo appello alle popolazioni di etnia dinka e nuer”, i due gruppi etnici rivali.
Il quartier generale del NAS accoglie l'ex comandante del settore SPLA-IO e colleghi in EES 7 DICEMBRE 2020
Il comandante della Sezione Nove della Divisione Tafing dello SPLA-IO nello Stato dell'Est Equatoria (EES), il Brig. Gen. Kennedy Ongie Odong sabato 5 dicembre 2020 ha annunciato che lui, alcuni dei suoi colleghi e un gran numero di forze sotto il suo comando hanno ha deciso di aderire al National Salvation Front / Army (NAS).
In una dichiarazione ottenuta dal sito web ufficiale della NAS , il generale di brigata Odong ha affermato di aver compiuto questo passo rivoluzionario dopo aver confermato che il Fronte di salvezza nazionale è l'unica speranza per il popolo del Sud Sudan.
“Il National Salvation Front (NAS) sotto la guida del generale Thomas Cirillo Swaka rimane l'unica speranza per il popolo del Sud Sudan. Esorto tutti a continuare la lotta per raggiungere gli obiettivi come indicato dall'abile leadership di NAS fino a quando le cause profonde non saranno affrontate e l'unità e la dignità delle persone non saranno ripristinate ", ha detto.
... NAS è ora il portatore di fiaccola della lotta iniziata nel 1954, e sotto la bandiera del NAS quella torcia non si spegnerà maiIl Gen. Faiz Ismail Futur, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito / Fronte di Salvezza Nazionale, ha accolto il Brig. Gen. Kennedy Ongie Odong e le sue forze a nome della leadership NAS. Si è anche congratulato con loro per la loro decisione coraggiosa e il loro sostegno alla gente in questo momento della storia della lotta.
Il generale Faiz Ismail Futur ha sottolineato che NAS è ora il portatore di fiaccola della lotta iniziata nel 1954, e sotto la bandiera del NAS quella torcia non si spegnerà mai.
Il generale Faiz ha continuato dicendo alla fine della sua dichiarazione che quest'anno, grazie alla determinazione del nostro popolo e ai sacrifici delle forze del Fronte di salvezza nazionale, la NAS ha ottenuto grandi risultati e progressi. Ha concluso invitando i giovani a unirsi ai ranghi del Fronte di salvezza nazionale e lavorare per salvare il nostro paese.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-..--.-.-.-.-.-.-.-.-..--.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-..-.-.-.
In una dichiarazione ottenuta dal sito web ufficiale della NAS , il generale di brigata Odong ha affermato di aver compiuto questo passo rivoluzionario dopo aver confermato che il Fronte di salvezza nazionale è l'unica speranza per il popolo del Sud Sudan.
“Il National Salvation Front (NAS) sotto la guida del generale Thomas Cirillo Swaka rimane l'unica speranza per il popolo del Sud Sudan. Esorto tutti a continuare la lotta per raggiungere gli obiettivi come indicato dall'abile leadership di NAS fino a quando le cause profonde non saranno affrontate e l'unità e la dignità delle persone non saranno ripristinate ", ha detto.
... NAS è ora il portatore di fiaccola della lotta iniziata nel 1954, e sotto la bandiera del NAS quella torcia non si spegnerà maiIl Gen. Faiz Ismail Futur, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito / Fronte di Salvezza Nazionale, ha accolto il Brig. Gen. Kennedy Ongie Odong e le sue forze a nome della leadership NAS. Si è anche congratulato con loro per la loro decisione coraggiosa e il loro sostegno alla gente in questo momento della storia della lotta.
Il generale Faiz Ismail Futur ha sottolineato che NAS è ora il portatore di fiaccola della lotta iniziata nel 1954, e sotto la bandiera del NAS quella torcia non si spegnerà mai.
Il generale Faiz ha continuato dicendo alla fine della sua dichiarazione che quest'anno, grazie alla determinazione del nostro popolo e ai sacrifici delle forze del Fronte di salvezza nazionale, la NAS ha ottenuto grandi risultati e progressi. Ha concluso invitando i giovani a unirsi ai ranghi del Fronte di salvezza nazionale e lavorare per salvare il nostro paese.
.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-..--.-.-.-.-.-.-.-.-..--.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-..-.-.-.
NAS invita i combattenti per la libertà in tutto il paese a unirsi alla `` lotta per ripristinare la dignità perduta ''12 DICEMBRE 2020
NAS invita i combattenti per la libertà in tutto il paese a unirsi alla `` lotta per ripristinare la dignità perduta ''12 DICEMBRE 2020
Suba Samuel, portavoce del NAS, parlando con i media
La leadership del National Salvation Front (NAS) ha fatto appello a tutte le forze del paese che si trovano insoddisfatte del regime dittatoriale di Kiir e del defunto SPLM-IO di Machar a unirsi al popolare rivoluzionario NAS nella sua lotta `` per ripristinare la dignità perduta del popolo , giustizia, uguaglianza e libertà '.
La dichiarazione è stata resa in un comunicato stampa diffuso l'8 dicembre dal portavoce Sig. Suba Samuel in cui la dirigenza si congratulava con Brig. Il generale Odong e le forze incoraggianti in tutto il paese a emulare il suo esempio storico e rivoluzionario.
Suba Samuel, portavoce del NAS, parlando con i media
La leadership del National Salvation Front (NAS) ha fatto appello a tutte le forze del paese che si trovano insoddisfatte del regime dittatoriale di Kiir e del defunto SPLM-IO di Machar a unirsi al popolare rivoluzionario NAS nella sua lotta `` per ripristinare la dignità perduta del popolo , giustizia, uguaglianza e libertà '.
La dichiarazione è stata resa in un comunicato stampa diffuso l'8 dicembre dal portavoce Sig. Suba Samuel in cui la dirigenza si congratulava con Brig. Il generale Odong e le forze incoraggianti in tutto il paese a emulare il suo esempio storico e rivoluzionario.
Quale Pace Totale se:
SSOMA Sospende la partecipazione al workshop CTSAMVM
"... Sfortunatamente, il governo ha violato l'accordo più volte e l'ultima è stata il 10 novembre 2020 attaccando le nostre posizioni nel paese, proprio nel momento in cui noi SSOMA stiamo partecipando al seminario CTSAMVM a Roma , Italia La partecipazione di SSOMA a questo workshop è tecnica e informativa e soprattutto aveva lo scopo di creare fiducia tra SSOMA e il governo e creare un ambiente favorevole per ulteriori negoziati.
"Questa recente violazione è l'ultima goccia che RTGoNU ha dimostrato nella sua mancanza di volontà politica, nel reimpegno a CoHA e nel costruire la fiducia. Pertanto, con effetto immediato, SOMA sospenderà la sua partecipazione al seminario CTSAMVM a Roma fino a quando RTGoNU non rispetterà e si impegna a CoHA. "
"Questa recente violazione è l'ultima goccia che RTGoNU ha dimostrato nella sua mancanza di volontà politica, nel reimpegno a CoHA e nel costruire la fiducia. Pertanto, con effetto immediato, SOMA sospenderà la sua partecipazione al seminario CTSAMVM a Roma fino a quando RTGoNU non rispetterà e si impegna a CoHA. "
Il Presidente Kiir si impegna per la pace totale nel Sud-Sudan 24.11.2020
Il presidente Salva Kiir ha giurato di raggiungere la pace totale nel paese e nella regione.
Kiir ha detto che lavorare per la pace non è un compito facile né la pace stessa è qualcosa che si può ottenere durante la notte.
′′ Speriamo che questi modesti passi che abbiamo compiuto siano lentamente, ma sicuramente contribuiscano alla stabilità globale e il processo favorisca maggiore solidarietà tra le persone," ha detto Kiir.
Il capo di stato ha detto pace a chi la desidera significa prendere decisioni dolorose.
′′ Nel mio lavoro di pace sono sempre stato guidato dalle aspettative del mio popolo ", ha detto Kiir.
′′ Credo che come leader dovremmo tutti cercare di fare la cosa giusta per il bene della pace, perché la pace è un ingrediente chiave nella soluzione dei problemi che l'umanità deve affrontare ", ha aggiunto.
Ha notato che con la pace il globo può sconfiggere la pandemia COVID-19 e attenuare il cambiamento climatico.
Il presidente Kiir ha fatto le osservazioni di domenica durante l'apertura del terzo Rally of Hope for the Realization of a Heavy Unified World.
La Federazione Universale della Pace ha premiato al presidente Kiir una medaglia di pace il mese scorso per il suo ruolo nella mediazione dei negoziati di pace sudanesi.
SUD SUDAN: COMUNITA' DI SANT'EGIDIO, IL DIALOGO PER LA PACE INCLUDA TUTTE LE FORZE COINVOLTE NEL CONFLITTO
Dopo una attenta analisi della difficile situazione in cui versa il Paese – si legge in una nota della Comunità di Sant’Egidio – anche alla luce della recente proroga del periodo di pre-transizione e del forte incoraggiamento di Papa Francesco perché si arrivi presto a una soluzione pacifica e a un governo di unità nazionale, i delegati presenti a Roma hanno deciso di impegnarsi per sostenere con rinnovata energia il processo di pace. “Solo attraverso il dialogo politico e il negoziato – ha dichiarato il generale Thomas Cirillo Swaka – il processo di pace può avanzare e affrontare le cause alla radice del conflitto”. “È necessario includere tutte le forze coinvolte nella crisi, per dare fiducia ai tanti profughi interni e a quanti si sono rifugiati nei Paesi limitrofi”, ha affermato Mauro Garofalo, responsabile relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio. I movimenti hanno anche chiesto a Sant’Egidio “di accompagnarli in tale processo verso un governo di unità nazionale e di continuare a coinvolgere il governo in carica, i firmatari dell’accordo di Addis Abeba e le varie organizzazioni a livello regionale e internazionale”.
Sud Sudan: passi avanti presso Sant’Egidio, ruolo militare per l’Italia
16 Novembre 2020
Un passo importante per la pace in Sud Sudan è stato compiuto a Roma con la mediazione della comunità di Sant’Egidio. Nella capitale si sono incontrate le delegazioni militari dell’opposizione armata (Ssoma) non firmataria dell’accordo di pace del settembre 2018 e del governo di unità nazionale della Repubblica del Sud Sudan
«Dopo ampie discussioni, il Ssoma ha deciso di aderire al meccanismo militare internazionale dal 1° gennaio 2021. Ciò permetterà al Ssoma di avere i propri rappresentanti nella direzione e nelle varie strutture a livello regionale e locale del Ceasefire and Transitional Security Arrangements, Monitoring and Verification Mechanism (Ctsamvm)», ha spiegato il segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, Paolo Impagliazzo, al termine del secondo round di negoziati per la pace, si sono incontrate dal 9 al 13 novembre. Il traguardo è uno sviluppo significativo per garantire la fine delle violenze, la protezione della popolazione civile, il libero accesso per le organizzazioni umanitarie e il proseguimento del dialogo politico fra le parti in Sud Sudan.
Secondo il comunicato di Sant’Egidio, a partire dal 1° gennaio saranno selezionati, addestrati e dispiegati gli ufficiali militari del Ssoma nelle varie strutture del meccanismo di monitoraggio dove già siedono i rappresentanti del governo, secondo un cronogramma stabilito dalla organizzazione regionale del Corno d’Africa (Igad). Da quel momento i militari delle due parti lavoreranno insieme.
In questo, l’Italia avrà un ruolo: l’esercito italiano aiuterà nelle procedure di addestramento e consulenza. Nel corso dei colloqui è intervenuto l’ammiraglio Gianfranco Annunziata, a nome del ministero della Difesa italiano.
A settembre del 2018 il partito del presidente Salva Kiir Mayardit (Splm) e i partiti di opposizione fra i quali Splm/Io di Riek Machar, la South Sudan Opposition Alliance (Ssoa), i Former Deteinees (Fds) e Other Political Parties (Opp) hanno firmato l’Accordo per la cessazione del conflitto in Sud Sudan (R-Arcss). Altri partiti come il National Salvation Front (Nas) di Thomas Cirillo ed esponenti di diversi gruppi non hanno voluto firmare l’accordo non condividendo le fondamenta politiche dello stesso.
Sud Sudan: raggiunto accordo su tregua con mediazione di Sant’Egidio
Il governo del Sud Sudan e i movimenti di opposizione hanno concordato una road map per raggiungere una pace duratura e varare una riforma della costituzione. A novembre le parti si incontreranno di nuovo nella sede di Sant’Egidio
Marco Guerra – Città del Vaticano
Una dichiarazione di principi che fissa le questioni che saranno al centro dei colloqui per il futuro Stato democratico del Sud Sudan e un accordo per coinvolgere tutti i gruppi ribelli nel monitoraggio del rispetto del cessate il fuoco. Questi sono i due principali risultati raggiunti in quattro giorni di colloqui di pace a Roma tra la delegazione governativa del Sud Sudan e i gruppi ribelli che avevano rifiutato l'accordo del 2018 e che ora sono riuniti sotto la sigla del Sud Sudan Opposition Movement Alliance (SSOMA). Le due fazioni erano rappresentate rispettivamente dall’esponente dell’esecutivo, Benjamin Barnaba, e dal generale Thomas Cirillo Swaka.
Il ruolo di Sant'Egidio
I negoziati erano stati interrotti nel febbraio scorso a causa della pandemia e sono ripresi solo grazie al grande lavoro di mediazione della comunità di Sant'Egidio, riuscita a mettere intorno allo stesso tavolo anche numerosi attori della comunità internazionale impegnati nella stabilizzazione dell'Africa come ONU, Unione africana, Stati Uniti, Unione europea e la diplomazia della Santa Sede. Purtroppo, in questi otto mesi di stallo, si sono verificate numerose violazioni del cessate il fuoco e combattimenti che hanno gravato sulle condizioni umanitarie della popolazione.
Fine dei combattimenti entro il 2020
Si è dunque riattivato un processo di pace e di riconciliazione nazionale che vede l'impegno di tutte le parti. L'esponente del governo di Juba, Benjamin Barnaba, ha dichiarato che “le istituzioni centrali e il Ssoma hanno lo stesso interesse a trovare soluzioni per lenire la sofferenza del popolo attraverso un dialogo che sarà portato avanti fino ad un accordo di pace definitivo”. Barnaba ha quindi auspicato di “far tacere le armi entro il 2020 come richiesto dall’Unione africana”. E ha infine ricordato le parole di Papa Francesco, che chiese ai membri del governo e dell’opposizione di “concentrarsi su ciò che li unisce e non su ciò che li divide”
Un esercito comune
Sulla stessa linea, il generale Thomas Cirillo Swaka, il quale ha manifestato la disponibilità dei movimenti che non hanno firmato l’accordo del 2018 a proseguire il dialogo fino al raggiungimento di una pace duratura. Il capo militare dei ribelli si è poi soffermato sulla dichiarazione di principi che guiderà i futuri negoziati, in particolare sul punto che prevede la formazione di un esercito nazionale di professionisti, di cui facciano tutte le comunità che compongono il Paese.
La road map dei negoziati
Le trattative riprenderanno a Roma il 9 novembre con i delegati dell'esercito e delle milizie che si combattono sul terreno. Il 30 novembre, sempre a Roma, sarà la volta dei negoziati politici sulla nuova costituzione, il federalismo, il riconoscimento delle minoranze etniche, la formazione di un esercito nazionale unitario di professionisti e sulle riforme necessarie per il rilancio dell'economia.
Impagliazzo: abbiamo riacceso la speranza
“Queste giornate romane hanno riacceso la speranza, si sono gettate le basi per il dialogo politico che riprenderà alla fine di novembre, l’altra cosa fondamentale raggiunta a Roma è che le parti si sono impegnate per il cessate il fuoco, di questo riparleranno i capi militari molto presto”, così a Vatican News Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio che ha coordinato la mediazione tra il governo di coalizione e il Ssoma.
Superare le divisioni etniche
Impagliazzo sulle richieste avanzate dei gruppi ribelli aggiunge: “Il federalismo e la possibilità di partecipare alla stesura della carta costituzionale, sono tante le istanze. E su tutte c’è un accordo di massima di proseguire la discussione con grande apertura da entrambe le parti per aggiungere un accordo politico più inclusivo possibile”. Impagliazzo spiega infine che nessuno intende riproporre divisioni etniche ma piuttosto escludere le questioni tribali dalle trattative sulla governance del Paese. “Questo dialogo politico serve proprio a mettere da parte le divisioni etniche”.
4 ottobre 2020, 18:10
Sud Sudan: tutto pronto per un nuovo round di colloqui di pace
La prossima settimana si terranno una serie di incontri che coinvolgono i gruppi rimasti fuori dall’Accordo del 2018 tra presidente Salva Kiir e il leader dell’opposizione Riek Machar. Far cessare le violenze e stabilizzare il Paese è l’obiettivo della trattiva coordinata dalla Comunità di Sant’Egidio.
Facilitare il dialogo politico tra le forze che hanno firmato nel 2018
l’Accordo Rivitalizzato sulla Risoluzione del Conflitto in Sud Sudan” e quelle che ne sono rimaste volutamente fuori, per fare in modo che l’intesa sia sempre più inclusiva e il Paese più stabilizzato. Con questo obiettivo, dalla fine della prossima settimana ripartiranno i colloqui di pace per il Sud Sudan coordinati dalla Comunità di Sant’Egidio, che intende far riprendere il dialogo portato avanti fino a gennaio e febbraio scorsi - quando si sono tenuti due incontri importantissimi tra le parti, per gettare le basi per una collaborazione futura - poi interrotto a causa della pandemia del coronavirus.
2 milioni e mezzo di rifugiati
La Comunità di Sant’Egidio punta ad un coinvolgimento più ampio possibile di tutti i gruppi ribelli, dal momento che questi hanno forze militari in campo che possono destabilizzare il Paese, come dimostrano gli scontri e i combattimenti che si sono verificati nel periodo successivo all’interruzione delle trattative. La popolazione civile è la più esposta ad ogni tipo di violenza, compresi stupri e saccheggi, soprattutto se si considera la vulnerabilità dell’enorme numero di sfollati interni. Secondo le stime delle Nazioni Unite, sono almeno 2 milioni e mezzo i rifugiati interni sud-sudanesi e 2 milioni quelli che hanno trovato riparo all’estero
Il ruolo delle Chiese
I negoziati di pace per il Sud Sudan sono stati al centro dei colloqui di ieri fra la Comunità di Sant'Egidio e il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, venuto in visita a Roma. Lo scorso 21 settembre è arrivato anche l’appello delle Consiglio delle Chiese del Sud Sudan (Sscc), che in una dichiarazione congiunta hanno esortato ad una rapida implementazione dell’Accordo del 2018 siglato ad Addis Abeba dal governo del presidente Salva Kiir e dal partito di opposizione guidato dal rivale Riek Machar. “L’attuazione di questo accordo significa mettere a tacere le armi, porre fine alla violenza sessuale e di genere, vivere in comunità pacifiche senza la paura di essere uccisi o derubati, proteggere bambini e donne e consentire la ripresa dell’economia e lo sviluppo delle infrastrutture”, hanno scritto i leader delle Chiese sud-sudanesi.
03.10.2020
Papa Francesco annuncia 13 nuovi cardinali: 6 sono italiani
DOMENICA 25 OTTOBRE 2020
Città del Vaticano - Prima il Papa - all'Angelus di oggi - ha confessato ai fedeli di seguire con preoccupazione le notizie che giungono dalla Nigeria sugli scontri violenti avvenuti di recenti tra le forze del'ordine. Poi ha annunciato a sorpresa un nuovo concistoro per il prossimo 28 novembre, alla vigilia della prima domenica di avvento. I futuri cardinali in tutto sono 13, di cui 9 elettori, cioè con meno di 80 anni e il diritto di entrare in conclave per votare il prossimo pontefice, quando sarà. Tre di questi sono italiani, tra cui Marcello Semeraro, nuovo prefetto della Congregazione dei Santi. Paolo Lojudice, ex ausiliare a Roma e ora arcivescovo a Siena e Mauro Gambetti, francescano, a capo del convento di Assisi. La lista è stata letta dal Papa al termine della preghiera domenicale. Il primo della lista è stato Mario Grech, maltese, attuale segretario del Sinodo dei Vescovi. Poi Antoine Kambanda, arcivescovo di Kigali in Ruanda, Wilthon Gregory di Washington, Josè Advincula nelle Filippine, Celestino Obraco del Cile, Cornelius Sim, viario apostolico di Brunei, a Kuala Lumpur e a seguito i tre italiani, Semeraro, Lojudice e Gambetti.
Completano la lista quattro over 80: Felipe Esquivel, messicano di San Cristobal de Las Casas, Silvano Tomasi ex nunzio con forti legami con l'Ordine di Malta (tanto che si vociferava che prendesse lui il posto di Becciu a guidare la riforma), Raniero Cantalamessa, cappuccino e predicatore della Casa Pontificia ed Enrico Feroci, parroco al Divino Amore e per anni gestore della Caritas di Roma.
L'auspicio espresso dal Papa al termine della lettura della lista dei nuovi cardinali è stata che possano aiutarlo per il bene della Chiesa.
Ultimi aggiornamento ore 10:00 lunedi 26 ottobre 2020
Intervista con il Monsignor Mario Grech
_______________________________________
Si delineano le questioni discusse a Roma 14 ottobre 2020
Sebbene non sia stato raggiunto un accordo definitivo su entrambe le questioni, le due parti hanno siglato un nuovo impegno al CoHA che è soggetto a rinnovo dopo tre mesi dall'adesione di SSOMA a CTSAMVM.
"NAS e i suoi alleati firmeranno il Raccomandazione a CoHA solo insieme a una Dichiarazione di principi (DoP) concordata".
Le due parti hanno anche siglato alcuni dei punti concordati nel DoP: i punti che non sono stati concordati saranno discussi nel prossimo round di colloqui che riprenderanno a Roma il 30 novembre 2020.
La dichiarazione si è conclusa rassicurando i membri della NAS e il popolo del Sud Sudan che "il National Salvation Front (NAS) è impegnato ad affrontare le cause profonde del conflitto in Sud Sudan per raggiungere una pace giusta e sostenibile".
14 ottobre 2020
PROCESSO DI PACE
Sud Sudan: Barnaba (delegato governo), “crediamo che lo sviluppo possa nascere dal dialogo”
14 ottobre 2020 @ 15:30
“Crediamo che lo sviluppo possa nascere dal dialogo”, dichiara Benjamin Barnaba, delegato del governo della Repubblica del Sud Sudan, durante la conferenza oggi a Roma per illustrare l’accordo per il cessate il fuoco nel Paese, raggiunto grazie anche il contributo della Comunità di Sant’Egidio. “Il dialogo – aggiunge – dovrebbe e deve essere l’unico modo per risolvere le differenze in qualsiasi Paese”. Il rappresentante del governo ha ricordato le parole del Santo Padre che ha spinto le parti a concentrarsi su ciò che li unisce e non su quello che li divide. Per il prossimo incontro, fissato il 30 novembre, “sono stati decisi i temi sui quali le due delegazioni si confronteranno. Dal federalismo alla carta costituzionale alla riforma del settore della sicurezza”, fa sapere Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio. Il generale Thomas Cirillo Swaka, leader della South Sudan opposition alliance, più volte ha usato il termine “milestone”, pietra miliare, per definire i passi compiuti e quelli previsti a novembre. “Durante il negoziato – afferma – la discussione è stata molto fruttuosa e obiettiva. Crediamo che sia possibile creare un dialogo. L’impegno del governo e delle opposizioni dà speranza”. Fra i temi al centro della dichiarazione dei principi vi è il libero accesso delle agenzie internazionali nel Paese, l’immediato disarmo dei civili, la ricostruzione dei villaggi. “Tante voci sulle quali le due parti si sono accordate e li impegnano verso un traguardo positivo”, commenta Impagliazzo.
Peter Adwok Nyaba
Radio Bakhita - 6 ottobre 2020
The Catholic Bishop of #Yei Erkolano Lodu Tombe appreciated Caritas Belgium for its continuous livelihood support to the livelihood of communities of Yei.
He explained that Caritas Belgium has been very close to Caritas Yei supporting through livelihood and relief food that used to be distributed to citizens, Radio Easter reported.
The Bishop noted that Caritas Belgium wanted to support farming activities for the communities, but that the people are confined less than three miles from the town.
He explained that Caritas Belgium has been very close to Caritas Yei supporting through livelihood and relief food that used to be distributed to citizens, Radio Easter reported.
The Bishop noted that Caritas Belgium wanted to support farming activities for the communities, but that the people are confined less than three miles from the town.
IL SITO DELLA PROTEZIONE DEI CIVILI DELLE NAZIONI UNITE A BOR DIVENTA UN CAMPO CONVENZIONALE PER SFOLLATI
Circa sette anni dopo lo scoppio della guerra civile nel 2013, il sito della Protezione dei civili a Bor, nel Sud Sudan, è stato riconfermato come campo convenzionale per sfollati interni.
Quando scoppiarono aspri combattimenti a Bor nel 2013, Diu Billiu Majok e la sua famiglia corsero a salvarsi la vita nella base delle Nazioni Unite. La missione di mantenimento della pace ha aperto le sue porte per fornire rifugio a Diu e migliaia di altri costretti a fuggire dalle loro case durante questo caotico scoppio della guerra civile in Sud Sudan.
Da allora, Diu e altri quattro parenti sono rimasti in quello che alla fine è diventato un sito di Protezione dei civili (PoC), mentre il resto dei suoi figli si trova nella sua città natale, Fangak, o in Uganda.
Sette anni dopo, a seguito di un cessate il fuoco e di un accordo di pace, la violenza politica si è notevolmente ridotta nel nuovo paese del mondo, con centinaia di migliaia di persone che tornano alle loro case.
Anche le famiglie sfollate nei campi PoC si spostano liberamente nelle città per frequentare la scuola, fare acquisti, lavorare e pernottare con gli amici. “ Vado spesso in città. Ho colleghi con cui lavoro e altri amici perché, a differenza della situazione nel 2013, ora posso muovermi liberamente a Bor senza problemi ”, afferma Majok.
Considerando la situazione generale, la Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) e partner umanitari hanno valutato i cinque siti PoC e hanno scoperto che non vi sono state minacce esterne ai campi dal 2017.
Dopo un anno di attenta pianificazione, la missione ha ritirato i militari e la polizia dal sito di Bor e lo ha rinominato come un campo più convenzionale per gli sfollati interni (IDP) sotto il controllo sovrano del governo del Sud Sudan, come molti altri campi simili. attraverso il paese. Questa mossa è stata presa in consultazione con le autorità nazionali e statali.
Il governatore di Jonglei ha firmato un memorandum d'intesa impegnandosi a fornire protezione e garantire che nessuno dei 1900 residenti rimasti sia costretto a lasciare il sito.
Una delegazione governativa ha anche visitato il sito questa settimana per rassicurare i residenti sul cambiamento di status.
"Le persone hanno combattuto qui molte volte, quindi vogliono sapere quale sarà la differenza tra questa pace e gli sforzi precedenti per portare la pace", afferma l'ambasciatore Bior Ajang Duot, rappresentante del governo. “Questa era la loro preoccupazione. Sono sospettosi. Pensavano che forse non sarebbe stato vero: la pace. Ma l'hanno accettato e non ci sono problemi ".
Isodore Boutche, capo facente funzione dell'ufficio sul campo dell'UNMISS a Bor, afferma di ritenere che la visita della delegazione dalla capitale Juba dimostri il pieno sostegno del governo al processo di transizione.
"" Il governo ha rassicurato i residenti che sono pronti a prendere il posto di UNMISS quando si tratta di sicurezza e protezione delle persone nel sito POC ", ha detto il signor Boutche. "Saranno sul sedile anteriore, ma UNMISS sarà sul sedile posteriore per continuare a sostenerli".
Il sito di Bor è il primo di cinque di questi luoghi sotto la protezione delle Nazioni Unite a compiere questa transizione. Il ritiro delle forze di pace dell'UNMISS dai compiti statici nel campo significa che possono essere ridistribuite in punti caldi dove le vite dei civili sono in pericolo immediato.
“L'unico cambiamento operativo è la rimozione delle protezioni statiche da questo posto. Continueremo a impegnarci con le famiglie sfollate. Abbiamo aumentato il numero di pattuglie mobili che vengono qui, quindi abbiamo ancora una presenza ", afferma il comandante del settore est dell'UNMISS, colonnello Errington Kojo Commey.
La missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite manterrà la capacità di rispondere a qualsiasi potenziale problema di sicurezza nei campi con le sue forze di reazione rapida e sta lavorando a stretto contatto con la polizia locale per rafforzare la propria capacità.
“Continueremo a sostenere la polizia locale per proteggere e servire i civili; questo è il nostro mandato qui nel campo IDP così come in tutti gli altri campi nel Sud Sudan. Ancora più importante, siamo qui per tutti i civili ogni volta e ovunque abbiano bisogno di noi per aiutare a mantenere la pace ", afferma Dorothy Nyambe, coordinatrice dell'UNMISS per il sito.
Mentre alcuni residenti sono preoccupati per il cambiamento, nessuno sarà costretto ad andarsene ei servizi umanitari continueranno.
Per Dui Majok, è l'inizio di un processo che spera gli consentirà alla fine di riunire la sua famiglia dispersa.
“Per quanto mi riguarda, sono pronto ad andare quando il nuovo spiegamento della polizia sarà completato. Esco subito. Mi piacerebbe - uscire e stare di nuovo con la mia famiglia ".
Quando scoppiarono aspri combattimenti a Bor nel 2013, Diu Billiu Majok e la sua famiglia corsero a salvarsi la vita nella base delle Nazioni Unite. La missione di mantenimento della pace ha aperto le sue porte per fornire rifugio a Diu e migliaia di altri costretti a fuggire dalle loro case durante questo caotico scoppio della guerra civile in Sud Sudan.
Da allora, Diu e altri quattro parenti sono rimasti in quello che alla fine è diventato un sito di Protezione dei civili (PoC), mentre il resto dei suoi figli si trova nella sua città natale, Fangak, o in Uganda.
Sette anni dopo, a seguito di un cessate il fuoco e di un accordo di pace, la violenza politica si è notevolmente ridotta nel nuovo paese del mondo, con centinaia di migliaia di persone che tornano alle loro case.
Anche le famiglie sfollate nei campi PoC si spostano liberamente nelle città per frequentare la scuola, fare acquisti, lavorare e pernottare con gli amici. “ Vado spesso in città. Ho colleghi con cui lavoro e altri amici perché, a differenza della situazione nel 2013, ora posso muovermi liberamente a Bor senza problemi ”, afferma Majok.
Considerando la situazione generale, la Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) e partner umanitari hanno valutato i cinque siti PoC e hanno scoperto che non vi sono state minacce esterne ai campi dal 2017.
Dopo un anno di attenta pianificazione, la missione ha ritirato i militari e la polizia dal sito di Bor e lo ha rinominato come un campo più convenzionale per gli sfollati interni (IDP) sotto il controllo sovrano del governo del Sud Sudan, come molti altri campi simili. attraverso il paese. Questa mossa è stata presa in consultazione con le autorità nazionali e statali.
Il governatore di Jonglei ha firmato un memorandum d'intesa impegnandosi a fornire protezione e garantire che nessuno dei 1900 residenti rimasti sia costretto a lasciare il sito.
Una delegazione governativa ha anche visitato il sito questa settimana per rassicurare i residenti sul cambiamento di status.
"Le persone hanno combattuto qui molte volte, quindi vogliono sapere quale sarà la differenza tra questa pace e gli sforzi precedenti per portare la pace", afferma l'ambasciatore Bior Ajang Duot, rappresentante del governo. “Questa era la loro preoccupazione. Sono sospettosi. Pensavano che forse non sarebbe stato vero: la pace. Ma l'hanno accettato e non ci sono problemi ".
Isodore Boutche, capo facente funzione dell'ufficio sul campo dell'UNMISS a Bor, afferma di ritenere che la visita della delegazione dalla capitale Juba dimostri il pieno sostegno del governo al processo di transizione.
"" Il governo ha rassicurato i residenti che sono pronti a prendere il posto di UNMISS quando si tratta di sicurezza e protezione delle persone nel sito POC ", ha detto il signor Boutche. "Saranno sul sedile anteriore, ma UNMISS sarà sul sedile posteriore per continuare a sostenerli".
Il sito di Bor è il primo di cinque di questi luoghi sotto la protezione delle Nazioni Unite a compiere questa transizione. Il ritiro delle forze di pace dell'UNMISS dai compiti statici nel campo significa che possono essere ridistribuite in punti caldi dove le vite dei civili sono in pericolo immediato.
“L'unico cambiamento operativo è la rimozione delle protezioni statiche da questo posto. Continueremo a impegnarci con le famiglie sfollate. Abbiamo aumentato il numero di pattuglie mobili che vengono qui, quindi abbiamo ancora una presenza ", afferma il comandante del settore est dell'UNMISS, colonnello Errington Kojo Commey.
La missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite manterrà la capacità di rispondere a qualsiasi potenziale problema di sicurezza nei campi con le sue forze di reazione rapida e sta lavorando a stretto contatto con la polizia locale per rafforzare la propria capacità.
“Continueremo a sostenere la polizia locale per proteggere e servire i civili; questo è il nostro mandato qui nel campo IDP così come in tutti gli altri campi nel Sud Sudan. Ancora più importante, siamo qui per tutti i civili ogni volta e ovunque abbiano bisogno di noi per aiutare a mantenere la pace ", afferma Dorothy Nyambe, coordinatrice dell'UNMISS per il sito.
Mentre alcuni residenti sono preoccupati per il cambiamento, nessuno sarà costretto ad andarsene ei servizi umanitari continueranno.
Per Dui Majok, è l'inizio di un processo che spera gli consentirà alla fine di riunire la sua famiglia dispersa.
“Per quanto mi riguarda, sono pronto ad andare quando il nuovo spiegamento della polizia sarà completato. Esco subito. Mi piacerebbe - uscire e stare di nuovo con la mia famiglia ".
Il Sud Sudan critica gli attuali Leader per aver tradito i martiri
Dr. John Garang Comandante in capo dell'Esercito popolare di liberazione del Sudan vicino alla città di Kapoeta. PHOTO // AP / Shutterstock
"Chiedo a tutti voi di sostenerci i vostri leader ... mentre lavoriamo instancabilmente per superare le sfide legate all'attuazione della pace, vorremmo che ci rallegraste", ha osservato il presidente Salva Kiir nel suo discorso del Martyrs Day di giovedì 30 luglio, il 2020.
Ma alcuni sud sudanesi sono usciti per condannare gli attuali leader per ciò che descrivono come "fuorviante" il paese e lo spinge verso "abisso politico".
I membri del pubblico affermano di non poter fare il tifo per gli attuali leader per aver portato il paese sulla scena dello sviluppo stagnante e dei conflitti ricorrenti.
Invece li criticano per il saccheggio delle risorse e l'accumulo dei loro conti con fondi pubblici.
In particolare hanno espresso delusione per quello che chiamano il fallimento degli attuali leader di "portare le città al popolo" come previsto dal defunto dottor John Garang.
Portare le città alle persone attraverso lo sviluppo di acqua, agricoltura, elettricità e altri servizi sociali è stato al centro della visione del Dr. Garang durante la firma dell'accordo globale di pace.
Ha immaginato che le esigenze delle persone dovrebbero essere soddisfatte nella loro località rurale e creando un sistema di governance responsabile.
Questi includono l'offerta di occupazione e sviluppo a livello statale e di contea.
Nelle sue osservazioni al mondo a Nairobi, in Kenya, il 9 gennaio 2005, il Dr. John Garang ha promesso che l'SPLM avrebbe implementato una strategia e programmi di sviluppo sociale, politico ed economico che includessero l'uso del denaro del petrolio per rafforzare l'agricoltura come motore della crescita.
La sua aspirazione si è concentrata sullo sviluppo del settore sanitario, educativo e idrico attraverso la costruzione di mulini a vento, la costruzione di micro-dighe per la generazione di energia idroelettrica su piccola scala per le città rurali e l'uso di fonti di energia solare, eolica e biogas.
Inoltre, il documento SPLM sulla trasformazione da War to Peace ha anche creato un progetto per la costruzione di infrastrutture fisiche - strade, trasporti ferroviari e fluviali e telecomunicazioni, coinvolgendo lo stato e le comunità locali nella costruzione delle infrastrutture.
L'obiettivo secondo il dottor Garang era di ripristinare la dignità della gente.
“Non c'è alcun significato di rivoluzione se non rende felici le nostre persone. A meno che le masse della nostra gente - come risultato della rivoluzione diventino prosperose, avanzano e ottengono cibo, riparo, acqua potabile pulita, istruzione e ottengono servizi sanitari, quindi la nostra gente preferirà il governo del NIF [l'allora al governo del Fronte islamico nazionale in Sudan] che fornisce sale al governo dell'SPLM che non fornisce sale ”, ha sottolineato il dott. John Garang in uno dei suoi discorsi.
Ma dalla sua morte, gli esperti dicono che praticamente tutto nel Sud Sudan, compresi l'economia e le entrate petrolifere, appare truccato a favore dei pochi in cima.
Gli sviluppi sono stati impantanati anche da nuovi conflitti dal 2013. Questi conflitti sono stati attribuiti a conflitti di potere tra le élite.
Gli attivisti affermano che, anche durante i colloqui di pace, i leader non negoziano per conto dei loro elettori, ma piuttosto concludono accordi transazionali per preservare il loro potere.
Alcuni membri del pubblico concordano sul fatto che i leader hanno usato gli ultimi 15 anni di autogoverno nel Sud Sudan per arricchirsi.
Credono che l'aspirazione del dottor Garang sia morta con lui, nonostante abbia lasciato un ricco archivio e opuscoli che possono essere usati come riferimento dagli attuali leader.
Coloro che hanno parlato del programma Dawn di Eye Radio hanno criticato i leader per aver dato la priorità agli interessi politici egoistici rispetto alla sicurezza pubblica, all'agricoltura, all'istruzione, alla salute, alle infrastrutture, tra gli altri.
“Il defunto dottor John Garang voleva portare le città dalle persone, aprendo strade, scuole e ospedali. Sfortunatamente, questo non sta accadendo. I nostri leader ci stanno deludendo. Dobbiamo ricordare perché abbiamo combattuto per la nostra indipendenza. "
“È un peccato che le vedove e i loro figli stiano ancora soffrendo, anche se i loro cari hanno perso la vita per questo paese. I politici che ora godono delle risorse del Sud Sudan, fingendo di essere gli eroi e le eroine di questo paese, hanno dimenticato la lotta per la libertà di questo paese. Dobbiamo ricordare che siamo arrivati in questo paese a causa di quelli che sono morti dal 1955 ad oggi. Dovremmo avere l'umanità nei nostri cuori. "
"Strade asfaltate, buone scuole, buoni ospedali, infrastrutture e sviluppo sono ciò di cui dovremmo goderci ora, ecco perché siamo andati nella boscaglia."
"La nostra sicurezza dovrebbe essere mantenuta in modo che non ci siano imboscate stradali e omicidi casuali, queste sono le aspettative dei normali cittadini di questo paese. Se i nostri martiri escono oggi, saranno molto arrabbiati con noi, perché questo non è il paese che vogliono ”.
Martyrs Day è stato proclamato nel 2011 dal governo per ricordare e onorare coloro che hanno dedicato e sacrificato la propria vita per i 21 anni di guerra civile in Sudan.
Non ci sono eventi pubblici in programma nella capitale Juba per celebrare il giorno. Tali celebrazioni sono state spesso cancellate a causa di ciò che il governo ha descritto come "mancanza di fondi".
Le commemorazioni di quest'anno arrivano in un momento in cui il Sud Sudan sta ancora combattendo con la pandemia globale di coronavirus.
"Chiedo a tutti voi di sostenerci i vostri leader ... mentre lavoriamo instancabilmente per superare le sfide legate all'attuazione della pace, vorremmo che ci rallegraste", ha osservato il presidente Salva Kiir nel suo discorso del Martyrs Day di giovedì 30 luglio, il 2020.
Ma alcuni sud sudanesi sono usciti per condannare gli attuali leader per ciò che descrivono come "fuorviante" il paese e lo spinge verso "abisso politico".
I membri del pubblico affermano di non poter fare il tifo per gli attuali leader per aver portato il paese sulla scena dello sviluppo stagnante e dei conflitti ricorrenti.
Invece li criticano per il saccheggio delle risorse e l'accumulo dei loro conti con fondi pubblici.
In particolare hanno espresso delusione per quello che chiamano il fallimento degli attuali leader di "portare le città al popolo" come previsto dal defunto dottor John Garang.
Portare le città alle persone attraverso lo sviluppo di acqua, agricoltura, elettricità e altri servizi sociali è stato al centro della visione del Dr. Garang durante la firma dell'accordo globale di pace.
Ha immaginato che le esigenze delle persone dovrebbero essere soddisfatte nella loro località rurale e creando un sistema di governance responsabile.
Questi includono l'offerta di occupazione e sviluppo a livello statale e di contea.
Nelle sue osservazioni al mondo a Nairobi, in Kenya, il 9 gennaio 2005, il Dr. John Garang ha promesso che l'SPLM avrebbe implementato una strategia e programmi di sviluppo sociale, politico ed economico che includessero l'uso del denaro del petrolio per rafforzare l'agricoltura come motore della crescita.
La sua aspirazione si è concentrata sullo sviluppo del settore sanitario, educativo e idrico attraverso la costruzione di mulini a vento, la costruzione di micro-dighe per la generazione di energia idroelettrica su piccola scala per le città rurali e l'uso di fonti di energia solare, eolica e biogas.
Inoltre, il documento SPLM sulla trasformazione da War to Peace ha anche creato un progetto per la costruzione di infrastrutture fisiche - strade, trasporti ferroviari e fluviali e telecomunicazioni, coinvolgendo lo stato e le comunità locali nella costruzione delle infrastrutture.
L'obiettivo secondo il dottor Garang era di ripristinare la dignità della gente.
“Non c'è alcun significato di rivoluzione se non rende felici le nostre persone. A meno che le masse della nostra gente - come risultato della rivoluzione diventino prosperose, avanzano e ottengono cibo, riparo, acqua potabile pulita, istruzione e ottengono servizi sanitari, quindi la nostra gente preferirà il governo del NIF [l'allora al governo del Fronte islamico nazionale in Sudan] che fornisce sale al governo dell'SPLM che non fornisce sale ”, ha sottolineato il dott. John Garang in uno dei suoi discorsi.
Ma dalla sua morte, gli esperti dicono che praticamente tutto nel Sud Sudan, compresi l'economia e le entrate petrolifere, appare truccato a favore dei pochi in cima.
Gli sviluppi sono stati impantanati anche da nuovi conflitti dal 2013. Questi conflitti sono stati attribuiti a conflitti di potere tra le élite.
Gli attivisti affermano che, anche durante i colloqui di pace, i leader non negoziano per conto dei loro elettori, ma piuttosto concludono accordi transazionali per preservare il loro potere.
Alcuni membri del pubblico concordano sul fatto che i leader hanno usato gli ultimi 15 anni di autogoverno nel Sud Sudan per arricchirsi.
Credono che l'aspirazione del dottor Garang sia morta con lui, nonostante abbia lasciato un ricco archivio e opuscoli che possono essere usati come riferimento dagli attuali leader.
Coloro che hanno parlato del programma Dawn di Eye Radio hanno criticato i leader per aver dato la priorità agli interessi politici egoistici rispetto alla sicurezza pubblica, all'agricoltura, all'istruzione, alla salute, alle infrastrutture, tra gli altri.
“Il defunto dottor John Garang voleva portare le città dalle persone, aprendo strade, scuole e ospedali. Sfortunatamente, questo non sta accadendo. I nostri leader ci stanno deludendo. Dobbiamo ricordare perché abbiamo combattuto per la nostra indipendenza. "
“È un peccato che le vedove e i loro figli stiano ancora soffrendo, anche se i loro cari hanno perso la vita per questo paese. I politici che ora godono delle risorse del Sud Sudan, fingendo di essere gli eroi e le eroine di questo paese, hanno dimenticato la lotta per la libertà di questo paese. Dobbiamo ricordare che siamo arrivati in questo paese a causa di quelli che sono morti dal 1955 ad oggi. Dovremmo avere l'umanità nei nostri cuori. "
"Strade asfaltate, buone scuole, buoni ospedali, infrastrutture e sviluppo sono ciò di cui dovremmo goderci ora, ecco perché siamo andati nella boscaglia."
"La nostra sicurezza dovrebbe essere mantenuta in modo che non ci siano imboscate stradali e omicidi casuali, queste sono le aspettative dei normali cittadini di questo paese. Se i nostri martiri escono oggi, saranno molto arrabbiati con noi, perché questo non è il paese che vogliono ”.
Martyrs Day è stato proclamato nel 2011 dal governo per ricordare e onorare coloro che hanno dedicato e sacrificato la propria vita per i 21 anni di guerra civile in Sudan.
Non ci sono eventi pubblici in programma nella capitale Juba per celebrare il giorno. Tali celebrazioni sono state spesso cancellate a causa di ciò che il governo ha descritto come "mancanza di fondi".
Le commemorazioni di quest'anno arrivano in un momento in cui il Sud Sudan sta ancora combattendo con la pandemia globale di coronavirus.
SSPDF / SPLM-IO riprendono la campagna congiunta contro le posizioni NAS in EES, CES e WES
"Dopo la loro umiliante sconfitta nell'aprile di quest'anno, la SSPDF di Kiir e la SPLM-IO di Machar sembrano essersi riuniti e hanno ripreso la loro campagna militare congiunta contro le posizioni NAS negli Stati dell'Equatoria orientale, occidentale e centrale.
Queste operazioni mirano anche alle popolazioni civili per spostarle...
"...Gli abbiamo detto quando li abbiamo sconfitti che...l ' esercito non sconfiggerà mai il desiderio umano di libertà e giustizia′′
After their humiliating defeat in April this year, Kiir's SSPDF and Machar's SPLM-IO appear to have regrouped and have resumed their joint military campaign against NAS positions in Eastern, Western and Central Equatoria States.
These operations also target civilian populations to displace them...
We told them when we defeated them that..."Military might will never defeat human desire for freedom and justice"
Queste operazioni mirano anche alle popolazioni civili per spostarle...
"...Gli abbiamo detto quando li abbiamo sconfitti che...l ' esercito non sconfiggerà mai il desiderio umano di libertà e giustizia′′
After their humiliating defeat in April this year, Kiir's SSPDF and Machar's SPLM-IO appear to have regrouped and have resumed their joint military campaign against NAS positions in Eastern, Western and Central Equatoria States.
These operations also target civilian populations to displace them...
We told them when we defeated them that..."Military might will never defeat human desire for freedom and justice"
ll mandato del presidente sud-sudanese Salva Kiir e delle autorità transitorie in carica dal 2015 sono state prorogate di tre anni. Il provvedimento è stato motivato con la necessità di evitare un potenziale vuoto istituzionale poiché l’attuale mandato sarebbe dovuto scadere alla fine del mese prossimo.
La legge entra in vigore meno di 15 giorni dopo l’imposizione del cessate il fuoco tra il governo e il leader ribelle Riek Machar e un accordo di condivisione del potere che permetterà a Machar di tornare alla sua posizione di vicepresidente. Progressi che ora sono minacciati dall’estensione del mandato di Salva Kiir? Così la pensano i ribelli. Un portavoce di Riek Machar ha descritto il provvedimento «illegale e incostituzionale».
Anche in Parlamento, alcuni lo vedono come un segno di cattiva volontà da parte delle autorità di Juba, che non sarebbero ancora pronte a promuovere la pace. Resta da vedere se i negoziati avviati possano continuare e giungere a un accordo per porre fine alla guerra civile che imperversa da quasi cinque anni.
by: AFRICA rivista bimestrale -
La scorsa settimana ha segnato il nono anniversario dell'indipendenza del Sud Sudan. Idealmente, è un momento per il ricordo dei sacrifici passati e una celebrazione dei risultati attuali. Sfortunatamente, l'anniversario probabilmente ha solo ricordato alla gente del Sud Sudan il triste stato delle cose nel loro paese. L' accordo traballante di pace , la violenza intercomunale, la corruzione dilagante e l'impunità per i crimini contro l'umanità minacciano di lacerare il paese .
Nel mezzo della pandemia di coronavirus , della competizione regionale e dell'assenza di una leadership globale, la tragedia del Sud Sudan si è approfondita. I garanti dell'accordo di pace del 2018, il Sudan e l'Uganda, sembrano aver abbandonato i loro ruoli e la comunità internazionale sembra equiparare l'attuazione lenta e selettiva dell'accordo con i progressi.
Il Sud Sudan è in gravi difficoltà. Il paese esiste come stato sovrano con sede alle Nazioni Unite, ma è tutto ciò che il suo popolo può celebrare. In realtà non esiste come idea con un significato ad essa associato. I "liberatori" del paese non hanno presentato al popolo un'idea del Sud Sudan: un insieme di principi che definiscono chi sono e per cosa dovrebbero aspirare. La fragile unità che è stata mantenuta durante la guerra di liberazione è rapidamente evaporata dopo la dichiarazione di indipendenza del 2011.
In assenza di un'alleanza per definire il Sud Sudan e tenere unito il paese, l'indipendenza ha scatenato forze che ululano sotto la divisione etnica, nate da due decenni di brutale guerra civile.
Invece di offrire un percorso alternativo e di speranza per una pace inclusiva con prosperità, le élite politiche del Sud Sudan hanno sfruttato divisioni etniche, povertà e ignoranza per catturare lo stato e accumulare ricchezza a spese dello sviluppo della nazione. Le élite politiche corrotte hanno gestito male le risorse pubbliche e hanno parcheggiato i soldi tanto necessari nei loro conti personali all'estero. Quindi, la nozione di bene pubblico è stata trasformata in un'opportunità per perseguire l'auto-arricchimento.
Le comunità etniche sono fratturate da ostilità e risentimenti. Di conseguenza, il tessuto sociale e politico della società si è indebolito, innescando la violenza. Lo sfollamento in corso di civili e la violenza violenta contro donne e ragazze, in particolare quelle nelle regioni dell'Alto Nilo, Bahr el Ghazal ed Equatoria, sono manifestazioni di un paese in guerra con se stesso. Questa triste realtà testimonia i comportamenti e le pratiche assolutamente disumani che espongono il problema con lo stato e con la società nel suo insieme.
Il Sud Sudan ha bisogno di una totale rottura con lo stato attuale della sua politica. A dire il vero, il paese può salvarsi dalla distruzione e dal caos solo quando i suoi diversi gruppi etnici concordano di pensare a una nuova alleanza - un'alleanza su come uscire dal circolo vizioso della violenza politica e costruire una società che genererà il buon governo , sviluppo sostenibile e giustizia assicurata e responsabilità. Ma questo processo non può essere concepito senza l'impegno di creare una nuova politica con istituzioni inclusive che aderiscono ai più alti ideali di libertà umana, giustizia, uguaglianza e cittadinanza. Deve essere basato sul presupposto che le vite e i mezzi di sussistenza di tutti i sud sudanesi, qualunque sia la loro origine etnica o culturale, siano ugualmente apprezzati e apprezzati.
Questa nuova alleanza non può essere basata sull'accordo di pace esistente; richiede un nuovo processo politico inclusivo che non si limiti alle élite, ma includa altri segmenti della società: donne, giovani, rifugiati, sfollati interni ed entità religiose. L'intenzione è quella di creare un ampio consenso sulle domande senza risposta sulle relazioni tra stato e società dall'indipendenza, incluso come governare il Sud Sudan, come infondere fiducia e fiducia nel governo e come ripristinare la legge e ordinare e riparare le comunità fratturate.
Il futuro del Sud Sudan si basa esclusivamente sul fatto che il suo popolo decida di essere una nazione veramente degna di indipendenza, governata da una serie di principi che rispettano e valorizzano la loro diversità.
Amir Idris è professore e presidente del Dipartimento di Studi afroamericani presso la Fordham University di New York.
Nel mezzo della pandemia di coronavirus , della competizione regionale e dell'assenza di una leadership globale, la tragedia del Sud Sudan si è approfondita. I garanti dell'accordo di pace del 2018, il Sudan e l'Uganda, sembrano aver abbandonato i loro ruoli e la comunità internazionale sembra equiparare l'attuazione lenta e selettiva dell'accordo con i progressi.
Il Sud Sudan è in gravi difficoltà. Il paese esiste come stato sovrano con sede alle Nazioni Unite, ma è tutto ciò che il suo popolo può celebrare. In realtà non esiste come idea con un significato ad essa associato. I "liberatori" del paese non hanno presentato al popolo un'idea del Sud Sudan: un insieme di principi che definiscono chi sono e per cosa dovrebbero aspirare. La fragile unità che è stata mantenuta durante la guerra di liberazione è rapidamente evaporata dopo la dichiarazione di indipendenza del 2011.
In assenza di un'alleanza per definire il Sud Sudan e tenere unito il paese, l'indipendenza ha scatenato forze che ululano sotto la divisione etnica, nate da due decenni di brutale guerra civile.
Invece di offrire un percorso alternativo e di speranza per una pace inclusiva con prosperità, le élite politiche del Sud Sudan hanno sfruttato divisioni etniche, povertà e ignoranza per catturare lo stato e accumulare ricchezza a spese dello sviluppo della nazione. Le élite politiche corrotte hanno gestito male le risorse pubbliche e hanno parcheggiato i soldi tanto necessari nei loro conti personali all'estero. Quindi, la nozione di bene pubblico è stata trasformata in un'opportunità per perseguire l'auto-arricchimento.
Le comunità etniche sono fratturate da ostilità e risentimenti. Di conseguenza, il tessuto sociale e politico della società si è indebolito, innescando la violenza. Lo sfollamento in corso di civili e la violenza violenta contro donne e ragazze, in particolare quelle nelle regioni dell'Alto Nilo, Bahr el Ghazal ed Equatoria, sono manifestazioni di un paese in guerra con se stesso. Questa triste realtà testimonia i comportamenti e le pratiche assolutamente disumani che espongono il problema con lo stato e con la società nel suo insieme.
Il Sud Sudan ha bisogno di una totale rottura con lo stato attuale della sua politica. A dire il vero, il paese può salvarsi dalla distruzione e dal caos solo quando i suoi diversi gruppi etnici concordano di pensare a una nuova alleanza - un'alleanza su come uscire dal circolo vizioso della violenza politica e costruire una società che genererà il buon governo , sviluppo sostenibile e giustizia assicurata e responsabilità. Ma questo processo non può essere concepito senza l'impegno di creare una nuova politica con istituzioni inclusive che aderiscono ai più alti ideali di libertà umana, giustizia, uguaglianza e cittadinanza. Deve essere basato sul presupposto che le vite e i mezzi di sussistenza di tutti i sud sudanesi, qualunque sia la loro origine etnica o culturale, siano ugualmente apprezzati e apprezzati.
Questa nuova alleanza non può essere basata sull'accordo di pace esistente; richiede un nuovo processo politico inclusivo che non si limiti alle élite, ma includa altri segmenti della società: donne, giovani, rifugiati, sfollati interni ed entità religiose. L'intenzione è quella di creare un ampio consenso sulle domande senza risposta sulle relazioni tra stato e società dall'indipendenza, incluso come governare il Sud Sudan, come infondere fiducia e fiducia nel governo e come ripristinare la legge e ordinare e riparare le comunità fratturate.
Il futuro del Sud Sudan si basa esclusivamente sul fatto che il suo popolo decida di essere una nazione veramente degna di indipendenza, governata da una serie di principi che rispettano e valorizzano la loro diversità.
Amir Idris è professore e presidente del Dipartimento di Studi afroamericani presso la Fordham University di New York.
Il generale Swaka spiega la fonte del conflitto nel Sudan meridionale, appelli a Museveni
Sud Sudan è in stato di illegalità dallo scorso luglio dopo il fallimento dell'accordo di pace che il Presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar hanno firmato ad Addis Abeba, in Etiopia, nell'agosto 2015.
Forze fedeli a Kiir, un Dinka, si è scontrato con quelli fedeli a Machar, un Nuer, portando alla morte di oltre 300 persone, tra cui l'Uganda.
L'11 febbraio 2017, Kiir ha subito un duro colpo quando il tenente generale Thomas Cirillo Swaka, vice capo di stato maggiore generale per la logistica, si è dimesso dall'esercito di liberazione popolare del Sudan (SPLA) per presunti abusi da parte delle forze di sicurezza contro i civili.
Swaka, una tribù barese di Juba che da allora è fuggita dal Sud Sudan, è l'ufficiale di più alto rango a dimettersi da quando Machar è fuggito dal Sud Sudan. Ha anche accusato Kiir di promuovere il favoritismo etnico in campo militare e di deviare dai principi per i quali hanno lanciato la lotta per liberare il Sud Sudan sotto la tutela del defunto Dr. John Garang.
Chris Kiwawulo ha incontrato il gen. Swaka nel suo nascondiglio e lo ha intervistato su una serie di questioni sul conflitto nella nazione più recente del mondo e sotto sono gli estratti;
Perché hai lasciato il governo SPLA guidato da Kiir?
Grazie mille per l'opportunità. Ho lasciato il regime di Kiir perché ha tribalizzato il paese e diviso il nostro popolo. La cricca tribale che ora governa il nostro paese ha saccheggiato tutte le nostre risorse e risorse di persone vulnerabili alla povertà, alle malattie e così via. Non esiste un buon sistema di governance e nessuno sviluppo nel paese. Hanno lasciato le persone per uccidersi; i villaggi stanno combattendo l'uno contro l'altro. Quindi, in effetti, il governo di Kiir ha distrutto il nostro paese e il nostro popolo.
Dici che Kiir ha trasformato SPLA in un esercito tribale e partigiano, perché non gli hai semplicemente sconsigliato di farlo in modo che potesse cambiare invece di dimettersi?
Abbiamo assistito Kiir come uno dei compagni e dei nostri leader durante l'inizio di SPLA. Lo abbiamo avvisato dopo la firma dell'accordo di pace, ma ci ha spazzato via. Kiir iniziò a costituire gruppi tribali nell'esercito. Stavamo parlando con lui per la sicurezza della nostra gente. Ma penso che Kiir e il suo gruppo tribale abbiano in programma di controllare il Paese. Durante tutto questo tempo, abbiamo parlato con lui e il consiglio di difesa era solito sedersi e discutere della questione della formazione di un esercito nazionale. Ma Kiir e il suo gruppo non erano interessati a condividere il comando dell'esercito nazionale. La mia decisione di lasciare il governo e formare il National Salvation Front (NSF) fu il risultato della mancata ascolto di Kiir da parte di Kiir. Ha rifiutato tutti i nostri consigli per formare un esercito nazionale. La gloria di SPLA non è più lì. Ora è una milizia più grande.
Hai lanciato un nuovo gruppo ribelle, NSF, non pensi che questo causerà più caos nel Sud Sudan?
In effetti, c'è già il caos nel Sud Sudan. Tutto il mondo lo sa. Ci sono molte uccisioni da parte dell'esercito tribale, molta distruzione delle proprietà delle persone, molti saccheggi, molti stupri sulle donne. Il nostro popolo è lasciato a combattere tribù contro tribù, clan contro clan. Non c'è Sud Sudan mentre parliamo. Kiir ha causato tutto il caos. L'NSF, che abbiamo formato, sta combattendo per salvare la gente del Sud Sudan e ripristinare l'unità della nostra gente. NSF è stata formata da uomini e donne molto preoccupati che sono molto nazionalisti e si sono impegnati a salvare la nostra gente.
Kiir e Machar hanno firmato un accordo di pace nell'agosto 2015 in quello che è stato visto come un trampolino di lancio verso il recupero della pace nel Sud Sudan, ma non ha mai funzionato; cosa pensi sia andato storto?
L'accordo di pace non ha funzionato perché Kiir e il suo regime hanno rifiutato di attuare l'accordo di pace. Ricordo circa quattro giorni dopo la firma dell'accordo, Kiir ha chiesto il comando militare al suo palazzo per un incontro e ci ha detto in dettaglio che non avrebbe accettato l'accordo di pace se glielo avessimo imposto, e quindi , non lo avrebbe implementato. Disse ai comandanti di ottenere veicoli e di portare più forze a Juba. Da quel giorno, ho saputo che non ci sarebbe stato un accordo di pace nel paese e la gente avrebbe combattuto di nuovo. Ciò ha provocato i combattimenti di luglio 2016, in cui Kiir voleva uccidere Machar. Ma Machar è molto innocente. È venuto in Sud Sudan per attuare l'accordo di pace. Kiir e il suo gruppo sono quelli che si sono rifiutati di attuarlo e ciò ha provocato l'uccisione di molte persone nel nostro paese.
Allora, ti sei unito a Machar?
Non mi sono unito a Machar. Pensiamo che il Sud Sudan abbia ora bisogno di un nuovo veicolo per liberare la sua gente. Pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di una nuova barca per attraversarli. Rispettiamo Machar e il suo gruppo in opposizione per il loro dissenso contro Kiir, ma pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di un nuovo veicolo.
Molti ti guardano come un generale a cui piace il Sud Sudan e la comunità internazionale, sei disposto a prendere la leadership in caso ti venga richiesto?
Naturalmente dipende dalla nostra gente. Non stiamo lottando per la leadership per vostra informazione. Non stiamo lottando per posizioni politiche. Stiamo combattendo per liberare il nostro popolo e creare quell'atmosfera e quell'ambiente democratici che possano consentire al nostro popolo di scegliere i suoi leader e il tipo di governo che desiderano. Non vogliamo imporci su di loro.
Dici che Kiir dovrebbe essere rovesciato per aver distrutto il Sud Sudan, ha deviato le dottrine per le quali SPLA ha combattuto sotto la guida del defunto dottor John Garang, e quali sono?
Sì, Kiir ha abbandonato gli ideali e i principi della nostra lotta come SPLA guidato dal defunto Garang. Hanno abbandonato tutto. In molti dei nostri documenti, SPLA parlava di libertà per il nostro popolo, protezione della nostra libertà, sviluppo del nostro paese e unità del nostro popolo. Kiir non ha sostenuto questi ideali della nostra lotta. Perfino i suoi stessi tribemati stanno combattendo l'uno contro l'altro; villaggio contro villaggio, clan contro clan.
Kiir accusa le forze antigovernative alleate di Machar di violare il patto di Addis, è vero?
Naturalmente non faccio parte del gruppo di Machar, quindi non so se in parte violino l'accordo di pace. Ma soprattutto, è il governo che sta attaccando il popolo e Machar. È la milizia di Kiir che sta attaccando le posizioni di Machar.
Vedi la mano di Khartum o altre forze esterne in questo conflitto?
No, non c'è mano di nessuno (esterno) che porti conflitti nel Sud Sudan. Sono Kiir e il suo gruppo che stanno distruggendo il nostro paese e uccidendo persone.
Quali sono i principali problemi che ritieni responsabili dell'instabilità in Sud Sudan?
Naturalmente il numero uno è il cattivo governo nel paese, il tribalismo, la corruzione, il nepotismo e il saccheggio delle risorse. Allo stesso tempo, il governo sta rovinando le nostre relazioni con i nostri vicini e la comunità internazionale. Non c'è sviluppo nel paese, la nostra gente è lasciata nella povertà, nessun servizio sanitario, nessun servizio nel paese.
Parli del governo di Kiir che rovina le relazioni con i vicini; come quale?
Perfino l'Uganda. È la milizia di Kiir che ruba dai negozi dei nostri fratelli e sorelle dell'Uganda con i quali vivevamo insieme in pace nel Sud Sudan. Se ricordi l'incidente di luglio dell'anno scorso, tutti i negozi di uomini d'affari ugandesi furono saccheggiati dall'esercito di Kiir. Molti di loro furono uccisi e persino le donne dell'Uganda furono violentate dalle forze di Kiir. Quindi, Kiir ha danneggiato la nostra immagine e il nostro rapporto con la nostra sorella, l'Uganda. Naturalmente, se ricordi bene, il presidente Mzee (Yoweri) Museveni è questa icona che ha supportato il nostro popolo. Rimase al nostro fianco fino a quando non diventammo un paese indipendente. Quindi, Kiir non può usare il suo esercito per abusare dei nostri fratelli e sorelle dall'Uganda. Abbiamo questa storia, che vogliamo approfondire, ma Kiir la sta distruggendo. NSF intende ripristinare il rapporto tra il nostro popolo (Sudan del Sud) e l'Uganda.
Come pensi che la questione del Sud Sudan possa essere risolta per far prevalere la pace?
Penso che abbiamo bisogno di tutti i nostri gruppi politici e della società civile nel paese per sederci in un ambiente molto chiaro fuori dal Sud Sudan in un luogo neutro, pacifico e sicuro in modo che ogni gruppo parli la propria mente in modo che siamo d'accordo sui principi di come può portare pace e giustizia nel nostro paese. I colloqui avviati dal governo sono uno scherzo. Immagina un lupo che dice alle capre di venire a casa per un incontro! Come può una iena permettere alle capre di andare a casa per una riunione e venire fuori in sicurezza? Abbiamo bisogno di un vero dialogo di pace per il nostro popolo in un luogo neutrale, in modo da concordare i principi su come riportare la pace nel nostro paese.
Pensi che giocatori come Kampala abbiano aiutato il Sud Sudan in qualche modo?
Il popolo dell'Uganda, come nostri fratelli e sorelle, pensiamo che abbiano un ruolo. Sai che è tuo fratello che può venire in tuo aiuto. Speriamo che il popolo dell'Uganda e il suo governo possano venire in nostro aiuto e difendere il popolo del Sud Sudan, che ora soffre e muore, non il governo (di Kiir) che sta davvero distruggendo il nostro popolo.
Quindi, come pensi che l'Uganda dovrebbe aiutare?
Naturalmente ci sono molti modi, ma questo è lasciato alla direzione ugandese per decidere. Ma l'Uganda insieme alla comunità internazionale dovrebbe stare al fianco delle persone che soffrono, in particolare dei rifugiati.
Intervista di Chris Kiwarulo - New Viosion NV, giovedi 16 luglio 2020
Sud Sudan è in stato di illegalità dallo scorso luglio dopo il fallimento dell'accordo di pace che il Presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar hanno firmato ad Addis Abeba, in Etiopia, nell'agosto 2015.
Forze fedeli a Kiir, un Dinka, si è scontrato con quelli fedeli a Machar, un Nuer, portando alla morte di oltre 300 persone, tra cui l'Uganda.
L'11 febbraio 2017, Kiir ha subito un duro colpo quando il tenente generale Thomas Cirillo Swaka, vice capo di stato maggiore generale per la logistica, si è dimesso dall'esercito di liberazione popolare del Sudan (SPLA) per presunti abusi da parte delle forze di sicurezza contro i civili.
Swaka, una tribù barese di Juba che da allora è fuggita dal Sud Sudan, è l'ufficiale di più alto rango a dimettersi da quando Machar è fuggito dal Sud Sudan. Ha anche accusato Kiir di promuovere il favoritismo etnico in campo militare e di deviare dai principi per i quali hanno lanciato la lotta per liberare il Sud Sudan sotto la tutela del defunto Dr. John Garang.
Chris Kiwawulo ha incontrato il gen. Swaka nel suo nascondiglio e lo ha intervistato su una serie di questioni sul conflitto nella nazione più recente del mondo e sotto sono gli estratti;
Perché hai lasciato il governo SPLA guidato da Kiir?
Grazie mille per l'opportunità. Ho lasciato il regime di Kiir perché ha tribalizzato il paese e diviso il nostro popolo. La cricca tribale che ora governa il nostro paese ha saccheggiato tutte le nostre risorse e risorse di persone vulnerabili alla povertà, alle malattie e così via. Non esiste un buon sistema di governance e nessuno sviluppo nel paese. Hanno lasciato le persone per uccidersi; i villaggi stanno combattendo l'uno contro l'altro. Quindi, in effetti, il governo di Kiir ha distrutto il nostro paese e il nostro popolo.
Dici che Kiir ha trasformato SPLA in un esercito tribale e partigiano, perché non gli hai semplicemente sconsigliato di farlo in modo che potesse cambiare invece di dimettersi?
Abbiamo assistito Kiir come uno dei compagni e dei nostri leader durante l'inizio di SPLA. Lo abbiamo avvisato dopo la firma dell'accordo di pace, ma ci ha spazzato via. Kiir iniziò a costituire gruppi tribali nell'esercito. Stavamo parlando con lui per la sicurezza della nostra gente. Ma penso che Kiir e il suo gruppo tribale abbiano in programma di controllare il Paese. Durante tutto questo tempo, abbiamo parlato con lui e il consiglio di difesa era solito sedersi e discutere della questione della formazione di un esercito nazionale. Ma Kiir e il suo gruppo non erano interessati a condividere il comando dell'esercito nazionale. La mia decisione di lasciare il governo e formare il National Salvation Front (NSF) fu il risultato della mancata ascolto di Kiir da parte di Kiir. Ha rifiutato tutti i nostri consigli per formare un esercito nazionale. La gloria di SPLA non è più lì. Ora è una milizia più grande.
Hai lanciato un nuovo gruppo ribelle, NSF, non pensi che questo causerà più caos nel Sud Sudan?
In effetti, c'è già il caos nel Sud Sudan. Tutto il mondo lo sa. Ci sono molte uccisioni da parte dell'esercito tribale, molta distruzione delle proprietà delle persone, molti saccheggi, molti stupri sulle donne. Il nostro popolo è lasciato a combattere tribù contro tribù, clan contro clan. Non c'è Sud Sudan mentre parliamo. Kiir ha causato tutto il caos. L'NSF, che abbiamo formato, sta combattendo per salvare la gente del Sud Sudan e ripristinare l'unità della nostra gente. NSF è stata formata da uomini e donne molto preoccupati che sono molto nazionalisti e si sono impegnati a salvare la nostra gente.
Kiir e Machar hanno firmato un accordo di pace nell'agosto 2015 in quello che è stato visto come un trampolino di lancio verso il recupero della pace nel Sud Sudan, ma non ha mai funzionato; cosa pensi sia andato storto?
L'accordo di pace non ha funzionato perché Kiir e il suo regime hanno rifiutato di attuare l'accordo di pace. Ricordo circa quattro giorni dopo la firma dell'accordo, Kiir ha chiesto il comando militare al suo palazzo per un incontro e ci ha detto in dettaglio che non avrebbe accettato l'accordo di pace se glielo avessimo imposto, e quindi , non lo avrebbe implementato. Disse ai comandanti di ottenere veicoli e di portare più forze a Juba. Da quel giorno, ho saputo che non ci sarebbe stato un accordo di pace nel paese e la gente avrebbe combattuto di nuovo. Ciò ha provocato i combattimenti di luglio 2016, in cui Kiir voleva uccidere Machar. Ma Machar è molto innocente. È venuto in Sud Sudan per attuare l'accordo di pace. Kiir e il suo gruppo sono quelli che si sono rifiutati di attuarlo e ciò ha provocato l'uccisione di molte persone nel nostro paese.
Allora, ti sei unito a Machar?
Non mi sono unito a Machar. Pensiamo che il Sud Sudan abbia ora bisogno di un nuovo veicolo per liberare la sua gente. Pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di una nuova barca per attraversarli. Rispettiamo Machar e il suo gruppo in opposizione per il loro dissenso contro Kiir, ma pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di un nuovo veicolo.
Molti ti guardano come un generale a cui piace il Sud Sudan e la comunità internazionale, sei disposto a prendere la leadership in caso ti venga richiesto?
Naturalmente dipende dalla nostra gente. Non stiamo lottando per la leadership per vostra informazione. Non stiamo lottando per posizioni politiche. Stiamo combattendo per liberare il nostro popolo e creare quell'atmosfera e quell'ambiente democratici che possano consentire al nostro popolo di scegliere i suoi leader e il tipo di governo che desiderano. Non vogliamo imporci su di loro.
Dici che Kiir dovrebbe essere rovesciato per aver distrutto il Sud Sudan, ha deviato le dottrine per le quali SPLA ha combattuto sotto la guida del defunto dottor John Garang, e quali sono?
Sì, Kiir ha abbandonato gli ideali e i principi della nostra lotta come SPLA guidato dal defunto Garang. Hanno abbandonato tutto. In molti dei nostri documenti, SPLA parlava di libertà per il nostro popolo, protezione della nostra libertà, sviluppo del nostro paese e unità del nostro popolo. Kiir non ha sostenuto questi ideali della nostra lotta. Perfino i suoi stessi tribemati stanno combattendo l'uno contro l'altro; villaggio contro villaggio, clan contro clan.
Kiir accusa le forze antigovernative alleate di Machar di violare il patto di Addis, è vero?
Naturalmente non faccio parte del gruppo di Machar, quindi non so se in parte violino l'accordo di pace. Ma soprattutto, è il governo che sta attaccando il popolo e Machar. È la milizia di Kiir che sta attaccando le posizioni di Machar.
Vedi la mano di Khartum o altre forze esterne in questo conflitto?
No, non c'è mano di nessuno (esterno) che porti conflitti nel Sud Sudan. Sono Kiir e il suo gruppo che stanno distruggendo il nostro paese e uccidendo persone.
Quali sono i principali problemi che ritieni responsabili dell'instabilità in Sud Sudan?
Naturalmente il numero uno è il cattivo governo nel paese, il tribalismo, la corruzione, il nepotismo e il saccheggio delle risorse. Allo stesso tempo, il governo sta rovinando le nostre relazioni con i nostri vicini e la comunità internazionale. Non c'è sviluppo nel paese, la nostra gente è lasciata nella povertà, nessun servizio sanitario, nessun servizio nel paese.
Parli del governo di Kiir che rovina le relazioni con i vicini; come quale?
Perfino l'Uganda. È la milizia di Kiir che ruba dai negozi dei nostri fratelli e sorelle dell'Uganda con i quali vivevamo insieme in pace nel Sud Sudan. Se ricordi l'incidente di luglio dell'anno scorso, tutti i negozi di uomini d'affari ugandesi furono saccheggiati dall'esercito di Kiir. Molti di loro furono uccisi e persino le donne dell'Uganda furono violentate dalle forze di Kiir. Quindi, Kiir ha danneggiato la nostra immagine e il nostro rapporto con la nostra sorella, l'Uganda. Naturalmente, se ricordi bene, il presidente Mzee (Yoweri) Museveni è questa icona che ha supportato il nostro popolo. Rimase al nostro fianco fino a quando non diventammo un paese indipendente. Quindi, Kiir non può usare il suo esercito per abusare dei nostri fratelli e sorelle dall'Uganda. Abbiamo questa storia, che vogliamo approfondire, ma Kiir la sta distruggendo. NSF intende ripristinare il rapporto tra il nostro popolo (Sudan del Sud) e l'Uganda.
Come pensi che la questione del Sud Sudan possa essere risolta per far prevalere la pace?
Penso che abbiamo bisogno di tutti i nostri gruppi politici e della società civile nel paese per sederci in un ambiente molto chiaro fuori dal Sud Sudan in un luogo neutro, pacifico e sicuro in modo che ogni gruppo parli la propria mente in modo che siamo d'accordo sui principi di come può portare pace e giustizia nel nostro paese. I colloqui avviati dal governo sono uno scherzo. Immagina un lupo che dice alle capre di venire a casa per un incontro! Come può una iena permettere alle capre di andare a casa per una riunione e venire fuori in sicurezza? Abbiamo bisogno di un vero dialogo di pace per il nostro popolo in un luogo neutrale, in modo da concordare i principi su come riportare la pace nel nostro paese.
Pensi che giocatori come Kampala abbiano aiutato il Sud Sudan in qualche modo?
Il popolo dell'Uganda, come nostri fratelli e sorelle, pensiamo che abbiano un ruolo. Sai che è tuo fratello che può venire in tuo aiuto. Speriamo che il popolo dell'Uganda e il suo governo possano venire in nostro aiuto e difendere il popolo del Sud Sudan, che ora soffre e muore, non il governo (di Kiir) che sta davvero distruggendo il nostro popolo.
Quindi, come pensi che l'Uganda dovrebbe aiutare?
Naturalmente ci sono molti modi, ma questo è lasciato alla direzione ugandese per decidere. Ma l'Uganda insieme alla comunità internazionale dovrebbe stare al fianco delle persone che soffrono, in particolare dei rifugiati.
Intervista di Chris Kiwarulo - New Viosion NV, giovedi 16 luglio 2020
HERMAN ANDROGA
AGGIORNAMENTO AL 18 MAGGIO 2020
In Sud Sudan l’informazione coronavirus viaggia sulle biciclette blu
“L’informazione è indispensabile e necessaria. Lo era prima della pandemia, figuriamoci ora. E noi la facciamo: portiamo notizie, comunichiamo con la popolazione residente in luoghi remoti con le nostre biciclette blu, dotate di megafono e batteria”, assicura una dei fondatori di Blue messenger bicycles, organizzazione che opera in Sud Sudan.
In questo periodo di pandemia i volontari coprono la zona della capitale Juba, dando raccomandazioni ai residenti come evitare il contagio da COVID-19, spiegano come lavarsi le mani (una parola se spesso manca l’acqua, figuriamoci il sapone n.d.r.) e quant’altro.
“Blu è un colore molto importante per noi sud sudanesi: il cielo è blu, così il Nilo e l’acqua fonte di vita, ecco perchè abbiamo scelto bici blu che hanno dato il nome alla nostra piccola flotta”, aggiunge uno dei volontari del gruppo.
L’associazione ha optato per la bicicletta come mezzo di trasporto perchè li porta ovunque. Durante il periodo delle piogge possono anche caricarla sulle spalle se un tratto di strada è interrotto. Attualmente le bici dotate di megafono e batteria sono solamente cinque. Recentemente il ministero della Salute ne ha messe a disposizione altre 10, che però sono ancora dotate dell’equipaggiamento sonoro, importantissimo, perchè grazie a esso possono essere raggiunte almeno 200 persone alla volta. I messaggi da diffondere sono stati registrati in diverse lingue locali per essere compresi da tutti.
La giovane organizzazione vorrebbe poter coprire l’intero territorio nazionale; per raggiungere questo scopo servono 500 biciclette con altrettanti megafoni.
Per questa ragione Yei non si riesce a raggiungere e rimane esclusa
In questo periodo di pandemia i volontari coprono la zona della capitale Juba, dando raccomandazioni ai residenti come evitare il contagio da COVID-19, spiegano come lavarsi le mani (una parola se spesso manca l’acqua, figuriamoci il sapone n.d.r.) e quant’altro.
“Blu è un colore molto importante per noi sud sudanesi: il cielo è blu, così il Nilo e l’acqua fonte di vita, ecco perchè abbiamo scelto bici blu che hanno dato il nome alla nostra piccola flotta”, aggiunge uno dei volontari del gruppo.
L’associazione ha optato per la bicicletta come mezzo di trasporto perchè li porta ovunque. Durante il periodo delle piogge possono anche caricarla sulle spalle se un tratto di strada è interrotto. Attualmente le bici dotate di megafono e batteria sono solamente cinque. Recentemente il ministero della Salute ne ha messe a disposizione altre 10, che però sono ancora dotate dell’equipaggiamento sonoro, importantissimo, perchè grazie a esso possono essere raggiunte almeno 200 persone alla volta. I messaggi da diffondere sono stati registrati in diverse lingue locali per essere compresi da tutti.
La giovane organizzazione vorrebbe poter coprire l’intero territorio nazionale; per raggiungere questo scopo servono 500 biciclette con altrettanti megafoni.
Per questa ragione Yei non si riesce a raggiungere e rimane esclusa
Questa è un'iniziativa molto utile. Lo sarebbe ancora di più potesse essere estesa a tutte le zone in difficoltà che sono quelle che ne hanno maggiore necessità. Ma il clima di violenza dei militari lo impedisce.
Tutto quello che possiamo fare nella situazione attuale è inviare al Santo Padre i messaggi di Fr. Lazarus
ll vescovo cattolico di Yei Erkolano Lodu Tombe incoraggia i cristiani a stare vicini a Dio e a rafforzare la loro fede.
Parlando durante la celebrazione dei suoi 50 anni del sacerdozio a #Yei domenica, il vescovo Lodu invita i credenti cristiani a essere forti per la loro fede.
Il prelato cattolico ha consigliato ai parrocchiani di rispondere con gentilezza alle persone che chiedono la ragione del cristianesimo.
Il vescovo Lodu chiede ai credenti di avere il chiaro consenso della loro fede perché uno diventa cristiano per grazia di Dio.
Parlando durante la celebrazione dei suoi 50 anni del sacerdozio a #Yei domenica, il vescovo Lodu invita i credenti cristiani a essere forti per la loro fede.
Il prelato cattolico ha consigliato ai parrocchiani di rispondere con gentilezza alle persone che chiedono la ragione del cristianesimo.
Il vescovo Lodu chiede ai credenti di avere il chiaro consenso della loro fede perché uno diventa cristiano per grazia di Dio.
Adesso il Presidente Kiir si rivolge ai media della Nazione. Restate collegati per maggiori dettagli.
The health sector, like every other ministry, has been systematically destroyed over the past decade, especially post independence.
Everyone looted to their fill with no repercussions.
Today we are reaping what sowed, a collapsed health, education, agricultural sector etc.
The devil is always in the detail, this is why I have always said that the problem with South Sudan is that we have so many individuals who are well adapted to a morally ill society, specialists in the policy of '' amoke '' it's true the sectors were defiled but ...more important is who is continuing & sustaining the status quo, it's not the defilement starters but the recruited apprentices, our current generation so-called experts who have adapted to this terrible system & ideology that so long as you are eating rest can F themselves.This is shown by the number of junubeens specializing in a given sector, who will keep aside tribal, educational, pedigrees & all those social bull crap, come together purely as south Sudanese & not see each other as competitors to be vanquished, fight as a group for sectorial... reforms where all current/future can flourish rather than individually trying to feather their nests & glorify how cunning one is in exploiting the system to amass for themselves & their clique of groupie
its no measure of health to be well adjusted to a profond sock society. we have lost it or we have never had. because we don't know how judge anything we had been led here, pushed there, beaten up, driven and abused politically, relogiuos and socialy.
by samuel bior garang
@BiorGarang
Traduzione:
Il settore sanitario, come ogni altro ministero, è stato sistematicamente distrutto nell'ultimo decennio, in particolare dopo l'indipendenza.
Ognuno ha saccheggiato al massimo senza ripercussioni.
Oggi stiamo raccogliendo ciò che è stato seminato, un collasso della salute, istruzione, settore agricolo ecc.
Il diavolo è sempre nei dettagli, questo è il motivo per cui ho sempre detto che il problema con il Sud Sudan è che abbiamo così tante persone che si sono talmente ben adattate a una società moralmente malata, specialisti nella politica "lobbystica". E' vero i settori sono stati contaminati ma è più importante chi continua e sostiene lo status quo, non chi ha iniziato la contaminazione ma le nuove reclute, i nostri cosiddetti esperti della generazione attuale che si sono adattati a questo terribile sistema e ideologia. Ciò è dimostrato dal numero di specializzati in un determinato settore, che terranno da parte tribali, educativi, la discendenza e tutte quelle stronzate sociali. Si uniranno puramente come sud sudanesi e non si vedranno come i concorrenti devono essere vinti. Lotteranno come gruppo per riforme settoriali in cui tutto il presente / futuro potrà prosperare piuttosto che cercare l'individualità e la gloria per quanto si è astuti nello sfruttare il sistema ed assembrare la loro cricca di proseliti.
Everyone looted to their fill with no repercussions.
Today we are reaping what sowed, a collapsed health, education, agricultural sector etc.
The devil is always in the detail, this is why I have always said that the problem with South Sudan is that we have so many individuals who are well adapted to a morally ill society, specialists in the policy of '' amoke '' it's true the sectors were defiled but ...more important is who is continuing & sustaining the status quo, it's not the defilement starters but the recruited apprentices, our current generation so-called experts who have adapted to this terrible system & ideology that so long as you are eating rest can F themselves.This is shown by the number of junubeens specializing in a given sector, who will keep aside tribal, educational, pedigrees & all those social bull crap, come together purely as south Sudanese & not see each other as competitors to be vanquished, fight as a group for sectorial... reforms where all current/future can flourish rather than individually trying to feather their nests & glorify how cunning one is in exploiting the system to amass for themselves & their clique of groupie
its no measure of health to be well adjusted to a profond sock society. we have lost it or we have never had. because we don't know how judge anything we had been led here, pushed there, beaten up, driven and abused politically, relogiuos and socialy.
by samuel bior garang
@BiorGarang
Traduzione:
Il settore sanitario, come ogni altro ministero, è stato sistematicamente distrutto nell'ultimo decennio, in particolare dopo l'indipendenza.
Ognuno ha saccheggiato al massimo senza ripercussioni.
Oggi stiamo raccogliendo ciò che è stato seminato, un collasso della salute, istruzione, settore agricolo ecc.
Il diavolo è sempre nei dettagli, questo è il motivo per cui ho sempre detto che il problema con il Sud Sudan è che abbiamo così tante persone che si sono talmente ben adattate a una società moralmente malata, specialisti nella politica "lobbystica". E' vero i settori sono stati contaminati ma è più importante chi continua e sostiene lo status quo, non chi ha iniziato la contaminazione ma le nuove reclute, i nostri cosiddetti esperti della generazione attuale che si sono adattati a questo terribile sistema e ideologia. Ciò è dimostrato dal numero di specializzati in un determinato settore, che terranno da parte tribali, educativi, la discendenza e tutte quelle stronzate sociali. Si uniranno puramente come sud sudanesi e non si vedranno come i concorrenti devono essere vinti. Lotteranno come gruppo per riforme settoriali in cui tutto il presente / futuro potrà prosperare piuttosto che cercare l'individualità e la gloria per quanto si è astuti nello sfruttare il sistema ed assembrare la loro cricca di proseliti.
Dichiarazione di Roma violata, afferma il mediatore.
Dichiarazione di Roma violata, afferma il mediatore
Un mediatore tra il governo del Sud Sudan e i suoi gruppi di opposizione armata ha chiesto di fermare la recente violenza nello Stato dell'Equatoria centrale, affermando che rappresenta una minaccia per il processo di pace guidato da Roma.
La comunità di San't Egidio ha iniziato a mediare tra il governo e gruppi di accordo noti come South Sudan Opposition Movements Alliance o SSOMA, a settembre 2019.
Include gruppi armati e non armati che non hanno firmato l'accordo di pace rivitalizzato del 2018. Membri di spicco sono gli ex generali dell'esercito Paul Malong Awan Thomas Cirillo Swaka e Pagan Amum.
Nel gennaio di quest'anno, i leader della SOOMA hanno firmato la Dichiarazione di Roma con il governo del Sud Sudan.
Tuttavia, i dirigenti della Chiesa di Roma affermano che le recenti violenze nell'area di Yei rappresentano una minaccia al processo di pace.
Gli scontri armati sono stati segnalati a Mukaya Payam della contea di Yei alla fine del mese scorso, spostando centinaia di civili nella città di Yei.
Gli osservatori affermano che le forze governative hanno preso di mira le forze del fronte della salvezza nazionale, un membro dell'SSOMA.
Ma l'SSPDF ha negato di essere coinvolto in scontri nella zona, dicendo che i civili sono fuggiti a causa della presenza dell'esercito che vi è stato ucciso recentemente.
In una dichiarazione di venerdì, la Comunità di Sant'Egidio afferma che gli scontri armati rappresentano una violazione dell'Accordo di cessazione delle ostilità del 2017 e della Dichiarazione di Roma.
I mediatori chiedono ora agli attori del processo di pace di esercitare un maggiore controllo sulle forze sul campo in modo che rispettino gli accordi.
" Chiediamo una cessazione immediata delle ostilità, resa ancora più necessaria dalla pandemia di COVID-19", afferma la nota.
"Il popolo sud sudanese ha sofferto troppo: fermare le armi a terra e fermare la sofferenza del popolo".
Hanno anche chiesto l'immediata attuazione della Dichiarazione di Roma, che secondo loro rappresenta una speranza concreta per la pace e la riconciliazione per il Paese.
Autore: Jale Richard | Pubblicato: domenica 3 maggio 2020
Un mediatore tra il governo del Sud Sudan e i suoi gruppi di opposizione armata ha chiesto di fermare la recente violenza nello Stato dell'Equatoria centrale, affermando che rappresenta una minaccia per il processo di pace guidato da Roma.
La comunità di San't Egidio ha iniziato a mediare tra il governo e gruppi di accordo noti come South Sudan Opposition Movements Alliance o SSOMA, a settembre 2019.
Include gruppi armati e non armati che non hanno firmato l'accordo di pace rivitalizzato del 2018. Membri di spicco sono gli ex generali dell'esercito Paul Malong Awan Thomas Cirillo Swaka e Pagan Amum.
Nel gennaio di quest'anno, i leader della SOOMA hanno firmato la Dichiarazione di Roma con il governo del Sud Sudan.
Tuttavia, i dirigenti della Chiesa di Roma affermano che le recenti violenze nell'area di Yei rappresentano una minaccia al processo di pace.
Gli scontri armati sono stati segnalati a Mukaya Payam della contea di Yei alla fine del mese scorso, spostando centinaia di civili nella città di Yei.
Gli osservatori affermano che le forze governative hanno preso di mira le forze del fronte della salvezza nazionale, un membro dell'SSOMA.
Ma l'SSPDF ha negato di essere coinvolto in scontri nella zona, dicendo che i civili sono fuggiti a causa della presenza dell'esercito che vi è stato ucciso recentemente.
In una dichiarazione di venerdì, la Comunità di Sant'Egidio afferma che gli scontri armati rappresentano una violazione dell'Accordo di cessazione delle ostilità del 2017 e della Dichiarazione di Roma.
I mediatori chiedono ora agli attori del processo di pace di esercitare un maggiore controllo sulle forze sul campo in modo che rispettino gli accordi.
" Chiediamo una cessazione immediata delle ostilità, resa ancora più necessaria dalla pandemia di COVID-19", afferma la nota.
"Il popolo sud sudanese ha sofferto troppo: fermare le armi a terra e fermare la sofferenza del popolo".
Hanno anche chiesto l'immediata attuazione della Dichiarazione di Roma, che secondo loro rappresenta una speranza concreta per la pace e la riconciliazione per il Paese.
Autore: Jale Richard | Pubblicato: domenica 3 maggio 2020
Sudan del Sud: combattuto fin dall'era coloniale:
60anni di guerra e pace nel Sudan del Sud
Per decenni, quella che è oggi la Repubblica del Sud Sudan faceva ufficialmente parte della Repubblica del Sudan.
La prima guerra di secessione risale al 1955, ancor prima che i colonialisti britannici consegnassero i compiti al nuovo governo di Khartun, con i cristiani del Sud Sudan che lottavano per una maggiore indipendenza dal nord arabo.
Per decenni, quella che oggi è la Repubblica del Sud Sudan faceva ufficialmente parte della Repubblica del Sudan. La prima guerra di secessione L'alto Generale del Sud Sudan Thomas Cirillo
ha rassegnato le dimissioni per il coinvolgimento del governo in una brutale guerra civile e abbandona il regime di "pulizia etnica"
Accusando il presidente Salva Kiir e gli alti membri della sua tribù Dinka di aver commesso "pulizia etnica".
"Ho perso la pazienza con il comportamento del presidente e del comandante in capo, del capo di stato maggiore e di altri alti ufficiali nel quartier generale dello SPLA [l'esercito nazionale del paese], nonché dei comandanti dell'unità", ha scritto il tenente generale Thomas Cirillo Swaka Ha accusato il presidente e le sue corti di aver trasformato le forze armate del Paese in un esercito "tribale" che ha commesso "uccisioni sistematiche di persone, stupri di donne e incendi di villaggi in nome della ricerca di ribelli in villaggi pacifici".
Swaka, ex vice capo dello stato maggiore della logistica, molto rispettato dai partner stranieri del paese, ha affermato che Kiir ha perseguito un'agenda di "pulizia etnica", "sfollamento forzato di persone" e "dominio etnico", che sono considerati crimini contro l'umanità.
Il tenente generale è il secondo ufficiale militare più alto a disertare dalle forze governative da quando sono scoppiati i combattimenti nella capitale della nazione più giovane del mondo a luglio. "Guerra civile etnica totale" Quando il Sud Sudan ha ottenuto l'indipendenza nel 2011, il paese è sceso in un conflitto armato tra i gruppi etnici Dinka e Nuer. Il conflitto ha lasciato decine di migliaia di morti e oltre tre milioni di sfollati, nonostante una forza di pace delle Nazioni Unite di 12.000 persone di stanza nell'area.
All'inizio di questo mese, il capo esperto delle Nazioni Unite per i diritti umani nel Sudan del Sud Yasmin Sooka ha avvertito che il conflitto del paese potrebbe intensificarsi, citando un costante processo di pulizia etnica.
"Il Sud Sudan è sull'orlo di una guerra civile etnica a tutto campo, che potrebbe destabilizzare l'intera regione", ha detto Sooka. A dicembre, gli esperti delle Nazioni Unite hanno riferito di "pulizia etnica" in diverse parti del paese, con le truppe di Dinka accusate di guidare le atrocità.
Appello del Vescovo
Catholic Bishop of Yei Diocese Erkolano Lodu Tombe on Sunday blamed the army command for causing displacement and killing people despite peace in the country. The prelate describes displacement and killing as a wound to the people of #Yei.
Lingua originale: inglese.
Il vescovo cattolico della diocesi di Yei, Erkolano Lodu Tombe, domenica ha incolpato il comando dell'esercito per aver causato lo sfollamento e l'uccisione di persone nonostante la pace nel paese.
Il prelato descrive lo spostamento e l'uccisione come una ferita al popolo di #Yei .odificare.
Lual A. Deng - Economist, Politician, & Author of The Power of Creative Reasoning and Rethinking African Development.
"I am currently in Wau, Capital of former Bahr el-Ghazal province, attending a very colorful regional dialogue conference for Greater Bahr el-Ghazal region. Issues that are being discussed are grouped under 4 clusters: 1) governance; 2) economic; 3) security; 4) social cohesion."
Al momento mi trovo a Wau, capitale dell'ex provincia di Bahr el-Ghazal, partecipando ad una conferenza di dialogo regionale molto colorata per la regione del Grande Bahr el-Ghazal. Le questioni di discussione sono raggruppate sotto 4 grappoli: 1) governance; 2) economica; 3) sicurezza; 4) coesione sociale.
Youth Empowerment Scheme (YES)is consistent with the Ideas and Vision of John GARANG. Ebony Center is now embarking on this important initiative, which was brought to our attention in 2014 by Prof. Dan Bromley of the University of Wisconsin-Madison in the USA. UW-Madison is not only the home of Badgers, but also institutional economics. We strongly believe that the YES initiative is one of the strategic pathways for recovery and resilience in post-conflict South Sudan 🇸🇸. I take this opportunity to appeal to all the Badgers around the globe to help in the realization of the YES in any way they deem appropriate.
Il programma di emancipazione giovanile (SÌ) è in linea con le idee e la visione di John GARANG. L ' ebano Center sta ora iniziando questa importante iniziativa, che è stata portata alla nostra attenzione nel 2014 dal prof. Dan Bromley dell'Università del Wisconsin-Madison negli Stati Uniti. L ' UW-Madison non è solo la casa di Badgers, ma anche l'economia istituzionale. Siamo fortemente convinti che l'iniziativa SÌ sia uno dei percorsi strategici per il recupero e la resilienza nel Sud Sudan post-conflitto 🇸🇸. Ho approfittato di questa occasione per fare appello a tutti i Badgers di tutto il mondo per aiutare nella realizzazione del SI in ogni modo che reputano appropriato.
"I am currently in Wau, Capital of former Bahr el-Ghazal province, attending a very colorful regional dialogue conference for Greater Bahr el-Ghazal region. Issues that are being discussed are grouped under 4 clusters: 1) governance; 2) economic; 3) security; 4) social cohesion."
Al momento mi trovo a Wau, capitale dell'ex provincia di Bahr el-Ghazal, partecipando ad una conferenza di dialogo regionale molto colorata per la regione del Grande Bahr el-Ghazal. Le questioni di discussione sono raggruppate sotto 4 grappoli: 1) governance; 2) economica; 3) sicurezza; 4) coesione sociale.
Youth Empowerment Scheme (YES)is consistent with the Ideas and Vision of John GARANG. Ebony Center is now embarking on this important initiative, which was brought to our attention in 2014 by Prof. Dan Bromley of the University of Wisconsin-Madison in the USA. UW-Madison is not only the home of Badgers, but also institutional economics. We strongly believe that the YES initiative is one of the strategic pathways for recovery and resilience in post-conflict South Sudan 🇸🇸. I take this opportunity to appeal to all the Badgers around the globe to help in the realization of the YES in any way they deem appropriate.
Il programma di emancipazione giovanile (SÌ) è in linea con le idee e la visione di John GARANG. L ' ebano Center sta ora iniziando questa importante iniziativa, che è stata portata alla nostra attenzione nel 2014 dal prof. Dan Bromley dell'Università del Wisconsin-Madison negli Stati Uniti. L ' UW-Madison non è solo la casa di Badgers, ma anche l'economia istituzionale. Siamo fortemente convinti che l'iniziativa SÌ sia uno dei percorsi strategici per il recupero e la resilienza nel Sud Sudan post-conflitto 🇸🇸. Ho approfittato di questa occasione per fare appello a tutti i Badgers di tutto il mondo per aiutare nella realizzazione del SI in ogni modo che reputano appropriato.
JUBA, SUD SUDAN - Il Sud Sudan ha aperto un nuovo capitolo nella sua fragile comparsa dalla guerra civile sabato mentre i leader rivali hanno formato un governo di coalizione che molti osservatori hanno pregato che questa volta durasse.
Il giorno dopo che il presidente Salva Kiir ha sciolto il precedente governo, il leader dell'opposizione Riek Machar ha prestato giuramento come suo vice, un accordo che è crollato due volte nei combattimenti durante il conflitto che ha ucciso quasi 400.000 persone.
Kiir dichiarò "la fine ufficiale della guerra e ora possiamo proclamare una nuova alba". La pace "non sarà mai più scossa mai", ha detto il presidente, aggiungendo di aver perdonato Machar e di aver chiesto perdono a Machar, per applaudire. Ha invitato i rispettivi gruppi etnici Dinka e Nuer a fare lo stesso.
La nazione più giovane del mondo è entrata in guerra civile nel 2013, due anni dopo aver vinto l'indipendenza combattuta dal Sudan, mentre i sostenitori di Kiir e Machar si sono scontrati. Numerosi tentativi di pace fallirono, tra cui un accordo che vide Machar tornare come vice presidente nel 2016, solo per fuggire dal paese a piedi mesi dopo un nuovo sparo.
L'intensa pressione internazionale ha seguito il più recente accordo di pace del 2018. Papa Francesco in un gesto drammatico ha baciato i piedi di Kiir e Machar l'anno scorso per convincerli a mettere da parte le differenze. La cerimonia di sabato è iniziata con una presentazione di quella foto come promemoria.
Esasperazione da parte degli Stati Uniti, il più grande donatore di aiuti del Sud Sudan, e altri sono cresciuti mentre Kiir e Machar nell'ultimo anno hanno spinto indietro di due scadenze per fare il passo cruciale della formazione del governo di coalizione. Ma con meno di una settimana prima dell'ultima scadenza di sabato, ognuno ha fatto una concessione chiave.
Kiir ha annunciato una decisione "dolorosa" sulla questione politicamente delicata del numero di stati, e Machar ha accettato di far sì che Kiir si assumesse la responsabilità della sua sicurezza. Giovedì hanno annunciato di aver accettato di formare un governo che avrebbe portato alle elezioni tra tre anni: il primo voto dall'indipendenza.
"Finalmente, la pace è a portata di mano", ha dichiarato un giornalista della Radio Miraya sostenuta dall'ONU da Bor nello stato di Jonglei di lunga durata. A Yambio, i giovani con le bandiere sono stati segnalati per le strade. "Mi rallegro con i sud sudanesi, in particolare gli sfollati, affamati e in lutto che hanno atteso così a lungo", ha twittato l'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.
Abbracci e applausi seguirono il giuramento di Machar. Ha promesso al Sudan del Sud di lavorare insieme "per porre fine alla tua sofferenza".
E sia lui che Kiir hanno ringraziato il papa per il suo gesto. "Siamo orgogliosi di riferire a lui che ci siamo anche riconciliati", ha detto Kiir. "Siamo stati molto umiliati e sfidati" da lui, ha detto Machar.
Anche quando i cittadini hanno emesso un attento sospiro di sollievo, gruppi di aiuto, analisti e diplomatici hanno avvertito delle grandi sfide future. In un probabile segno di cautela, nessun capo di stato, a parte il leader del Sudan, il generale Abdel-Fattah Burhan, ha partecipato al giuramento.
"Mentre resta ancora molto lavoro da fare, questa è una pietra miliare importante nel cammino verso la pace", ha detto l'ambasciata americana in un messaggio di congratulazioni.
Decine di migliaia di forze rivali devono ancora essere riunite in un unico esercito, un processo che le Nazioni Unite e altri hanno richiamato in ritardo e scarsamente rifornito.
E gli osservatori hanno sottolineato che questo nuovo governo deve essere inclusivo in un paese in cui i combattimenti si sono spesso verificati lungo linee etniche e in cui operano diversi gruppi armati. Non tutti hanno firmato l'accordo di pace.
Kiir e Machar hanno affermato che le questioni in sospeso saranno negoziate sotto il nuovo governo.
Altri vice presidenti nominati da Kiir venerdì includono Taban Deng Gai, un ex alleato di Machar che è passato dalla parte del governo e il mese scorso è stato sanzionato dagli Stati Uniti per il coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani. Un altro è Rebecca Garang, la vedova di John Garang, che ha condotto una lunga lotta per l'indipendenza dal Sudan.
La comunità umanitaria, che ha visto uccisi più di 100 lavoratori dall'inizio della guerra civile, spera che il nuovo governo porterà a consegne di cibo molto più facili e ad altri aiuti di cui c'è molto bisogno poiché circa la metà della popolazione del Sud Sudan, con 12 milioni di abitanti, rimane affamata. Circa 40.000 sono in condizioni di carestia, secondo un nuovo rapporto di giovedì, e ora è arrivato un importante scoppio di locuste in Africa orientale.
Altri oltre 2 milioni di persone sono fuggite dal Sud Sudan durante la guerra civile e Kiir le ha esortate a tornare a casa.
La Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani nel Sud Sudan avverte che continuano gravi abusi. "I civili sono deliberatamente affamati, sistematicamente sorvegliati e messi a tacere, arrestati arbitrariamente e detenuti e negato loro un accesso significativo alla giustizia", ha detto giovedì il suo ultimo rapporto. Ha detto che la violenza mortale sparsa, l'uso di bambini soldato e la violenza sessuale mettono in pericolo la fragile pace.
The Sentry, una squadra investigativa che ha denunciato la corruzione di alcuni funzionari del Sud Sudan, ha esortato la comunità internazionale a tenere sotto pressione.
"Anni di conflitto hanno suscitato profonda sfiducia nei politici del Sud Sudan, aumentando il potenziale per un ritorno alla guerra civile", ha detto venerdì. "La capacità di rendere responsabili i politici del Sud Sudan durante tutto il processo, piuttosto che aspettare che sia troppo tardi, è essenziale per la sopravvivenza dell'accordo di pace".
Come alcuni analisti hanno affermato che la minaccia di ulteriori sanzioni ha spinto Kiir e Machar a fare ancora una volta la pace, gli inviati del vicino Sudan, Kenya e Uganda hanno commentato dopo il giuramento hanno chiesto di revocare le sanzioni esistenti, per applaudire.
Pregate per il governo di transizione nazionale del Sud Sudan istituito il 22 febbraio, dice il vescovo cattolico della diocesi di Yei Erkolano Lodu Tombe ai fedeli nel suo paese.
English Africa Service - Città del Vaticano
Hassan Arun della Radio pasquale cattolica, riferendo da Yei nel Sud Sudan, afferma il vescovo, Erkolano Lodu Tombe, ha espresso la speranza che, con la formazione del nuovo governo, i leader politici del Sud Sudan daranno una possibilità alla pace. Il vescovo ha fatto le osservazioni nella sua omelia, questa settimana, nella cattedrale di Cristo Re di Yei.
I cittadini sperano che il nuovo governo reggerà
Dopo una brutale guerra iniziata nel 2013, il Sudan del Sud osserva con fiato sospeso e spera che il nuovo governo regga. Opposizione ed ex leader ribelle, Riek Machar è tornato a Juba per assumere la sua posizione di Primo Vice Presidente e vicepresidente del Presidente Salva Kiir. È il primo vicepresidente tra gli altri quattro vicepresidenti. L'accordo di pace rivitalizzato del 2018 prevedeva inoltre 550 membri del parlamento. La presidenza sta già lavorando per formare un gabinetto. È una struttura enorme che sarà costosa da mantenere. Molti, nel Sudan del Sud, affermano se questo è il prezzo per la pace, sia pure.
Il presidente Kiir chiede perdono e preghiere e ha dichiarato "la fine ufficiale della guerra". Ha detto che il paese potrebbe ora proclamare una nuova alba ed era. La pace "non sarà mai più scossa, mai", ha dichiarato il Presidente del Sud Sudan.
Il presidente Kiir e i suoi vice presidenti hanno tenuto questa settimana il loro primo incontro. Secondo il Sudan Tribune, la presidenza rivitalizzata ha tenuto il suo primo incontro presieduto dal presidente Salva Kiir con la partecipazione del primo vicepresidente, Riek Machar e degli altri quattro vicepresidenti: James Wani Igga. Taban Deng Gai, Hussein Abdelbagi Akol e Rebecca de Mabior.
"Il Presidente e tutti i Vice Presidenti si sono perdonati a vicenda e hanno esortato anche tutti i sud sudanesi a perdonarli e pregare per loro affinché (così) intraprendiamo la riconciliazione, il perdono e la guarigione del nostro tessuto sociale rotto", si legge in una dichiarazione rilasciata da la presidenza alla fine della riunione.
I combattimenti si sono per lo più fermati
La chiamata è stata fatta per il ritorno, nelle loro terre di origine, degli sfollati che vivono nella protezione dei siti civili e dei rifugiati ospitati dalle Nazioni Unite. Nel complesso, i combattimenti si sono per lo più fermati sebbene ci siano ancora sacche di gruppi ribelli che non sono firmatari dell'accordo di pace del 2018. Se non verrà raggiunto un accordo con l'alleanza dei gruppi di opposizione non firmatari, è possibile che la pace possa essere deragliata. Il presidente Kiir questa settimana ha fatto appello all'Alleanza del movimento per l'opposizione del Sud Sudan (SSOMA) affinché si unisse al processo di pace rivitalizzato.
Nonostante sviluppi positivi, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha avvertito che c'erano ancora notizie di abusi in alcune parti del paese.
Altri termini del processo di pace rivitalizzato prevedono un cessate il fuoco permanente; unificazione dell'esercito entro otto mesi al fine di costruire un esercito etnicamente equilibrato.
I paesi regionali che hanno contribuito a mediare la pace, in particolare, l'Uganda e il Sudan saranno entusiasti di vedere il ripristino dei giacimenti petroliferi e l'inizio della produzione di petrolio.
La Chiesa vuole che il governo dia la priorità all'agricoltura
C'è speranza, ha detto il vescovo Lodu Tombe, che le persone possano ora iniziare a coltivare i loro campi pronti per le piogge. Un'altra delle aspettative del vescovo è che il governo aprirà rapidamente strade che consentirebbero l'accesso a progetti agricoli abbandonati.
Cauto ottimismo nel Sudan del Sud
Il vescovo Lodu Tombe ha inoltre consigliato ai cittadini di pregare con fervore affinché il Paese non scivoli di nuovo in guerra perché le persone erano stanche delle guerre. Il suo pubblico sapeva a cosa si stava riferendo: un governo simile di unità nazionale è crollato nel 2016 quando Machar è fuggito da Juba nel mezzo di nuovi combattimenti.
Più di 400000 persone sono morte dall'inizio della guerra nel 2013. Due milioni di persone sono fuggite dal paese come rifugiati nei paesi vicini. Allo stesso tempo, si dice che altri 2 milioni siano stati sfollati internamente.
Il giorno dopo che il presidente Salva Kiir ha sciolto il precedente governo, il leader dell'opposizione Riek Machar ha prestato giuramento come suo vice, un accordo che è crollato due volte nei combattimenti durante il conflitto che ha ucciso quasi 400.000 persone.
Kiir dichiarò "la fine ufficiale della guerra e ora possiamo proclamare una nuova alba". La pace "non sarà mai più scossa mai", ha detto il presidente, aggiungendo di aver perdonato Machar e di aver chiesto perdono a Machar, per applaudire. Ha invitato i rispettivi gruppi etnici Dinka e Nuer a fare lo stesso.
La nazione più giovane del mondo è entrata in guerra civile nel 2013, due anni dopo aver vinto l'indipendenza combattuta dal Sudan, mentre i sostenitori di Kiir e Machar si sono scontrati. Numerosi tentativi di pace fallirono, tra cui un accordo che vide Machar tornare come vice presidente nel 2016, solo per fuggire dal paese a piedi mesi dopo un nuovo sparo.
L'intensa pressione internazionale ha seguito il più recente accordo di pace del 2018. Papa Francesco in un gesto drammatico ha baciato i piedi di Kiir e Machar l'anno scorso per convincerli a mettere da parte le differenze. La cerimonia di sabato è iniziata con una presentazione di quella foto come promemoria.
Esasperazione da parte degli Stati Uniti, il più grande donatore di aiuti del Sud Sudan, e altri sono cresciuti mentre Kiir e Machar nell'ultimo anno hanno spinto indietro di due scadenze per fare il passo cruciale della formazione del governo di coalizione. Ma con meno di una settimana prima dell'ultima scadenza di sabato, ognuno ha fatto una concessione chiave.
Kiir ha annunciato una decisione "dolorosa" sulla questione politicamente delicata del numero di stati, e Machar ha accettato di far sì che Kiir si assumesse la responsabilità della sua sicurezza. Giovedì hanno annunciato di aver accettato di formare un governo che avrebbe portato alle elezioni tra tre anni: il primo voto dall'indipendenza.
"Finalmente, la pace è a portata di mano", ha dichiarato un giornalista della Radio Miraya sostenuta dall'ONU da Bor nello stato di Jonglei di lunga durata. A Yambio, i giovani con le bandiere sono stati segnalati per le strade. "Mi rallegro con i sud sudanesi, in particolare gli sfollati, affamati e in lutto che hanno atteso così a lungo", ha twittato l'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.
Abbracci e applausi seguirono il giuramento di Machar. Ha promesso al Sudan del Sud di lavorare insieme "per porre fine alla tua sofferenza".
E sia lui che Kiir hanno ringraziato il papa per il suo gesto. "Siamo orgogliosi di riferire a lui che ci siamo anche riconciliati", ha detto Kiir. "Siamo stati molto umiliati e sfidati" da lui, ha detto Machar.
Anche quando i cittadini hanno emesso un attento sospiro di sollievo, gruppi di aiuto, analisti e diplomatici hanno avvertito delle grandi sfide future. In un probabile segno di cautela, nessun capo di stato, a parte il leader del Sudan, il generale Abdel-Fattah Burhan, ha partecipato al giuramento.
"Mentre resta ancora molto lavoro da fare, questa è una pietra miliare importante nel cammino verso la pace", ha detto l'ambasciata americana in un messaggio di congratulazioni.
Decine di migliaia di forze rivali devono ancora essere riunite in un unico esercito, un processo che le Nazioni Unite e altri hanno richiamato in ritardo e scarsamente rifornito.
E gli osservatori hanno sottolineato che questo nuovo governo deve essere inclusivo in un paese in cui i combattimenti si sono spesso verificati lungo linee etniche e in cui operano diversi gruppi armati. Non tutti hanno firmato l'accordo di pace.
Kiir e Machar hanno affermato che le questioni in sospeso saranno negoziate sotto il nuovo governo.
Altri vice presidenti nominati da Kiir venerdì includono Taban Deng Gai, un ex alleato di Machar che è passato dalla parte del governo e il mese scorso è stato sanzionato dagli Stati Uniti per il coinvolgimento in gravi violazioni dei diritti umani. Un altro è Rebecca Garang, la vedova di John Garang, che ha condotto una lunga lotta per l'indipendenza dal Sudan.
La comunità umanitaria, che ha visto uccisi più di 100 lavoratori dall'inizio della guerra civile, spera che il nuovo governo porterà a consegne di cibo molto più facili e ad altri aiuti di cui c'è molto bisogno poiché circa la metà della popolazione del Sud Sudan, con 12 milioni di abitanti, rimane affamata. Circa 40.000 sono in condizioni di carestia, secondo un nuovo rapporto di giovedì, e ora è arrivato un importante scoppio di locuste in Africa orientale.
Altri oltre 2 milioni di persone sono fuggite dal Sud Sudan durante la guerra civile e Kiir le ha esortate a tornare a casa.
La Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani nel Sud Sudan avverte che continuano gravi abusi. "I civili sono deliberatamente affamati, sistematicamente sorvegliati e messi a tacere, arrestati arbitrariamente e detenuti e negato loro un accesso significativo alla giustizia", ha detto giovedì il suo ultimo rapporto. Ha detto che la violenza mortale sparsa, l'uso di bambini soldato e la violenza sessuale mettono in pericolo la fragile pace.
The Sentry, una squadra investigativa che ha denunciato la corruzione di alcuni funzionari del Sud Sudan, ha esortato la comunità internazionale a tenere sotto pressione.
"Anni di conflitto hanno suscitato profonda sfiducia nei politici del Sud Sudan, aumentando il potenziale per un ritorno alla guerra civile", ha detto venerdì. "La capacità di rendere responsabili i politici del Sud Sudan durante tutto il processo, piuttosto che aspettare che sia troppo tardi, è essenziale per la sopravvivenza dell'accordo di pace".
Come alcuni analisti hanno affermato che la minaccia di ulteriori sanzioni ha spinto Kiir e Machar a fare ancora una volta la pace, gli inviati del vicino Sudan, Kenya e Uganda hanno commentato dopo il giuramento hanno chiesto di revocare le sanzioni esistenti, per applaudire.
Pregate per il governo di transizione nazionale del Sud Sudan istituito il 22 febbraio, dice il vescovo cattolico della diocesi di Yei Erkolano Lodu Tombe ai fedeli nel suo paese.
English Africa Service - Città del Vaticano
Hassan Arun della Radio pasquale cattolica, riferendo da Yei nel Sud Sudan, afferma il vescovo, Erkolano Lodu Tombe, ha espresso la speranza che, con la formazione del nuovo governo, i leader politici del Sud Sudan daranno una possibilità alla pace. Il vescovo ha fatto le osservazioni nella sua omelia, questa settimana, nella cattedrale di Cristo Re di Yei.
I cittadini sperano che il nuovo governo reggerà
Dopo una brutale guerra iniziata nel 2013, il Sudan del Sud osserva con fiato sospeso e spera che il nuovo governo regga. Opposizione ed ex leader ribelle, Riek Machar è tornato a Juba per assumere la sua posizione di Primo Vice Presidente e vicepresidente del Presidente Salva Kiir. È il primo vicepresidente tra gli altri quattro vicepresidenti. L'accordo di pace rivitalizzato del 2018 prevedeva inoltre 550 membri del parlamento. La presidenza sta già lavorando per formare un gabinetto. È una struttura enorme che sarà costosa da mantenere. Molti, nel Sudan del Sud, affermano se questo è il prezzo per la pace, sia pure.
Il presidente Kiir chiede perdono e preghiere e ha dichiarato "la fine ufficiale della guerra". Ha detto che il paese potrebbe ora proclamare una nuova alba ed era. La pace "non sarà mai più scossa, mai", ha dichiarato il Presidente del Sud Sudan.
Il presidente Kiir e i suoi vice presidenti hanno tenuto questa settimana il loro primo incontro. Secondo il Sudan Tribune, la presidenza rivitalizzata ha tenuto il suo primo incontro presieduto dal presidente Salva Kiir con la partecipazione del primo vicepresidente, Riek Machar e degli altri quattro vicepresidenti: James Wani Igga. Taban Deng Gai, Hussein Abdelbagi Akol e Rebecca de Mabior.
"Il Presidente e tutti i Vice Presidenti si sono perdonati a vicenda e hanno esortato anche tutti i sud sudanesi a perdonarli e pregare per loro affinché (così) intraprendiamo la riconciliazione, il perdono e la guarigione del nostro tessuto sociale rotto", si legge in una dichiarazione rilasciata da la presidenza alla fine della riunione.
I combattimenti si sono per lo più fermati
La chiamata è stata fatta per il ritorno, nelle loro terre di origine, degli sfollati che vivono nella protezione dei siti civili e dei rifugiati ospitati dalle Nazioni Unite. Nel complesso, i combattimenti si sono per lo più fermati sebbene ci siano ancora sacche di gruppi ribelli che non sono firmatari dell'accordo di pace del 2018. Se non verrà raggiunto un accordo con l'alleanza dei gruppi di opposizione non firmatari, è possibile che la pace possa essere deragliata. Il presidente Kiir questa settimana ha fatto appello all'Alleanza del movimento per l'opposizione del Sud Sudan (SSOMA) affinché si unisse al processo di pace rivitalizzato.
Nonostante sviluppi positivi, la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha avvertito che c'erano ancora notizie di abusi in alcune parti del paese.
Altri termini del processo di pace rivitalizzato prevedono un cessate il fuoco permanente; unificazione dell'esercito entro otto mesi al fine di costruire un esercito etnicamente equilibrato.
I paesi regionali che hanno contribuito a mediare la pace, in particolare, l'Uganda e il Sudan saranno entusiasti di vedere il ripristino dei giacimenti petroliferi e l'inizio della produzione di petrolio.
La Chiesa vuole che il governo dia la priorità all'agricoltura
C'è speranza, ha detto il vescovo Lodu Tombe, che le persone possano ora iniziare a coltivare i loro campi pronti per le piogge. Un'altra delle aspettative del vescovo è che il governo aprirà rapidamente strade che consentirebbero l'accesso a progetti agricoli abbandonati.
Cauto ottimismo nel Sudan del Sud
Il vescovo Lodu Tombe ha inoltre consigliato ai cittadini di pregare con fervore affinché il Paese non scivoli di nuovo in guerra perché le persone erano stanche delle guerre. Il suo pubblico sapeva a cosa si stava riferendo: un governo simile di unità nazionale è crollato nel 2016 quando Machar è fuggito da Juba nel mezzo di nuovi combattimenti.
Più di 400000 persone sono morte dall'inizio della guerra nel 2013. Due milioni di persone sono fuggite dal paese come rifugiati nei paesi vicini. Allo stesso tempo, si dice che altri 2 milioni siano stati sfollati internamente.
6:32 PM · 21 feb 2020
Appello alla Presidente delle Casette per L'Equatoria da parte di Padre Lazarus Parroco di Tore (Diocesi di Yei)
UNMISS - MISSIONE NAZIONI UNITE NEL SUD SUDAN -
DETENTORI DI BESTIAME DELLA REGIONE DELL'UNITร SI IMPEGNANO A COESISTERE PACIFICAMENTE DURANTE LA STAGIONE SECCA CON SCARSE RISORSE
LUK RIEK NYAK / FILIP ANDERSSON
Allevatori di bestiame, capi tradizionali, rappresentanti di giovani e donne, coordinatori di pace e capi di chiesa delle comunitร Guit e Rubkona nella regione dell'Unitร del Sud Sudan si sono impegnati a evitare conflitti e violenze durante la migrazione stagionale dei loro animali in cerca di pascoli e acqua.
Si sono impegnati a partecipare a un forum di pace di due giorni organizzato dalla Missione delle Nazioni Unite nel Sudan del Sud con l'obiettivo di identificare e mitigare i problemi che potrebbero presentarsi durante la stagione secca scarsissima di risorse, quando la competizione per il pascolo tende a diventare feroce.
"La nostra preoccupazione รจ che i vicini allevatori di bestiame che vengono e restano qui per ben quattro mesi non dovrebbero interrompere le relazioni intercomunali rubando le nostre mucche quando tornano a casa", ha spiegato il capo supremo della Guit Koang Makuach Jiokjiok, che ha anche suggerito che i proprietari di armi dovrebbero essere fatto per registrare le loro armi con il governo.
Una componente chiave della strategia per evitare gli scontri intercomunitari tra i pastori di bestiame sarebbe quella di concordare meccanismi per regolare la migrazione di mucche e capre.ย Tali possibili accordi sono stati anche discussi nel forum, con la speranza che regole chiare potessero aprire la strada a un ambiente favorevole per conciliare con successo la comunitร Jikany in Guit con il popolo dei Porri a Rubkona.
Come parte del piano per raggiungere una convivenza cosรฌ pacifica, Gatwang Dador, capo supremo di Rubkona, si รจ impegnato a tenere colloqui con i giovani della sua zona prima che inizino a spostare il loro bestiame.
โI nostri leader tradizionali, i leader dei giovani e delle donne avranno un incontro per discutere su come rafforzare le relazioni con i nostri vicini in Guit.ย Scoraggeremo i nostri allevatori di bestiame dal causare qualsiasi problema โ, ha affermato il capo supremo, aggiungendo che le buone relazioni intercomunali sono importanti per evitare la sofferenza tra gli esseri umani e il bestiame
LE COMUNITÀ DELLA CONTEA DI AKON VENGONO A CONOSCENZA DELL'ACCORDO DI PACE RIVITALIZZATO, PROMETTENDO DI ATTUARLO STANLEY MCGILL Circa un migliaio di cittadini della Contea di Akon nell'area di Gogrial hanno partecipato a un raduno di pace incentrato sulla diffusione del contenuto dell'accordo di pace rivitalizzato firmato a settembre 2018. Organizzato dalla Missione delle Nazioni Unite nel Sudan del Sud (UNMISS) in collaborazione con il National Pre-Transitional Committee (NPTC), l'evento ha riunito una folla mista di residenti, tra cui anche commissari di contea, capi esecutivi, organizzazioni femminili e gruppi di giovani. "Vogliamo dire alla gente del Sud Sudan che noi, gente di Akon, siamo pronti a sostenere il processo di pace per servire da esempio per tutte le persone amanti della pace di questo paese", ha dichiarato Madut Aya, residente nella contea di Akon. Il commissario della Contea di Akon, Simon Apet Deng, ha esortato le autorità locali a raggiungere luoghi remoti nelle rispettive comunità per educare gli altri sulle clausole dell'accordo di pace. “Voglio che tu esca e sia il nostro osservatore della pace. Controlla come viene implementato l'accordo e segnala a chiunque cerchi di far deragliare il processo ”, ha detto ai suoi capi locali, agli anziani e ad altri astanti. Anastasie Nyirigira Mukangarambe, rappresentante della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, ha ribadito che l'UNMISS è pronta a sostenere l'implementazione come parte del suo compito di proteggere i civili e costruire una pace duratura
Padre Emanuel Sedit consiglia ai cristiani di Yei di rispondere alla chiamata di Dio
Hassan Arun-Radio Easter Lunedì 20 gennaio 2020-10: 53
Un sacerdote nella diocesi cattolica di Yei consiglia ai cristiani di riflettere sulla chiamata di Dio a ciascun cristiano come prima vocazione perché è il creatore. Padre Emmanuel Lodongo Sebit spiega che Dio invita i fedeli a credere, fidarsi e avere fiducia in lui. Egli menziona che il battesimo è l'inizio della missione in cui Dio ha chiamato ogni cristiano a partecipare come una razza scelta di persone La missione dei cristiani è quella di continuare a lavorare attraverso la creazione da lui affidata a ciascun fedele e prendere la parola di salvezza, osserva. Dio ha il desiderio e la volontà di salvare i cristiani dai loro peccati, sottolinea. Il prete stava dando omelia domenica alla Cattedrale di Cristo Re a Yei.
Nessun progresso sull'incontro di Kiir-Riek sul numero di stati e confini Maura Ajak-CRN Giovedì 16 gennaio 2020-08: 45
I due principi dell'accordo di pace rivitalizzato non hanno fatto progressi nell'incontro di mercoledì sulla questione irrisolta del numero di stati e confini. Tut Gatluak, consigliere presidenziale per la sicurezza, ha dichiarato alla stampa presso la sede statale che le consultazioni continuano con i direttori e che le parti si impegnano a raggiungere una soluzione. Ha spiegato che i comitati dei confini e le cinque parti firmatarie dell'accordo stanno ancora lavorando sulla questione. Gatluak ha aggiunto che il Sudan, in qualità di garante della pace, farà da mediatore dell'incontro dopo che le parti avranno ascoltato i rapporti sulla questione. I due principali nell'ultima riunione del 2019, hanno dichiarato di essere impegnati nell'accordo di pace rivitalizzato e hanno concordato le disposizioni in materia di sicurezza e altre questioni in sospeso. L'inviato speciale sudafricano nel Sudan del Sud, David Mabuza, sta conducendo la consultazione su stati e confini e ha incontrato i due direttori secondo il programma delle riunioni dell'IGA
Cessate il fuoco dal 15 gennaio e road map per consolidare l'unità del paese e la riconciliazione. Un processo di pace durato 2 anni
Il gesto forte di Papa Francesco che si inginocchia davanti ai leader sudsudanesi, lo scorso 11 aprile in occasione di un incontro avvenuto al termine di un ritiro spirituale in Vaticano, baciando loro i piedi ed implorando di terminare gli scontri, è stato un incoraggiamento per giungere ad un accordo per le fine delle ostilità, firmato ieri e presentato oggi a Roma presso la Comunità di Sant’Egidio. Con tale atto, il governo e l'Alleanza dei movimenti di opposizione del Sud Sudan (Ssoma) - che riunisce tutti i movimenti di opposizione che non hanno aderito all'accordo pace di Addis Abeba - hanno espresso il loro impegno alla cessazione delle ostilità a partire dal 15 gennaio. LEGGI ANCHE
11/04/2019 Il Papa bacia i piedi per la pace in Sud Sudan Un lavoro di pace durato due anni “La Dichiarazione di Roma per il processo di pace in Sud Sudan – ha spiegato Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant'Egidio alla conferenza stampa di presentazione del documento - è di grandissima importanza perché è il risultato di un lavoro intenso durato oltre due anni, e dell'impegno che la Comunità ha voluto esercitare per facilitare il dialogo politico in Sud Sudan. L’accordo di pace vuol dire una rinascita per questo Paese e la possibilità di un dialogo politico delle varie parti intorno ad un tavolo senza discutere. Papa Francesco con il suo gesto li ha colpiti al cuore, portandoli seriamente a cercare una via di riconciliazione”.
Tutte le parti politiche del Sud Sudan firmano un accordo di pace a Sant'Egidio
La Dichiarazione di Roma firmata il 13 gennaio 2020 presso la Comunità di Sant'Egidio "riunisce per la prima volta tutte le parti politiche del paese". Lo ha ricordato Paolo Impagliazzo, Segretario generale di Sant'Egidio, ringraziando tutti i partecipanti per gli sforzi profusi. Il documento, ha detto Impagliazzo, è il risultato di molte giornate di lavoro ma anche dell'impegno di Sant'Egidio negli ultimi anni per facilitare il dialogo politico in Sud Sudan.
Tre i cardini dell'accordo: l'impegno "solenne" alla cessazione delle ostilità a partire dalla mezzanotte del 15 gennaio; l'impegno a discutere e a valutare insieme - a Sant'Egidio - meccanismi per risolvere le divergenze; la garanzia per le organizzazioni umanitarie di poter operare nel paese a sostegno della popolazione civile. La Dichiarazione di oggi è stata firmata dai membri della delegazione del governo centrale del Sud Sudan, dai rappresentanti dei Movimenti di opposizione sud sudanesi che non hanno aderito all'accordo di pace rivitalizzato del 2018 ad Addis Abeba (Ssoma) e da quelli delle opposizioni firmatarie dell'accordo.
"Il cessate il fuoco è necessario per ricostruire la fiducia e la speranza nel nostro popolo" ha affermato Barnaba Marial Benjamin, inviato del presidente Salva Kir. "Abbiamo seguito l'invito di Papa Francesco a lasciare da parte le differenze e a cercare ciò che unisce, il metodo che ha ispirato anche la Comunità di Sant'Egidio" e ha continuato indicando come "in questi giorni di incontro tra sudsudanesi è stato possibile riconoscere la storia comune che ci unisce".
Una firma "senza alcuna pre-condizione" e con l'impegno di lavorare alla costruzione di una pace duratura insieme al governo e agli altri firmatari. Lo ha detto Pa'gan Amum Okiech, portavoce del Ssoma, per il quale il merito dell'accordo va a Papa Francesco. "Quel gesto di baciarci i piedi" in occasione della nostra visita in Vaticano (nell'aprile scorso) "ci ha ispirato e il suo appello alla prosperità e fratellanza fatto per il nuovo anno è un sogno che si avvera", ha detto il portavoce, secondo cui "è giunto il momento di porre fine alle ostilità e di imparare dai nostri errori" e "il processo dovrà essere inclusivo per tutti". A questo proposito Okiech si è detto "lieto" che il Movimento di liberazione del popolo sudanese all'opposizione (Splm-Io) e Movimento nazionale democratico (Ndm) abbiano partecipato all'incontro.
Intervista conflitto Sud-Sudan di Chris Kiwawulo
IL GENERALE SWAKA SPIEGA LA FONTE DEL CONFLITTO NEL SUDAN MERIDIONALE
Sud Sudan è in stato di illegalità dallo scorso luglio dopo il fallimento dell'accordo di pace che il Presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar hanno firmato ad Addis Abeba, in Etiopia, nell'agosto 2015.
Forze fedeli a Kiir, un Dinka, si è scontrato con quelli fedeli a Machar, un Nuer, portando alla morte di oltre 300 persone, tra cui l'Uganda.
L'11 febbraio 2017, Kiir ha subito un duro colpo quando il tenente generale Thomas Cirillo Swaka, vice capo di stato maggiore generale per la logistica, si è dimesso dall'esercito di liberazione popolare del Sudan (SPLA) per presunti abusi da parte delle forze di sicurezza contro i civili.
Swaka, una tribù barese di Juba che da allora è fuggita dal Sud Sudan, è l'ufficiale di più alto rango a dimettersi da quando Machar è fuggito dal Sud Sudan. Ha anche accusato Kiir di promuovere il favoritismo etnico in campo militare e di deviare dai principi per i quali hanno lanciato la lotta per liberare il Sud Sudan sotto la tutela del defunto Dr. John Garang.
Chris Kiwawulo ha incontrato il gen. Swaka nel suo nascondiglio e lo ha intervistato su una serie di questioni sul conflitto nella nazione più recente del mondo e sotto sono gli estratti;
Perché hai lasciato il governo SPLA guidato da Kiir?
Grazie mille per l'opportunità. Ho lasciato il regime di Kiir perché ha tribalizzato il paese e diviso il nostro popolo. La cricca tribale che ora governa il nostro paese ha saccheggiato tutte le nostre risorse e risorse di persone vulnerabili alla povertà, alle malattie e così via. Non esiste un buon sistema di governance e nessuno sviluppo nel paese. Hanno lasciato le persone per uccidersi; i villaggi stanno combattendo l'uno contro l'altro. Quindi, in effetti, il governo di Kiir ha distrutto il nostro paese e il nostro popolo.
Dici che Kiir ha trasformato SPLA in un esercito tribale e partigiano, perché non gli hai semplicemente sconsigliato di farlo in modo che potesse cambiare invece di dimettersi?
Abbiamo assistito Kiir come uno dei compagni e dei nostri leader durante l'inizio di SPLA. Lo abbiamo avvisato dopo la firma dell'accordo di pace, ma ci ha spazzato via. Kiir iniziò a costituire gruppi tribali nell'esercito. Stavamo parlando con lui per la sicurezza della nostra gente. Ma penso che Kiir e il suo gruppo tribale abbiano in programma di controllare il Paese. Durante tutto questo tempo, abbiamo parlato con lui e il consiglio di difesa era solito sedersi e discutere della questione della formazione di un esercito nazionale. Ma Kiir e il suo gruppo non erano interessati a condividere il comando dell'esercito nazionale. La mia decisione di lasciare il governo e formare il National Salvation Front (NSF) fu il risultato della mancata ascolto di Kiir da parte di Kiir. Ha rifiutato tutti i nostri consigli per formare un esercito nazionale. La gloria di SPLA non è più lì. Ora è una milizia più grande.
Hai lanciato un nuovo gruppo ribelle, NSF, non pensi che questo causerà più caos nel Sud Sudan?
In effetti, c'è già il caos nel Sud Sudan. Tutto il mondo lo sa. Ci sono molte uccisioni da parte dell'esercito tribale, molta distruzione delle proprietà delle persone, molti saccheggi, molti stupri sulle donne. Il nostro popolo è lasciato a combattere tribù contro tribù, clan contro clan. Non c'è Sud Sudan mentre parliamo. Kiir ha causato tutto il caos. L'NSF, che abbiamo formato, sta combattendo per salvare la gente del Sud Sudan e ripristinare l'unità della nostra gente. NSF è stata formata da uomini e donne molto preoccupati che sono molto nazionalisti e si sono impegnati a salvare la nostra gente.
Kiir e Machar hanno firmato un accordo di pace nell'agosto 2015 in quello che è stato visto come un trampolino di lancio verso il recupero della pace nel Sud Sudan, ma non ha mai funzionato; cosa pensi sia andato storto?
L'accordo di pace non ha funzionato perché Kiir e il suo regime hanno rifiutato di attuare l'accordo di pace. Ricordo circa quattro giorni dopo la firma dell'accordo, Kiir ha chiesto il comando militare al suo palazzo per un incontro e ci ha detto in dettaglio che non avrebbe accettato l'accordo di pace se glielo avessimo imposto, e quindi , non lo avrebbe implementato. Disse ai comandanti di ottenere veicoli e di portare più forze a Juba. Da quel giorno, ho saputo che non ci sarebbe stato un accordo di pace nel paese e la gente avrebbe combattuto di nuovo. Ciò ha provocato i combattimenti di luglio 2016, in cui Kiir voleva uccidere Machar. Ma Machar è molto innocente. È venuto in Sud Sudan per attuare l'accordo di pace. Kiir e il suo gruppo sono quelli che si sono rifiutati di attuarlo e ciò ha provocato l'uccisione di molte persone nel nostro paese.
Allora, ti sei unito a Machar?
Non mi sono unito a Machar. Pensiamo che il Sud Sudan abbia ora bisogno di un nuovo veicolo per liberare la sua gente. Pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di una nuova barca per attraversarli. Rispettiamo Machar e il suo gruppo in opposizione per il loro dissenso contro Kiir, ma pensiamo che il Sud Sudan abbia bisogno di un nuovo veicolo.
Molti ti guardano come un generale a cui piace il Sud Sudan e la comunità internazionale, sei disposto a prendere la leadership in caso ti venga richiesto?
Naturalmente dipende dalla nostra gente. Non stiamo lottando per la leadership per vostra informazione. Non stiamo lottando per posizioni politiche. Stiamo combattendo per liberare il nostro popolo e creare quell'atmosfera e quell'ambiente democratici che possano consentire al nostro popolo di scegliere i suoi leader e il tipo di governo che desiderano. Non vogliamo imporci su di loro.
Dici che Kiir dovrebbe essere rovesciato per aver distrutto il Sud Sudan, ha deviato le dottrine per le quali SPLA ha combattuto sotto la guida del defunto dottor John Garang, e quali sono?
Sì, Kiir ha abbandonato gli ideali e i principi della nostra lotta come SPLA guidato dal defunto Garang. Hanno abbandonato tutto. In molti dei nostri documenti, SPLA parlava di libertà per il nostro popolo, protezione della nostra libertà, sviluppo del nostro paese e unità del nostro popolo. Kiir non ha sostenuto questi ideali della nostra lotta. Perfino i suoi stessi tribemati stanno combattendo l'uno contro l'altro; villaggio contro villaggio, clan contro clan.
Kiir accusa le forze antigovernative alleate di Machar di violare il patto di Addis, è vero?
Naturalmente non faccio parte del gruppo di Machar, quindi non so se in parte violino l'accordo di pace. Ma soprattutto, è il governo che sta attaccando il popolo e Machar. È la milizia di Kiir che sta attaccando le posizioni di Machar.
Vedi la mano di Khartum o altre forze esterne in questo conflitto?
No, non c'è mano di nessuno (esterno) che porti conflitti nel Sud Sudan. Sono Kiir e il suo gruppo che stanno distruggendo il nostro paese e uccidendo persone.
Quali sono i principali problemi che ritieni responsabili dell'instabilità nel Sudan del Sud?
Naturalmente il numero uno è il cattivo governo nel paese, il tribalismo, la corruzione, il nepotismo e il saccheggio delle risorse. Allo stesso tempo, il governo sta rovinando le nostre relazioni con i nostri vicini e la comunità internazionale. Non c'è sviluppo nel paese, la nostra gente è lasciata nella povertà, nessun servizio sanitario, nessun servizio nel paese.
Parli del governo di Kiir che rovina le relazioni con i vicini; come quale?
Perfino l'Uganda. È la milizia di Kiir che ruba dai negozi dei nostri fratelli e sorelle dell'Uganda con i quali vivevamo insieme in pace nel Sud Sudan. Se ricordi l'incidente di luglio dell'anno scorso, tutti i negozi di uomini d'affari ugandesi furono saccheggiati dall'esercito di Kiir. Molti di loro furono uccisi e persino le donne dell'Uganda furono violentate dalle forze di Kiir. Quindi, Kiir ha danneggiato la nostra immagine e il nostro rapporto con la nostra sorella, l'Uganda. Naturalmente, se ricordi bene, il presidente Mzee (Yoweri) Museveni è questa icona che ha supportato il nostro popolo. Rimase al nostro fianco fino a quando non diventammo un paese indipendente. Quindi, Kiir non può usare il suo esercito per abusare dei nostri fratelli e sorelle dall'Uganda. Abbiamo questa storia, che vogliamo approfondire, ma Kiir la sta distruggendo. NSF intende ripristinare il rapporto tra il nostro popolo (Sudan del Sud) e l'Uganda.
Come pensi che la questione del Sud Sudan possa essere risolta per far prevalere la pace?
Penso che abbiamo bisogno di tutti i nostri gruppi politici e della società civile nel paese per sederci in un ambiente molto chiaro fuori dal Sud Sudan in un luogo neutro, pacifico e sicuro in modo che ogni gruppo parli la propria mente in modo che siamo d'accordo sui principi di come può portare pace e giustizia nel nostro paese. I colloqui avviati dal governo sono uno scherzo. Immagina un lupo che dice alle capre di venire a casa per un incontro! Come può una iena permettere alle capre di andare a casa per una riunione e venire fuori in sicurezza? Abbiamo bisogno di un vero dialogo di pace per il nostro popolo in un luogo neutrale, in modo da concordare i principi su come riportare la pace nel nostro paese.
Pensi che giocatori come Kampala abbiano aiutato il Sud Sudan in qualche modo?
Il popolo dell'Uganda, come nostri fratelli e sorelle, pensiamo che abbiano un ruolo. Sai che è tuo fratello che può venire in tuo aiuto. Speriamo che il popolo dell'Uganda e il suo governo possano venire in nostro aiuto e difendere il popolo del Sud Sudan, che ora soffre e muore, non il governo (di Kiir) che sta davvero distruggendo il nostro popolo.
Quindi, come pensi che l'Uganda dovrebbe aiutare?
Naturalmente ci sono molti modi, ma questo è lasciato alla direzione ugandese per decidere. Ma l'Uganda insieme alla comunità internazionale dovrebbe stare al fianco delle persone che soffrono, in particolare dei rifugiati.
BY RAIAWADUNIA · GEN 14, 2020
I pozzi petroliferi di Paloich, nella regione dell’Alto Nilo, in Sud Sudan, sono gli unici a essere rimasti attivi nell’inferno della guerra civile che ha insanguinato il giovanissimo paese africano.
” La prima volta che sono stata a Paloich, nel 2018, mi ha colpito quanto un gruppetto della comunità cristiana che aveva accolto me e il parroco ci ha subito detto: «Questo non è un buon posto. Qui la gente muore di strane malattie». Le malattie sono legate all’alto tasso di inquinamento dell’ambiente”, racconta a Nigrizia suor Elena Balatti.
” La maggior parte degli abitanti della zona lavora per la compagnia petrolifera che estrae il greggio e lo incanala nell’oleododotto che va verso il Sudan e il porto sul Mar Rosso. “La compagnia” è una specie di mantra che si sente ripetere costantemente. I turni di lavoro scandiscono la vita quotidiana di singoli e famiglie; anche la domenica, perché i macchinari non possono essere fermati.
È da più di 15 anni che si estrae petrolio intorno a Paloich: significa milioni di dollari nelle casse del governo del Sudan prima dell’indipendenza e in quelle del governo del Sud Sudan dal 2011. Quando si arriva al mercato di Paloich è forte il disappunto nel vedere solo case costruite con materiali di fortuna e coperte di lamiere, nessun edificio in muratura.
Lo stesso tipo di strutture fiancheggia la via principale e quelle adiacenti. Alcune abitazioni sono capanne in paglia e fango. La strada è sterrata, con un tratto asfaltato solo su un lato del percorso che unisce Paloich a Melut, il porto sul Nilo.
A inizio dicembre, ha scioperato il personale delle cucine della compagnia. Chiedono un aumento di salario, che non raggiunge l’equivalente di 20 euro al mese (!). Gli operai alle stazioni di pompaggio arrivavano a circa 50 euro. La casa della famiglia che mi ha ospitato è stata costruita con pali, lamiere e pezzi vari che sembravano vecchie parti dei macchinari per pompare il petrolio…..”.
Una situazione disperante. L’ennesima testimonianza di come le ricchezze del sottosuolo africano non beneficiano per nulla le popolazioni locali ma solo una minoranza di leader corrotti e potenti compagnie petrolifere.
Ad operare a Paloich è la DAR Petroleum Operating Company (DPOC), consorzio di compagnie petrolifere del quale fanno parte due compagnie cinesi, China’s Sinopec e CNCP, la malese Petronas, la sud sudanese Nilepet, e l’egiziana Tri-Ocean Energy.
E mentre la gente del Sud Sudan fa la fame, muore di inquinamento e guerra….
…la Petronas è stata fornitrice e sponsor per alcuni anni della squadra svizzera Sauber in Formula 1. Inoltre, è azionista al 40% della Sauber Petronas Engineering, la struttura che cura l’aspetto tecnico della scuderia. Dalla stagione 2010 è partner del team Mercedes AMG F1.
Dal 1999 al 2002 Petronas è stata sponsor ufficiale della Yamaha nella classe 250. I piloti erano Sebastian Porto e Naoki Matsudo.
Ha preso parte al campionato Mondiale Superbike dal 2003 al 2006 finanziando la costruzione della Petronas FP1 e supportanto il team Foggy Racing.
Dal 2009 al 2011 è stata partner ufficiale del team Yamaha nel Motomondiale classe MotoGP .
Dal 2019 è sponsor del team Yamaha SRT .
La compagnia è stata poi sponsor del team ufficiale Abarth nel Campionato Italiano Rally 2010.
Sud Sudan. Vescovo di Yei: "La gente prega perché il Papa venga"
Messaggio di Natale ai leader politici sud-sudanesi a firma congiunta del Santo Padre Francesco, dell’Arcivescovo di Canterbury, S.G. Justin Welby, e dell’ex-
Moderatore della Chiesa di Scozia, Rev.do John Chalmers, 25.12.2019
Natale 2019
Illustri Signori,
In occasione del Santo Natale e dell’inizio del Nuovo Anno, desideriamo formulare a voi e al popolo Sud-Sudanese i migliori auguri di pace e di prosperità, assicurando la nostra vicinanza ai vostri sforzi per l’attuazione sollecita degli Accordi di pace.
Eleviamo pertanto le nostre preghiere al Cristo Salvatore per un rinnovato impegno nel cammino di riconciliazione e di fraternità e invochiamo abbondanti benedizioni su ciascuno di voi e sull’intera Nazione.
Il Signore Gesù, Principe della Pace, illumini e guidi i vostri passi nella bontà e nella verità, affinché si renda possibile la nostra auspicata visita a codesto caro Paese.
FRANCESCO JUSTIN WELBY JOHN CHALMERS
[02096-IT.01] [Testo originale: Inglese]
SUOR ELENA BALATTI
Cari fratelli e sorelle,
a un anno dalla firma dell'Accordo di pace rivitalizzato per il Sud Sudan ho pensato che valesse la pena contattarti con un breve aggiornamento degli ultimi sviluppi nel paese. La speranza per la pace deve sempre essere mantenuta sebbene sia realistico aspettarsi che il viaggio durerà a lungo.
I manifestanti pacifici sudanesi hanno sorpreso il mondo con la fine della regola dei 30 anni di Omar al-Bashir. Questa può essere sicuramente una buona notizia per i problemi delle montagne di Nuba.
Dio è grande, come dicono i nostri fratelli e sorelle musulmani,
Sr. Elena
SUDAN SUDAN e NUBA MOUNTAINS NEWS AGGIORNAMENTO - 14 SETTEMBRE 2019
Lo scorso aprile ha segnato un momento storico nella lunga tradizione della diplomazia vaticana e nella recente storia del Sud Sudan, quando Papa Francesco ha invitato il presidente Salva Kiir e Riek Machar, leader dell'opposizione armata IO, per un momento di preghiera e riconciliazione. I due leader accettarono l'invito e il Papa li supplicò per la pace nel loro paese, chiedendo loro di essere "padri" per il loro popolo. Francis arrivò persino a inginocchiarsi di fronte a loro e baciargli i piedi.
L'esperienza del Vaticano ha lasciato emotivamente toccati i politici, ma è stato difficile per loro andare avanti nell'attuazione dell'accordo di pace. La formazione di un governo di unità nazionale, un passo cruciale, è stata posticipata di sei mesi, fino a novembre 2019. Le Chiese del Sud Sudan hanno monitorato gli sviluppi politici, di volta in volta richiamando i dirigenti alle loro responsabilità senza perdere la speranza.
A giugno il Consiglio delle Chiese del Sud Sudan ha emesso una prima dichiarazione in cui condannava direttamente la violenza di genere che è stata ampiamente utilizzata come strumento di guerra in questi anni di tumulti e conflitti. Le Chiese hanno fatto appello alle comunità e alle famiglie per sostenere le vittime del GBV e non per stigmatizzarle o, peggio ancora, respingerle, aggiungendo un'altra sofferenza al loro calvario.
UN ANNO DOPO LA FIRMA DELL'ACCORDO DI PACE "RIVITALIZZATO"
Il 12 settembre, il primo anniversario della firma dell'accordo si stava rapidamente avvicinando senza indicazioni significative di progresso, con sgomento del grande pubblico nel Sud Sudan che ha iniziato a temere un altro crollo della diplomazia e il ritorno alle strategie militari. Il 9 settembre, alla fine Riek Machar è venuto a Juba per colloqui diretti con il presidente Salva Kiir, la prima volta che i due principali firmatari dell'accordo di pace si sono incontrati dopo il loro breve soggiorno in Vaticano lo scorso aprile.
Il presidente Salva Kiir e il leader dell'opposizione Riek Machar hanno dichiarato di aver fatto "progressi significativi" nei colloqui volti a risolvere i problemi relativi alle attività critiche.
In una breve dichiarazione dopo l'incontro di oggi, Kiir e Machar non hanno fornito dettagli ma hanno affermato che i colloqui senza precedenti a Juba erano "produttivi".
Il presidente Salva Kiir ha affermato che sono stati compiuti progressi nei colloqui. "Siate certi che le cose stanno andando bene", ha detto.
Restiamo pieni di speranza.
L'Equatoria è una triste eccezione al miglioramento generale della situazione della sicurezza nel paese. Continuano gli scontri tra la Forza di difesa popolare del Sud Sudan e il movimento ribelle del NAS guidato dal generale Thomas Cirillo, non firmatario dell'accordo di pace.
Su un avviso positivo per le due economie in difficoltà del Sudan e del Sud Sudan, nell'agenda di una recente visita del nuovo primo ministro sudanese Abdallah Hamdok si è verificata la riapertura delle frontiere tra i due paesi:
Juba - Il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok è arrivato oggi nella capitale sud-sudanese di Juba (12 settembre), per incontri con il presidente del Sud Sudan Salva Kiir e per partecipare ai negoziati (mediati da Kiir) con i movimenti armati del Sudan.
Hamdouk e Kiir hanno discusso delle relazioni bilaterali tra i due paesi, nonché dell'apertura delle frontiere tra Sud Sudan e Sudan per un libero scambio.
MONTAGNE DI NUBA
Un nuovo vento che soffia sui monti Nuba
I notevoli cambiamenti politici provocati dalle pacifiche manifestazioni civili a Khartum che si sono concluse con l'estinzione del presidente di lunga data Omar al-Bashir lo scorso aprile e la formazione di un consiglio al governo civile e militare misto stanno respirando una nuova aria nella Nuba Montagne. Il primo ministro sudanese Abdallah Hamdok ha dichiarato che la pace è una priorità per il suo governo e ha incontrato i leader dei movimenti ribelli sudanesi, tra cui la SPLM a nord di Abdel Haziiz al-Hilu a Juba.
12 settembre 2019 (JUBA) - Giovedì il Primo Ministro Abdallah Hamdok ha accolto con favore la firma da parte dei movimenti armati della Dichiarazione di pace di Juba in Sudan e ha promesso di attuare l'intero accordo.
A margine della sua visita di due giorni a Juba, Hamdok ha incontrato giovedì sera i leader dei movimenti armati a Juba. Durante una cena a cui hanno partecipato anche funzionari del Sud Sudan, ha discusso gli sforzi dell'autorità di transizione, incluso il suo governo e il Sovrano Consiglio, per portare la pace in Sudan e creare un ambiente favorevole per una transizione democratica.
Sud Sudan, il vescovo di Juba: “Il bacio del Papa ha smosso i politici”
Lo storico incontro tra leader politici e spirituali voluto da Francesco ed il primate anglicano Welby in Vaticano, è l’estremo tentativo di implorare la pace e rivitalizzare l’accordo di settembre
Resterà alla storia il gesto di un Papa che si inginocchia e bacia i piedi di leader politici del Sud Sudan dal curriculum bagnato di sangue, quasi ad addolcire, con un gesto di infinita umiltà, i loro cuori e le loro menti e forzarli a deporre armi e propositi violenti. Resterà l’invito pronunciato a braccio, senza la formalità del discorso preparato: «Ve lo chiedo come fratello, restate nella pace. Avete iniziato un processo, non lasciatelo cadere. Ci saranno lotte tra voi, ma davanti al popolo, presentatevi uniti, così diverrete padri della nazione». Ma resteranno anche gli impegni presi solennemente da leader politici, religiosi, civili davanti al mondo intero che inducono a sperare in un esito positivo del traballante processo di pace al loro ritorno.
Dopo che i vescovi avevano lanciato, sul finire di febbraio scorso, un appello accorato a «ridare fiato» all’accordo di settembre che languiva in uno stallo preambolo dell’ennesimo fallimento, il Papa e l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, storicamente uniti dalla passione per questo Paese, il più giovane al mondo (indipendente dal Sudan nel 2011) e precipitato nel 2013 in una guerra civile dagli effetti devastanti (400mila morti, 7 milioni di abitanti allo stremo, quasi 4 milioni di sfollati interni ed esterni), hanno optato per un’iniziativa che sparigliasse i canoni e mettesse tutti davanti alle proprie responsabilità di leader da una parte, di cristiani dall’altra (il Sud Sudan è quasi totalmente composto da fedeli di Gesù).
Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, ed il leader della fazione armata ribelle Riek Machar, assieme ai due vicepresidenti, i religiosi e rappresentanti del clero sud sudanese, sono stati invitati in Vaticano per un “ritiro spirituale” che, alla vigilia di Pasqua e in vista dell’entrata in vigore ufficiale dell’accordo, il prossimo 12 maggio, favorisse impegni ufficiali e ponesse fine a ogni tentennamento o ricerca del proprio interesse a scapito della popolazione. L’esperimento è perfettamente riuscito, le attese nuovamente ravvivate.
A parlare di questa due giorni straordinaria in esclusiva per Vatican Insider, uno dei protagonisti dell’incontro, l’arcivescovo di Juba, capitale del Sud Sudan, Paulino Lukudo.
«Siamo venuti a Roma in cerca dell’ultimo appiglio per la pace e ascoltare dai nostri leader religiosi indicazioni per trovare nuove vie e speranze. Fino ad oggi, tanti hanno provato, ma tutti hanno fallito, i nostri leader politici, l’Unione Africana, la UE, l’Uganda, il Kenya, l’Etiopia, il Sudan: da quando nel 2013 è scoppiata la guerra, ci sono stati tanti interlocutori che hanno provato ma non sono mai riusciti. E allora, come una benedizione è giunto questo invito e siamo arrivati qui con la volontà di metterci in ascolto dei nostri leader religiosi»
Come è nata l’idea del ritiro spirituale per il Sud Sudan?
«È stato l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ad aver lanciato l’idea. Ha proposto al Papa di convocare il ritiro e di farlo a Roma. Francesco ha subito accolto la proposta con entusiasmo ed ha aperto la sua casa, Santa Marta, per ospitare l’incontro. Era presente anche l’ex moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia, John Chalmers, ed è stata l’occasione di ascoltare i nostri rappresentanti religiosi. Il Papa ha detto chiaramente: “La guerra non potrà mai portare la pace, l’unica via è affrontare i problemi senza l’uso delle armi e risolverli davanti al popolo”. È il messaggio centrale di questi giorni, bisogna in ogni modo fermare la guerra».
L’incontro si è chiuso con un gesto clamoroso del Pontefice, era previsto?
«Assolutamente no. Quando il Papa si è inginocchiato per baciare i piedi di Salva Kiir, il presidente è rimasto pietrificato, non si aspettava neanche lontanamente qualcosa del genere. Poi è stata la volta di Riek Machar che, imbarazzatissimo, ha chiesto al Papa di desistere, ma Francesco non ha voluto sentire ragioni, e, tra le lacrime di molti dei presenti ha continuato e voluto baciare i piedi anche degli altri due leader politici, Taban Deng Gai e Rebecca Nyandeng De Mabio (vedova del politico sud sudanese John Garang, ndr). Posso senz’altro affermare che il gesto di Papa Francesco ha fatto la differenza, ha cambiato qualcosa nel pensiero dei leader politici».
Ha potuto notare dei mutamenti già nel corso della due giorni?
«Dopo il bacio e il saluto finale, non ci sono state occasioni comuni, ma abbiamo condiviso il pasto e le posso assicurare di aver visto Kiir e Machar conversare amabilmente per la prima volta dopo anni, erano molto più rilassati e parlavano come due amici. Nel corso del ritiro, invece, al di là dei momenti di riflessione preghiera, sono state affrontate questioni molto delicate. Il vicepresidente Taban Deng ha chiesto a Riek Machar di fare definitivamente rientro a Juba (è in esilio a Khartoum ed è passato a Juba a settembre solo per l’accordo di pace, ndr). “Dopo oggi, chi penserà di ucciderti – ha aggiunto – saprà che lo farà davanti al mondo”. Un altro punto fondamentale affrontato è stata la costituzione di un unico esercito nazionale, Machar ha proposto di chiudere i tanti eserciti e di farne uno solo».
Come tornerete a casa dopo questo storico incontro?
«Molto rinfrancati. Noi religiosi abbiamo deciso di scrivere un documento che offra una serie di raccomandazioni e lo renderemo pubblico a breve. Machar ha chiesto di far slittare la deadline del 12 maggio per l’entrata in vigore dell’accordo e lo considero un primo importante segnale per prendere tempo e fare le cose per bene. In ogni caso, da quando a febbraio noi vescovi abbiamo scritto un duro documento di denuncia per lo stallo dell’accordo, la situazione è cambiata, noi abbiamo scelto di dare voce al nostro popolo ormai disperato, i politici hanno sentito l’urgenza e oggi, all’indomani di questo incontro, non si potrà più tornare indietro».
Sud Sudan. Padre Latansio (Consiglio Chiese cristiane): “Quel bacio mi ha commosso e colpito
”Lacrime e commozione ma soprattutto la speranza oggi che un piccolo spiraglio di luce si è aperto nella lunga notte che da anni sta vivendo il Paese. Così padre James Oyet Latansio, segretario generale del Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, ripercorre il ritiro spirituale che con l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, si è svolto in Vaticano, presso la Domus Sanctae Marthae, con la partecipazione delle massime autorità civili ed ecclesiastiche del Sud Sudan. “Il fatto che Papa Francesco abbia baciato i piedi a questi governanti del Sud Sudan che per anni lottano tra loro per ammazzarsi, mi ha commosso molto. Non mi aspettavo che il Papa arrivasse al bacio”, esordisce subito padre Latansio, raggiunto telefonicamente a Juba dal Sir.
Perché arrivare addirittura al bacio dei piedi?
Il Papa ha dovuto dire con un gesto clamoroso che si può servire il popolo con umiltà e semplicità. Questo è il messaggio. Come il gesto di Gesù con la lavanda dei piedi, la stessa cosa ha fatto Papa Francesco per dare il segnale che non basta essere capi di una Nazione se non si serve con umiltà il proprio popolo. Mi ha commosso. Mi ha colpito molto.
Come ha reagito la gente a Juba nel vedere queste immagini alla tv?
Sono arrivato ieri a Juba e mi hanno chiesto: “Come mai il Papa ha fatto questo?”. E io ho risposto: “È stato un gesto di umiltà per ricordare a tutti che occorre essere semplici e umili in qualsiasi cosa”. Tanti dei miei fedeli mi hanno detto di aver pianto quando hanno visto questo gesto del Papa. In molti mi hanno detto che può essere letto in due modi. Il primo come una benedizione, affinché questi governanti possano rendere felice il popolo in Sud Sudan. Oppure come un avvertimento se non mettono in pratica quello che hanno vissuto. Qui tanti dicono che questi leader hanno le mani insanguinate. Sono persone che hanno ammazzato ed ora hanno questo incarico. Il gesto del Papa rimane come un invito a prendere a cuore il suo messaggio di pace, a mettersi ora a servizio umile della Nazione. Il popolo sudanese è stanco. Ha sofferto anni di guerra, di conflitto. Ora sta soffrendo malattie e ancora morti.
E quale reazione invece hanno avuto i tre leader?
Il Papa ha baciato per primo i piedi del presidente Salva Kiir Mayardit. Lui non voleva che il Papa gli baciasse i piedi. Ha detto di no. “Santità, non può baciarmi i piedi”. Ma il Papa ha risposto, ha insistito, gli hanno tradotto quanto il Papa gli ha detto, e lui alla fine ha ceduto, “va bene”. Parlava con le lacrime agli occhi, commosso. La stessa cosa è successa con il vice-presidente Riek Machar Teny Dhurgon. Ora Salva Kiir è arrivato a Juba e gli atteggiamenti sono cambiati. Si respira un clima buono. Siamo nella Settimana Santa. Questa è la mia fede. Questa è la mia speranza che sarà l’ultima cosa a morire.
Che cosa hanno fatto questi leader politici a Santa Marta?
Hanno pregato. Erano soli. Non c’erano guardie. Non c’era nessuno. Soli nella loro stanza. Hanno pregato, avuto colloqui con l’arcivescovo di Canterbury e i capi delle Chiese del Sud Sudan. Tutto si è svolto in un clima di intimità. È stato un vero ritiro di preghiera senza discorsi politici. Una preghiera che richiamava al loro dovere, al loro impegno, al giuramento che hanno fatto al popolo.
C’è un accordo di pace. Il Papa stesso ha detto che gli accordi sono sempre fragili. Lei crede davvero che dopo questi giorni a Roma si può ricominciare a sperare?
Noi, come Consiglio delle Chiese del Sud Sudan, speriamo e crediamo che loro possano mettere questo accordo in pratica nella lettera, nelle parole, nelle azioni. Noi crediamo che tutto andrà a buon fine, anche con l’aiuto dei nostri amici in Italia, con la Comunità di Sant’Egidio che ci aiuta in questo cammino di mediazione, di incontro perché i cuori di questi uomini possano cambiare. È duro in questa situazione lasciare spazio alla speranza, a superare il dubbio. Però noi non ci sentiamo soli. Abbiamo voi. Il popolo italiano, la Comunità di Sant’Egidio. Il vostro aiuto e le vostre preghiere toccano il cuore, anche il cuore dei potenti. La vostra preghiera ha fatto sì che questi leader accettassero l’invito del Vaticano e di mettersi di fronte alla verità. La vostra preghiera ci ha aiutato a rinnovare la speranza. In questa Settimana Santa noi guardiamo avanti. Grazie per quello che fate, grazie per i tanti missionari e laici, i nostri angeli italiani che lavorano, anche in situazioni di pericolo, in luoghi dove non c’è nulla. Solo morte e sofferenza. Sono lì per stare accanto nel servizio e con il sorriso, per non lasciare soli le loro sorelle e fratelli che soffrono. Basta morte. Basta.
Radio Bakhita (la radio di Juba)
Il Vescovo della Diocesi episcopale di Yei sta chiedendo ai cittadini di restare unire. Esortando loro ad unirsi per aiutarsi a vicenda nei momenti difficili.
Il Vescovo dice che sono successe tante cose brutte al popolo di Yei come le uccisioni e gli spostamenti.
Il Vescovo dice che sono successe tante cose brutte al popolo di Yei come le uccisioni e gli spostamenti.
Il segretario Vaticano in visita
Il segretario del Vaticano di relazione degli stati o del ministro degli esteri è arrivato a Juba giovedì per familiarizzare con la situazione del popolo sudanese del Sud.
L' Arcivescovo Paul Richard Gallagher ha raccontato alla stampa a Juba che riunirà leader delle chiese cattoliche e altre chiese e funzionari di alto governo, tra cui il presidente Salva Kiir.
Ha detto che il Vaticano è entusiasta di vedere che ciò che è stato raccontato dai media nazionali e internazionali sul Sud Sudan corrisponde alla verità.
Il Segretario delle Relazione degli Stati ha detto che la Santa Sede vuole approfondire le sue relazioni con il Sud Sudan.
Ha detto che il Papa vuole leader e persone del Sud Sudan per lavorare per la pace e l'unità nel giovane paese.
Il Vice Ministro degli affari esteri del Sud Sudan, l'arcivescovo di Juba Paolino Lukudu Loro , il Vescovo di Yei Erkolano Lodu, i vescovi e gli amministratori apostolico del Sudan e del Sud Sudan hanno ricevuto l'arcivescovo Richard all'aeroporto di Juba.
Altri Dignitari del governo, un numero di preti, sorelle, fratelli, legione di Maria e cori hanno partecipato al suo arrivo.
L' Arcivescovo Paul Richard Gallagher ha raccontato alla stampa a Juba che riunirà leader delle chiese cattoliche e altre chiese e funzionari di alto governo, tra cui il presidente Salva Kiir.
Ha detto che il Vaticano è entusiasta di vedere che ciò che è stato raccontato dai media nazionali e internazionali sul Sud Sudan corrisponde alla verità.
Il Segretario delle Relazione degli Stati ha detto che la Santa Sede vuole approfondire le sue relazioni con il Sud Sudan.
Ha detto che il Papa vuole leader e persone del Sud Sudan per lavorare per la pace e l'unità nel giovane paese.
Il Vice Ministro degli affari esteri del Sud Sudan, l'arcivescovo di Juba Paolino Lukudu Loro , il Vescovo di Yei Erkolano Lodu, i vescovi e gli amministratori apostolico del Sudan e del Sud Sudan hanno ricevuto l'arcivescovo Richard all'aeroporto di Juba.
Altri Dignitari del governo, un numero di preti, sorelle, fratelli, legione di Maria e cori hanno partecipato al suo arrivo.
DISPERATA RICHIESTA DI AIUTO (osservatore Romano)
Se le condizioni interne, in particolare quelle della sicurezza, lo permettono, Papa Francesco potrebbe visitare il Sud Sudan nel mese di ottobre prossimo. Così il vescovo sud-sudanese di Yei, mons. Erkolano Tombe. Il presule ha precisato alla Reuters che i vescovi del Paese sono stati informati da fonti vaticane su questa eventualità senza però che fosse precisata la data. Mons. Tombe, che si trova a Roma per prendere parte ad un incontro della Caritas Internazionale, ha osservato che se le attuali condizioni di sicurezza resteranno immutate la visita del Papa ad ottobre è molto probabile.
Nella riunione della Caritas il vescovo di Yei ha parlato sulla disastrosa situazione della sua città, a sud ovest della capitale, Juba, e vicina al confine con l'Uganda e la Repubblica Democratica del Congo. Gran parte della popolazione del Paese, oltre 5.5 milioni di abitanti oltre a numerose e ripetute situazioni di violenza a sfondo politico, affronta una severa scarsità di cibo e acqua.
Nella Chiesa Anglicana di Roma, lo scorso 26 febbraio, il Papa, rispondendo ad una domanda sulle "chiese giovani", a sorpresa anticipò il suo desiderio di visitare il Sud Sudan insieme con il Primate anglicano J. Welby. In concreto Francesco disse: "Ma le chiese giovani hanno più vitalità e anche hanno il bisogno di collaborare, un bisogno forte. Per esempio io sto studiando, i miei collaboratori stanno studiando la possibilità di un viaggio in Sud Sudan. Perché? Perché sono venuti i Vescovi, l’anglicano, il presbiteriano e il cattolico, tre insieme a dirmi: “Per favore, venga in Sud Sudan, soltanto una giornata, ma non venga solo, venga con Justin Welby”, cioè con l’arcivescovo di Canterbury. Da loro, Chiesa giovane, è venuta questa creatività. E stiamo pensando se si può fare, se la situazione è troppo brutta laggiù… Ma dobbiamo fare perché loro, i tre, insieme vogliono la pace, e loro lavorano insieme per la pace…"
Sud Sudan: a migliaia in fuga dal riaccendersi delle violenze
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sta registrando l’arrivo di una nuova ondata di rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) in fuga dal Sud Sudan. Negli ultimi giorni migliaia di persone disperate hanno continuato ad attraversare il confine per fuggire dagli scontri e dalle violenze perpetrate contro i civili.
Si stima che siano 5.000 i rifugiati giunti in diversi villaggi di confine vicini alla città di Ingbokolo, nella provincia nordorientale di Ituri, nella RDC, secondo quanto riferito dai capivillaggio locali. Altre 8.000 persone, inoltre, sarebbero sfollate all’interno del Sud Sudan, nei sobborghi della città di Yei.
Le persone fuggono dagli scontri scoppiati il 19 gennaio fra l’esercito e uno dei gruppi di ribelli, il Fronte di Salvezza Nazionale (National Salvation Front/NAS). I combattimenti, in corso nello Stato di Equatoria Centrale, in Sud Sudan, al confine con RDC e Uganda, stanno rendendo impossibile l’accesso degli aiuti umanitari alle aree colpite.
Le persone fuggite dal conflitto sono giunte nella RDC a piedi nel fine settimana. La maggior parte sono donne, bambini e anziani. Sono arrivate esauste, affamate e assetate. Fra queste alcune sono affette da malaria o da altre malattie. Molte sono traumatizzate per aver assistito a violenze commesse da uomini armati, che avrebbero ucciso e stuprato civili e saccheggiato i villaggi.
Lo staff dell’UNHCR di stanza nella provincia di Ituru, riferisce che la popolazione, in preda alla disperazione, sta cercando rifugio nelle chiese, nelle scuole e nelle case abbandonate, o dorme all’addiaccio. Si tratta di una remota regione di confine i cui villaggi sono quasi totalmente sprovvisti di infrastrutture o ambulatori medici. I nuovi arrivati stanno sopravvivendo grazie al cibo che la popolazione locale condivide con loro.
Le aree in cui sono arrivati i rifugiati sono difficili da raggiungere: strade e ponti sono seriamente danneggiati e in rovina. Le autorità congolesi stanno sollecitando i rifugiati ad andarsene da questa zona di confine estremamente instabile e a dirigersi nell’entroterra, dove possono ricevere maggiore assistenza.
L’UNHCR ha dispiegato ulteriore personale a Ituri per poter registrare i rifugiati e supportare le procedure di un loro possibile ricollocamento. Tuttavia, sono necessari fondi per allestire alloggi e assicurare cibo, acqua potabile e assistenza medica nel più vicino insediamento di rifugiati, a Biringi. Biringi si trova più a sud e attualmente accoglie oltre 6.000 rifugiati sudsudanesi.
Il conflitto in Sud Sudan ha generato oltre 2,2 milioni di rifugiati a partire dal 2013. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lancia nuovamente un appello affinché le parti coinvolte intraprendano tutte le azioni possibili per garantire la sicurezza e la libertà di movimento dei civili, assicurando l’istituzione di corridoi umanitari che permettano di abbandonare le aree teatro di scontri.
L’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sta registrando l’arrivo di una nuova ondata di rifugiati nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) in fuga dal Sud Sudan. Negli ultimi giorni migliaia di persone disperate hanno continuato ad attraversare il confine per fuggire dagli scontri e dalle violenze perpetrate contro i civili.
Si stima che siano 5.000 i rifugiati giunti in diversi villaggi di confine vicini alla città di Ingbokolo, nella provincia nordorientale di Ituri, nella RDC, secondo quanto riferito dai capivillaggio locali. Altre 8.000 persone, inoltre, sarebbero sfollate all’interno del Sud Sudan, nei sobborghi della città di Yei.
Le persone fuggono dagli scontri scoppiati il 19 gennaio fra l’esercito e uno dei gruppi di ribelli, il Fronte di Salvezza Nazionale (National Salvation Front/NAS). I combattimenti, in corso nello Stato di Equatoria Centrale, in Sud Sudan, al confine con RDC e Uganda, stanno rendendo impossibile l’accesso degli aiuti umanitari alle aree colpite.
Le persone fuggite dal conflitto sono giunte nella RDC a piedi nel fine settimana. La maggior parte sono donne, bambini e anziani. Sono arrivate esauste, affamate e assetate. Fra queste alcune sono affette da malaria o da altre malattie. Molte sono traumatizzate per aver assistito a violenze commesse da uomini armati, che avrebbero ucciso e stuprato civili e saccheggiato i villaggi.
Lo staff dell’UNHCR di stanza nella provincia di Ituru, riferisce che la popolazione, in preda alla disperazione, sta cercando rifugio nelle chiese, nelle scuole e nelle case abbandonate, o dorme all’addiaccio. Si tratta di una remota regione di confine i cui villaggi sono quasi totalmente sprovvisti di infrastrutture o ambulatori medici. I nuovi arrivati stanno sopravvivendo grazie al cibo che la popolazione locale condivide con loro.
Le aree in cui sono arrivati i rifugiati sono difficili da raggiungere: strade e ponti sono seriamente danneggiati e in rovina. Le autorità congolesi stanno sollecitando i rifugiati ad andarsene da questa zona di confine estremamente instabile e a dirigersi nell’entroterra, dove possono ricevere maggiore assistenza.
L’UNHCR ha dispiegato ulteriore personale a Ituri per poter registrare i rifugiati e supportare le procedure di un loro possibile ricollocamento. Tuttavia, sono necessari fondi per allestire alloggi e assicurare cibo, acqua potabile e assistenza medica nel più vicino insediamento di rifugiati, a Biringi. Biringi si trova più a sud e attualmente accoglie oltre 6.000 rifugiati sudsudanesi.
Il conflitto in Sud Sudan ha generato oltre 2,2 milioni di rifugiati a partire dal 2013. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lancia nuovamente un appello affinché le parti coinvolte intraprendano tutte le azioni possibili per garantire la sicurezza e la libertà di movimento dei civili, assicurando l’istituzione di corridoi umanitari che permettano di abbandonare le aree teatro di scontri.
I MINORI, CARNE DA MACELLO
Nel 2017 l’arruolamento e l’utilizzo dei più piccoli in combattimento è quadruplicato nella Repubblica Centrafricana e raddoppiato nella Repubblica democratica del Congo e in Sud Sudan.
Il 12 febbraio si celebra la giornata Internazionale contro l’uso dei bambini soldato. Proprio in questo giorno, nel 2002, è infatti entrato in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, che vieta il reclutamento e l’utilizzo dei minori di 18 anni in combattimento. Nonostante l’impegno, sottoscritto da oltre 150 paesi, però, il drammatico fenomeno è ben lungi dall’essere terminato.
Nel rapporto: “Le sorti dei bambini in tempi di conflitti armati”, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, elenca gli eserciti e le guerriglie che li hanno utilizzati. Nel 2017 i paesi coinvolti sono stati: Afghanistan, Colombia, Repubblica Centrafricana, Filippine, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo (RdC), Siria e Yemen. In totale oltre 50 milizie, oltre agli eserciti di Siria, Sud Sudan, Somalia e Yemen.
Nelle guerre in corso l’utilizzo dei ragazzini come carne da macello è una cosa assai frequente, mentre le femmine sono usate prevalentemente come schiave sessuali o come cuoche. L’Onu sottolinea il rapimento dei minori su larga scala quale fattore che alimenta il fenomeno.
Nel 2017 rispetto all’anno precedente, l’arruolamento e l’utilizzo dei più piccoli è quadruplicato nella Repubblica Centrafricana, è raddoppiato nella Repubblica democratica del Congo (oltre 1.000 casi), nel Sud Sudan (1.200 casi), in Siria (quasi 1.000 casi) e nello Yemen (850 casi), mentre rimane sempre molto alto in Somalia (oltre 2.000 casi). Nell'ex colonia italiana, il rapimento di 1.600 ragazzi da parte di al-Shabaab dimostra quanto sia diffuso il loro utilizzo in combattimento e nelle funzioni di sostegno ai combattenti. In Somalia hanno però arruolato minori sia l’esercito (oltre 100 casi), sia la polizia (11 casi).
Resta inoltre elevato il numero di bambini detenuti in quanto considerati appartenenti alla guerriglia. In Iraq sono almeno un migliaio, carcerati in apposite prigioni per minori, poiché accusati di far parte dell’Isis. In Nigeria sono quasi duemila i fanciulli detenuti per la presunta appartenenza, loro o delle loro famiglie, a Boko Haram.
Guterres ha ricordato alle autorità che i minori in precedenza associati alla guerriglia devono essere trattati come delle vittime e non come criminali. Il primo passo per far uscire i bambini dall’incubo è la smobilitazione, e gli sforzi delle Nazioni Unite nel 2017 hanno reso possibile la smobilitazione di oltre diecimila fanciulli utilizzati da varie guerriglie nel mondo. Ma separare i piccoli dalle armi è solo il primo passo, verso una nuova vita in paesi distrutti da guerre anche decennali. E’ indispensabile fornire aiuti psicologici ed educativi, per rompere il ciclo della violenza e consolidare la pace.
Purtroppo nella RdC oltre ottomila fanciulli liberati dalle diverse forze guerrigliere non hanno avuto alcun aiuto per reintegrarsi nella vita civile, a causa della mancanza di fondi. Anche in Sud Sudan i fondi per il loro recupero sono stati dimezzati. E’ proprio questo un aspetto fondamentale per ripristinare una pace duratura, considerato anche che spesso le guerre sono combattute per il controllo di materie prime essenziali per le economie dei paesi occidentali.
UNA STORIA DI 2 DONNE: SUPERARE LE DIVISIONI POLITICHE PER SPINGERLE VERSO LA PACE A YEIFRANCESCA MOLD
"Siamo stanche. Stiamo perdendo i nostri mariti, stiamo perdendo i nostri figli. Per quanto tempo parleremo di pace? ”Grida Alice Senna Philip, mentre si siede accanto ad altre donne piangenti in un buio e umido tukul (capanna) nel cuore della città di Yei.
“I leader dovrebbero guidarci. Sono i nostri pastori e noi siamo i loro greggi. Vogliono uccidere tutti noi? Possono governare senza di noi? Oggi abbiamo bisogno di una risposta. "
Alice vive nella città di Yei, governata dal governo, nell'Equatorias centrale, che un tempo era il cestino del pane del Sud Sudan. Gli agricoltori della zona coltivavano abbastanza colture per nutrire la propria gente e le comunità in tutto il paese. Diversi gruppi vivevano insieme in pace e le donne si sentivano al sicuro viaggiando per la città e verso i villaggi vicini.
Oggi, la città è l'ombra di quello che era una volta con la guerra civile di sei anni che ha avuto un enorme tributo, costringendo migliaia di famiglie a fuggire dalle loro case e terre, dirigendosi verso siti di protezione altrove nel paese o in campi oltre il confine come rifugiati.
Per Alice e le donne di Yei, la firma di un accordo di pace otto mesi fa non si è materializzata. La sofferenza continua e la frustrazione è così immensa che sta pensando di andarsene se i leader del Paese non realizzeranno presto progressi concreti verso la pace.
"Se non vogliono avere nostre notizie, la gente del posto, abbiamo solo un'opzione", afferma. "Decideremo come donne, è meglio che lasciamo questo Paese e richiediamo asilo. Li lasciamo combattere perché a loro piace combattere. "
Panyume è a breve distanza in elicottero da Yei. Questo è il cuore del territorio detenuto dall'opposizione, dove centinaia di uomini emergono dai cespugli e dai vicini tukul d'erba con munizioni infilate sulle spalle, stringendo pistole e giochi di ruolo, mentre l'elicottero delle Nazioni Unite atterra.
Tra la massa di fatiche militari c'è Mama Joyce Kela. Vive nella foresta da quando nel 2016 sono scoppiati conflitti nella zona, scegliendo di stare con la sua gente piuttosto che fuggire in un campo di protezione. Suo marito è morto e sta crescendo i propri figli da sola.
Mentre è dalla parte opposta del divario politico, la sua esperienza di guerra e le speranze di pace sono le stesse della sua controparte, Alice, tornata a Yei detenuta dal governo.
"Sentiamo parlare di pace, ma stiamo ancora soffrendo", dice la mamma Joyce. “Gli stupri hanno persino avuto luogo in questo presunto periodo di pace. Abbiamo sentito parlare di pace ma ci sono ancora atrocità in atto. "
“Perché quando scoppia la guerra, le vittime sono le donne. Non siamo contenti I combattenti combattono a causa delle donne o perché sono solo soldati a cui piace uccidere? "
Nel mezzo di questa sofferenza, arriva una potente delegazione di mediatori di pace. Il capo della Missione delle Nazioni Unite nel Sud Sudan si è unito con l'inviato speciale dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un ente regionale che ha contribuito a mediare l'accordo di pace e il presidente ad interim della Commissione congiunta ricostituita per il monitoraggio e la valutazione, che sta supervisionando la sua attuazione.
Stanno visitando Yei perché è l'unica area del paese in cui la violenza politica continua nonostante l'accordo di pace. La delegazione ascolta attentamente le preoccupazioni di entrambe le parti, ma il loro messaggio è chiaro: la soluzione deve essere trovata all'interno, non imposta dall'esterno.
“Tutti parlano di pace. Vogliamo sapere come trarre profitto da questa pace ”, afferma l'inviato speciale IGAD, Ismail Wais. “Abbiamo sentito molte lamentele, ma queste lamentele sono il prodotto della guerra e non abbiamo alternative alla pace. La guerra non è l'opzione. "
“La pace di cui stiamo parlando non verrà dall'esterno. Viene da dentro e da te. Ecco perché siamo qui per aiutarti a venire in pace gli uni con gli altri. "
Mentre c'è un grande appetito per la pace tra la popolazione, indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche, c'è anche l'incombente minaccia di nuove violenze se il fragile processo fallisce.
A Panyume, questa possibilità è messa a nudo dalla cosiddetta Iron Lady della zona, nota anche come Ministro del genere e del welfare sociale, l'On. Hellen Abure.
“Spero che la pace sia lì. Vai in pace e lasciaci in pace. Ma ci aspettiamo che la pace sia completa perché, se dobbiamo rimanere nella boscaglia, sai cosa significa. "
Sebbene negli ultimi otto mesi siano stati compiuti progressi verso l'attuazione dell'accordo di pace, diverse questioni significative rimangono irrisolte, nonostante l'impegno delle parti a formare un nuovo governo di transizione in meno di un mese.
La delegazione di leader delle Nazioni Unite e regionali riconosce il rischio che comporta e si è impegnata a viaggiare insieme per il paese per incoraggiare il riavvicinamento e le attività di costruzione della pace.
"Noi tre che viaggiano insieme significano che abbiamo molta più potenza di fuoco nel mostrare che la comunità internazionale è concentrata, che è insieme e che vuole fare progressi reali sul campo", afferma il capo dell'UNMISS, David Shearer.
“Ovviamente ci sono alcune sfide qui riguardo ai combattimenti in corso. Sebbene negli ultimi tempi abbiamo assistito a una pausa, è l'unica area del paese in cui i combattimenti continuano. Ma noi, come le Nazioni Unite, vogliamo fare il possibile per avanzare il più possibile con il nostro pattugliamento per dare alle persone la fiducia necessaria per iniziare a tornare indietro e con i nostri sforzi per sostenere la pace nell'area ”.
Il presidente ad interim della R-JMEC, l'ambasciatore Augostino Njoroge, ha un forte messaggio per le parti in conflitto per attuare pienamente l'accordo di pace, ma fa anche un appello personale alle donne di Yei.
"Il silenziamento delle pistole è avvenuto in tutto il Sud Sudan, ma sembra non essere accaduto qui a Yei", afferma. “Abbiamo bisogno di te, come madri, per parlare con i tuoi mariti, i tuoi fratelli e i tuoi figli per portare la pace. Abbiamo bisogno che tu combatti, per combattere per la pace. "
Il 12 febbraio si celebra la giornata Internazionale contro l’uso dei bambini soldato. Proprio in questo giorno, nel 2002, è infatti entrato in vigore il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, che vieta il reclutamento e l’utilizzo dei minori di 18 anni in combattimento. Nonostante l’impegno, sottoscritto da oltre 150 paesi, però, il drammatico fenomeno è ben lungi dall’essere terminato.
Nel rapporto: “Le sorti dei bambini in tempi di conflitti armati”, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, elenca gli eserciti e le guerriglie che li hanno utilizzati. Nel 2017 i paesi coinvolti sono stati: Afghanistan, Colombia, Repubblica Centrafricana, Filippine, Iraq, Mali, Myanmar, Nigeria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo (RdC), Siria e Yemen. In totale oltre 50 milizie, oltre agli eserciti di Siria, Sud Sudan, Somalia e Yemen.
Nelle guerre in corso l’utilizzo dei ragazzini come carne da macello è una cosa assai frequente, mentre le femmine sono usate prevalentemente come schiave sessuali o come cuoche. L’Onu sottolinea il rapimento dei minori su larga scala quale fattore che alimenta il fenomeno.
Nel 2017 rispetto all’anno precedente, l’arruolamento e l’utilizzo dei più piccoli è quadruplicato nella Repubblica Centrafricana, è raddoppiato nella Repubblica democratica del Congo (oltre 1.000 casi), nel Sud Sudan (1.200 casi), in Siria (quasi 1.000 casi) e nello Yemen (850 casi), mentre rimane sempre molto alto in Somalia (oltre 2.000 casi). Nell'ex colonia italiana, il rapimento di 1.600 ragazzi da parte di al-Shabaab dimostra quanto sia diffuso il loro utilizzo in combattimento e nelle funzioni di sostegno ai combattenti. In Somalia hanno però arruolato minori sia l’esercito (oltre 100 casi), sia la polizia (11 casi).
Resta inoltre elevato il numero di bambini detenuti in quanto considerati appartenenti alla guerriglia. In Iraq sono almeno un migliaio, carcerati in apposite prigioni per minori, poiché accusati di far parte dell’Isis. In Nigeria sono quasi duemila i fanciulli detenuti per la presunta appartenenza, loro o delle loro famiglie, a Boko Haram.
Guterres ha ricordato alle autorità che i minori in precedenza associati alla guerriglia devono essere trattati come delle vittime e non come criminali. Il primo passo per far uscire i bambini dall’incubo è la smobilitazione, e gli sforzi delle Nazioni Unite nel 2017 hanno reso possibile la smobilitazione di oltre diecimila fanciulli utilizzati da varie guerriglie nel mondo. Ma separare i piccoli dalle armi è solo il primo passo, verso una nuova vita in paesi distrutti da guerre anche decennali. E’ indispensabile fornire aiuti psicologici ed educativi, per rompere il ciclo della violenza e consolidare la pace.
Purtroppo nella RdC oltre ottomila fanciulli liberati dalle diverse forze guerrigliere non hanno avuto alcun aiuto per reintegrarsi nella vita civile, a causa della mancanza di fondi. Anche in Sud Sudan i fondi per il loro recupero sono stati dimezzati. E’ proprio questo un aspetto fondamentale per ripristinare una pace duratura, considerato anche che spesso le guerre sono combattute per il controllo di materie prime essenziali per le economie dei paesi occidentali.
UNA STORIA DI 2 DONNE: SUPERARE LE DIVISIONI POLITICHE PER SPINGERLE VERSO LA PACE A YEIFRANCESCA MOLD
"Siamo stanche. Stiamo perdendo i nostri mariti, stiamo perdendo i nostri figli. Per quanto tempo parleremo di pace? ”Grida Alice Senna Philip, mentre si siede accanto ad altre donne piangenti in un buio e umido tukul (capanna) nel cuore della città di Yei.
“I leader dovrebbero guidarci. Sono i nostri pastori e noi siamo i loro greggi. Vogliono uccidere tutti noi? Possono governare senza di noi? Oggi abbiamo bisogno di una risposta. "
Alice vive nella città di Yei, governata dal governo, nell'Equatorias centrale, che un tempo era il cestino del pane del Sud Sudan. Gli agricoltori della zona coltivavano abbastanza colture per nutrire la propria gente e le comunità in tutto il paese. Diversi gruppi vivevano insieme in pace e le donne si sentivano al sicuro viaggiando per la città e verso i villaggi vicini.
Oggi, la città è l'ombra di quello che era una volta con la guerra civile di sei anni che ha avuto un enorme tributo, costringendo migliaia di famiglie a fuggire dalle loro case e terre, dirigendosi verso siti di protezione altrove nel paese o in campi oltre il confine come rifugiati.
Per Alice e le donne di Yei, la firma di un accordo di pace otto mesi fa non si è materializzata. La sofferenza continua e la frustrazione è così immensa che sta pensando di andarsene se i leader del Paese non realizzeranno presto progressi concreti verso la pace.
"Se non vogliono avere nostre notizie, la gente del posto, abbiamo solo un'opzione", afferma. "Decideremo come donne, è meglio che lasciamo questo Paese e richiediamo asilo. Li lasciamo combattere perché a loro piace combattere. "
Panyume è a breve distanza in elicottero da Yei. Questo è il cuore del territorio detenuto dall'opposizione, dove centinaia di uomini emergono dai cespugli e dai vicini tukul d'erba con munizioni infilate sulle spalle, stringendo pistole e giochi di ruolo, mentre l'elicottero delle Nazioni Unite atterra.
Tra la massa di fatiche militari c'è Mama Joyce Kela. Vive nella foresta da quando nel 2016 sono scoppiati conflitti nella zona, scegliendo di stare con la sua gente piuttosto che fuggire in un campo di protezione. Suo marito è morto e sta crescendo i propri figli da sola.
Mentre è dalla parte opposta del divario politico, la sua esperienza di guerra e le speranze di pace sono le stesse della sua controparte, Alice, tornata a Yei detenuta dal governo.
"Sentiamo parlare di pace, ma stiamo ancora soffrendo", dice la mamma Joyce. “Gli stupri hanno persino avuto luogo in questo presunto periodo di pace. Abbiamo sentito parlare di pace ma ci sono ancora atrocità in atto. "
“Perché quando scoppia la guerra, le vittime sono le donne. Non siamo contenti I combattenti combattono a causa delle donne o perché sono solo soldati a cui piace uccidere? "
Nel mezzo di questa sofferenza, arriva una potente delegazione di mediatori di pace. Il capo della Missione delle Nazioni Unite nel Sud Sudan si è unito con l'inviato speciale dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un ente regionale che ha contribuito a mediare l'accordo di pace e il presidente ad interim della Commissione congiunta ricostituita per il monitoraggio e la valutazione, che sta supervisionando la sua attuazione.
Stanno visitando Yei perché è l'unica area del paese in cui la violenza politica continua nonostante l'accordo di pace. La delegazione ascolta attentamente le preoccupazioni di entrambe le parti, ma il loro messaggio è chiaro: la soluzione deve essere trovata all'interno, non imposta dall'esterno.
“Tutti parlano di pace. Vogliamo sapere come trarre profitto da questa pace ”, afferma l'inviato speciale IGAD, Ismail Wais. “Abbiamo sentito molte lamentele, ma queste lamentele sono il prodotto della guerra e non abbiamo alternative alla pace. La guerra non è l'opzione. "
“La pace di cui stiamo parlando non verrà dall'esterno. Viene da dentro e da te. Ecco perché siamo qui per aiutarti a venire in pace gli uni con gli altri. "
Mentre c'è un grande appetito per la pace tra la popolazione, indipendentemente dalle loro affiliazioni politiche, c'è anche l'incombente minaccia di nuove violenze se il fragile processo fallisce.
A Panyume, questa possibilità è messa a nudo dalla cosiddetta Iron Lady della zona, nota anche come Ministro del genere e del welfare sociale, l'On. Hellen Abure.
“Spero che la pace sia lì. Vai in pace e lasciaci in pace. Ma ci aspettiamo che la pace sia completa perché, se dobbiamo rimanere nella boscaglia, sai cosa significa. "
Sebbene negli ultimi otto mesi siano stati compiuti progressi verso l'attuazione dell'accordo di pace, diverse questioni significative rimangono irrisolte, nonostante l'impegno delle parti a formare un nuovo governo di transizione in meno di un mese.
La delegazione di leader delle Nazioni Unite e regionali riconosce il rischio che comporta e si è impegnata a viaggiare insieme per il paese per incoraggiare il riavvicinamento e le attività di costruzione della pace.
"Noi tre che viaggiano insieme significano che abbiamo molta più potenza di fuoco nel mostrare che la comunità internazionale è concentrata, che è insieme e che vuole fare progressi reali sul campo", afferma il capo dell'UNMISS, David Shearer.
“Ovviamente ci sono alcune sfide qui riguardo ai combattimenti in corso. Sebbene negli ultimi tempi abbiamo assistito a una pausa, è l'unica area del paese in cui i combattimenti continuano. Ma noi, come le Nazioni Unite, vogliamo fare il possibile per avanzare il più possibile con il nostro pattugliamento per dare alle persone la fiducia necessaria per iniziare a tornare indietro e con i nostri sforzi per sostenere la pace nell'area ”.
Il presidente ad interim della R-JMEC, l'ambasciatore Augostino Njoroge, ha un forte messaggio per le parti in conflitto per attuare pienamente l'accordo di pace, ma fa anche un appello personale alle donne di Yei.
"Il silenziamento delle pistole è avvenuto in tutto il Sud Sudan, ma sembra non essere accaduto qui a Yei", afferma. “Abbiamo bisogno di te, come madri, per parlare con i tuoi mariti, i tuoi fratelli e i tuoi figli per portare la pace. Abbiamo bisogno che tu combatti, per combattere per la pace. "
La Comunità Internazionale dovrebbe addebitare a Salva Kiir la lotta nella Diocesi di Yei
Sam Mednick
giornalista freelance con base in Sud Sudan
Juba, 21 gennaio 2019
È passato più di un anno da quando i soldati del governo hanno attaccato la casa di Mary Poni nella città sud-sudanese di Yei. Hanno stuprato sua sorella maggiore e decapitato il padre - parte di una serie straripante di eventi che alla fine l'avrebbero spinta a tentare il suicidio, due volte."Non dormo", ha detto Poni, 25 anni, nella capitale, Juba, dove ora vive. "Ogni volta che provo a chiudere gli occhi, vedo la testa di mio padre cadere davanti a me." Da dicembre Poni ha ricevuto un sostegno psicologico, non come parte di un programma organizzato, ma perché si è presentata - insieme a molte altre persone traumatizzate – negli uffici di Humanity & Inclusion, una ONG precedentemente nota come Handicap International. Cinque anni di guerra civile nel Sud Sudan non hanno solo ucciso quasi 400.000 persone, ma hanno anche lasciato una nazione di sopravvissuti traumatizzati - milioni di sfollati e di vivere in campi o condizioni squallide che si aggiungono alla tensione mentale ed emotiva.
Il governo, sconvolto dalle ricadute quotidiane della guerra e dalla disfunzione politica, offre poco o nessun sostegno. L'intero programma di salute mentale per un paese di oltre 10 milioni di persone fa affidamento su un reparto ospedaliero dotato di otto letti e servito da uno psicologo. Secondo il dott. Felix Lado Johnson, ministro della sanità dello Stato di Juba, meno del 2% dei finanziamenti nazionali è destinato al settore sanitario e non vengono stanziati fondi specifici per i servizi di salute mentale.
All'inizio di questo mese, l'India si è impiegata a costruire il primo centro di salute mentale del paese, ma la costruzione del progetto, che tratterà i pazienti e addestrerà il personale a Juba, deve ancora iniziare. L'ambascita Indiana non ha commentato una data prevista di completamento.
Nel frattempo l'onore ricade sugli umanitari.
Per saperne di più: Sud del Sudan: il bilancio umanitario di mezzo decennio di guerra
Koen Sevenants, un dottore in psicologia che guida la salute mentale e la rete di supporto psicosociale nel Sud Sudan a nome dell'Organizzazione Internazionale per le migrazioni, ha affermato che 76 agenzie, tra cui l'ONU e i gruppi di aiuto internazionali e nazionali sono coinvolte in iniziative in tutto il paese.
Esiste anche un supporto informale, come le sedute di Poni. La psicologa di Humanity & Inclusion Melodie Safieddine ha spiegato che di solito tratta i lavoratori delle ONG, ma quando le persone arrivano nella sua clinica di Juba in cerca di assistenza, lei cerca di aiutare quelli che può.
Una serie straripante di eventi ha portato Mary Poni a tentare il suicidio due volte.
Violenza normalizzata
Decenni di combattimenti all'interno del Sudan hanno causato un diffuso disagio psicologicoanche prima che ilSud ottenesse l'indipendenza nel 2011. Ma la guerra civile iniziata nel 2013 ha portato ad un grande aumento del numerodi persone che si occupano di condizioni di salute mentale, secondo un rapporto 2016 di Amnesty International.
Il paese non ha dati ufficiali sulla salute mentale, ma uno studio del 2015 del South Sudan Law Society e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha riportato che oltre il 40% delle persone intervistate in sei stati ha mostrato sintomi coerenti con il disturbo post traumatico da stress o PTSD. Il gruppo di assistenza Medici Senza Frontiere ha documentato oltre 51.500 persone in cerca di sostegno psicosociale nel 2017, un aumento del 35 per cento dal 2016.
Gli psicologi avvertono che anni di conflitti hanno normalizzato la violenza e la morte in misura estrema, minacciando il quadro morale e la salute mentale delle persone per il prossimo futuro. “Il livello del disastro è enorme”, ha detto Sevenants. “Le conseguenze di ciò che sta accadendosarannosentite per l'intera generazione di bambini che crescono”
Per saperne di più: nel Sud Sudan le ragazze costrette a combattere in guerra affrontano il doppio standard di genere in pace
Anthony Feinstein, professore del dipartimento di psichiatria all'Università di Toronto e al Sunnybrook Health Sciences Center, crede che la crescita stentata dello sviluppo a causa del trauma persistente potrebbe persino avere effetti di vasta portata sui futuri leader del Sud Sudan.
"Ci saranno quelli il cui sviluppo è stato segnato da guerre e conflitti e le loro decisioni politiche potrebbero essere influenzate da questo", ha detto. "Le decisioni basate sulle emozioni possono mancare di razionalità, che ... può generare ulteriore discordia e conflitto."
"Ho pianto per la morte"
Per Poni, l'anno scorso è stata una devastazione dopo l'altra. Dopo che suo padre è stato assassinato, è scappata con le sue quattro sorelle, conducendole fuori città verso il villaggio dove pensava che sarebbe stato più sicuro, piuttosto che unirsi alle migliaia di persone che fuggivano attraverso il confine verso la vicina Uganda. Ma sulla strada, le ragazze sono state brutalmente attaccate da cinque soldati del governo che le hanno legate e sistematicamente violentate fino a farle sanguinare, ha detto Poni. "Ho pianto per la morte," disse, raccontando quante ore dopo che i loro cinque corpi insanguinati e percossi furono tratti in salvo dalla boscaglia dall'autista di un camion di passaggio, che li portò in una chiesa vicina. Ma le tre sorelle più giovani di Poni furono ferite gravemente e morirono tutte nella cappella. Il più giovane aveva 13 anni. Dalla loro morte Poni si è incolpata di aver condotto la famiglia nel villaggio invece di andare direttamente in Uganda. "Ecco perché sono state stuprate e uccise", ha detto. Safieddine, che ha trattato Poni, ha detto che questo "effetto della colpa" è comune nel Sud Sudan a causa della natura degli attacchi. "Le persone stanno vedendo direttamente i loro autori; lo stanno affrontando", ha detto. "Il livello del disastro è enorme. Le conseguenze di ciò che sta accadendo saranno sentite per l'intera generazione di bambini che crescono ".
Nel suo precedente lavoro in afghanistan, molti dei pazienti traumatizzati erano sopravvissuti alle autobombe e alle esplosioni ma Safieddine ha affermato che la maggior parte di quelli del Sud Sudan aveva sperimentato qualcosa di più intimo e personale, tra cui rapimenti, detenuti sotto la minaccia delle armi e l'uso sfrenato di stupro come arma di guerra.
Testimoniare qualcuno che viene aggredito o picchiato sessualmente perpetua un sentimento di impotenza perchè le persone guardano cose sulle quali non possono fare nulla, ha spiegato Saffieddine. Anche questi attacchi richiedono più tempo, il che significa che le persone hanno più tempo per pensarci mentre sta accadendo.
Saffedine ha trattato circa 20 pazienti non-NGO negli ultimi 18 mesi. Dice che la metà ha storie simili a Poni, a cui lei ha diagnosticato di soffrire di PSTD, in seguito agli eventidevastanti della sua vita.
Dopo che le tre sorelle di Poni furono uccise, lei e la sorella sopravvissuta si rifugiarono nella chiesa per due settimane, finché non decisero di fuggire in Uganda. Camminarono per sette giorni attraverso la boscaglia; ma poi, proprio prima di entrare in sicurezza, sono stati attaccate e violentate di nuovo dai soldati del governo, ha detto.
Durante l'attacco Poni ha detto di essere stata testimone di una donna anziana colpita da una sparatoria e uccisa davanti a lei, e ha guardato mentre i soldati strappavano un bambino non nato dal grembo di una donna incinta e lo facevano a pezzi mentre la madre moriva.
"Questa non è umanità. È follia ", ha detto.
Nel dicembre 2017, ha detto Poni, ha attraversato il confine con l'Uganda. Una volta all'interno del campo profughi di Bidi Bidi, nel nord dell'Uganda, qualcosa dentro Poni si spezzò. Traumatizzata, amara e diffidente nei confronti di tutti, specialmente degli uomini, si ritirò in se stessa. Ha detto che ha cominciato a etichettare qualsiasi uomo che ha incrociato la sua strada come uno stupratore. Era anche in colpa per essere stata incapace di salvare le sue sorelle. Durante i suoi 12 mesi nel campo, ha provato a suicidarsi due volte - la prima volta con le pillole per la malaria, il secondo annegando in un lago.
Dopo aver visto i loro villaggi e le loro famiglie distrutte, decine di migliaia di sud sudanesi, tra cui Mary Poni, sono fuggiti negli accampamenti nel nord dell'Uganda per sicurezza.
Trigger sociali
MSF ritiene spesso che i problemi di salute mentali sono aggravati quando le persone sono costrette a vivere in condizioni squallide, con la mancanza di prospettive future, come nei campi profughi.
Lo scorso gennaio, MSF ha registrato un picco nel numero di tentati suicidi nel sito di Malakal, che ospita circa 30.000 civili. Da otto a dieci persone hanno cercato di uccidersi ogni mese, l'80% delle quali aveva meno di 35 anni. Mentre il numero si è stabilizzato a circa 3-4 tentativi di suicidio mensili, MSF dice che le cose cambieranno solo se verranno affrontati i fattori sottostanti.
"La mancanza di lavoro, la mancanza di prospettive, le condizioni di vita: questi sono i fattori scatenanti dei problemi di salute mentale", ha dichiarato il coordinatore medico di MSF Endashaw Mengistu Aderie. "Affrontare ciò richiede più di quello che stiamo facendo. È necessario intensificare gli sforzi per fornire servizi alla popolazione. "
" Non puoi ricostruire il paese senza ricostruire la mente e la speranza. "
Tuttavia, problemi come la salute mentale sono in fondo alla lista delle priorità in Sud Sudan. Sullo sfondo di mercati crollati in un'economia devastata e devastata dalla guerra, la lotta contro la fame e la carestia ha la precedenza. Più di cinque milioni di persone hanno già gravi problemi di insicurezza alimentare, 36.000 dei quali sono sull'orlo della fame, secondo l'ultima analisi del governo e dell'ONU.
Il Sud Sudan sta anche lottando per finanziare l'attuazione dell'accordo di pace dello scorso settembre , mentre i combattimenti persistono ancora nelle tasche di tutto il paese. Durante la prima settimana di gennaio, 19 persone sono state uccise da uomini armati nella città di Katigiri, non lontano da Juba, con parti belligeranti che si incolpavano l'un l'altro per l'attacco.
Per saperne di più: Sudan del Sud: pace sulla carta
Alcuni consulenti locali hanno qualche allenamento per la salute mentale, ma non sempre è sufficiente per garantire che le persone che subiscono un trauma ottengano il supporto e i consigli giusti.
Safieddine di Humanity & Inclusion ha ricordato come un assistente sociale che conosce abbia raccontato a una vittima di stupro che va bene, perché molte donne vengono violentate e potrebbe succederle di nuovo. Ha ricordato che un altro consigliere locale non riusciva a capire perché i suoi pazienti non volevano tornare dopo aver messo nella stessa stanza l'autore e il sopravvissuto di violenza sessuale in modo da poter tenere le mani e pregare.
Insieme ad altri esperti in traumi, Safieddine è preoccupato per il futuro del Paese se non si farà di più per aiutare questa generazione di sopravvissuti traumatizzati a guerre e violenze. "Non puoi ricostruire il paese senza ricostruire la mente e la speranza", ha detto.
"Abbiamo davvero bisogno di aiuto"
Dopo quasi un anno nel campo profughi in Uganda senza assistenza, Poni ha ascoltato un amico su Humanity & Inclusion a Juba e ha compiuto il rischioso viaggio di ritorno in Sud Sudan per cercare di ottenere aiuto psicologico. Da dicembre lavora con Safieddine per cercare di superare la sua colpa e fermare il preoccupante ciclo di pensieri ossessivi nella sua testa. L'unica cosa che ha cambiato completamente la mia vita è (quando Safieddine mi ha detto) 'non incolpare te stessa perché non è stata colpa tua'", ha detto Poni. Spostare la narrazione ha contribuito a liberare la sua mente e per la prima volta in un anno ha ricominciato a socializzare e ad andare in chiesa. Sta anche sperimentando l'arte terapia e sta cercando di aiutare gli altri. La settimana scorsa, mentre camminava per la sessione di consulenza, Poni ha incontrato un soldato del governo in difficoltà, gli ha comprato una bottiglia d'acqua e gli ha dato del denaro per sfamare la sua famiglia affamata. Ha detto che il soldato le ha detto che "se trova un posto tranquillo, sparerà a se stesso in modo che possa riposare". Non era facile per lei assistere un uomo che lei considerava complice di quelli che massacravano suo padre e violentavano e uccidevano le sue sorelle, ma Poni disse che lo fece per gentilezza umana. "L'intero paese è traumatizzato", ha detto. "Abbiamo davvero bisogno di aiuto."
Il governo, sconvolto dalle ricadute quotidiane della guerra e dalla disfunzione politica, offre poco o nessun sostegno. L'intero programma di salute mentale per un paese di oltre 10 milioni di persone fa affidamento su un reparto ospedaliero dotato di otto letti e servito da uno psicologo. Secondo il dott. Felix Lado Johnson, ministro della sanità dello Stato di Juba, meno del 2% dei finanziamenti nazionali è destinato al settore sanitario e non vengono stanziati fondi specifici per i servizi di salute mentale.
All'inizio di questo mese, l'India si è impiegata a costruire il primo centro di salute mentale del paese, ma la costruzione del progetto, che tratterà i pazienti e addestrerà il personale a Juba, deve ancora iniziare. L'ambascita Indiana non ha commentato una data prevista di completamento.
Nel frattempo l'onore ricade sugli umanitari.
Per saperne di più: Sud del Sudan: il bilancio umanitario di mezzo decennio di guerra
Koen Sevenants, un dottore in psicologia che guida la salute mentale e la rete di supporto psicosociale nel Sud Sudan a nome dell'Organizzazione Internazionale per le migrazioni, ha affermato che 76 agenzie, tra cui l'ONU e i gruppi di aiuto internazionali e nazionali sono coinvolte in iniziative in tutto il paese.
Esiste anche un supporto informale, come le sedute di Poni. La psicologa di Humanity & Inclusion Melodie Safieddine ha spiegato che di solito tratta i lavoratori delle ONG, ma quando le persone arrivano nella sua clinica di Juba in cerca di assistenza, lei cerca di aiutare quelli che può.
Una serie straripante di eventi ha portato Mary Poni a tentare il suicidio due volte.
Violenza normalizzata
Decenni di combattimenti all'interno del Sudan hanno causato un diffuso disagio psicologicoanche prima che ilSud ottenesse l'indipendenza nel 2011. Ma la guerra civile iniziata nel 2013 ha portato ad un grande aumento del numerodi persone che si occupano di condizioni di salute mentale, secondo un rapporto 2016 di Amnesty International.
Il paese non ha dati ufficiali sulla salute mentale, ma uno studio del 2015 del South Sudan Law Society e del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha riportato che oltre il 40% delle persone intervistate in sei stati ha mostrato sintomi coerenti con il disturbo post traumatico da stress o PTSD. Il gruppo di assistenza Medici Senza Frontiere ha documentato oltre 51.500 persone in cerca di sostegno psicosociale nel 2017, un aumento del 35 per cento dal 2016.
Gli psicologi avvertono che anni di conflitti hanno normalizzato la violenza e la morte in misura estrema, minacciando il quadro morale e la salute mentale delle persone per il prossimo futuro. “Il livello del disastro è enorme”, ha detto Sevenants. “Le conseguenze di ciò che sta accadendosarannosentite per l'intera generazione di bambini che crescono”
Per saperne di più: nel Sud Sudan le ragazze costrette a combattere in guerra affrontano il doppio standard di genere in pace
Anthony Feinstein, professore del dipartimento di psichiatria all'Università di Toronto e al Sunnybrook Health Sciences Center, crede che la crescita stentata dello sviluppo a causa del trauma persistente potrebbe persino avere effetti di vasta portata sui futuri leader del Sud Sudan.
"Ci saranno quelli il cui sviluppo è stato segnato da guerre e conflitti e le loro decisioni politiche potrebbero essere influenzate da questo", ha detto. "Le decisioni basate sulle emozioni possono mancare di razionalità, che ... può generare ulteriore discordia e conflitto."
"Ho pianto per la morte"
Per Poni, l'anno scorso è stata una devastazione dopo l'altra. Dopo che suo padre è stato assassinato, è scappata con le sue quattro sorelle, conducendole fuori città verso il villaggio dove pensava che sarebbe stato più sicuro, piuttosto che unirsi alle migliaia di persone che fuggivano attraverso il confine verso la vicina Uganda. Ma sulla strada, le ragazze sono state brutalmente attaccate da cinque soldati del governo che le hanno legate e sistematicamente violentate fino a farle sanguinare, ha detto Poni. "Ho pianto per la morte," disse, raccontando quante ore dopo che i loro cinque corpi insanguinati e percossi furono tratti in salvo dalla boscaglia dall'autista di un camion di passaggio, che li portò in una chiesa vicina. Ma le tre sorelle più giovani di Poni furono ferite gravemente e morirono tutte nella cappella. Il più giovane aveva 13 anni. Dalla loro morte Poni si è incolpata di aver condotto la famiglia nel villaggio invece di andare direttamente in Uganda. "Ecco perché sono state stuprate e uccise", ha detto. Safieddine, che ha trattato Poni, ha detto che questo "effetto della colpa" è comune nel Sud Sudan a causa della natura degli attacchi. "Le persone stanno vedendo direttamente i loro autori; lo stanno affrontando", ha detto. "Il livello del disastro è enorme. Le conseguenze di ciò che sta accadendo saranno sentite per l'intera generazione di bambini che crescono ".
Nel suo precedente lavoro in afghanistan, molti dei pazienti traumatizzati erano sopravvissuti alle autobombe e alle esplosioni ma Safieddine ha affermato che la maggior parte di quelli del Sud Sudan aveva sperimentato qualcosa di più intimo e personale, tra cui rapimenti, detenuti sotto la minaccia delle armi e l'uso sfrenato di stupro come arma di guerra.
Testimoniare qualcuno che viene aggredito o picchiato sessualmente perpetua un sentimento di impotenza perchè le persone guardano cose sulle quali non possono fare nulla, ha spiegato Saffieddine. Anche questi attacchi richiedono più tempo, il che significa che le persone hanno più tempo per pensarci mentre sta accadendo.
Saffedine ha trattato circa 20 pazienti non-NGO negli ultimi 18 mesi. Dice che la metà ha storie simili a Poni, a cui lei ha diagnosticato di soffrire di PSTD, in seguito agli eventidevastanti della sua vita.
Dopo che le tre sorelle di Poni furono uccise, lei e la sorella sopravvissuta si rifugiarono nella chiesa per due settimane, finché non decisero di fuggire in Uganda. Camminarono per sette giorni attraverso la boscaglia; ma poi, proprio prima di entrare in sicurezza, sono stati attaccate e violentate di nuovo dai soldati del governo, ha detto.
Durante l'attacco Poni ha detto di essere stata testimone di una donna anziana colpita da una sparatoria e uccisa davanti a lei, e ha guardato mentre i soldati strappavano un bambino non nato dal grembo di una donna incinta e lo facevano a pezzi mentre la madre moriva.
"Questa non è umanità. È follia ", ha detto.
Nel dicembre 2017, ha detto Poni, ha attraversato il confine con l'Uganda. Una volta all'interno del campo profughi di Bidi Bidi, nel nord dell'Uganda, qualcosa dentro Poni si spezzò. Traumatizzata, amara e diffidente nei confronti di tutti, specialmente degli uomini, si ritirò in se stessa. Ha detto che ha cominciato a etichettare qualsiasi uomo che ha incrociato la sua strada come uno stupratore. Era anche in colpa per essere stata incapace di salvare le sue sorelle. Durante i suoi 12 mesi nel campo, ha provato a suicidarsi due volte - la prima volta con le pillole per la malaria, il secondo annegando in un lago.
Dopo aver visto i loro villaggi e le loro famiglie distrutte, decine di migliaia di sud sudanesi, tra cui Mary Poni, sono fuggiti negli accampamenti nel nord dell'Uganda per sicurezza.
Trigger sociali
MSF ritiene spesso che i problemi di salute mentali sono aggravati quando le persone sono costrette a vivere in condizioni squallide, con la mancanza di prospettive future, come nei campi profughi.
Lo scorso gennaio, MSF ha registrato un picco nel numero di tentati suicidi nel sito di Malakal, che ospita circa 30.000 civili. Da otto a dieci persone hanno cercato di uccidersi ogni mese, l'80% delle quali aveva meno di 35 anni. Mentre il numero si è stabilizzato a circa 3-4 tentativi di suicidio mensili, MSF dice che le cose cambieranno solo se verranno affrontati i fattori sottostanti.
"La mancanza di lavoro, la mancanza di prospettive, le condizioni di vita: questi sono i fattori scatenanti dei problemi di salute mentale", ha dichiarato il coordinatore medico di MSF Endashaw Mengistu Aderie. "Affrontare ciò richiede più di quello che stiamo facendo. È necessario intensificare gli sforzi per fornire servizi alla popolazione. "
" Non puoi ricostruire il paese senza ricostruire la mente e la speranza. "
Tuttavia, problemi come la salute mentale sono in fondo alla lista delle priorità in Sud Sudan. Sullo sfondo di mercati crollati in un'economia devastata e devastata dalla guerra, la lotta contro la fame e la carestia ha la precedenza. Più di cinque milioni di persone hanno già gravi problemi di insicurezza alimentare, 36.000 dei quali sono sull'orlo della fame, secondo l'ultima analisi del governo e dell'ONU.
Il Sud Sudan sta anche lottando per finanziare l'attuazione dell'accordo di pace dello scorso settembre , mentre i combattimenti persistono ancora nelle tasche di tutto il paese. Durante la prima settimana di gennaio, 19 persone sono state uccise da uomini armati nella città di Katigiri, non lontano da Juba, con parti belligeranti che si incolpavano l'un l'altro per l'attacco.
Per saperne di più: Sudan del Sud: pace sulla carta
Alcuni consulenti locali hanno qualche allenamento per la salute mentale, ma non sempre è sufficiente per garantire che le persone che subiscono un trauma ottengano il supporto e i consigli giusti.
Safieddine di Humanity & Inclusion ha ricordato come un assistente sociale che conosce abbia raccontato a una vittima di stupro che va bene, perché molte donne vengono violentate e potrebbe succederle di nuovo. Ha ricordato che un altro consigliere locale non riusciva a capire perché i suoi pazienti non volevano tornare dopo aver messo nella stessa stanza l'autore e il sopravvissuto di violenza sessuale in modo da poter tenere le mani e pregare.
Insieme ad altri esperti in traumi, Safieddine è preoccupato per il futuro del Paese se non si farà di più per aiutare questa generazione di sopravvissuti traumatizzati a guerre e violenze. "Non puoi ricostruire il paese senza ricostruire la mente e la speranza", ha detto.
"Abbiamo davvero bisogno di aiuto"
Dopo quasi un anno nel campo profughi in Uganda senza assistenza, Poni ha ascoltato un amico su Humanity & Inclusion a Juba e ha compiuto il rischioso viaggio di ritorno in Sud Sudan per cercare di ottenere aiuto psicologico. Da dicembre lavora con Safieddine per cercare di superare la sua colpa e fermare il preoccupante ciclo di pensieri ossessivi nella sua testa. L'unica cosa che ha cambiato completamente la mia vita è (quando Safieddine mi ha detto) 'non incolpare te stessa perché non è stata colpa tua'", ha detto Poni. Spostare la narrazione ha contribuito a liberare la sua mente e per la prima volta in un anno ha ricominciato a socializzare e ad andare in chiesa. Sta anche sperimentando l'arte terapia e sta cercando di aiutare gli altri. La settimana scorsa, mentre camminava per la sessione di consulenza, Poni ha incontrato un soldato del governo in difficoltà, gli ha comprato una bottiglia d'acqua e gli ha dato del denaro per sfamare la sua famiglia affamata. Ha detto che il soldato le ha detto che "se trova un posto tranquillo, sparerà a se stesso in modo che possa riposare". Non era facile per lei assistere un uomo che lei considerava complice di quelli che massacravano suo padre e violentavano e uccidevano le sue sorelle, ma Poni disse che lo fece per gentilezza umana. "L'intero paese è traumatizzato", ha detto. "Abbiamo davvero bisogno di aiuto."
Sud Sudan: "L'intero paese è traumatizzato, tutti abbiamo davvero bisogno di aiuto". dice una donna che ha visto le sue 3 sorelle stuprate a morte, marito decapitato dai soldati del governo
Da quando è iniziata la guerra civile nel 2013, le persone sono state sottoposte a violenze brutali e nessun vero sistema di supporto per aiutarle ad affrontare il trauma. (Dominic Nahr/MSF)
31 Gennaio 2019 - SUD SUDAN LA GUERRA CONTINUA
YEI SUD SUDAN villaggio di LASU, il comitato d'onore dopo un lungo dibattito ha deciso di donarmi la cittadinanza onoraria - 18 gennaio 2019
Antonio Carovillano
Con L'AMICO padre ALEX, dopo 4 anni passati presso l'università Pontificia dove si è laureato, ora rientra a Yei, Tanti auguri ALEX per la tua nuova avventura,
Viaggio col Cuamm in Sud Sudan, nell'inferno di Juba tra epidemie e soldati
Da sinistra, l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, don Dante Carraro e monsignor Mark Kadima, nunzio apostolico
Bologna, 12 dicembre 2018 - Scendi dall’aereo e vieni investita: dal caldo, dalla polvere e dai paradossi. I primi ad accoglierti sono uomini in tuta anticontaminazione che ti puntano la pistola-termometro alla nuca: c’è un’epidemia d’ebola nei territori di confine.
Poi ti guardi intorno, in quel bel terminal internazionale aperto appena due anni fa accanto al tendone (sì, un maxi gazebo da sagra paesana) dei voli domestici non c’è bianco che non indossi una maglia di una ong o quella delle Nazioni unite. Non c’è alcun motivo per andare a Juba, capitale del Sud Sudan. Capitale del nulla. Non ci sono imprese, sistemi idrici ed elettrici, ma solo rifornimento con autobotti e generatori a benzina in ogni palazzo blindato da recinzioni, filo spinato e guardie armate. Non c’è nulla se non un reticolo di strade sterrate e una manciata di lingue d’asfalto, prezzi newyorkesi per expats, il coprifuoco alle 20 e carretti di frutta che all’Equatore vendono mele a cifre nipponiche.
Ma c'è un popolo - o ciò che ne resta - falcidiato dalle lotte etniche tra Dinka e Nuer, dalla diffusione delle armi, da governi incerti dopo l’indipendenza del 2011, flagelli moderni che si sommano ai ‘classici’ africani: carestia, malattie, migrazione per bisogno. È per quel popolo che il direttore del Cuamm-Medici con l’Africa, don Dante Carraro ha portato il vescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi (VIDEO), in visita nei territori dove la ong padovana opera dal 2006, per costruire un percorso di pace come il religioso fece con il Mozambico, negli anni ’90, con la Comunità di Sant’Egidio.
Una tre giorni di incontri, tra Juba e Rumbek, con il sottosegretario alla Salute, la vicegovernatrice del Western Lakes State, il nunzio apostolico e i rappresemtanti delle chiese episcopali, a cui si è aggiunta la visita al cuore del Cuamm che per scelta opera accanto a personale locale, per formarlo e un giorno lasciarlo continuare sulle sue gambe.
La ong veneta che, a dispetto degli slogan, dal ’50 aiuta i popoli a casa loro, in Sud Sudan è in cinque ospedali più 164 strutture sanitarie periferiche nell’ultimo miglio del mondo, dove solo il 14% delle donne beneficia di parto assistito e la mortalità neonatale è alle stelle.
Dall’inizio dell’avventura sud sudanese sono state effettuate 64.742 visite prenatali (dato 2017) e 505.856 vaccinazioni, grazie soprattutto all’attività capillare nei territori che ha tra i protagonisti Giovanni Dall’Oglio, medico e fratello del gesuita scomparso in Siria nel 2013. È lui, ribattezzato ‘doctor solution’, ad aver pensato di portare gli ecografi nei villaggi, con tanto di videoproiettori e battito cardiaco del feto diffuso dalle casse per convincere anche gli anziani dei villaggi che il medico è più utile dei riti locali.
A Rumbek, nell’unico ospedale attivo, i 40 membri Cuamm (italiani, ugandesi, keniani, nigeriani) ne affiancano altrettanti governativi, sud sudanesi. Gestiscono 134 posti letto e su quell’ospedale confluiscono le emergenze segnalate alle 60 unità sanitarie in quattro contee. E qui c’è l’embrione del 118. L’ospedale di Rumbek ha due ambulanze di proprietà, più altre tre statali, ma non possono correre di capanna in capanna, né esiste copertura telefonica sufficiente per chiamarle. Così ad attivarle sono i telefoni delle 60 unità territoriali, dove a loro volta i pazienti – soprattutto donne in travaglio – vengono portate a bordo di motociclette.
«Ne abbiamo acquistate un centinaio e fatto prendere il patentino da autista ai ragazzi che le guidano – spiega don Dante -. Per prevenire il peggio, abbiamo allestito posti letto dove le gestanti possono venire a vivere a 15-20 giorni dal parto, così da farci trovare pronti».
Perché a Rumbek, ospedale con un bacino d’utenza di 600mila abitanti, il chirurgo è uno solo, così come una è la pediatra; le sacche di sangue non possono essere conservate senza elettricità costante in frigo e se serve una trasfusione meglio portarsi dietro un parente-donatore. L’unico ospedale concorrente, costruito con fondi cinesi e aperto nel 2014, è stato chiuso dopo soli sei mesi per assenza di personale in grado di gestirlo, sebbene porti il nome del presidente.
SUDAN DEL SUD: Prega per la pace in Sud Sudan, il vescovo Erkolano Urges
NAIROBI, 11 dicembre 2018 ( CISA ) - Il Vescovo Erkolano Lodu Tombe, della diocesi di Yei, ha chiesto ai Vescovi dell'AMECEA, al clero e ai fedeli della regione di continuare a pregare per una pace duratura nel Sud Sudan.
"Ciò di cui abbiamo più bisogno da quando è stato firmato l'accordo di pace è la preghiera affinché l'attuazione sia completata per fermare il massacro e creare una pace duratura per il popolo sofferente del Sud Sudan", ha affermato.
Secondo le notizie online AMECEA del 7 dicembre, il presule ha osservato che il Sud Sudan ha registrato risultati straordinari in termini di pace, in particolare la recente firma di un accordo di pace.
Ha espresso la sua gratitudine ai suoi colleghi prelati che hanno sostenuto il processo di pace nel Sud Sudan.
"I Vescovi di AMECEA hanno camminato con noi attraverso le preghiere e ne siamo davvero grati. Inoltre, alcuni dei governi dei Paesi dell'AMECEA sono stati molto utili per aiutare il governo del Sud Sudan e i leader dell'opposizione a venire a firmare questo accordo di pace. Questi paesi includono Etiopia, Kenya, Uganda e Sudan, e siamo molto grati per il loro contributo ", ha detto il vescovo Tombe.
Secondo Mons. Tombe, la situazione sul terreno dopo la firma dell'accordo di pace tra il governo e i leader dell'opposizione nell'agosto 2018 è che c'è tranquillità in molte parti del paese.
Questo, ha detto, ha reso molte persone felici e speranzose. Tuttavia, ha osservato che alcune fazioni dei ribelli non hanno firmato l'accordo e che in alcuni punti la violenza ha continuato a scoppiare.
"In alcuni posti qua e là, una volta ogni tanto c'è la rottura di questo accordo e la violenza continua ancora; ma questo è qualcosa che potrebbe accadere in qualsiasi parte del mondo; dobbiamo accettare il fatto che non c'è accordo in nessuna parte del mondo che sia perfetto e il Sudan del Sud non fa eccezione. Tuttavia, siamo fiduciosi che l'implementazione avverrà in modo che la guerra si arresti completamente per dare alle persone la possibilità di ricostruire le loro vite ", ha osservato.
"Ciò di cui abbiamo più bisogno da quando è stato firmato l'accordo di pace è la preghiera affinché l'attuazione sia completata per fermare il massacro e creare una pace duratura per il popolo sofferente del Sud Sudan", ha affermato.
Secondo le notizie online AMECEA del 7 dicembre, il presule ha osservato che il Sud Sudan ha registrato risultati straordinari in termini di pace, in particolare la recente firma di un accordo di pace.
Ha espresso la sua gratitudine ai suoi colleghi prelati che hanno sostenuto il processo di pace nel Sud Sudan.
"I Vescovi di AMECEA hanno camminato con noi attraverso le preghiere e ne siamo davvero grati. Inoltre, alcuni dei governi dei Paesi dell'AMECEA sono stati molto utili per aiutare il governo del Sud Sudan e i leader dell'opposizione a venire a firmare questo accordo di pace. Questi paesi includono Etiopia, Kenya, Uganda e Sudan, e siamo molto grati per il loro contributo ", ha detto il vescovo Tombe.
Secondo Mons. Tombe, la situazione sul terreno dopo la firma dell'accordo di pace tra il governo e i leader dell'opposizione nell'agosto 2018 è che c'è tranquillità in molte parti del paese.
Questo, ha detto, ha reso molte persone felici e speranzose. Tuttavia, ha osservato che alcune fazioni dei ribelli non hanno firmato l'accordo e che in alcuni punti la violenza ha continuato a scoppiare.
"In alcuni posti qua e là, una volta ogni tanto c'è la rottura di questo accordo e la violenza continua ancora; ma questo è qualcosa che potrebbe accadere in qualsiasi parte del mondo; dobbiamo accettare il fatto che non c'è accordo in nessuna parte del mondo che sia perfetto e il Sudan del Sud non fa eccezione. Tuttavia, siamo fiduciosi che l'implementazione avverrà in modo che la guerra si arresti completamente per dare alle persone la possibilità di ricostruire le loro vite ", ha osservato.
Taharir Journalist
Il ministro esorta i cittadini a dare potere alle persone con disabilità
Il Ministro del genere e del benessere sociale di Yei esorta i cittadini del paese a creare un ambiente favorevole per le persone con disabilità.
In una dichiarazione alla radio Pasqua Christine Anita Philip dice che gli uffici dovrebbero avere passi per permettere alle persone con disabilità di facile movimento.
Incoraggia i funzionari ad accettare le loro opinioni di interesse nelle comunità.
Anita esorta le persone a non abusare di disabilitare la persona perché non è per loro scelta.
Il Ministro ha parlato durante la giornata internazionale per le persone con disabilità a Yei.
Il Ministro del genere e del benessere sociale di Yei esorta i cittadini del paese a creare un ambiente favorevole per le persone con disabilità.
In una dichiarazione alla radio Pasqua Christine Anita Philip dice che gli uffici dovrebbero avere passi per permettere alle persone con disabilità di facile movimento.
Incoraggia i funzionari ad accettare le loro opinioni di interesse nelle comunità.
Anita esorta le persone a non abusare di disabilitare la persona perché non è per loro scelta.
Il Ministro ha parlato durante la giornata internazionale per le persone con disabilità a Yei.
YEI SUD SUDAN HOSPITAL LEPROSY SANTA BAKITA
rifornimento di acqua
Fao: orti di famiglia in Sud Sudan con i fondi donati dal Papa
Cinquemila famiglie, vale a dire più di 30.000 persone, in una regione poverissima del Sud Sudan saranno in grado di andare avanti grazie ai kit per la coltivazione ortofrutticola finanziati da una donazione di papa Francesco alla Fao. Lo comunica la stessa agenzia Onu per la lotta alla fame nel mondo.
Il progetto si attua a Yei in Central Equatoria, Sudan del Sud. Il recente contributo di 25.000 euro donato dal Papa alla Fao è stato utilizzato per fornire kit e attrezzi agricoli in una zona dove i mezzi di sostentamento agricoli sono stati distrutti dagli scontri armati.
«Prima della guerra la vita era decente e avevamo abbastanza da mangiare, ora solo qualcosa per colazione e pochissimo per cena. Il mio bambino continua a piangere perché ha fame», dice la 22enne Suzan Night, tra coloro che hanno ricevuto i kit dalla Fao. «Le cipolle e i pomodori possono essere venduti al mercato e questo sarà davvero di grande aiuto per me».
«Questi kit ortofrutticoli possono davvero fare la differenza tra la vita e la morte per molte persone», ha dichiarato Serge Tissot, rappresentante della Fao in Sud Sudan. «Grazie al contributo di papa Francesco, più persone in Yei potranno ricominciare a coltivare il proprio cibo per allontanare lo spettro della fame».
I kit forniscono sette varietà di verdure a rapida crescita per aumentare l'accesso delle famiglie a cibi nutrienti e colmare il divario alimentare tra i raccolti di cereali. «Non ho soldi per andare a comprare cibo al mercato, quindi ho veramente bisogno di questo», ha detto il trentenne Candiru Lily. «Sono dovuto scappare dal villaggio per mettermi in salvo e ora sono qui a Yei, ma non ho molta terra. Con i semi che ho avuto oggi, pianterò intorno a casa mia e questomi aiuterà molto».
In Central Equatoria, circa 145.000 persone si trovano ad affrontare livelli d'insicurezza alimentare d'emergenza - si legge nel comunicato della Fao -, che è solo un gradino al di sotto il livello di carestia sulla scala internazionale delle crisi di fame. Livelli di fame di tale ampiezza si sono ripetuti molte volte in altre comunità del Sud Sudan, perché i combattimenti hanno distrutto i mezzi di sussistenza elimitato l'accesso delle agenzie di aiuti umanitari, e anche perché l'iperinflazione ha reso il cibo fuori dalla portata di molti.
«Siamo profondamente grati», ha detto Jeremiah Taban, pastore della Chiesa Episcopale di Yei. «Le persone del Sud Sudan soffrono davvero tanto e invocano la pace. Se papa Francesco potesse vedere lo stato in cui siamo, ne sarebbe molto addolorato perché nessun essere umano dovrebbe vivere in queste condizioni».
In tutto il Sud Sudan, il numero di persone che soffrono di grave insicurezza alimentare è stimato intorno ai 4,8 milioni. La situazione della sicurezza alimentare si prevede peggiorerà all'inizio del 2018 e la "stagione della fame" - quando le famiglie esauriscono in genere tutto il cibo prima del raccolto successivo - si prevede inizierà tre mesi prima del solito.
I gruppi d'intervento della Fao in Sud Sudan si concentrano sul rafforzamento della sicurezza alimentare migliorando i mezzi di sussistenza. La Fao ha fornito kit per la pesca, l'agricoltura e per la coltivazione di ortaggi a più di 4,2 milioni di persone, molte delle quali in aree difficilida raggiungere o colpite da conflitti, per aiutarle a coltivareil proprio cibo. La Fao ha inoltre vaccinato e trattato oltre 4,8 milioni capi di bestiame, per proteggere questi beni di sostentamento per le famiglie vulnerabili.
Il progetto si attua a Yei in Central Equatoria, Sudan del Sud. Il recente contributo di 25.000 euro donato dal Papa alla Fao è stato utilizzato per fornire kit e attrezzi agricoli in una zona dove i mezzi di sostentamento agricoli sono stati distrutti dagli scontri armati.
«Prima della guerra la vita era decente e avevamo abbastanza da mangiare, ora solo qualcosa per colazione e pochissimo per cena. Il mio bambino continua a piangere perché ha fame», dice la 22enne Suzan Night, tra coloro che hanno ricevuto i kit dalla Fao. «Le cipolle e i pomodori possono essere venduti al mercato e questo sarà davvero di grande aiuto per me».
«Questi kit ortofrutticoli possono davvero fare la differenza tra la vita e la morte per molte persone», ha dichiarato Serge Tissot, rappresentante della Fao in Sud Sudan. «Grazie al contributo di papa Francesco, più persone in Yei potranno ricominciare a coltivare il proprio cibo per allontanare lo spettro della fame».
I kit forniscono sette varietà di verdure a rapida crescita per aumentare l'accesso delle famiglie a cibi nutrienti e colmare il divario alimentare tra i raccolti di cereali. «Non ho soldi per andare a comprare cibo al mercato, quindi ho veramente bisogno di questo», ha detto il trentenne Candiru Lily. «Sono dovuto scappare dal villaggio per mettermi in salvo e ora sono qui a Yei, ma non ho molta terra. Con i semi che ho avuto oggi, pianterò intorno a casa mia e questomi aiuterà molto».
In Central Equatoria, circa 145.000 persone si trovano ad affrontare livelli d'insicurezza alimentare d'emergenza - si legge nel comunicato della Fao -, che è solo un gradino al di sotto il livello di carestia sulla scala internazionale delle crisi di fame. Livelli di fame di tale ampiezza si sono ripetuti molte volte in altre comunità del Sud Sudan, perché i combattimenti hanno distrutto i mezzi di sussistenza elimitato l'accesso delle agenzie di aiuti umanitari, e anche perché l'iperinflazione ha reso il cibo fuori dalla portata di molti.
«Siamo profondamente grati», ha detto Jeremiah Taban, pastore della Chiesa Episcopale di Yei. «Le persone del Sud Sudan soffrono davvero tanto e invocano la pace. Se papa Francesco potesse vedere lo stato in cui siamo, ne sarebbe molto addolorato perché nessun essere umano dovrebbe vivere in queste condizioni».
In tutto il Sud Sudan, il numero di persone che soffrono di grave insicurezza alimentare è stimato intorno ai 4,8 milioni. La situazione della sicurezza alimentare si prevede peggiorerà all'inizio del 2018 e la "stagione della fame" - quando le famiglie esauriscono in genere tutto il cibo prima del raccolto successivo - si prevede inizierà tre mesi prima del solito.
I gruppi d'intervento della Fao in Sud Sudan si concentrano sul rafforzamento della sicurezza alimentare migliorando i mezzi di sussistenza. La Fao ha fornito kit per la pesca, l'agricoltura e per la coltivazione di ortaggi a più di 4,2 milioni di persone, molte delle quali in aree difficilida raggiungere o colpite da conflitti, per aiutarle a coltivareil proprio cibo. La Fao ha inoltre vaccinato e trattato oltre 4,8 milioni capi di bestiame, per proteggere questi beni di sostentamento per le famiglie vulnerabili.
I partiti in conflitto del Sud Sudan firmano un accordo di pace definitivo
Questa sera, gli arcipalesi sud-sudanesi hanno firmato un accordo di pace, finalizzato a porre fine alla devastante guerra civile che ha ucciso decine di migliaia di persone e milioni di sfollati.
Il presidente Kiir ei gruppi di opposizione, incluso il suo rivale rivale Riek Machar, hanno firmato l'accordo finale in Etiopia, in base al quale il principale leader dell'opposizione è pronto a tornare a un nuovo governo di unità come primo vicepresidente, uno dei cinque vicepresidenti.
Come parte dell'accordo firmato per la condivisione del potere, Kiir rimarrà presidente.
L'accordo, che apre la strada alla pace e alla stabilità nel paese devastato dalla guerra, è stato firmato alla presenza del primo ministro etiope Abiy Ahmed e delle sue controparti della regione, insieme a diplomatici stranieri.
I leader rivali ai sensi del nuovo accordo avranno otto mesi per formare un governo di transizione, che durerà per tre anni.
L'accordo finale arriva come parte di una spinta regionale volta a raggiungere la pace nella nazione più giovane del mondo.
Il Consiglio dei ministri dell'IGAD nel suo incontro ad Addis Abeba questo pomeriggio ha annullato alcune delle cinque riserve espresse in precedenza dalle parti in conflitto a Khartoum.
Il capo della Commissione congiunta di monitoraggio e valutazione dell'IGAD (JMEC) per il Sud Sudan, Festus Mogae, si è ufficialmente dimesso dopo che le parti hanno firmato l'accordo di pace per consentire la nuova leadership nel nuovo governo del Sud Sudan.
Edmund Yakani, un importante attivista della società civile, ha confermato che l'accordo di pace è stato firmato dal presidente Kiir, leader dell'opposizione Riek Machar, SPLM-FDs, SSOA e altri partiti politici.
Si è congratulato con i partiti in conflitto del Sud Sudan per aver preso la decisione di fare la pace nel paese.
L'attivista ha esortato le parti ad attuare l'accordo di pace in buona fede.
Yakani, che è il direttore esecutivo dell'organizzazione no profit Empowerment for Progress (CEPO), ha dichiarato di volere il 12 settembre dichiarato giornata nazionale per trasformare la società dalla violenza alla pace.
Il gruppo di advocacy esprime preoccupazioni
L'Enough Project, con sede negli Stati Uniti, ha dichiarato che l'accordo di pace firmato ad Addis Abeba tra il governo ei gruppi armati di opposizione ha notevoli difetti, tra cui il mancato controllo dei saccheggi da parte dei leader delle risorse statali e delle entrate.
Il gruppo ha affermato che queste carenze potrebbero facilmente riportare il paese alla guerra su vasta scala.
John Prendergast, direttore fondatore di Enough Project e co-fondatore di The Sentry, ha dichiarato: "L'accordo di pace di oggi manca di significativi controlli ed equilibri su una presidenza che detiene già poteri immensi, che sono principalmente usati per saccheggiare le risorse del paese e dispiegare violenza estrema Gli ingenti redditi petroliferi del Sud Sudan sono stati intascati dai politici di alto livello e dalle loro famiglie e trasportati fuori dal paese.Questo nuovo accordo di pace non riesce a sottrarre il furto delle entrate del governo affidando gli stessi politici corrotti senza alcun controllo ed equilibrio significativo ".
Nel frattempo Brian Adeba, vicedirettore della politica del progetto Enough, ha dichiarato: "Questo accordo di pace è semplicemente una divisione del bottino tra le fazioni rivali con le pistole più grandi: l'accordo firmato rafforza lo status quo e aumenta le probabilità di un pieno ritorno alla guerra, nella sua incapacità di affrontare la cattura statale da parte di questi politici o la riforma delle istituzioni dirottate: gli Stati Uniti e altre nazioni disposte dovrebbero imporre sanzioni e misure anti-riciclaggio sulle reti dei funzionari sud sudanesi e dei loro collaboratori commerciali che continuano a saccheggiare le risorse del paese e negare loro l'accesso al sistema bancario internazionale ".
Il presidente Kiir ei gruppi di opposizione, incluso il suo rivale rivale Riek Machar, hanno firmato l'accordo finale in Etiopia, in base al quale il principale leader dell'opposizione è pronto a tornare a un nuovo governo di unità come primo vicepresidente, uno dei cinque vicepresidenti.
Come parte dell'accordo firmato per la condivisione del potere, Kiir rimarrà presidente.
L'accordo, che apre la strada alla pace e alla stabilità nel paese devastato dalla guerra, è stato firmato alla presenza del primo ministro etiope Abiy Ahmed e delle sue controparti della regione, insieme a diplomatici stranieri.
I leader rivali ai sensi del nuovo accordo avranno otto mesi per formare un governo di transizione, che durerà per tre anni.
L'accordo finale arriva come parte di una spinta regionale volta a raggiungere la pace nella nazione più giovane del mondo.
Il Consiglio dei ministri dell'IGAD nel suo incontro ad Addis Abeba questo pomeriggio ha annullato alcune delle cinque riserve espresse in precedenza dalle parti in conflitto a Khartoum.
Il capo della Commissione congiunta di monitoraggio e valutazione dell'IGAD (JMEC) per il Sud Sudan, Festus Mogae, si è ufficialmente dimesso dopo che le parti hanno firmato l'accordo di pace per consentire la nuova leadership nel nuovo governo del Sud Sudan.
Edmund Yakani, un importante attivista della società civile, ha confermato che l'accordo di pace è stato firmato dal presidente Kiir, leader dell'opposizione Riek Machar, SPLM-FDs, SSOA e altri partiti politici.
Si è congratulato con i partiti in conflitto del Sud Sudan per aver preso la decisione di fare la pace nel paese.
L'attivista ha esortato le parti ad attuare l'accordo di pace in buona fede.
Yakani, che è il direttore esecutivo dell'organizzazione no profit Empowerment for Progress (CEPO), ha dichiarato di volere il 12 settembre dichiarato giornata nazionale per trasformare la società dalla violenza alla pace.
Il gruppo di advocacy esprime preoccupazioni
L'Enough Project, con sede negli Stati Uniti, ha dichiarato che l'accordo di pace firmato ad Addis Abeba tra il governo ei gruppi armati di opposizione ha notevoli difetti, tra cui il mancato controllo dei saccheggi da parte dei leader delle risorse statali e delle entrate.
Il gruppo ha affermato che queste carenze potrebbero facilmente riportare il paese alla guerra su vasta scala.
John Prendergast, direttore fondatore di Enough Project e co-fondatore di The Sentry, ha dichiarato: "L'accordo di pace di oggi manca di significativi controlli ed equilibri su una presidenza che detiene già poteri immensi, che sono principalmente usati per saccheggiare le risorse del paese e dispiegare violenza estrema Gli ingenti redditi petroliferi del Sud Sudan sono stati intascati dai politici di alto livello e dalle loro famiglie e trasportati fuori dal paese.Questo nuovo accordo di pace non riesce a sottrarre il furto delle entrate del governo affidando gli stessi politici corrotti senza alcun controllo ed equilibrio significativo ".
Nel frattempo Brian Adeba, vicedirettore della politica del progetto Enough, ha dichiarato: "Questo accordo di pace è semplicemente una divisione del bottino tra le fazioni rivali con le pistole più grandi: l'accordo firmato rafforza lo status quo e aumenta le probabilità di un pieno ritorno alla guerra, nella sua incapacità di affrontare la cattura statale da parte di questi politici o la riforma delle istituzioni dirottate: gli Stati Uniti e altre nazioni disposte dovrebbero imporre sanzioni e misure anti-riciclaggio sulle reti dei funzionari sud sudanesi e dei loro collaboratori commerciali che continuano a saccheggiare le risorse del paese e negare loro l'accesso al sistema bancario internazionale ".
LE VERE RAGIONI DELL’EMIGRAZIONE AFRICANA:
IL FURTO DELLA TERRA
L’Unione europea ha appena deciso di triplicare i fondi per la gestione dei migranti: la somma messa a bilancio passerà dagli attuali 13 miliardi di euro (anni 2014-2021) ai futuri 35 miliardi di euro (anni 2021-2027).
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi.
Conviene ripetere e magari ripubblicare. Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.
Già, come mai? E perchè non li aiutiamo a casa loro?
Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perchè la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra. Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano. In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.
E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…
Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!
L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il loro salario? Sessanta centesimi al giorno.
di Antonello Caporale
Prima di compiere l’analisi dei costi preventivati, dove i soldi vanno, per fare cosa, dobbiamo sapere cosa noi prendiamo dall’Africa, e cosa restituiamo all’Africa. Se noi aiutiamo loro oppure se loro, magari, danno una mano a noi.
Conviene ripetere e magari ripubblicare. Quindi partire dalle basi, dai luoghi in cui i migranti partono.
Roberto Rosso, l’uomo che dai jeans ha ricavato un mondo che ora vale milioni di euro, ha domandato: “Come mai spendiamo 34 euro al giorno per ospitare un migrante se con sei dollari al dì potremmo renderlo felice e sazio a casa sua?”.
Già, come mai? E perchè non li aiutiamo a casa loro?
Casa loro? Andiamoci piano con le parole. Perchè la loro casa è in vendita e sta divenendo la nostra. Per dire: il Madagascar ha ceduto alla Corea del Sud la metà dei suoi terreni coltivabili, circa un milione e trecentomila ettari. La Cina ha preso in leasing tre milioni di ettari dall’Ucraina: gli serve il suo grano. In Tanzania acquistati da un emiro 400mila ettari per diritti esclusivi di caccia. L’emiro li ha fatti recintare e poi ha spedito i militari per impedire che le tribù Masai sconfinassero in cerca di pascoli per i loro animali. La loro vita.
E gli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto… Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire. La puzza a chi puzza…
Chi ha fame vende. Anzi regala. L’Etiopia ha il 46 per cento della popolazione a rischio fame. E’ la prima a negoziare cessioni ai prezzi ridicoli che conosciamo. Seguono la Tanzania (il 44 per cento degli abitanti sono a rischio) e il Mali (il 30 per cento è in condizioni di “insicurezza alimentare”). Comprano i ricchi. Il Qatar, l’Arabia Saudita, la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, anche l’India. E nelle transazioni, la piccola parte visibile e registrata della opaca frontiera coloniale, sono considerate terre inutilizzate quelle coltivate a pascolo.
Il presidente del Kenya, volendo un porto sul suo mare, ha ceduto al Qatar, che si è offerto di costruirglielo, 40mila ettari di terreno con tutto dentro. Nel pacco confezionato c’erano circa 150 pastori e pescatori. Che si arrangiassero pure!
L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il loro salario? Sessanta centesimi al giorno.
di Antonello Caporale
Le parti emettono una dichiarazione congiunta per la pace
I leader che hanno negoziato l'accordo di pace rivitalizzato a Khartoum hanno espresso il loro impegno ad attuare tutte le loro disposizioni al fine di realizzare un Sudan meridionale unito, pacifico e prospero.
In una dichiarazione congiunta emessa alla vigilia di Eid al-Adha dai rappresentanti del TGoNU, SPLM-IO, opposizione all'alleanza, ex detenuti e organizzazioni della società civile, le parti hanno ribadito la loro determinazione per un paese basato sulla giustizia, l'uguaglianza, il rispetto per i diritti umani e lo stato di diritto.
Le parti hanno affermato di riconoscere che "la guerra e il combattimento hanno causato sofferenze indescrivibili ai sud sudanesi e hanno profondamente danneggiato la società".
Hanno detto di aver discusso l'accordo di pace a Khartoum nelle ultime sette settimane, al fine di raggiungere una comprensione di base sul modo migliore per preservare la sovranità, l'armonia e la sopravvivenza del Sud Sudan.
La dichiarazione esorta il pubblico a raggiungere i propri vicini e offrire pace e amore nello spirito di questo accordo rivitalizzato.
Secondo i gruppi di negoziatori, le questioni rimanenti riguardano semplicemente "come tradurre gli accordi in programmi e piani d'azione per una pace e uno sviluppo duraturo".
Affermano il loro "impegno congiunto per la piena attuazione della Dichiarazione di Khartoum e degli Accordi sulle questioni eccezionali di sicurezza e governance".
Le parti hanno espresso rammarico per non essere fedeli alle aspirazioni dell'Accordo sulla cessazione delle ostilità, della protezione dei civili e dell'accesso umanitario.
Nella dichiarazione, TGoNU, SPLM-IO, SSOA e FD hanno promesso congiuntamente di aderire pienamente al cessate il fuoco al fine di consentire agli sfollati di iniziare a ricostruire i loro mezzi di sussistenza e di avviare il processo di attuazione dell'Accordo rivitalizzato.
In una dichiarazione congiunta emessa alla vigilia di Eid al-Adha dai rappresentanti del TGoNU, SPLM-IO, opposizione all'alleanza, ex detenuti e organizzazioni della società civile, le parti hanno ribadito la loro determinazione per un paese basato sulla giustizia, l'uguaglianza, il rispetto per i diritti umani e lo stato di diritto.
Le parti hanno affermato di riconoscere che "la guerra e il combattimento hanno causato sofferenze indescrivibili ai sud sudanesi e hanno profondamente danneggiato la società".
Hanno detto di aver discusso l'accordo di pace a Khartoum nelle ultime sette settimane, al fine di raggiungere una comprensione di base sul modo migliore per preservare la sovranità, l'armonia e la sopravvivenza del Sud Sudan.
La dichiarazione esorta il pubblico a raggiungere i propri vicini e offrire pace e amore nello spirito di questo accordo rivitalizzato.
Secondo i gruppi di negoziatori, le questioni rimanenti riguardano semplicemente "come tradurre gli accordi in programmi e piani d'azione per una pace e uno sviluppo duraturo".
Affermano il loro "impegno congiunto per la piena attuazione della Dichiarazione di Khartoum e degli Accordi sulle questioni eccezionali di sicurezza e governance".
Le parti hanno espresso rammarico per non essere fedeli alle aspirazioni dell'Accordo sulla cessazione delle ostilità, della protezione dei civili e dell'accesso umanitario.
Nella dichiarazione, TGoNU, SPLM-IO, SSOA e FD hanno promesso congiuntamente di aderire pienamente al cessate il fuoco al fine di consentire agli sfollati di iniziare a ricostruire i loro mezzi di sussistenza e di avviare il processo di attuazione dell'Accordo rivitalizzato.
PALORINYA, Uganda - Su una pallida strada sterrata nel campo profughi di Palorinya, nel nord Uganda, Raida Ijo si aggrappa a suo figlio di 16 anni, Charles Abu. Singhiozzarono tranquillamente l'uno nelle spalle dell'altro. Erano stati separati per 19 mesi, dal giorno in cui sono scoppiati i combattimenti tra ribelli e truppe governative nel loro villaggio nel Sud Sudan.
Charles era a metà del corso di matematica nel loro villaggio, Andasire, nello stato dell'Equatoria del Sudan Meridionale, quando sono iniziate le riprese. Corse verso il cespuglio e, dopo una notte insonne in clandestinità, partì per il confine ugandese con il fratello minore Seme, 14 anni.
La loro madre, la signora Ijo, sentendosi male, si era presentata in ospedale quella mattina. I ragazzi sapevano che cercare di trovarla sarebbe stato troppo pericoloso.
Charles era a metà del corso di matematica nel loro villaggio, Andasire, nello stato dell'Equatoria del Sudan Meridionale, quando sono iniziate le riprese. Corse verso il cespuglio e, dopo una notte insonne in clandestinità, partì per il confine ugandese con il fratello minore Seme, 14 anni.
La loro madre, la signora Ijo, sentendosi male, si era presentata in ospedale quella mattina. I ragazzi sapevano che cercare di trovarla sarebbe stato troppo pericoloso.
I due fratelli sono tra 17.600 minori che hanno attraversato il confine con l'Uganda senza i loro genitori dopo lo scoppio della guerra civile del Sud Sudan nel 2013, secondo l'agenzia dei rifugiati delle Nazioni Unite. Nell'ultimo anno, il ritmo del conflitto e il flusso di rifugiati sono rallentati, ma gli operatori umanitari sostengono che ci vorranno anni per riunire le famiglie frammentate.
"Quando è già dura solo per sopravvivere, e non sa nemmeno se i tuoi cari sono vivi, questo aggiunge molto all'onere", ha detto Joane Holliger, un delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa a un programma in Uganda, ripristino dei legami familiari. "Ci sono molti problemi di protezione per i minori non accompagnati - lavoro minorile, gravidanza in età adolescenziale, prostituzione, famiglie con bambini - per cui più velocemente possiamo rintracciare i loro genitori, meglio è".
Negli ultimi due anni, 433 minori non accompagnati sono stati riuniti con i loro genitori in Uganda. In tutto il mondo, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha aperto 99.342 casi mentre cerca di ricongiungere le famiglie.
L'assistente di tracing Agustin Soroba, 27 anni, e il suo capo, Hillary Driwale, che supervisiona una squadra di 15 agenti di ricerca, si recano a casa di una ragazza non accompagnata di 18 anni che tenta di localizzare sua madre, nel campo profughi di Bidi Bidi nel nord Uganda.
In Uganda, la maggior parte del lavoro è svolto da volontari della Croce Rossa, chiamati traccianti, che lavorano nei giorni feriali sperando di trovare i membri della famiglia scomparsi nella loro sezione assegnata del campo.
Agustin Soroba, 27 anni, che è stato separato dalla sua famiglia per cinque mesi dopo essere stato rapito, picchiato e obbligato a fare il portatore di munizioni ai soldati del Sud Sudan, ha lavorato come tracciante dal febbraio 2017.
La sua area operativa è costituita da una serie di blocchi nel campo di Bidi Bidi, ora il più grande dell'Africa con circa 280.000 rifugiati. Un recente mercoledì, stava facendo il giro di bambini non accompagnati nella sua zona i cui casi erano ancora in corso, e controllando le famiglie che erano state riunificate.
"Quando è già dura solo per sopravvivere, e non sa nemmeno se i tuoi cari sono vivi, questo aggiunge molto all'onere", ha detto Joane Holliger, un delegato del Comitato Internazionale della Croce Rossa a un programma in Uganda, ripristino dei legami familiari. "Ci sono molti problemi di protezione per i minori non accompagnati - lavoro minorile, gravidanza in età adolescenziale, prostituzione, famiglie con bambini - per cui più velocemente possiamo rintracciare i loro genitori, meglio è".
Negli ultimi due anni, 433 minori non accompagnati sono stati riuniti con i loro genitori in Uganda. In tutto il mondo, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha aperto 99.342 casi mentre cerca di ricongiungere le famiglie.
L'assistente di tracing Agustin Soroba, 27 anni, e il suo capo, Hillary Driwale, che supervisiona una squadra di 15 agenti di ricerca, si recano a casa di una ragazza non accompagnata di 18 anni che tenta di localizzare sua madre, nel campo profughi di Bidi Bidi nel nord Uganda.
In Uganda, la maggior parte del lavoro è svolto da volontari della Croce Rossa, chiamati traccianti, che lavorano nei giorni feriali sperando di trovare i membri della famiglia scomparsi nella loro sezione assegnata del campo.
Agustin Soroba, 27 anni, che è stato separato dalla sua famiglia per cinque mesi dopo essere stato rapito, picchiato e obbligato a fare il portatore di munizioni ai soldati del Sud Sudan, ha lavorato come tracciante dal febbraio 2017.
La sua area operativa è costituita da una serie di blocchi nel campo di Bidi Bidi, ora il più grande dell'Africa con circa 280.000 rifugiati. Un recente mercoledì, stava facendo il giro di bambini non accompagnati nella sua zona i cui casi erano ancora in corso, e controllando le famiglie che erano state riunificate.
Bambini rifugiati del Sud Sudan in una classe di apprendimento accelerato in uno spazio gestito da World Vision nel campo profughi di Bidi Bidi, nel nord dell'Uganda.
Una visita è stata fatta una piccola casa costruita nel fango dove Margaret Sitima, 18 anni, sta aspettando da più di un anno di riconnettersi con sua madre, l'ultima volta che è andata all'ospedale nella città ugandese di Arua, dopo essere stata picchiata malamente dai soldati nel suo viaggio fuori dal Sud Sudan.
Il signor Soroba le chiese di fornire più dettagli possibili e le disse che avrebbe fatto del suo meglio.
I suoi colleghi invitano le persone a denunciare i familiari mancanti. Appendono anche poster dei dispersi e gestiscono una hotline che consente ai rifugiati di telefonare a membri della famiglia separati.
Un vecchio uomo chiamò sua moglie - la prima volta che avevano parlato in 14 mesi - per farle sapere che era in Bidi Bidi e che le mancava. Una donna con una maglietta gialla chiamata dai parenti in Sud Sudan con la notizia che suo figlio era malato ma stava guarendo.
Molti dei minori non accompagnati hanno assistito a violenze estreme, aggiungendo urgenza alla sfida di riunificarli con le loro famiglie.
"Molti di loro sono estremamente disturbati", ha detto Richard Talish, 33 anni, un dipendente dell'ente di beneficenza di World Vision, che gestisce uno spazio sicuro per i bambini nel campo di Bidi Bidi. "Cerchiamo di tenerli occupati, quindi non pensano sempre al passato."
Una visita è stata fatta una piccola casa costruita nel fango dove Margaret Sitima, 18 anni, sta aspettando da più di un anno di riconnettersi con sua madre, l'ultima volta che è andata all'ospedale nella città ugandese di Arua, dopo essere stata picchiata malamente dai soldati nel suo viaggio fuori dal Sud Sudan.
Il signor Soroba le chiese di fornire più dettagli possibili e le disse che avrebbe fatto del suo meglio.
I suoi colleghi invitano le persone a denunciare i familiari mancanti. Appendono anche poster dei dispersi e gestiscono una hotline che consente ai rifugiati di telefonare a membri della famiglia separati.
Un vecchio uomo chiamò sua moglie - la prima volta che avevano parlato in 14 mesi - per farle sapere che era in Bidi Bidi e che le mancava. Una donna con una maglietta gialla chiamata dai parenti in Sud Sudan con la notizia che suo figlio era malato ma stava guarendo.
Molti dei minori non accompagnati hanno assistito a violenze estreme, aggiungendo urgenza alla sfida di riunificarli con le loro famiglie.
"Molti di loro sono estremamente disturbati", ha detto Richard Talish, 33 anni, un dipendente dell'ente di beneficenza di World Vision, che gestisce uno spazio sicuro per i bambini nel campo di Bidi Bidi. "Cerchiamo di tenerli occupati, quindi non pensano sempre al passato."
Mr. Talish ha detto che nelle sessioni d'arte, molti bambini disegnano scene di violenza.
La traccia può richiedere tempo. Il caso dei fratelli Abu illustra gli ostacoli al ricongiungimento delle famiglie divise dalla guerra del Sud Sudan. I ragazzi non avevano idea di dove fosse la madre e se fosse viva. Dissero che la loro madre non conosceva la sua età e non riusciva a pronunciare il suo nome, rendendo più difficile localizzarla. Come molti sud sudanesi, non ha mai posseduto un telefono cellulare o un account Facebook.
La traccia può richiedere tempo. Il caso dei fratelli Abu illustra gli ostacoli al ricongiungimento delle famiglie divise dalla guerra del Sud Sudan. I ragazzi non avevano idea di dove fosse la madre e se fosse viva. Dissero che la loro madre non conosceva la sua età e non riusciva a pronunciare il suo nome, rendendo più difficile localizzarla. Come molti sud sudanesi, non ha mai posseduto un telefono cellulare o un account Facebook.
In Sud Sudan due terzi della popolazione a rischio fame
La guerra civile che imperversa in molte regioni del Sud Sudan porta con sé il “danno collaterale” della fame. Rischia di essere drammatico il 2018 per il Paese più giovane del mondo, uno dei due Stati africani (l’altro è la Repubblica democratica del Congo) per il quale Papa Francesco ha indetto venerdì scorso una giornata di preghiera e digiuno. Secondo l’allarme lanciato da tre agenzie delle Nazioni Unite – Fao, Unicef e Programma alimentare mondiale - oltre sette milioni di persone in Sud Sudan, circa due terzi della popolazione, rischiano di essere colpiti da livelli critici di insicurezza alimentare nei prossimi mesi, senza una assistenza umanitaria duratura e se non verrà garantito loro accesso agli aiuti. Particolarmente a rischio di scivolare nei livelli di fame più estremi sono 155mila persone, tra le quali 29mila bambini.
Il periodo di maggiore allerta sarà la stagione di magra, tra maggio e luglio, quando finiscono le scorte del raccolto precedente. Ma secondo un rapporto diffuso lunedì già a gennaio 5,3 milioni di persone avevano difficoltà a procurarsi il cibo quotidiano, con un aumento del 40% del numero di persone colpite da livelli severi di insicurezza alimentare rispetto a un anno fa. Una maggiore capacità di accesso agli aiuti e operazioni di assistenza imponenti hanno permesso di contenere ed evitare la carestia nel 2017, ma le prospettive per quest’anno restano allarmanti.
"La situazione è estremamente fragile e siamo prossimi ad un'altra carestia - sottolinea Serge Tissot, rappresentante della Fao in Sud Sudan -. Le proiezioni parlano chiaro. Se le ignoriamo, ci troveremo davanti ad una tragedia crescente. Ma se i contadini verranno messi nelle condizioni di ripristinare i mezzi di sussistenza, vedremo un miglioramento rapido della situazione alimentare grazie all'aumento della produzione locale". I livelli generali di fame sono peggiorati a causa del conflitto prolungato tra forze governative e uomini fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar, conflitto che ha portato ad una ridotta produzione alimentare e impedito l'accesso ai mezzi di sussistenza. La situazione è stata esacerbata dal collasso dell'economia che ha colpito i mercati e il commercio, rendendoli incapaci di compensare la ridotta produzione alimentare locale.
In aree come Unity, Jonglei, Alto Nilo, Equatoria Centrale, dove scontri armati e sfollamento della popolazione sono all'ordine del giorno, la percentuale di popolazione colpita da insicurezza alimentare estrema è già tra il 52 e il 62%. Se non riceveranno aiuti, a maggio oltre 1,3 milioni di bambini sotto i 5 anni saranno a rischio di malnutrizione acuta. I tassi di malnutrizione peggioreranno ad aprile con l'inizio della stagione delle piogge, quando molte comunità si ritroveranno isolate e incapaci di ricevere assistenza medica. Le piogge renderanno le strade interne inutilizzabili e sarà ancora più difficile far arrivare rifornimenti ai centri medici. "Ci stiamo preparando a tassi di malnutrizione infantile mai visti in questo Paese - spiega Mahimbo Mdoe, rappresentante dell'Unicef in Sud Sudan -. Senza una risposta rapida e se non avremo modo di raggiungere chi ha bisogno di aiuto, molti bambini moriranno. Non possiamo permettere che questo accada”.
Il periodo di maggiore allerta sarà la stagione di magra, tra maggio e luglio, quando finiscono le scorte del raccolto precedente. Ma secondo un rapporto diffuso lunedì già a gennaio 5,3 milioni di persone avevano difficoltà a procurarsi il cibo quotidiano, con un aumento del 40% del numero di persone colpite da livelli severi di insicurezza alimentare rispetto a un anno fa. Una maggiore capacità di accesso agli aiuti e operazioni di assistenza imponenti hanno permesso di contenere ed evitare la carestia nel 2017, ma le prospettive per quest’anno restano allarmanti.
"La situazione è estremamente fragile e siamo prossimi ad un'altra carestia - sottolinea Serge Tissot, rappresentante della Fao in Sud Sudan -. Le proiezioni parlano chiaro. Se le ignoriamo, ci troveremo davanti ad una tragedia crescente. Ma se i contadini verranno messi nelle condizioni di ripristinare i mezzi di sussistenza, vedremo un miglioramento rapido della situazione alimentare grazie all'aumento della produzione locale". I livelli generali di fame sono peggiorati a causa del conflitto prolungato tra forze governative e uomini fedeli all’ex vicepresidente Riek Machar, conflitto che ha portato ad una ridotta produzione alimentare e impedito l'accesso ai mezzi di sussistenza. La situazione è stata esacerbata dal collasso dell'economia che ha colpito i mercati e il commercio, rendendoli incapaci di compensare la ridotta produzione alimentare locale.
In aree come Unity, Jonglei, Alto Nilo, Equatoria Centrale, dove scontri armati e sfollamento della popolazione sono all'ordine del giorno, la percentuale di popolazione colpita da insicurezza alimentare estrema è già tra il 52 e il 62%. Se non riceveranno aiuti, a maggio oltre 1,3 milioni di bambini sotto i 5 anni saranno a rischio di malnutrizione acuta. I tassi di malnutrizione peggioreranno ad aprile con l'inizio della stagione delle piogge, quando molte comunità si ritroveranno isolate e incapaci di ricevere assistenza medica. Le piogge renderanno le strade interne inutilizzabili e sarà ancora più difficile far arrivare rifornimenti ai centri medici. "Ci stiamo preparando a tassi di malnutrizione infantile mai visti in questo Paese - spiega Mahimbo Mdoe, rappresentante dell'Unicef in Sud Sudan -. Senza una risposta rapida e se non avremo modo di raggiungere chi ha bisogno di aiuto, molti bambini moriranno. Non possiamo permettere che questo accada”.
Sud Sudan . L'Onu accusa il governo: «Civili arsi vivi dai soldati»
«Il bilancio è di 232 civili morti. I soldati governativi e le milizie loro alleate hanno attaccato 40 villaggi commettendo inaudite violenze contro uomini, donne, bambini, vecchi e disabili. Il governo del Sud Sudan e la comunità internazionale devono garantire la giustizia nel Paese». Sono queste le dure parole pronunciate da Zeid Ra’ad al-Hussein, a capo dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), rispetto all’ultimo rapporto pubblicato sul conflitto sudsudanese.
«Dal 16 aprile al 24 maggio, anziani e persone disabili sono state arse vive nelle loro case – denuncia lo studio redatto insieme alla Missione Onu nel Paese (Unmiss) –. Oltre 120 tra donne e ragazze sono state vittime di violenza di gruppo». Come è successo regolarmente in passato, lo stupro continua a essere usato come arma da guerra. Gli investigatori Onu hanno parlato persino di una «bambina di 4 anni» violentata dalle milizie filogovernative. Le violenze sono state perpetrate soprattutto nell’area di Mayendit e Leer, nello Stato settentrionale di Unity, in gran parte occupato dai ribelli. «Tali atti spesso di matrice etnica potrebbero essere giudicati come crimini di guerra», affermano gli analisti.
Il rapporto è stato diffuso in un periodo di negoziati ad alta tensione. Dal 2013, infatti, il governo del presidente sudsudanese, Salva Kiir, di etnia dinka, si sta scontrando contro le forze ribelli di Riek Machar, un nuer. Il fragile cessate il fuoco del 2015 era stato violato in poco tempo. Non si hanno invece ancora notizie precise rispetto all’esito dei colloqui in corso.
L’offerta di un posto da primo vice-presidente per Machar è stata rifiutata. «Vogliamo due delle quattro nomine di vice-presidente e il potere esecutivo e legislativo di Kiir deve essere radicalmente limitato», ha recentemente richiesto uno dei portavoce della ribellione. Sono infatti poche le speranze per una pace duratura nel Paese più giovane del mondo. Secondo le agenzie umanitarie, decine di migliaia di persone sono state uccise e almeno 4milioni di civili hanno urgente bisogno di aiuto.
«Dal 16 aprile al 24 maggio, anziani e persone disabili sono state arse vive nelle loro case – denuncia lo studio redatto insieme alla Missione Onu nel Paese (Unmiss) –. Oltre 120 tra donne e ragazze sono state vittime di violenza di gruppo». Come è successo regolarmente in passato, lo stupro continua a essere usato come arma da guerra. Gli investigatori Onu hanno parlato persino di una «bambina di 4 anni» violentata dalle milizie filogovernative. Le violenze sono state perpetrate soprattutto nell’area di Mayendit e Leer, nello Stato settentrionale di Unity, in gran parte occupato dai ribelli. «Tali atti spesso di matrice etnica potrebbero essere giudicati come crimini di guerra», affermano gli analisti.
Il rapporto è stato diffuso in un periodo di negoziati ad alta tensione. Dal 2013, infatti, il governo del presidente sudsudanese, Salva Kiir, di etnia dinka, si sta scontrando contro le forze ribelli di Riek Machar, un nuer. Il fragile cessate il fuoco del 2015 era stato violato in poco tempo. Non si hanno invece ancora notizie precise rispetto all’esito dei colloqui in corso.
L’offerta di un posto da primo vice-presidente per Machar è stata rifiutata. «Vogliamo due delle quattro nomine di vice-presidente e il potere esecutivo e legislativo di Kiir deve essere radicalmente limitato», ha recentemente richiesto uno dei portavoce della ribellione. Sono infatti poche le speranze per una pace duratura nel Paese più giovane del mondo. Secondo le agenzie umanitarie, decine di migliaia di persone sono state uccise e almeno 4milioni di civili hanno urgente bisogno di aiuto.
BUON 4 LUGLIO - Solidarity South Sudan
Grazie all'ambasciatrice Callista Gingrich e a tutto lo staff dell'Ambasciata della Santa Sede per l'invito e per il supporto speciale a Solidarity South Sudan
Il Vaticano sembra pronto ad aprire la prima ambasciata in Sud Sudan
ROMA - Papa Francesco appare pronto a ordinare l'apertura della prima ambasciata permanente del Vaticano in Sud Sudan in un gesto di solidarietà con un paese che ha subito una devastante guerra civile dal 2013.
La conferenza episcopale per il Sudan e il Sud Sudan l'ha annunciato il 6 giugno, affermando di aver ricevuto notizia dalla Segreteria di Stato vaticana che il keniota mons. Mark Kadima sarebbe stato nominato il primo nunzio apostolico del Sud Sudan.
"Esprimo a Sua Santità la mia gratitudine", ha detto il vescovo Eduardo Hiiboro Kussala, presidente della conferenza. "Questo passo del nostro Santo Padre riscalda veramente il cuore delle vittime della guerra calpestate in queste nazioni e ... simboleggia i legami di sincera amicizia tra il Sud Sudan e la Santa Sede".
Il Sud Sudan ha avuto un nunzio apostolico, o ambasciatore vaticano, dal 2013 nell'arcivescovo Charles Balvo. Ma Balvo, originario di New York, ha diretto il suo lavoro da Nairobi, in Kenya.
Kadima ha servito come funzionario nella nunziatura apostolica del Brasile.
Concessa l'indipendenza dal Sudan nel 2011, il Sud Sudan è in uno stato di guerra civile dal 2013, quando è scoppiata una lotta politica durante la quale si stima che 300.000 persone siano morte e circa 3 milioni siano sfollate.
Originariamente, Papa Francesco aveva programmato di fare una visita congiunta nel Sud Sudan nel 2017 con l'arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby, ma il viaggio è stato rinviato a tempo indeterminato a causa di apparenti problemi organizzativi e di sicurezza.
Kussala, che guida la diocesi rurale di Tombura-Yambio a circa 300 miglia a ovest della capitale sud-sudanese di Juba, ha detto nel comunicato del 6 giugno che le persone nel suo paese continuano ad essere "impegnate a pregare Dio affinché la visita papale possa avvenire. "
I nunzi apostolici sono conosciuti in molti posti per la dedizione che portano al loro lavoro, e persino scelgono di rimanere in servizio quando le condizioni nei loro paesi di accoglienza diventano pericolose o instabili.
Un nunzio è stato ucciso recentemente: l'arcivescovo irlandese Michael Courtney, al quale è stata tesa un'imboscata da uomini armati nel 2003 mentre rappresentava la Santa Sede in Burundi. Fu sostituito nel suo incarico dall'arcivescovo britannico Paul Gallagher, che ora fa il ministro degli esteri vaticano.
La conferenza episcopale per il Sudan e il Sud Sudan l'ha annunciato il 6 giugno, affermando di aver ricevuto notizia dalla Segreteria di Stato vaticana che il keniota mons. Mark Kadima sarebbe stato nominato il primo nunzio apostolico del Sud Sudan.
"Esprimo a Sua Santità la mia gratitudine", ha detto il vescovo Eduardo Hiiboro Kussala, presidente della conferenza. "Questo passo del nostro Santo Padre riscalda veramente il cuore delle vittime della guerra calpestate in queste nazioni e ... simboleggia i legami di sincera amicizia tra il Sud Sudan e la Santa Sede".
Il Sud Sudan ha avuto un nunzio apostolico, o ambasciatore vaticano, dal 2013 nell'arcivescovo Charles Balvo. Ma Balvo, originario di New York, ha diretto il suo lavoro da Nairobi, in Kenya.
Kadima ha servito come funzionario nella nunziatura apostolica del Brasile.
Concessa l'indipendenza dal Sudan nel 2011, il Sud Sudan è in uno stato di guerra civile dal 2013, quando è scoppiata una lotta politica durante la quale si stima che 300.000 persone siano morte e circa 3 milioni siano sfollate.
Originariamente, Papa Francesco aveva programmato di fare una visita congiunta nel Sud Sudan nel 2017 con l'arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby, ma il viaggio è stato rinviato a tempo indeterminato a causa di apparenti problemi organizzativi e di sicurezza.
Kussala, che guida la diocesi rurale di Tombura-Yambio a circa 300 miglia a ovest della capitale sud-sudanese di Juba, ha detto nel comunicato del 6 giugno che le persone nel suo paese continuano ad essere "impegnate a pregare Dio affinché la visita papale possa avvenire. "
I nunzi apostolici sono conosciuti in molti posti per la dedizione che portano al loro lavoro, e persino scelgono di rimanere in servizio quando le condizioni nei loro paesi di accoglienza diventano pericolose o instabili.
Un nunzio è stato ucciso recentemente: l'arcivescovo irlandese Michael Courtney, al quale è stata tesa un'imboscata da uomini armati nel 2003 mentre rappresentava la Santa Sede in Burundi. Fu sostituito nel suo incarico dall'arcivescovo britannico Paul Gallagher, che ora fa il ministro degli esteri vaticano.
Novità da Yei
I volontari Giorgio Pizzotti e Antonio Carovillano non fanno più parte della Nostra Onlus.
Antonio individualmente con il solo sostegno della sua città (Alessandria) ha continuato a tenersi in contatto con Yei in cui ha portato un container di beni alimentari che ugualmente distribuito a Yei e ai profughi che si trovano nei campi intorno ad Arua (Nord Uganda).
Antonio individualmente con il solo sostegno della sua città (Alessandria) ha continuato a tenersi in contatto con Yei in cui ha portato un container di beni alimentari che ugualmente distribuito a Yei e ai profughi che si trovano nei campi intorno ad Arua (Nord Uganda).
YEI SUD SUDAN 23 maggio 2018 abbiamo provato a fare la pizza, sapendo dove siamo e avendo pochi ingredienti devo dire niente male
YEI SUD SUDAN 26 maggio 2018 oggi facciamo il pesto di ocra, ghirighiri, ocra, sono erbe locali
Messa in ricordo di Suor Veronika
YEI SUD SUDAN 25 maggio 2018, oggi ricorre il secondo anniversario della morte di SUOR VERONIKA, per mano di tre bimbi soldato, siamo andati a luthaia il villaggio dove è SEPOLTA, il Vescovo ERCOLANO LODU TOMBE ha officiato una messa in memoria di SUOR VERONICA, giornata triste.
Solidarity: 22 nuovi insegnati diplomati ad aprile presso la Teacher Training Collage di Yambio
22 new teachers graduated in April from the Teacher Training College at Yambio.
Sud Sudan: p. Carlassare (missionario), “qui è un calvario, speriamo in una visita del Papa”
Quale speranza rimane al Sud Sudan? “La popolazione e i loro leader sono in attesa dell’annunciata – poi cancellata – visita di Papa Francesco seguita poi dall’azione diplomatica del Vaticano. Si spera in una decisa inversione di marcia”. Lo afferma padre Christian Carlassare, missionario comboniano, in Sud Sudan dal 2005, che spiega in una intervista a “Popoli e missioni” edito dalla Fondazione Missio cosa succede nel Paese africano tra i più insicuri al mondo, dove il “cessate il fuoco”, firmato tra governo e opposizione a dicembre scorso, non regge e le violenze contro i civili sono quotidiane. “Ho l’impressione – osserva il missionario – che la verità sul Sud Sudan non viene riconosciuta semplicemente perché l’Unione africana e la comunità internazionale preferiscono continuare ad avere come interlocutore questo governo così com’è, senza grossi moniti. D’altra parte, le opposizioni effettivamente non sembrano credibili. La popolazione però è condannata a un calvario”. La Chiesa locale si è schierata dalla parte della gente. Il vicepresidente del Sud Sudan, James Wani Igga, ieri, in un discorso pubblico ha accusato il clero e le Chiese cristiane di fomentare il malcontento contro il presidente Salva Kiir e i funzionari governativi. “È significativo – aggiunge – che i vescovi cattolici del Sud Sudan abbiano denunciato che i leader di governo e opposizioni non mettono da parte in nessun modo i loro interessi privati. I vescovi hanno addirittura il sospetto che i leader, pur riconoscendo il bisogno della pace, non sappiano come farla”. La Chiesa, dice padre Carlassare, “ha le sue difficoltà ad accompagnare il Paese sulla via della pace. Ma si trova in una posizione privilegiata essendo vicina alla gente. Qui è l’unica speranza”. Il bilancio degli ultimi 5 anni è davvero catastrofico, denuncia il missionario: “Decine di migliaia di morti, milioni di persone sfollate, saccheggi, stupri, carestie, collasso economico, violazione dello Stato di diritto, distruzione delle infrastrutture, istruzione negata a migliaia di bambini (se non milioni) e famiglie private dell’assistenza sanitaria più basilare”. “Purtroppo già nel 2013 il Paese ha imboccato la strada sbagliata – afferma – di una politica che esclude e che quindi ha fatto cadere il Paese in un conflitto interno che prende una colorazione etnica. Il processo di dialogo nazionale non sembra essere inclusivo e non dà garanzie”. Il numero di rifugiati è aumentato moltissimo: “Quasi due milioni e mezzo di sudsudanesi vivono in Uganda, Sudan, Etiopia, Kenya e Congo”, mentre all’interno rimangono “più di 2 milioni di sfollati, oltre 200mila vivono nei campi di protezione dei civili allestiti dall’Onu”.
Il Sud Sudan al collasso, l’impegno della Chiesa in mezzo a guerre e carestia
Le istituzioni sovranazionali sembrano impotenti. La testimonianza di suor Yudith Pereira di Solidarity with South Sudan: le milizie incontrollate, i bambini ridotti alla fame.
Nella giornata del 16 aprile scorso, il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea, ha espresso «profonda preoccupazione per il protrarsi delle violenze, per le gravi violazioni e gli abusi dei diritti umani nel Sud Sudan». La nota dell’organismo europeo, giunge a qualche settimana di distanza dalla dura denuncia a firma della Commissione per i diritti umani dell’Onu riguardo la situazione nel Paese. Nel documento si parla di reclutamento forzato di bambini - costretti ripetutamente a uccidere civili - di massacri e razzie, distruzione di ospedali, scuole e abitazioni e di «azioni di pulizia etnica, stupri di massa, mutilazioni e villaggi interi dati alle fiamme».
Sempre il 16 aprile, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in un rapporto sulla situazione del Sud Sudan ha denunciato il fenomeno degli stupri come strumento di guerra etnica in molte zone del Paese. I vari organismi sovranazionali, fotografano senza dubbio il drammatico momento del Paese ma, al tempo stesso, sembrano certificare l’impotenza della comunità internazionale di fronte a una delle crisi più tragiche degli ultimi anni.
La guerra civile nella Repubblica più giovane del mondo – ha raggiunto l’indipendenza dal Sudan nel 2011 – va avanti da oltre quattro anni. L’invio di 17mila Caschi blu il cui mandato il 15 marzo scorso è stato rinnovato per un altro anno, ha avuto fin qui risultati molto limitati e le speranze riposte neltentativo del 22 dicembre scorso di riesumare gli accordi di pace (siglati dal governo di Salva Kiir e dalle forze di opposizione di Riek Machar ad Addis Abeba nell’agosto 2015), sono ormai tristemente svanite.
«In Sud Sudan – spiega suor Yudith Pereira-Rico, direttrice esecutiva di “Solidarity with South Sudan”, un organismo che raccoglie varie congregazioni religiose e lavora in collaborazione con la Conferenza episcopale locale - si concentrano tutte le tragedie del mondo: guerra, inflazione, stipendi non pagati da più di un anno e mezzo, mancanza di strutture, fame, carestia. Oltre 3 milioni di abitanti sono fuggiti. Fino a qualche anno fa c’erano 12 milioni di persone, ora meno di nove e, di questi, sette si trovano in emergenza umanitaria. Se si eccettua un’infima minoranza di figli delle famiglie al potere, la totalità degli altri bambini è alla fame. A dicembre si è tenuto l’ennesimo colloquio ad Addis Abeba ma più che di un tavolo di pace si è trattato di un incontro volto solo ad assicurare la spartizione del potere. Gli Usa parlano di imporre sanzioni contro il Sud Sudan: alla fine mi sono convinta che sia l’unica via. Gli Stati Uniti erogano molti finanziamenti e se i rubinetti si chiudono, i leader politici saranno costretti a trovare un accordo. In ogni caso, il vero problema è il continuo afflusso di armi. Questo Paese si è trasformato in infinito mercato di armi e ogni volta che alle Nazioni Unite si propone l’embargo, c’è sempre qualcuno che lo blocca. Una volta è la Russia, un’altra è Israele ed è lo stesso per altri Paesi».
La guerra ha messo in ginocchio l’economia: «C’è il 900% di inflazione, non si compra più nulla. Stiamo assistendo a un crollo economico totale. Al momento tutte le tribù sono in guerra e tra queste ve ne sono alcune che tradizionalmente non hanno mai preso un’arma in mano. La situazione spinge ogni giorno qualcuno a fare la guerra contro qualcun altro. Le milizie sono totalmente incontrollate e agiscono sulla base della fame e della ricerca di denaro».
La giovane nazione, nata solo poco più di sette anni fa, rischia di soccombere. Sul banco degli imputati, in primo luogo, siede l’intera classe politica accusata di totale incapacità nella gestione del processo democratico. «C’è bisogno di una classe politica che venga dalla società civile, per governare il Paese – riprende suor Yudith -. Ancora meglio sarebbe se emergesse una classe dirigente femminile: le donne vedono le cose in maniera diversa e potrebbero disegnare meglio degli uomini un progetto di pace. Non c’è ancora una coscienza nazionale, una mentalità del bene comune. Noi, da quando siamo arrivati in Sud Sudan dieci anni fa, in tutte le istituzioni che gestiamo, insistiamo sul concetto di convivenza civile: si può vivere insieme, anche se differenti.Abbiamo formato almeno 3000 insegnanti e tantissimi operatori sanitari e sono loro, credo, la speranza del futuro del paese. Ma bisogna evitare che fuggano e mettere fine al conflitto prima che sia troppo tardi».
Creato dalle Unioni delle Superiore e dei Superiori Generali, Solidarity with South Sudan nasce come risposta alla chiamata dei vescovi sud sudanesi ad aprire missioni nel Paese. Poiché le candidature delle singole congregazioni tardavano a venire, è stato proposto di garantire una presenza stabile intercongregazionale. «È il nostro valore aggiunto – sottolinea la suora - siamo una comunità composta da 30 religiosi, uomini e donne, che vivono in cinque località sparse in Sud Sudan. I nostri ordini, le realtà, le provenienze e le culture sono molto diverse tra loro, ma lavoriamo insieme per amore di questo Paese martoriato».
«Qui - aggiunge - ci sono molte Ong che offrono servizi fondamentali per l’emergenza, danno cibo, pensano alle cure mediche. Noi invece stiamo qui stabilmente e possiamo puntare allo sviluppo. Ci occupiamo di scuole, ospedali, facciamo formazione di infermieri e ostetriche, di insegnanti, progetti a lungo termine. Gestiamo un campo profughi spontaneo con 5000 persone. Abbiamo molti motivi per sperare in un futuro diverso e in un ritorno dei tanti che sono fuggiti. Ma se non si procede a un immediato embargo delle armi e a un colloquio di pace autentico, le speranze resteranno tali»
LUCA ATTANASIO
Pubblicato il 18/04/2018
1 APRILE 2018 PASQUA DI RISUREZZIONE
Per acquistare materiale scolastico per i bambini profughi in Uganda
Le Casette per l'Equatoria
Sulle alture di Genova (comodamente raggiungibile con la funicolare Zecca-Righi) in Salita Porta Chiappe 21 affittano un giardino per organizzare feste e ricevimenti anche al coperto.
Informazioni: 010.217519 – 347.5709693
Le Casette per l'Equatoria
Sulle alture di Genova (comodamente raggiungibile con la funicolare Zecca-Righi) in Salita Porta Chiappe 21 affittano un giardino per organizzare feste e ricevimenti anche al coperto.
Informazioni: 010.217519 – 347.5709693
AFRICA/SUD SADAN
I VESCOVI: "Un ritiro spirituale per i nostri leader, per aiutarli a fare la pace"
Juba (Agenzia Fides) - "Siamo insoddisfatti del fatto che i nostri leader, sia del governo che dell’opposizione, non siano stati in grado finora di mettere da parte i propri interessi e di fare la pace per il bene del popolo del Sud Sudan. Temiamo che i nostri leader non sappiano come fare la pace. Sono confusi. Sono militari che vedono il mondo attraverso la lente della violenza. Hanno bisogno di aiuto, non tanto di dettagli tecnici e politici, ma per avere il coraggio spirituale e morale di fare la pace” affermano i Vescovi del Sud Sudan in un messaggio pubblicato al termine della loro Assemblea Plenaria tenutasi nelle capitale Juba.
Il messaggio, giunto all’Agenzia Fides, è stato letto da Sua Ecc. Mons. Paulino Lukudo Loro, Arcivescovo di Juba, nella cattedrale di Santa Teresa.
“I nostri leader sono traumatizzati e quindi hanno bisogno di essere guariti da questo trauma”. Ma ancora più traumatizzata è la popolazione del Sud Sudan dopo più di quattro anni di una guerra insensata con la morte di migliaia di persone, causata dallo scontro tra la fazioni del Presidente Salva Kiir e quella capeggiata dall’ex Vice Presidente Riek Machar.
“Decine di migliaia di morti, milioni di persone sfollate; saccheggi, stupri, fame, collasso economico, violazione dello stato di diritto, distruzione delle infrastrutture della nazione, bambini ai quali è stata negata l'istruzione e famiglie prive all'assistenza sanitaria. Questo rappresenta un fallimento come Paese” sottolinea il testo.
I Vescovi propongono ai leader politici un ritiro spirituale per aiutarli a guarire dalla loro ferite. Come dice Mons. Lukudo Loro “come Vescovi cattolici promettiamo il nostro pieno sostegno a questo processo di guarigione che includerebbe un ritiro spirituale guidato da leader religiosi del Sud Sudan e non solo. Il tema del ritiro non sarà politico; sarebbe un ritiro di guarigione che porterà alla trasformazione personale per preparare i partecipanti ad affrontare la via della pace”.
I Vescovi sperano che il terzo round del forum di rivitalizzazione dell'accordo di pace 2015 sia un forum in cui i leader possano risolvere i loro interessi personali e politici e far sì che la pace diventi una realtà in Sud Sudan. "Ciò avverrà solo se i leader saranno pronti a cambiare i loro cuori e ad essere trasformati", ha concluso Mons. Lukudu Loro.
L’accordo di pace del 2015 è collassato nell’estate del 2016 quando le diverse fazioni ripresero a combattersi nella capitale Juba, costringendo Machar a scappare in esilio.
Il forum di rivitalizzazione dell’accordo di pace si dovrebbe tenere nella capitale etiopica, Addis Abeba, ma le autorità di Juba hanno accusato la cosiddetta Troika, USA, Gran Bretagna e Norvegia, di andare oltre il suo mandato di facilitare la mediazione, condizionando pesantemente il processo di pace. (L.M.) (Agenzia Fides 6/3/2018)
Il messaggio, giunto all’Agenzia Fides, è stato letto da Sua Ecc. Mons. Paulino Lukudo Loro, Arcivescovo di Juba, nella cattedrale di Santa Teresa.
“I nostri leader sono traumatizzati e quindi hanno bisogno di essere guariti da questo trauma”. Ma ancora più traumatizzata è la popolazione del Sud Sudan dopo più di quattro anni di una guerra insensata con la morte di migliaia di persone, causata dallo scontro tra la fazioni del Presidente Salva Kiir e quella capeggiata dall’ex Vice Presidente Riek Machar.
“Decine di migliaia di morti, milioni di persone sfollate; saccheggi, stupri, fame, collasso economico, violazione dello stato di diritto, distruzione delle infrastrutture della nazione, bambini ai quali è stata negata l'istruzione e famiglie prive all'assistenza sanitaria. Questo rappresenta un fallimento come Paese” sottolinea il testo.
I Vescovi propongono ai leader politici un ritiro spirituale per aiutarli a guarire dalla loro ferite. Come dice Mons. Lukudo Loro “come Vescovi cattolici promettiamo il nostro pieno sostegno a questo processo di guarigione che includerebbe un ritiro spirituale guidato da leader religiosi del Sud Sudan e non solo. Il tema del ritiro non sarà politico; sarebbe un ritiro di guarigione che porterà alla trasformazione personale per preparare i partecipanti ad affrontare la via della pace”.
I Vescovi sperano che il terzo round del forum di rivitalizzazione dell'accordo di pace 2015 sia un forum in cui i leader possano risolvere i loro interessi personali e politici e far sì che la pace diventi una realtà in Sud Sudan. "Ciò avverrà solo se i leader saranno pronti a cambiare i loro cuori e ad essere trasformati", ha concluso Mons. Lukudu Loro.
L’accordo di pace del 2015 è collassato nell’estate del 2016 quando le diverse fazioni ripresero a combattersi nella capitale Juba, costringendo Machar a scappare in esilio.
Il forum di rivitalizzazione dell’accordo di pace si dovrebbe tenere nella capitale etiopica, Addis Abeba, ma le autorità di Juba hanno accusato la cosiddetta Troika, USA, Gran Bretagna e Norvegia, di andare oltre il suo mandato di facilitare la mediazione, condizionando pesantemente il processo di pace. (L.M.) (Agenzia Fides 6/3/2018)
Viaggio in Uganda, dove chi fugge dalle guerre è accolto con terra e cibo
Articolo originale: http://www.lastampa.it/2018/02/23/esteri/viaggio-in-uganda-dove-chi-fugge-dalle-guerre-accolto-con-terra-e-cibo-RgRDJSnQDNmyDYlFaRSrPI/pagina.html
Sfiniti da chilometri di fuga tra gli arbusti, una quarantina di sud sudanesi si sottopongono in silenzio alla prassi della registrazione biometrica. In fila indiana aspettano sotto un tendone rovente. Siamo a Busia, villaggio di casupole di terra rossa all’estremo nord dell’Uganda; pochi metri più avanti un piccolo torrente segna il confine col Sudan del Sud. E’ il turno di una donna alta, capelli corti e vestito verde a stampe floreali. Si chiama Grace, 22 anni, etnia kakwa, viaggia con quattro bambini, uno minuscolo che tiene legato alla schiena. Dalla provincia di Yei, a piedi, ci ha messo due settimane ad arrivare qui.
COME VENGONO ACCOLTI
Lo staff della frontiera le prende le impronte digitali e le consegna 10 confezioni di biscotti energetici con il logo USAID. Il bidone dell’acqua, la informano, è fuori dalla tenda. Lì, all’ombra di un albero di avocado, disseta sé stessa, i figli, e finalmente sollevata scambia qualche parola coi compagni di viaggio. Anche loro kakwa della provincia di Yei, fuggiti da carestie e violenze di una guerra civile che da più di quattro anni dilania il Sudan del Sud.
LE PAROLE AL LORO ARRIVO
Donne e bambini sono in maggioranza, ma di fronte alle autorità locali s’incarica di parlare un ragazzo vestito di chiaro. «Nel nostro paese non si può vivere: governo e forze ribelli ci affamano e ci ammazzano. Le scuole sono chiuse. Anche per questo siamo qui: vogliamo che i nostri bambini abbiano un’istruzione». Il capo della polizia, un gigante in divisa mimetica e occhialoni scuri, ascolta e poi decreta: «Benvenuti, qui siete al sicuro».
PERCHE’ SONO IN FUGA
L’Uganda ospita circa un milione e 400mila rifugiati, più di ogni altro Stato africano (e di qualsiasi paese dell’Unione Europea). Gli sfollati fuggono perlopiù dal Sud Sudan, ma anche da violenze che consumano nazioni circostanti come Repubblica Democratica del Congo e Burundi. Oggi ne arrivano circa 500 al giorno, meno rispetto all’anno sorso quando potevano essere fino a tremila.
L’OBIETTIVO DEL GOVERNO UGANDESE
Il presidente ugandese Yoweri Museveni, astuto stratega della regione dei Grandi Laghi, ha fatto dell’accoglienza ai rifugiati un punto centrale del suo disegno di governo. Da una parte, mostrarsi generoso verso chi fugge dalle guerre serve a distogliere l’attenzione dalle sue crescenti tendenze autocratiche. È al potere da più di trent’anni e di recente ha provato a modificare la Costituzione per garantirsi la presidenza a vita. Dall’altra, Museveni ha intravisto nell’ospitalità ai rifugiati un’occasione per portare sviluppo nei territori più arretrati del suo paese. Il successo della strategia dipende da un delicato equilibrio tra disponibilità di risorse e crescita della popolazione.
GLI AIUTI FINANZIARI AI NATIVI
Il sistema funziona grosso modo così: i clan ugandesi, accordandosi col governo, cedono a ciascuna famiglia di rifugiati un piccolo appezzamento di terra, che i rifugiati possono coltivare e su cui possono costruire una casa. Possono anche cercare lavoro e muoversi liberamente nel paese. E gli autoctoni cosa ottengono in cambio? Per legge, il 30% degli aiuti internazionali ai territori dove sono situati i campi profughi deve andare a beneficio delle comunità native.
ACQUA E CIBO
Gli ugandesi, così, anche nei poverissimi distretti del Nord, godono finalmente di un miglior accesso ad acqua, cibo, scuole e servizi sanitari. Com’è capitato a Mary, 20 anni, che vive vicino al campo di Rhino, e il cui bambino appena nato è stato nutrito correttamente e vaccinato in un centro medico allestito da Amref, una delle Ngo più impegnate nel miglioramento della salute in Africa, in particolare in Uganda. Senza rifugiati, la ragazza avrebbe percorso decine di chilometri per raggiungere l’ospedale più vicino. «Nelle nostre strutture, ugandesi e rifugiati hanno accesso agli stessi servizi», spiega Abenet Berhanu, direttore di Amref in Uganda. «Cerchiamo sempre di usare il 30% dei nostri fondi a supporto delle comunità locali».
IL SUOLO ARIDO E GLI APPEZZAMENTI PICCOLI
Condividere, però, non è sempre facile. Soprattutto quando le risorse sono limitate e la popolazione continua a crescere. I rifugiati saranno un milione e 800mila a fine 2018. Coltivando i propri lotti, in teoria, dovrebbero essere autosufficienti. La realtà è che i terreni concessi sono troppo piccoli, e spesso troppo poco fertili.
Louis, maestro elementare fuggito dal Sud Sudan, è appena arrivato nel campo di Rhino. A torso nudo, sotto il sole, scava letteralmente nella roccia per costruirsi la sua nuova casa. Servirebbe un miracolo per ricavare qualcosa di commestibile da un suolo così arido. A sfamare Louis ci penserà verosimilmente il World Food Program.
QUALCUNO SI FINGE PROFUGO
Altri rifugiati se la passano un poco meglio: una ragazza coltiva fagioli e cassava. Non è abbastanza, ci racconta, anche a causa dell’insicurezza alimentare che si è diffusa per colpa della siccità. Secondo un rapporto del governo, ne soffrono undici milioni di ugandesi. Molti di loro, spinti dalla fame, si fingono addirittura profughi per ricevere cibo gratuito. È illegale, e si rischia l’arresto, ma spesso nessuno se ne accorge perché ugandesi e sud sudanesi in alcuni casi si somigliano, condividendo diversi gruppi etnici. Proprio per riconoscerli, le autorità hanno cominciato a compilare un banca dati con le impronte digitali degli sfollati che arrivano in Uganda.
LE TRUFFE
«Ci aspettavamo di essere ricompensati di più per la nostra generosità. A volte sembra che i profughi stiano meglio di noi», racconta James, autista originario di Arua, la città vicino al campo di Rhino. Se gli ugandesi chiedono di più, non sarà facile accontentarli. Soprattutto ora che sono emerse irregolarità nelle richieste di aiuti alla comunità internazionale.
Per ricavare fondi extra dai donatori, alcuni funzionari ugandesi hanno «gonfiato» il numero di profughi registrati in un centro vicino a Kampala. Licenziati. Ma sotto inchiesta per truffa, fa sapere il governo, ci sono anche due agenzie delle Nazioni Unite: World Food Program e UNHCR.
LA ZUPPA DI FAGIOLI CHE UNISCE TUTTI
Intanto i rifugiati continuano ad arrivare. Gli ultimi li hanno sistemati a Omugo, un’ex riserva di caccia. James, saggiamente, si concentra sugli aspetti positivi della vicenda. Non c’era nulla qui, ora la strada è costellata di piccole botteghe. Passiamo davanti a un ristorante. Profughi e ugandesi cucinano insieme. James accosta: «Mangiamo qui, la zuppa di fagioli è eccezionale».
Sfiniti da chilometri di fuga tra gli arbusti, una quarantina di sud sudanesi si sottopongono in silenzio alla prassi della registrazione biometrica. In fila indiana aspettano sotto un tendone rovente. Siamo a Busia, villaggio di casupole di terra rossa all’estremo nord dell’Uganda; pochi metri più avanti un piccolo torrente segna il confine col Sudan del Sud. E’ il turno di una donna alta, capelli corti e vestito verde a stampe floreali. Si chiama Grace, 22 anni, etnia kakwa, viaggia con quattro bambini, uno minuscolo che tiene legato alla schiena. Dalla provincia di Yei, a piedi, ci ha messo due settimane ad arrivare qui.
COME VENGONO ACCOLTI
Lo staff della frontiera le prende le impronte digitali e le consegna 10 confezioni di biscotti energetici con il logo USAID. Il bidone dell’acqua, la informano, è fuori dalla tenda. Lì, all’ombra di un albero di avocado, disseta sé stessa, i figli, e finalmente sollevata scambia qualche parola coi compagni di viaggio. Anche loro kakwa della provincia di Yei, fuggiti da carestie e violenze di una guerra civile che da più di quattro anni dilania il Sudan del Sud.
LE PAROLE AL LORO ARRIVO
Donne e bambini sono in maggioranza, ma di fronte alle autorità locali s’incarica di parlare un ragazzo vestito di chiaro. «Nel nostro paese non si può vivere: governo e forze ribelli ci affamano e ci ammazzano. Le scuole sono chiuse. Anche per questo siamo qui: vogliamo che i nostri bambini abbiano un’istruzione». Il capo della polizia, un gigante in divisa mimetica e occhialoni scuri, ascolta e poi decreta: «Benvenuti, qui siete al sicuro».
PERCHE’ SONO IN FUGA
L’Uganda ospita circa un milione e 400mila rifugiati, più di ogni altro Stato africano (e di qualsiasi paese dell’Unione Europea). Gli sfollati fuggono perlopiù dal Sud Sudan, ma anche da violenze che consumano nazioni circostanti come Repubblica Democratica del Congo e Burundi. Oggi ne arrivano circa 500 al giorno, meno rispetto all’anno sorso quando potevano essere fino a tremila.
L’OBIETTIVO DEL GOVERNO UGANDESE
Il presidente ugandese Yoweri Museveni, astuto stratega della regione dei Grandi Laghi, ha fatto dell’accoglienza ai rifugiati un punto centrale del suo disegno di governo. Da una parte, mostrarsi generoso verso chi fugge dalle guerre serve a distogliere l’attenzione dalle sue crescenti tendenze autocratiche. È al potere da più di trent’anni e di recente ha provato a modificare la Costituzione per garantirsi la presidenza a vita. Dall’altra, Museveni ha intravisto nell’ospitalità ai rifugiati un’occasione per portare sviluppo nei territori più arretrati del suo paese. Il successo della strategia dipende da un delicato equilibrio tra disponibilità di risorse e crescita della popolazione.
GLI AIUTI FINANZIARI AI NATIVI
Il sistema funziona grosso modo così: i clan ugandesi, accordandosi col governo, cedono a ciascuna famiglia di rifugiati un piccolo appezzamento di terra, che i rifugiati possono coltivare e su cui possono costruire una casa. Possono anche cercare lavoro e muoversi liberamente nel paese. E gli autoctoni cosa ottengono in cambio? Per legge, il 30% degli aiuti internazionali ai territori dove sono situati i campi profughi deve andare a beneficio delle comunità native.
ACQUA E CIBO
Gli ugandesi, così, anche nei poverissimi distretti del Nord, godono finalmente di un miglior accesso ad acqua, cibo, scuole e servizi sanitari. Com’è capitato a Mary, 20 anni, che vive vicino al campo di Rhino, e il cui bambino appena nato è stato nutrito correttamente e vaccinato in un centro medico allestito da Amref, una delle Ngo più impegnate nel miglioramento della salute in Africa, in particolare in Uganda. Senza rifugiati, la ragazza avrebbe percorso decine di chilometri per raggiungere l’ospedale più vicino. «Nelle nostre strutture, ugandesi e rifugiati hanno accesso agli stessi servizi», spiega Abenet Berhanu, direttore di Amref in Uganda. «Cerchiamo sempre di usare il 30% dei nostri fondi a supporto delle comunità locali».
IL SUOLO ARIDO E GLI APPEZZAMENTI PICCOLI
Condividere, però, non è sempre facile. Soprattutto quando le risorse sono limitate e la popolazione continua a crescere. I rifugiati saranno un milione e 800mila a fine 2018. Coltivando i propri lotti, in teoria, dovrebbero essere autosufficienti. La realtà è che i terreni concessi sono troppo piccoli, e spesso troppo poco fertili.
Louis, maestro elementare fuggito dal Sud Sudan, è appena arrivato nel campo di Rhino. A torso nudo, sotto il sole, scava letteralmente nella roccia per costruirsi la sua nuova casa. Servirebbe un miracolo per ricavare qualcosa di commestibile da un suolo così arido. A sfamare Louis ci penserà verosimilmente il World Food Program.
QUALCUNO SI FINGE PROFUGO
Altri rifugiati se la passano un poco meglio: una ragazza coltiva fagioli e cassava. Non è abbastanza, ci racconta, anche a causa dell’insicurezza alimentare che si è diffusa per colpa della siccità. Secondo un rapporto del governo, ne soffrono undici milioni di ugandesi. Molti di loro, spinti dalla fame, si fingono addirittura profughi per ricevere cibo gratuito. È illegale, e si rischia l’arresto, ma spesso nessuno se ne accorge perché ugandesi e sud sudanesi in alcuni casi si somigliano, condividendo diversi gruppi etnici. Proprio per riconoscerli, le autorità hanno cominciato a compilare un banca dati con le impronte digitali degli sfollati che arrivano in Uganda.
LE TRUFFE
«Ci aspettavamo di essere ricompensati di più per la nostra generosità. A volte sembra che i profughi stiano meglio di noi», racconta James, autista originario di Arua, la città vicino al campo di Rhino. Se gli ugandesi chiedono di più, non sarà facile accontentarli. Soprattutto ora che sono emerse irregolarità nelle richieste di aiuti alla comunità internazionale.
Per ricavare fondi extra dai donatori, alcuni funzionari ugandesi hanno «gonfiato» il numero di profughi registrati in un centro vicino a Kampala. Licenziati. Ma sotto inchiesta per truffa, fa sapere il governo, ci sono anche due agenzie delle Nazioni Unite: World Food Program e UNHCR.
LA ZUPPA DI FAGIOLI CHE UNISCE TUTTI
Intanto i rifugiati continuano ad arrivare. Gli ultimi li hanno sistemati a Omugo, un’ex riserva di caccia. James, saggiamente, si concentra sugli aspetti positivi della vicenda. Non c’era nulla qui, ora la strada è costellata di piccole botteghe. Passiamo davanti a un ristorante. Profughi e ugandesi cucinano insieme. James accosta: «Mangiamo qui, la zuppa di fagioli è eccezionale».
LA SOLIDARIETÀ OFFERTA E I REALI BISOGNI DEGLI STATI AFRICANI: COINCIDONO SEMPRE?
_______________________________________________________________________
Un intervento presentato durante il VIII Convegno SPERA
17-18 novembre 2017
Genova, Italia.
________________________________________________________________________
_______
Per rispondere in modo giusto alla domanda, “la solidarietà offerta dalle organizzazioni europee coincide sempre con i reali bisogni degli Stati africani ?, dobbiamo sottolineare le seguenti parole importanti: la solidarietà, i bisogni reali e sempre.
Quali sono i reali bisogni degli Stati Africani ai quali la solidarietà Europea deve rispondere? Secondo me ci sono due esigenze (o reali bisogni) fondamentali dal punto di vista del Sud Sudan: la pace e lo sviluppo. La solidarietà offerta dalle associazioni o dalle organizzazioni europee deve rispondere alla realizzazione di questi due bisogni. Altrimenti, La solidarietà curerà solo i sintomi dei questi bisogni fondamentali.
Ci sono organizzazioni internazionali che lavorano con organizzazioni locali della società civile per assicurare la pace in paesi dove ci sono conflitti e guerre. Nel Sud Sudan abbiamo, ad esempio, il Centro Carter (una organizzazione americana) che collabora con le società civili in Sud Sudan per promuovere la pace e la riconciliazione tra diverse comunità etniche. Esistono anche organizzazioni internazionali impegnate in programmi di sviluppo nel Sud Sudan come l'NPA (Aiuto Popolare Norvegese) nel campo della formazione professionale in agricoltura; Solidarietà con il Sud Sudan nel campo dell'educazione, della sanità e del servizio pastorale; Il JRS (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) nel campo della formazione degli insegnanti e la nostra associazione “Le Cassette per l’Equatoria” - anche se piccola - nel campo di salute e sviluppo delle comunità rurali. Queste organizzazioni hanno lavorato con le comunità Sud Sudanese durante la guerra contro il governo islamico di Khartoum e continuano a lavorare anche oggi per realizzare l’obiettivo che è la pace e lo sviluppo del popolo del Sud Sudan.
Purtroppo, c’erano alcune organizzazioni che sono intervenute solo per alleviare le questioni di emergenza , dopo di che sono scomparse senza imbarcarsi, in programmi di sviluppo. Anche oggi ci sono molte organizzazioni umanitarie in Sud Sudan, che rispondono solo alle questioni di emergenza create dalla guerra , senza pensare al futuro della popolazione per quanto riguarda lo sviluppo. Certamente, stanno facendo un buon lavoro, ma questo buon lavoro deve essere accompagnato, dopo la guerra , dai programmi di sviluppo. Altrimenti, la solidarietà è ridotta , forse ha motivi nascosti di queste organizzazioni e questo crea spesso conflitti di interessi con le comunità locali che vogliono programmi di sviluppo, mentre le organizzazioni fanno quello che vogliono. Nella diocesi di Yei, ad esempio, abbiamo avuto questo problema con CRS (Servizio Rilievo Cattolico): una comunità voleva che CRS costruisse una scuola per i suoi bambini , invece CRS ha deciso di comprare vestiti per i bambini. I bisogni reali di quella comunità non sono stati soddisfatti , perché la comunità ha ricevuto quello che non era necessario in quel momento.
Inoltre, ci sono altre organizzazioni multinazionali che lavorano negli Stati Africani e creano più conflitti in nome di un investimento. Senza consultare le comunità locali e assicurare il loro sviluppo, queste organizzazioni hanno cooperato con il governo in situazioni di corruzione di “land grabbing” e hanno comprato terreni di migliaia di ettari, sfollando gli abitanti di questi terreni. Questa realtà si verifica anche per le organizzazioni multinazionali, che si occupano dell'estrazione di risorse come petrolio, oro, ecc. Molto spesso le popolazioni dei luoghi dove si trovano queste risorse sono sfollate e rimangono povere, senza sviluppo di qualsiasi tipo. Questo crea rancore nella popolazione, portando alla fine ad un altro nuovo conflitto. E quando c’è la guerra le stesse organizzazioni multinazionali, collaborando con i loro governi, vendono le loro armi fabbricate dalle risorse estratte da questi paesi in guerra. E cosi essi continuano, il ciclo di guerra in Africa senza fine.
Un altro elemento importante cui le organizzazioni europee devono stare attente è quello della corruzione. Le organizzazioni non devono offrire la loro solidarietà alle istituzioni corrotte che ci sono nei paesi di intervento umanitario . Bisogna studiare le istituzioni in qualsiasi paese e fare un accordo fermo di giustizia, prima di iniziare qualche cooperazione di solidarietà. Altrimenti, non ci sarà lo sviluppo delle comunità bisognose a cui la solidarietà è destinata.________________
Preparato e presentato da
Fr. Alex Lodiong Sakor EYOBO
18 novembre 2017
_______________________________________________________________________
Un intervento presentato durante il VIII Convegno SPERA
17-18 novembre 2017
Genova, Italia.
________________________________________________________________________
_______
Per rispondere in modo giusto alla domanda, “la solidarietà offerta dalle organizzazioni europee coincide sempre con i reali bisogni degli Stati africani ?, dobbiamo sottolineare le seguenti parole importanti: la solidarietà, i bisogni reali e sempre.
Quali sono i reali bisogni degli Stati Africani ai quali la solidarietà Europea deve rispondere? Secondo me ci sono due esigenze (o reali bisogni) fondamentali dal punto di vista del Sud Sudan: la pace e lo sviluppo. La solidarietà offerta dalle associazioni o dalle organizzazioni europee deve rispondere alla realizzazione di questi due bisogni. Altrimenti, La solidarietà curerà solo i sintomi dei questi bisogni fondamentali.
Ci sono organizzazioni internazionali che lavorano con organizzazioni locali della società civile per assicurare la pace in paesi dove ci sono conflitti e guerre. Nel Sud Sudan abbiamo, ad esempio, il Centro Carter (una organizzazione americana) che collabora con le società civili in Sud Sudan per promuovere la pace e la riconciliazione tra diverse comunità etniche. Esistono anche organizzazioni internazionali impegnate in programmi di sviluppo nel Sud Sudan come l'NPA (Aiuto Popolare Norvegese) nel campo della formazione professionale in agricoltura; Solidarietà con il Sud Sudan nel campo dell'educazione, della sanità e del servizio pastorale; Il JRS (Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati) nel campo della formazione degli insegnanti e la nostra associazione “Le Cassette per l’Equatoria” - anche se piccola - nel campo di salute e sviluppo delle comunità rurali. Queste organizzazioni hanno lavorato con le comunità Sud Sudanese durante la guerra contro il governo islamico di Khartoum e continuano a lavorare anche oggi per realizzare l’obiettivo che è la pace e lo sviluppo del popolo del Sud Sudan.
Purtroppo, c’erano alcune organizzazioni che sono intervenute solo per alleviare le questioni di emergenza , dopo di che sono scomparse senza imbarcarsi, in programmi di sviluppo. Anche oggi ci sono molte organizzazioni umanitarie in Sud Sudan, che rispondono solo alle questioni di emergenza create dalla guerra , senza pensare al futuro della popolazione per quanto riguarda lo sviluppo. Certamente, stanno facendo un buon lavoro, ma questo buon lavoro deve essere accompagnato, dopo la guerra , dai programmi di sviluppo. Altrimenti, la solidarietà è ridotta , forse ha motivi nascosti di queste organizzazioni e questo crea spesso conflitti di interessi con le comunità locali che vogliono programmi di sviluppo, mentre le organizzazioni fanno quello che vogliono. Nella diocesi di Yei, ad esempio, abbiamo avuto questo problema con CRS (Servizio Rilievo Cattolico): una comunità voleva che CRS costruisse una scuola per i suoi bambini , invece CRS ha deciso di comprare vestiti per i bambini. I bisogni reali di quella comunità non sono stati soddisfatti , perché la comunità ha ricevuto quello che non era necessario in quel momento.
Inoltre, ci sono altre organizzazioni multinazionali che lavorano negli Stati Africani e creano più conflitti in nome di un investimento. Senza consultare le comunità locali e assicurare il loro sviluppo, queste organizzazioni hanno cooperato con il governo in situazioni di corruzione di “land grabbing” e hanno comprato terreni di migliaia di ettari, sfollando gli abitanti di questi terreni. Questa realtà si verifica anche per le organizzazioni multinazionali, che si occupano dell'estrazione di risorse come petrolio, oro, ecc. Molto spesso le popolazioni dei luoghi dove si trovano queste risorse sono sfollate e rimangono povere, senza sviluppo di qualsiasi tipo. Questo crea rancore nella popolazione, portando alla fine ad un altro nuovo conflitto. E quando c’è la guerra le stesse organizzazioni multinazionali, collaborando con i loro governi, vendono le loro armi fabbricate dalle risorse estratte da questi paesi in guerra. E cosi essi continuano, il ciclo di guerra in Africa senza fine.
Un altro elemento importante cui le organizzazioni europee devono stare attente è quello della corruzione. Le organizzazioni non devono offrire la loro solidarietà alle istituzioni corrotte che ci sono nei paesi di intervento umanitario . Bisogna studiare le istituzioni in qualsiasi paese e fare un accordo fermo di giustizia, prima di iniziare qualche cooperazione di solidarietà. Altrimenti, non ci sarà lo sviluppo delle comunità bisognose a cui la solidarietà è destinata.________________
Preparato e presentato da
Fr. Alex Lodiong Sakor EYOBO
18 novembre 2017
#internationaldayofnonviolence
... immagina tutte le persone che vivono la vita in pace...
#southsudanwecare
http://www.un.org/en/events/nonviolenceday/index.shtml
... immagina tutte le persone che vivono la vita in pace...
#southsudanwecare
http://www.un.org/en/events/nonviolenceday/index.shtml
Bishop Hiiboro: Message for International Day for Peace
September 21st 2017
I greet you with great joy and empathy beloved young Sudanese and
South Sudanese during this historical day dedicated for humanity to
cherish peace. The International Day of Peace (“Peace Day”) is
observed around the world each year on 21 September. Established in
1981 by unanimous United Nations resolution, Peace Day provides a
globally shared date for all humanity to commit to Peace above all
differences and to contribute to building a Culture of Peace.
For us in the two SUDANS it is quite necessary for us to stop awhile
and hold abreast to breathe and invite peace into our hearts, because
we have lost everything to wars.
Honestly we have paid heavily the price for our senseless violence now
we must stop it by paying heavily for PEACE. Indeed, now and only
networks of peace must increase – that we must reach to all with whom
peace can become a reality– now and only such recommended networks of
peace are by no means essential for the surviving of Sudan and South
Sudan, where peace is threatened by the ruthless networks of
injustice, violence, hate, negative ethnicity, indifference, lack of
forgiveness, poverty and terror.
Here, what I mean, such desired networks of peace must intertwined to
face the disturbing networks of organized EVIL, that terrify us every
day. We people of Sudan and South Sudan must intertwine in a network
which will help us to build a better future for the human family and
the creation in two nations.
In his 2017 Message for the World Day of Peace. . . (January 1) Pope
Francis urges us to practice active nonviolence and work to prevent
conflict by addressing its causes, building relationships, and
facilitating healing and restoration.
My dearest friends of Peace, the young people, I am writing this
message purposely to each and everyone of you. Please read this
message of mine, live it, share it and build on it!
Over the past few years, I have had the bittersweet privilege to
witness how quickly you grew, and how quickly you matured. The
killings and incessant fighting that have plagued our beloved nation
changed you and placed before you challenges that are normally unknown
to your peers in other countries in the world. I feel your
frustrations when on your faces, your voices, your attitudes, the way
you walk, they way you dress, what you write on social media, what you
sing, what you do, etc.
My heart breaks at the thought that your childhoods are being taken
away from you daily, but I know that you have not lost your vision, or
your hope for a better future for yourselves and our countries. You
still have your dreams and your determination to build a peaceful and
prosperous nation.
Let us work together to make sure that our children do not receive the
same painful experiences you did and to build a nation all can be
proud of. If anyone can be successful, it is you. I believe that God
initiates his plans through the youthful zeal and passion of young men
and women like you. And God’s plan is for us to forgive and build
peace. We cannot achieve it through violence and hate speech. But we
can achieve it by engaging with one another and building our nation
together.
It takes a lot of courage to take the first step, where our parents
and elders have, sadly, FAILD. That is because unlike you, we are
entrenched into our old habits, prejudices, hate, injustice and, even,
pettiness, and it is not easy to let go of our selfishness for it is
how we have been able to survive and preserve ourselves in these dark
times. But now it is time to look forward and we, living in a small
country, can do that together.
I have faith in you, my young friends. “Let no one despise you for
your youth, but set the believers an example in speech, in conduct, in
love, in faith, in purity.” (1 Timothy 4:12)
Thus, you can set an example for all of us through your dedication,
resourcefulness, and sincerity in promoting peaceful coexistence and
building a nation, rich in resources that can stand as a symbol for
achievement. Our brothers and sisters in other nations, especially
Rwanda, have succeeded in achieving peace and prosperity. And you can
lead the way in achieving this for our nation, Sudan and South Sudan.
Who better than you can spread the word of the Lord through social
media and other modern means of communications that your bright
creative minds are so agile at? Help those you can reach out. Share
Christian wisdom and partnership wherever you are – on social networks
and on websites, on radio and television, during individual
conversations, and other opportunities. Rally passionate young
independent thinkers like you. Engage with all. Your actions can
inspire and form the foundations for a better life for you and your
children and for all of Sudan and South Sudan. And being a small
nation, we can only do it together.
Know this and take to heart, you are choice young people blessed with
the gospel of Jesus Christ. I feel to say to you that the Lord has a
special mission for each one of you, and as you live in accordance
with gospel principles, the Lord will open up the way before you and
assist you in solving your problems and making the right decisions
throughout your life.
We are, however, living in a period where there is much hatred,
conflict, and contention. People everywhere are praying for peace and
happiness. Jesus Christ is called the Prince of Peace, and his message
is a message of peace to the individual and to the world. It is peace
that makes us really appreciate mortal life and enables us to bear
heartbreaking situations and tribulations.
I regard with profound respect the positive impact you can have on the
future of our country, for you are the future. Let us mobilize under
your courageous leadership, your energies and pave the way for a
responsible and meaningful dialogue and engagement. To that end, I
will seek out every opportunity to listen to you as frequently as
possible, to be inspired by your boldness, and to learn from your
sacrifices.
Young people YES we can transform our violent nations into PEACEFUL world!
May the blessings of the Lord of PEACE be upon you.
PEACE BE UPON EACH AND EVERYONE OF YOU!
I greet you with great joy and empathy beloved young Sudanese and
South Sudanese during this historical day dedicated for humanity to
cherish peace. The International Day of Peace (“Peace Day”) is
observed around the world each year on 21 September. Established in
1981 by unanimous United Nations resolution, Peace Day provides a
globally shared date for all humanity to commit to Peace above all
differences and to contribute to building a Culture of Peace.
For us in the two SUDANS it is quite necessary for us to stop awhile
and hold abreast to breathe and invite peace into our hearts, because
we have lost everything to wars.
Honestly we have paid heavily the price for our senseless violence now
we must stop it by paying heavily for PEACE. Indeed, now and only
networks of peace must increase – that we must reach to all with whom
peace can become a reality– now and only such recommended networks of
peace are by no means essential for the surviving of Sudan and South
Sudan, where peace is threatened by the ruthless networks of
injustice, violence, hate, negative ethnicity, indifference, lack of
forgiveness, poverty and terror.
Here, what I mean, such desired networks of peace must intertwined to
face the disturbing networks of organized EVIL, that terrify us every
day. We people of Sudan and South Sudan must intertwine in a network
which will help us to build a better future for the human family and
the creation in two nations.
In his 2017 Message for the World Day of Peace. . . (January 1) Pope
Francis urges us to practice active nonviolence and work to prevent
conflict by addressing its causes, building relationships, and
facilitating healing and restoration.
My dearest friends of Peace, the young people, I am writing this
message purposely to each and everyone of you. Please read this
message of mine, live it, share it and build on it!
Over the past few years, I have had the bittersweet privilege to
witness how quickly you grew, and how quickly you matured. The
killings and incessant fighting that have plagued our beloved nation
changed you and placed before you challenges that are normally unknown
to your peers in other countries in the world. I feel your
frustrations when on your faces, your voices, your attitudes, the way
you walk, they way you dress, what you write on social media, what you
sing, what you do, etc.
My heart breaks at the thought that your childhoods are being taken
away from you daily, but I know that you have not lost your vision, or
your hope for a better future for yourselves and our countries. You
still have your dreams and your determination to build a peaceful and
prosperous nation.
Let us work together to make sure that our children do not receive the
same painful experiences you did and to build a nation all can be
proud of. If anyone can be successful, it is you. I believe that God
initiates his plans through the youthful zeal and passion of young men
and women like you. And God’s plan is for us to forgive and build
peace. We cannot achieve it through violence and hate speech. But we
can achieve it by engaging with one another and building our nation
together.
It takes a lot of courage to take the first step, where our parents
and elders have, sadly, FAILD. That is because unlike you, we are
entrenched into our old habits, prejudices, hate, injustice and, even,
pettiness, and it is not easy to let go of our selfishness for it is
how we have been able to survive and preserve ourselves in these dark
times. But now it is time to look forward and we, living in a small
country, can do that together.
I have faith in you, my young friends. “Let no one despise you for
your youth, but set the believers an example in speech, in conduct, in
love, in faith, in purity.” (1 Timothy 4:12)
Thus, you can set an example for all of us through your dedication,
resourcefulness, and sincerity in promoting peaceful coexistence and
building a nation, rich in resources that can stand as a symbol for
achievement. Our brothers and sisters in other nations, especially
Rwanda, have succeeded in achieving peace and prosperity. And you can
lead the way in achieving this for our nation, Sudan and South Sudan.
Who better than you can spread the word of the Lord through social
media and other modern means of communications that your bright
creative minds are so agile at? Help those you can reach out. Share
Christian wisdom and partnership wherever you are – on social networks
and on websites, on radio and television, during individual
conversations, and other opportunities. Rally passionate young
independent thinkers like you. Engage with all. Your actions can
inspire and form the foundations for a better life for you and your
children and for all of Sudan and South Sudan. And being a small
nation, we can only do it together.
Know this and take to heart, you are choice young people blessed with
the gospel of Jesus Christ. I feel to say to you that the Lord has a
special mission for each one of you, and as you live in accordance
with gospel principles, the Lord will open up the way before you and
assist you in solving your problems and making the right decisions
throughout your life.
We are, however, living in a period where there is much hatred,
conflict, and contention. People everywhere are praying for peace and
happiness. Jesus Christ is called the Prince of Peace, and his message
is a message of peace to the individual and to the world. It is peace
that makes us really appreciate mortal life and enables us to bear
heartbreaking situations and tribulations.
I regard with profound respect the positive impact you can have on the
future of our country, for you are the future. Let us mobilize under
your courageous leadership, your energies and pave the way for a
responsible and meaningful dialogue and engagement. To that end, I
will seek out every opportunity to listen to you as frequently as
possible, to be inspired by your boldness, and to learn from your
sacrifices.
Young people YES we can transform our violent nations into PEACEFUL world!
May the blessings of the Lord of PEACE be upon you.
PEACE BE UPON EACH AND EVERYONE OF YOU!
YEI SPOPOLATA
Una testimonianza di uno dei pochi abitanti costretto a rimanere a Yei, poiché ci si può spostare solo in aereo troppo caro per le tasche di tutti.
Carissima Savina,
Infinite grazie per il tuo scritto ma, noi viviamo con l'aiuto di Dio.
Molta gente vive su frutti e pianti malvagi e noi che stiamo in citta coltiviamo quel pocco che possiamo sul piccolo terrono che rimane dietro le nostre case. Io ho coltivato dei pomodori, cipolle e "egg plant" e ho guadagnato 1500 pounds nelle vendite.
Cosi vivono gli altri!
Il computer può aspettare ancora un po, forse verrà qualcuno che me lopuò portare giu. Iddio lo provedera.
Ti auguro buona salute e Dio ti benedica
Con abbraccio affettuoso
Angelo
Caro Angelo,
spero tanto che tu stia bene. Qui continuiamo ad avere notizie terribili sul SudSudan.
Quando e se puoi farci avere notizie certe sulla situazione li. Ora che
sono scappati in molti da Tore e Kundru e che i campi non vengono coltivati, da dove arriva quel pò di cibo oltre a quelli degli aiuti umanitari?
Ci sono zone del SudSudan dove viene coltivato qualcosa?
Vorrei inviarti il computer che ti serve, ma come si può fare?
Noi continuiamo a pregare nella speranza che Iddio accolga le nostre suppliche.
Resisti e che Dio vi benedica.
Con affetto Savina
Carissima Savina,
Infinite grazie per il tuo scritto ma, noi viviamo con l'aiuto di Dio.
Molta gente vive su frutti e pianti malvagi e noi che stiamo in citta coltiviamo quel pocco che possiamo sul piccolo terrono che rimane dietro le nostre case. Io ho coltivato dei pomodori, cipolle e "egg plant" e ho guadagnato 1500 pounds nelle vendite.
Cosi vivono gli altri!
Il computer può aspettare ancora un po, forse verrà qualcuno che me lopuò portare giu. Iddio lo provedera.
Ti auguro buona salute e Dio ti benedica
Con abbraccio affettuoso
Angelo
Caro Angelo,
spero tanto che tu stia bene. Qui continuiamo ad avere notizie terribili sul SudSudan.
Quando e se puoi farci avere notizie certe sulla situazione li. Ora che
sono scappati in molti da Tore e Kundru e che i campi non vengono coltivati, da dove arriva quel pò di cibo oltre a quelli degli aiuti umanitari?
Ci sono zone del SudSudan dove viene coltivato qualcosa?
Vorrei inviarti il computer che ti serve, ma come si può fare?
Noi continuiamo a pregare nella speranza che Iddio accolga le nostre suppliche.
Resisti e che Dio vi benedica.
Con affetto Savina
La mia bellissima parrocchia in Sud Sudan che è stata inaugurata di recente nel 2015 non è più esistente in modo verticale, è stata distrutta e saccheggiata la settimana scorsa, che Dio aiuti questi comportamenti inumano alla fine.
Lukeja Komakech
22 luglio, Equatoria, Sudan del Sud
Lukeja Komakech
22 luglio, Equatoria, Sudan del Sud
TESTIMONIANZA SULLA VITA DEI RIFUGIATI SUD-SUDANESI IN UGANDA
Catholic bishop blasts Yei governor over misleading information
A South Sudanese Catholic Bishop has blasted the governor of Yei River State David Lokonga Moses for allegedly misleading the people of his state with false reports that all the roads leading to Yei are secure and open for civilians and aid workers.
Last week, Governor Lokonga announced that the Yei-Kaya road was open for citizens and that a large number of displaced people returned to Yei.
Bishop Erkolano Lodu Tombe of Yei said the state government has failed to provide correct information to the public. “We are always with the public and we know what is happening with our local people in Yei River state,” he said.
The religious leader further said the people of Yei are still living and moving in fear, adding that false reports that the roads are open have resulted into abductions and killings of innocent civilians.
“This opening of roads is that sometimes we tend to tell lies. I am sorry to say this, the roads are not yet open and these people are moving in fear,” he said.
“We have incidents of people who went out because roads are said to be open have not come back and we hear that some of them have been killed,” he added.
Bishop Tombe challenged the state government’s report that a large number of the conflict-displaced families have returned homes after the signing of peace in the state.
“This issue of saying people are returning in big numbers is a lie. I want to go and see where this big number of people has come, where they are being put and I want to see their situation. Big number of people being reported to be coming, we should not exaggerate the reality on what is not happening otherwise we should not tell lies,” he said.
Last week, Governor Lokonga announced that the Yei-Kaya road was open for citizens and that a large number of displaced people returned to Yei.
Bishop Erkolano Lodu Tombe of Yei said the state government has failed to provide correct information to the public. “We are always with the public and we know what is happening with our local people in Yei River state,” he said.
The religious leader further said the people of Yei are still living and moving in fear, adding that false reports that the roads are open have resulted into abductions and killings of innocent civilians.
“This opening of roads is that sometimes we tend to tell lies. I am sorry to say this, the roads are not yet open and these people are moving in fear,” he said.
“We have incidents of people who went out because roads are said to be open have not come back and we hear that some of them have been killed,” he added.
Bishop Tombe challenged the state government’s report that a large number of the conflict-displaced families have returned homes after the signing of peace in the state.
“This issue of saying people are returning in big numbers is a lie. I want to go and see where this big number of people has come, where they are being put and I want to see their situation. Big number of people being reported to be coming, we should not exaggerate the reality on what is not happening otherwise we should not tell lies,” he said.
9 LUGLIO 2011 - 9 LUGLIO 2017
AFRICA/SUD SUDAN - Anniversario dell’indipendenza: “Molti, di tutte le religioni, non hanno rinunciato alla speranza”
Khartoum (Agenzia Fides) - “Sei anni dopo la liberazione, la crisi umanitaria del Sud Sudan è peggiore che mai, con gravi violazioni dei diritti umani e una persistente brutale guerra civile” scrive Sua Ecc. Mons. Edward Hiiboro Kussala, Vescovo di Tombura-Yambio e Presidente della Conferenza Episcopale del Sudan (SCBC), in un messaggio per il sesto anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan, sancita da un referendum il 9 luglio 2011.
Nel testo, giunto a Fides, il Vescovo sottolinea: “sono un patriota e sono contento di essere cittadino della Repubblica del Sud Sudan. Amo profondamente l’essere nato Sud Sudanese e ringrazio Dio per avermi fatto nascere in questo bel posto. Con orgoglio ho visto il Sud Sudan crescere in sei anni dalla sua nascita il 9 luglio 2011”.
Il Vescovo prosegue: “Voglio continuare a lavorare per l'unità del mio paese. Voglio spendere la mia vita per una pace duratura, la pace che è stata rubata da qualcuno. Ci sono molti, molti come me, di tutte le religioni, che non hanno rinunciato alla speranza. Credo che lo stato attuale del paese sia solo una fase di passaggio. La libertà è dono di Dio. La pace è dono di Dio. I doni di Dio sono destinati ai suoi figli. L'indipendenza non è acquisita una volta per tutte, ma è forgiata quotidianamente, realizzata ogni giorno”.
Dopo alcune riflessioni sulla realtà attuale, illuminate dalla Sacra Scrittura, il Presidente della Conferenza Episcopale sottolinea quattro aspetti prioritari nell’anniversario dell’Indipendenza. Il primo è un cessate il fuoco totale: “il paese è carico di violenze e di guerra da parte di tutte le forze che combattono o di persone che detengono armi. Tutti devono, per l'amore di questa bella nazione il Sud Sudan, lasciare le loro armi di guerra”. Quindi il dialogo nazionale lanciato dal Presidente che “deve essere sostenuto con tutti i mezzi”. Terzo punto: “È necessaria una dichiarazione di fallimento nazionale del Sud Sudan”. In questo momento cruciale sarà un atto coraggioso del governo dichiarare che “non ci sono soldi in Sud Sudan”. “Quando un paese non può più pagare gli interessi sul suo debito o convincere qualcuno a prestare denaro, ha raggiunto il fallimento. La causa più evidente di questo stato di fallimento del nostro amato Sud Sudan include la guerra civile o la cattiva gestione finanziaria del governo!”. Il quarto punto è un invito a pregare senza sosta per la pace. “Amata gente del Sud Sudan, dobbiamo pregare intensamente per la pace! Perchè i cuori delle persone siano guidati dall’amore e dalla fiducia reciproca, indipendentemente dalle etnie o dalla comunità di appartenenza, rendendo così la vita nel Sud Sudan più significativa e gioiosa”. (SL) (Agenzia Fides 12/07/2017)
Nel testo, giunto a Fides, il Vescovo sottolinea: “sono un patriota e sono contento di essere cittadino della Repubblica del Sud Sudan. Amo profondamente l’essere nato Sud Sudanese e ringrazio Dio per avermi fatto nascere in questo bel posto. Con orgoglio ho visto il Sud Sudan crescere in sei anni dalla sua nascita il 9 luglio 2011”.
Il Vescovo prosegue: “Voglio continuare a lavorare per l'unità del mio paese. Voglio spendere la mia vita per una pace duratura, la pace che è stata rubata da qualcuno. Ci sono molti, molti come me, di tutte le religioni, che non hanno rinunciato alla speranza. Credo che lo stato attuale del paese sia solo una fase di passaggio. La libertà è dono di Dio. La pace è dono di Dio. I doni di Dio sono destinati ai suoi figli. L'indipendenza non è acquisita una volta per tutte, ma è forgiata quotidianamente, realizzata ogni giorno”.
Dopo alcune riflessioni sulla realtà attuale, illuminate dalla Sacra Scrittura, il Presidente della Conferenza Episcopale sottolinea quattro aspetti prioritari nell’anniversario dell’Indipendenza. Il primo è un cessate il fuoco totale: “il paese è carico di violenze e di guerra da parte di tutte le forze che combattono o di persone che detengono armi. Tutti devono, per l'amore di questa bella nazione il Sud Sudan, lasciare le loro armi di guerra”. Quindi il dialogo nazionale lanciato dal Presidente che “deve essere sostenuto con tutti i mezzi”. Terzo punto: “È necessaria una dichiarazione di fallimento nazionale del Sud Sudan”. In questo momento cruciale sarà un atto coraggioso del governo dichiarare che “non ci sono soldi in Sud Sudan”. “Quando un paese non può più pagare gli interessi sul suo debito o convincere qualcuno a prestare denaro, ha raggiunto il fallimento. La causa più evidente di questo stato di fallimento del nostro amato Sud Sudan include la guerra civile o la cattiva gestione finanziaria del governo!”. Il quarto punto è un invito a pregare senza sosta per la pace. “Amata gente del Sud Sudan, dobbiamo pregare intensamente per la pace! Perchè i cuori delle persone siano guidati dall’amore e dalla fiducia reciproca, indipendentemente dalle etnie o dalla comunità di appartenenza, rendendo così la vita nel Sud Sudan più significativa e gioiosa”. (SL) (Agenzia Fides 12/07/2017)
Un'importante testimonianza del giornalista Silvestro Montanaro
SOLO LACRIME...
" L' ho trovato in un fosso, mentre fuggivo, ai bordi della strada. Ho sentito piangere ed ho cercato. Se ne stava rannicchiato in un angolo, me...zzo morto, povera creatura. Da allora non ha detto una sola parola, neanche una. Solo lacrime. Dio solo sa che cosa ha visto e sofferto. Qui ci rifaremo una vita. E riuscirò a farlo sorridere. Lui, ora, è la mia famiglia ".
Yaya è una piccola donna piagata dall'orrore. Da pochi giorni vive in una baracca improvvisata in uno dei tanti campi profughi al confine tra Sudan del Sud ed Uganda che oramai ospitano, con scarsi mezzi, un milione e forse più disperati scampati al massacro. Si, perchè massacro, peggio ancora genocidio , è quanto è in corso in Sud Sudan ad opera della soldataglia agli ordini del Presidente Salva Kyir. L'obiettivo è sterminare la minoranza Nuer ed altre etnie colpevoli di essersi ribellate al suo potere ed ai suoi appetiti sul petrolio di cui è ricchissimo il paese.
" I soldati del governo sono arrivati di notte. Hanno rubato ogni cosa, bruciato le case e poi hanno ucciso tutti. Ho visto morire mio marito ed i miei bambini. Noi donne, no. A noi toccava qualche ora di vita in più. Volevano divertirsi e ci hanno stuprate. Mia figlia è stata violentata per ore da più di dieci di loro. Poi finalmente il suo povero cuore ha smesso di battere. Anche io sono stata stuprata. Poi hanno creduto che fossi morta e sono andati via... " .
" Uccideteli tutti, soprattutto le madri ed i bambini", è questo l'ordine impartito ai soldati dai loro comandanti ed ascoltato da un testimone che vuole restare anonimo.
Rebecca ha visto con i suoi occhi gli effetti di questa bestemmia. Li ha subiti sul proprio corpo.
" Stavamo scappando, quando ci hanno trovate. Prima hanno ucciso i bambini. Poi hanno fatto spogliare le donne. Quelle che erano gravide sono state immediatamente eliminate. ho visto un soldato aprire con un machete il ventre di una mia amica e fare a pezzi il piccolino che era là dentro. Ha detto ridendo che così ci sarebbe stato un ribelle in meno. Poi ci hanno violentate tutte, fino alla morte. Non so neanche io come mi sono salvata...".
Innumerevoli testimoni raccontano le stesse orribili storie e testimoniano che nessuno muove un dito per fermare il massacro. Le truppe Onu ancora una volta fanno finta di non vedere. Eppure sono lì proprio per difendere la popolazione inerme.
Tutti sanno e tutti tacciono di fronte a questo genocidio annunciato. Troppi gli interessi in ballo, troppe oscure alleanze.
Alla povera gente del Sud Sudan restano solo lacrime. Le infinite lacrime dell'ennesima ingiustizia che vede volontariamente sordi i potenti della terra.
" L' ho trovato in un fosso, mentre fuggivo, ai bordi della strada. Ho sentito piangere ed ho cercato. Se ne stava rannicchiato in un angolo, me...zzo morto, povera creatura. Da allora non ha detto una sola parola, neanche una. Solo lacrime. Dio solo sa che cosa ha visto e sofferto. Qui ci rifaremo una vita. E riuscirò a farlo sorridere. Lui, ora, è la mia famiglia ".
Yaya è una piccola donna piagata dall'orrore. Da pochi giorni vive in una baracca improvvisata in uno dei tanti campi profughi al confine tra Sudan del Sud ed Uganda che oramai ospitano, con scarsi mezzi, un milione e forse più disperati scampati al massacro. Si, perchè massacro, peggio ancora genocidio , è quanto è in corso in Sud Sudan ad opera della soldataglia agli ordini del Presidente Salva Kyir. L'obiettivo è sterminare la minoranza Nuer ed altre etnie colpevoli di essersi ribellate al suo potere ed ai suoi appetiti sul petrolio di cui è ricchissimo il paese.
" I soldati del governo sono arrivati di notte. Hanno rubato ogni cosa, bruciato le case e poi hanno ucciso tutti. Ho visto morire mio marito ed i miei bambini. Noi donne, no. A noi toccava qualche ora di vita in più. Volevano divertirsi e ci hanno stuprate. Mia figlia è stata violentata per ore da più di dieci di loro. Poi finalmente il suo povero cuore ha smesso di battere. Anche io sono stata stuprata. Poi hanno creduto che fossi morta e sono andati via... " .
" Uccideteli tutti, soprattutto le madri ed i bambini", è questo l'ordine impartito ai soldati dai loro comandanti ed ascoltato da un testimone che vuole restare anonimo.
Rebecca ha visto con i suoi occhi gli effetti di questa bestemmia. Li ha subiti sul proprio corpo.
" Stavamo scappando, quando ci hanno trovate. Prima hanno ucciso i bambini. Poi hanno fatto spogliare le donne. Quelle che erano gravide sono state immediatamente eliminate. ho visto un soldato aprire con un machete il ventre di una mia amica e fare a pezzi il piccolino che era là dentro. Ha detto ridendo che così ci sarebbe stato un ribelle in meno. Poi ci hanno violentate tutte, fino alla morte. Non so neanche io come mi sono salvata...".
Innumerevoli testimoni raccontano le stesse orribili storie e testimoniano che nessuno muove un dito per fermare il massacro. Le truppe Onu ancora una volta fanno finta di non vedere. Eppure sono lì proprio per difendere la popolazione inerme.
Tutti sanno e tutti tacciono di fronte a questo genocidio annunciato. Troppi gli interessi in ballo, troppe oscure alleanze.
Alla povera gente del Sud Sudan restano solo lacrime. Le infinite lacrime dell'ennesima ingiustizia che vede volontariamente sordi i potenti della terra.
Settimana Santa di Padre Alex nel campo profughi di Moyo
Nonostante le loro terribili condizioni di vita nei campi profughi a Moyo, la fede cattolica di queste madri e padri non sono diminuiti. Questa è la fede che vogliono trasmettere ai loro figli; è per questo che li hanno portati per battesimo per il sabato santo, veglia Pasquale Celebrazioni (15-04-2017). Sono grato a Dio per aver visto le fiamme di questa fede e per aver Ricevuto il privilegio, da fr. Gesù aranda, ad amministrare il sacramento del battesimo.
Sì, la mia visita ai campi profughi a Moyo non è stato invano. Nonostante le frustrazioni che ho visto nella vita dei miei compagni di profughi, sono anche testimoni di speranza e di coraggio.
Il Signore è risorto davvero!
Sì, la mia visita ai campi profughi a Moyo non è stato invano. Nonostante le frustrazioni che ho visto nella vita dei miei compagni di profughi, sono anche testimoni di speranza e di coraggio.
Il Signore è risorto davvero!
GLI EFFETTI DELLA GUERRA CIVILE IN SUD SUDAN
(una testimonianza del Vescovo Erkolano Lodu Tombe)
Preparato da Padre Alex Lodjong Sako
Roma, 03-04-2017
INTRODUZIONE
Dal 22 al 26 marzo 2017, il Vescovo della Diocesi Cattolica di Yei e Presidente della Caritas del Sud Sudan, Erkolano Lodu Tombe, e’ stato a Roma per un incontro con lo staff della Caritas internazionale per discutere sulle emergenze del paese.
Egli era a capo di una delegazione di 6 membri dell’ufficio Caritas del Sud Sudan.
La finalità di questo incontro era far presente il peggioramento della situazione politica e della sicurezza in Sud Sudan.
Preparato da Padre Alex Lodjong Sako
Roma, 03-04-2017
INTRODUZIONE
Dal 22 al 26 marzo 2017, il Vescovo della Diocesi Cattolica di Yei e Presidente della Caritas del Sud Sudan, Erkolano Lodu Tombe, e’ stato a Roma per un incontro con lo staff della Caritas internazionale per discutere sulle emergenze del paese.
Egli era a capo di una delegazione di 6 membri dell’ufficio Caritas del Sud Sudan.
La finalità di questo incontro era far presente il peggioramento della situazione politica e della sicurezza in Sud Sudan.
GLI EFFETTI DELLA GUERRA CIVILE NELL’INTERO PAESE
La guerra civile iniziata nel 2013 e che qui riassumo fino a luglio 2016, avvenuta tra le 2 opposizioni armate, una legata al Dr. Riek Machar e l’altra al presidente Salva Kiir, ha causato sofferenze immani ai civili.
La popolazione e’ dovuta scappare, lasciando anche il raccolto.
Secondo il Vescovo Erkolano le popolazioni furono attaccate nei loro villaggi principalmente dalle forze governative e, quando andavano a controllare i loro raccolti nei campi, venivano considerati dei ribelli o dei simpatizzanti e spesso venivano eliminati.
Il Vescovo ha affermato che in molti hanno perso la vita e molti altri scomparsi.
L’argomento principale del meeting e’ stato focalizzato principalmente sulla situazione fame nel paese: “vogliamo che la Caritas concentri i suoi sforzi sulla carestia nel Sud Sudan e che aumenti i fondi necessari per sollevare il popolo dalla fame, altrimenti moriremo tutti. Non possiamo farlo noi stessi” ha detto il vescovo ai giornalisti.
Gli altri problemi sono il rischio per la salute e la mancanza di educazione e scolarizzazione dei bambini.
E' stato stimato che circa 1,8milioni di persone hanno abbandonato le loro case e 1,5 milioni si sono rifugiate nei paesi confinanti.
Le Nazioni Unite stimano che quest'anno 5,8 milioni sono a rischio per la fame e necessitano di assistenza umanitaria: i più colpiti sono i bambini, le madri e gli anziani.
E' stato stimato che circa 270.000 bambini soffrono di malnutrizione acuta.
La guerra civile iniziata nel 2013 e che qui riassumo fino a luglio 2016, avvenuta tra le 2 opposizioni armate, una legata al Dr. Riek Machar e l’altra al presidente Salva Kiir, ha causato sofferenze immani ai civili.
La popolazione e’ dovuta scappare, lasciando anche il raccolto.
Secondo il Vescovo Erkolano le popolazioni furono attaccate nei loro villaggi principalmente dalle forze governative e, quando andavano a controllare i loro raccolti nei campi, venivano considerati dei ribelli o dei simpatizzanti e spesso venivano eliminati.
Il Vescovo ha affermato che in molti hanno perso la vita e molti altri scomparsi.
L’argomento principale del meeting e’ stato focalizzato principalmente sulla situazione fame nel paese: “vogliamo che la Caritas concentri i suoi sforzi sulla carestia nel Sud Sudan e che aumenti i fondi necessari per sollevare il popolo dalla fame, altrimenti moriremo tutti. Non possiamo farlo noi stessi” ha detto il vescovo ai giornalisti.
Gli altri problemi sono il rischio per la salute e la mancanza di educazione e scolarizzazione dei bambini.
E' stato stimato che circa 1,8milioni di persone hanno abbandonato le loro case e 1,5 milioni si sono rifugiate nei paesi confinanti.
Le Nazioni Unite stimano che quest'anno 5,8 milioni sono a rischio per la fame e necessitano di assistenza umanitaria: i più colpiti sono i bambini, le madri e gli anziani.
E' stato stimato che circa 270.000 bambini soffrono di malnutrizione acuta.
GLI EFFETTI DELLA GUERRA NELLA DIOCESI DI YEI
La diocesi di Yei è una delle aree più colpite, ha detto il Vescovo, dove la maggioranza della popolazione è scappata, rifugiandosi in Uganda e nella RD Congo.
Chi non è riuscito a raggiungere questi paesi si è diretto verso i villaggi più remoti.
Delle nove parrocchie solo la cattedrale è rimasta operativa con 5 parroci che lavorano per i bisogni di oltre 100.000 persone rimaste intrappolate nella città di Yei.
Non potevano spostarsi per andare nelle aree rurali per espletare i servizi pastorali, perché la forza di sicurezza governativa li bloccava con il pretesto che le aree esterne erano insicure a causa dei ribelli.
Gli altri preti si trovano ancora fuori dal paese con i rifugiati in Congo e Uganda.
Tutti i padri missionari e i religiosi (uomini e donne) sono andati via, come i missionari comboniani e quelli del “Verbo Divino” che stanno cercando di stabilire residenza in Uganda per poter continuare a lavorare con i rifugiati.
Molti istituti religiosi della diocesi che lavoravano nel campo educativo e della salute non sono più operativi, tranne il “Cristo Re”, per la scuola primaria nel centro parrocchiale della cattedrale e del centro “Santa Bakhita” con medici senza frontiere ed alcuni amici donatori che inviano medicine dall’Uganda.
Il centro è in grado di offrire molti servizi sanitari per la popolazione intrappolata nella città di Yei.
Le residenze parrocchiali e gli istituti delle chiese, come il centro pastorale, sono stati depredati dalle milizie governative; l’ultima e’ stata la parrocchia del Sacro Cuore in Lomin–Kajo Keji, gestita dai missionari comboniani.
La diocesi di Yei è una delle aree più colpite, ha detto il Vescovo, dove la maggioranza della popolazione è scappata, rifugiandosi in Uganda e nella RD Congo.
Chi non è riuscito a raggiungere questi paesi si è diretto verso i villaggi più remoti.
Delle nove parrocchie solo la cattedrale è rimasta operativa con 5 parroci che lavorano per i bisogni di oltre 100.000 persone rimaste intrappolate nella città di Yei.
Non potevano spostarsi per andare nelle aree rurali per espletare i servizi pastorali, perché la forza di sicurezza governativa li bloccava con il pretesto che le aree esterne erano insicure a causa dei ribelli.
Gli altri preti si trovano ancora fuori dal paese con i rifugiati in Congo e Uganda.
Tutti i padri missionari e i religiosi (uomini e donne) sono andati via, come i missionari comboniani e quelli del “Verbo Divino” che stanno cercando di stabilire residenza in Uganda per poter continuare a lavorare con i rifugiati.
Molti istituti religiosi della diocesi che lavoravano nel campo educativo e della salute non sono più operativi, tranne il “Cristo Re”, per la scuola primaria nel centro parrocchiale della cattedrale e del centro “Santa Bakhita” con medici senza frontiere ed alcuni amici donatori che inviano medicine dall’Uganda.
Il centro è in grado di offrire molti servizi sanitari per la popolazione intrappolata nella città di Yei.
Le residenze parrocchiali e gli istituti delle chiese, come il centro pastorale, sono stati depredati dalle milizie governative; l’ultima e’ stata la parrocchia del Sacro Cuore in Lomin–Kajo Keji, gestita dai missionari comboniani.
LA VISITA DEL VESCOVO ERKOLANO ALLE SUORE MISSIONARIE SERVE DELLO SPIRITO SANTO
Durante la sua permanenza a Roma, il vescovo ha visitato la casa generale delle suore missionarie Serve dello Spirito santo in via Cassia.
Le sorelle hanno una comunità nella diocesi di Yei che hanno dovuto abbandonare per l’aumento della insicurezza nella città: infatti uno dei loro membri, Suor Veronika fu uccisa dalla milizia governativa in una notte di maggio 2016, mentre stava accompagnando una partoriente in una clinica.
Finora, nonostante le ripetute richieste della Chiesa al Governo che faccia giustizia sul caso, ancora nulla di fatto.
Comunque il Vescovo ha assicurato alle sorelle che insisterà, affinché si raggiunga la verità.
La Superiora Generale ha assicurato al Vescovo di essere pronta a riaprire la comunità in Yei non appena la situazione sicurezza fosse migliorata.
CONCLUSIONI
Il Vescovo ha concluso la sua missione a Roma facendo un appello alle persone di buona volontà, su Radio Vaticana, dicendo di non chiudere gli occhi ed i cuori sulle sofferenze della gente del Sud Sudan.
In altre parole, non stare solo a guardare alla tv quello che succede in Sud Sudan, ma fare qualcosa di concreto per ridare dignità umana al popolo del suo paese.
Durante la sua permanenza a Roma, il vescovo ha visitato la casa generale delle suore missionarie Serve dello Spirito santo in via Cassia.
Le sorelle hanno una comunità nella diocesi di Yei che hanno dovuto abbandonare per l’aumento della insicurezza nella città: infatti uno dei loro membri, Suor Veronika fu uccisa dalla milizia governativa in una notte di maggio 2016, mentre stava accompagnando una partoriente in una clinica.
Finora, nonostante le ripetute richieste della Chiesa al Governo che faccia giustizia sul caso, ancora nulla di fatto.
Comunque il Vescovo ha assicurato alle sorelle che insisterà, affinché si raggiunga la verità.
La Superiora Generale ha assicurato al Vescovo di essere pronta a riaprire la comunità in Yei non appena la situazione sicurezza fosse migliorata.
CONCLUSIONI
Il Vescovo ha concluso la sua missione a Roma facendo un appello alle persone di buona volontà, su Radio Vaticana, dicendo di non chiudere gli occhi ed i cuori sulle sofferenze della gente del Sud Sudan.
In altre parole, non stare solo a guardare alla tv quello che succede in Sud Sudan, ma fare qualcosa di concreto per ridare dignità umana al popolo del suo paese.
Situazione attuale della guerra civile in Sud Sudan di Padre Alex
All’inizio di questo anno 2017,la guerra civile in Sud Sudan si è intensificata
In alcune regioni,vale a dire:le regioni di Upper Nile e Unity,dove si trovano i pozzi di petrolio, e la regione di Equatoria, dove si trova la città capitale.
Molti cittadini in queste zone sono sfollati. Si stima che oltre 2,5 milioni di per- sone sono sfollate; la metà di queste persone sono fuggite come rifugiate nei paesi vicini e l’altra metà di persone sono sfollate nel paese. Gran parte dello spostamento è avvenuto a causa dei soldati del governo che bruciano i villaggi dei cittadini quando sentono la presenza di alcuni ribelli in un villaggio. Così,le persone sono costrette a lasciare il cibo che hanno prodotto,e a cercare la sicurezza in altri luoghi. Esse sono diventate vittime della fame e delle malattie a causa della mancanza di cibo e dei servizi sanitari nei luoghi dai quali esse sono fuggite. Ai lavoratori umanitari è spesso negato l’accesso,da parte degli agenti di sicurezza del governo,ai campi dei profughi per fornire assistenza di soccorso alla popolazione.
Dal punto di vista della Chiesa,le zone più colpite sono i territori della diocesi di Malakal nella regione di Yei nella regione d’Equatoria.
Nella diocesi di Yei, ad esempio, che è la mia diocesi, sette(7) delle nove(9) parrocchie sono chiuse adesso a causa di insicurezza. La maggior parte dei cittadini in queste parrocchie sono fuggiti ai campi dei profughi in Uganda e Congo oppure sono fuggiti per sicurezza in altri villaggi che non sono ancora distrutti. La mia parrocchia di origine, in una città chiamata KajoKeji,è tra le sette parrocchie che sono state chiuse, e membri della mia famiglia sono tra le molte persone che sono fuggite nei campi profughi in Uganda per sicurezza. Neanche nei campi profughi la situazione è migliore. I rifugiati hanno poco cibo per nutrirsi, non hanno le case adeguate per il loro alloggio e non ci sono servizi sanitari migliori. L’educazione dei bambini è già una sfida per molti genitori, perché non possono permettersi di pagare le tasse dovute nei centri educativi dei paesi ospitanti.
Alcuni sacerdoti della diocesi sono ora con i rifugiati nei campi per offrire loro il necessario sevizio pastorale e spirituale. Altri,tra cui il Vescovo, sono rimasti all’interno del paese,ma sono confinati al centro della Diocesi. Essi non possono visitare i fedeli sfollati nella campagna,perché gli agenti di sicurezza del governo negano loro l’accesso a questi luoghi.
La così detta comunità internazionale e i governi dell’ Africa orientale non sono riusciti a intervenire,in ogni modo,per fermare la guerra. Invece essi hanno ceduto alla propaganda del governo,che dice che la situazione della sicurezza nel paese stà migliorando in quanto sono riusciti ad esiliare il capo dell’opposizione e dei ribelli in Sud Africa. Sembra che gli interessi economici di questi paesi siano la loro priorità e non la sicurezza dei cittadini del Sud Sudan.
Però ,la realtà è che c’è la guerra in corso nel paese tra i soldati del governo e i soldati dei ribelli, e fa morire molti cittadini, spostando molti altri dalle loro case ancestrali. L’economia è praticamente crollata. IL paese ora opera al tasso di inflazione di circa l’800%.
La Chiesa ha parlato molte volte in diverse occasioni, per sfidare il governo e altri politici nella posizione di mettere l’interesse del Paese prima,ma sempre il suo Messaggio non è ascoltato. Essa ha messo in allarme anche la comunità internazionale per prendere misure concrete per fermare il massacro dei cittadini innocenti ma fino ad ora non è stata presa alcuna azione concreta per impedire, prima di tutto al governo, di uccidere il proprio popolo a causa del potere politico.
In alcune regioni,vale a dire:le regioni di Upper Nile e Unity,dove si trovano i pozzi di petrolio, e la regione di Equatoria, dove si trova la città capitale.
Molti cittadini in queste zone sono sfollati. Si stima che oltre 2,5 milioni di per- sone sono sfollate; la metà di queste persone sono fuggite come rifugiate nei paesi vicini e l’altra metà di persone sono sfollate nel paese. Gran parte dello spostamento è avvenuto a causa dei soldati del governo che bruciano i villaggi dei cittadini quando sentono la presenza di alcuni ribelli in un villaggio. Così,le persone sono costrette a lasciare il cibo che hanno prodotto,e a cercare la sicurezza in altri luoghi. Esse sono diventate vittime della fame e delle malattie a causa della mancanza di cibo e dei servizi sanitari nei luoghi dai quali esse sono fuggite. Ai lavoratori umanitari è spesso negato l’accesso,da parte degli agenti di sicurezza del governo,ai campi dei profughi per fornire assistenza di soccorso alla popolazione.
Dal punto di vista della Chiesa,le zone più colpite sono i territori della diocesi di Malakal nella regione di Yei nella regione d’Equatoria.
Nella diocesi di Yei, ad esempio, che è la mia diocesi, sette(7) delle nove(9) parrocchie sono chiuse adesso a causa di insicurezza. La maggior parte dei cittadini in queste parrocchie sono fuggiti ai campi dei profughi in Uganda e Congo oppure sono fuggiti per sicurezza in altri villaggi che non sono ancora distrutti. La mia parrocchia di origine, in una città chiamata KajoKeji,è tra le sette parrocchie che sono state chiuse, e membri della mia famiglia sono tra le molte persone che sono fuggite nei campi profughi in Uganda per sicurezza. Neanche nei campi profughi la situazione è migliore. I rifugiati hanno poco cibo per nutrirsi, non hanno le case adeguate per il loro alloggio e non ci sono servizi sanitari migliori. L’educazione dei bambini è già una sfida per molti genitori, perché non possono permettersi di pagare le tasse dovute nei centri educativi dei paesi ospitanti.
Alcuni sacerdoti della diocesi sono ora con i rifugiati nei campi per offrire loro il necessario sevizio pastorale e spirituale. Altri,tra cui il Vescovo, sono rimasti all’interno del paese,ma sono confinati al centro della Diocesi. Essi non possono visitare i fedeli sfollati nella campagna,perché gli agenti di sicurezza del governo negano loro l’accesso a questi luoghi.
La così detta comunità internazionale e i governi dell’ Africa orientale non sono riusciti a intervenire,in ogni modo,per fermare la guerra. Invece essi hanno ceduto alla propaganda del governo,che dice che la situazione della sicurezza nel paese stà migliorando in quanto sono riusciti ad esiliare il capo dell’opposizione e dei ribelli in Sud Africa. Sembra che gli interessi economici di questi paesi siano la loro priorità e non la sicurezza dei cittadini del Sud Sudan.
Però ,la realtà è che c’è la guerra in corso nel paese tra i soldati del governo e i soldati dei ribelli, e fa morire molti cittadini, spostando molti altri dalle loro case ancestrali. L’economia è praticamente crollata. IL paese ora opera al tasso di inflazione di circa l’800%.
La Chiesa ha parlato molte volte in diverse occasioni, per sfidare il governo e altri politici nella posizione di mettere l’interesse del Paese prima,ma sempre il suo Messaggio non è ascoltato. Essa ha messo in allarme anche la comunità internazionale per prendere misure concrete per fermare il massacro dei cittadini innocenti ma fino ad ora non è stata presa alcuna azione concreta per impedire, prima di tutto al governo, di uccidere il proprio popolo a causa del potere politico.
L’unica speranza del popolo è ora nell’intervento di DIO.
Padre Alex Lodiong Sakor
Padre Alex Lodiong Sakor
VATICANO - Appello del Papa per il Sud Sudan: non fermarsi solo alle dichiarazioni
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Al termine dell’udienza generale di oggi, in piazza san Pietro, il Santo Padre Francesco ha lanciato un appello per la tragica situazione in Sud Suda, con queste parole: “Destano particolare apprensione le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che colpisce la Regione del Corno d’Africa e che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini. In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”. (SL) (Agenzia Fides 22/02/2017)
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Al termine dell’udienza generale di oggi, in piazza san Pietro, il Santo Padre Francesco ha lanciato un appello per la tragica situazione in Sud Suda, con queste parole: “Destano particolare apprensione le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che colpisce la Regione del Corno d’Africa e che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini. In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”. (SL) (Agenzia Fides 22/02/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - “Occorrono gesti concreti” ammoniscono i Vescovi alla preghiera nazionale per la pace
Juba (Agenzia Fides) - “Se questa preghiera è autentica, molte cose dovrebbero accadere nel Paese: pace, giustizia, amore, dialogo sincero e unità dovrebbero sorgere dopo la preghiera” ha affermato Sua Ecc. Mons. Paulino Lokudu Loro, Arcivescovo di Juba, durante la preghiera nazionale per la pace nel Sud Sudan, indetta dal Presidente Salva Kiir che si è tenuta ieri, 10 marzo, in diverse aree del Paese. “Buon governo, sicurezza, benessere economico, possiamo aspettarci che accada tutto questo dopo la preghiera, se questa è corretta” ha insistito Mons. Lokudu Loro. Poi, rivolgendosi al Capo dello Stato, l’Arcivescovo di Juba ha detto: “Signor Presidente, vada nella sua stanza per pregare per la pace”, ammonendolo che se trasgredisce la preghiera, il Paese continuerà ad essere piagato da tortura, corruzione, arresti arbitrari e tribalismo. Come gesto di riconciliazione il Presidente Kiir ha decretato il rilascio dell’ex governatore dello Stato di Wau, Elias Waya, e del suo Vice, Andrea Dominic, accusati di tradimento. Alla preghiera nazionale che si è tenuta a Juba hanno partecipato migliaia di persone e diversi leader religiosi, cristiani e musulmani. Manifestazioni analoghe si sono tenute in altre località in diverse zone del Paese.
Almeno un esponente della Chiesa aveva espresso forti perplessità sull’iniziativa del Presidente (vedi Fides 6/3/2017), ma i Vescovi cattolici hanno approfittato dell’occasione per richiamare alla loro responsabilità i leader politici, e in particolare il Capo dello Stato. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, ha esortato i dirigenti del Paese ad abbandonare la bramosia per il potere e per la ricchezza per mettersi al servizio dei cittadini. Mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, Vescovo di Tombura/Yambio, ha sollecitato il Presidente Kiir a comportarsi come un padre della nazione che si prende cura dei propri abitanti, permettendo a tutti di partecipare al dialogo nazionale.
La guerra civile che vede contrapposti il Presidente Kiir e l’ex Vice Presidente Riek Machar ha messo in ginocchio il Sud Sudan, uno dei Paesi per i quali l’ONU ha dichiarato lo stato d’emergenza più grave dal 1945 ad oggi. Guerra e siccità hanno distrutto le coltivazioni, mettendo a rischio la vita di milioni di sud-sudanesi. Condizioni analoghe si riscontrano negli altri Paesi inseriti nell’elenco dell’ONU, Yemen, Somalia e Nigeria del Nord Est. In questi 4 Paesi oltre 20 milioni di persone rischiano di morire di fame, se non si interviene in tempo. (L.M.) (Agenzia Fides 11/3/2017)
Juba (Agenzia Fides) - “Se questa preghiera è autentica, molte cose dovrebbero accadere nel Paese: pace, giustizia, amore, dialogo sincero e unità dovrebbero sorgere dopo la preghiera” ha affermato Sua Ecc. Mons. Paulino Lokudu Loro, Arcivescovo di Juba, durante la preghiera nazionale per la pace nel Sud Sudan, indetta dal Presidente Salva Kiir che si è tenuta ieri, 10 marzo, in diverse aree del Paese. “Buon governo, sicurezza, benessere economico, possiamo aspettarci che accada tutto questo dopo la preghiera, se questa è corretta” ha insistito Mons. Lokudu Loro. Poi, rivolgendosi al Capo dello Stato, l’Arcivescovo di Juba ha detto: “Signor Presidente, vada nella sua stanza per pregare per la pace”, ammonendolo che se trasgredisce la preghiera, il Paese continuerà ad essere piagato da tortura, corruzione, arresti arbitrari e tribalismo. Come gesto di riconciliazione il Presidente Kiir ha decretato il rilascio dell’ex governatore dello Stato di Wau, Elias Waya, e del suo Vice, Andrea Dominic, accusati di tradimento. Alla preghiera nazionale che si è tenuta a Juba hanno partecipato migliaia di persone e diversi leader religiosi, cristiani e musulmani. Manifestazioni analoghe si sono tenute in altre località in diverse zone del Paese.
Almeno un esponente della Chiesa aveva espresso forti perplessità sull’iniziativa del Presidente (vedi Fides 6/3/2017), ma i Vescovi cattolici hanno approfittato dell’occasione per richiamare alla loro responsabilità i leader politici, e in particolare il Capo dello Stato. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, ha esortato i dirigenti del Paese ad abbandonare la bramosia per il potere e per la ricchezza per mettersi al servizio dei cittadini. Mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, Vescovo di Tombura/Yambio, ha sollecitato il Presidente Kiir a comportarsi come un padre della nazione che si prende cura dei propri abitanti, permettendo a tutti di partecipare al dialogo nazionale.
La guerra civile che vede contrapposti il Presidente Kiir e l’ex Vice Presidente Riek Machar ha messo in ginocchio il Sud Sudan, uno dei Paesi per i quali l’ONU ha dichiarato lo stato d’emergenza più grave dal 1945 ad oggi. Guerra e siccità hanno distrutto le coltivazioni, mettendo a rischio la vita di milioni di sud-sudanesi. Condizioni analoghe si riscontrano negli altri Paesi inseriti nell’elenco dell’ONU, Yemen, Somalia e Nigeria del Nord Est. In questi 4 Paesi oltre 20 milioni di persone rischiano di morire di fame, se non si interviene in tempo. (L.M.) (Agenzia Fides 11/3/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - L’Ausiliare di Juba: “No alla preghiera nazionale indetta dal Presidente i cui soldati sono i responsabili della tragedia che ci affligge”
Juba (Agenzia Fides) - “Perché dovrei partecipare alla preghiera nazionale dove non c’è santità, dove non c’è pietà? È una beffa sentire il Presidente del Paese fare appelli alla preghiera mentre allo stesso momento, i suoi soldati stanno dando la caccia alla gente lungo il Sud Sudan” ha dichiarato Mons. Santo Loku Pio Doggale, Vescovo ausiliare di Juba, capitale del Sud Sudan, nel respingere l’invito del Presidente Salva Kiir a partecipare alla giornata di preghiera nazionale indetta il 10 marzo per pregare per la pace nel Paese, sconvolto dalla guerra civile.
In un’intervista all’emittente Voice of America, Mons. Doggale ha aggiunto: “prego ogni giorno per il Sud Sudan. Ma la preghiera indetta da Salva Kiir non la capisco e non la capirò mai. A meno che non mi trascini di peso non parteciperò mai a questa preghiera. Perché è una preghiera politica. È una presa in giro”.
Il Vescovo ausiliare di Juba ha ricordato che sono gli stessi militari fedeli al Presidente ad avere causato lo sfollamento delle popolazioni Lango, Acholi, Madi, Kaku, Kuku nelle regioni dell’Equatoria e delle popolazioni Shilluk nell’Alto Nilo. “Intere popolazioni sono espulse dalla loro terra ancestrale mentre i loro beni e risorse sono depredate” ha concluso. (L.M.) (Agenzia Fides 6/3/2017)
Juba (Agenzia Fides) - “Perché dovrei partecipare alla preghiera nazionale dove non c’è santità, dove non c’è pietà? È una beffa sentire il Presidente del Paese fare appelli alla preghiera mentre allo stesso momento, i suoi soldati stanno dando la caccia alla gente lungo il Sud Sudan” ha dichiarato Mons. Santo Loku Pio Doggale, Vescovo ausiliare di Juba, capitale del Sud Sudan, nel respingere l’invito del Presidente Salva Kiir a partecipare alla giornata di preghiera nazionale indetta il 10 marzo per pregare per la pace nel Paese, sconvolto dalla guerra civile.
In un’intervista all’emittente Voice of America, Mons. Doggale ha aggiunto: “prego ogni giorno per il Sud Sudan. Ma la preghiera indetta da Salva Kiir non la capisco e non la capirò mai. A meno che non mi trascini di peso non parteciperò mai a questa preghiera. Perché è una preghiera politica. È una presa in giro”.
Il Vescovo ausiliare di Juba ha ricordato che sono gli stessi militari fedeli al Presidente ad avere causato lo sfollamento delle popolazioni Lango, Acholi, Madi, Kaku, Kuku nelle regioni dell’Equatoria e delle popolazioni Shilluk nell’Alto Nilo. “Intere popolazioni sono espulse dalla loro terra ancestrale mentre i loro beni e risorse sono depredate” ha concluso. (L.M.) (Agenzia Fides 6/3/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - “Non siamo né pro né contro qualcuno, ma siamo per il bene di tutti” ribadiscono i Vescovi
Juba (Agenzia Fides) - “La Chiesa non è contro il governo” ha affermato Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, in Sud Sudan, che ha ribadito l’impegno dei Vescovi cattolici nell’offrire supporto al governo attraverso iniziative di pace.
La locale Conferenza Episcopale ha di recente denunciato i crimini di guerra commessi da militari governativi e da altri gruppi armati contro i civili. “Nonostante gli appelli di più parti a fermare la guerra, continuano in tutto il Paese le uccisioni, gli stupri, gli sfollamenti forzati, gli assalti alle chiese e le distruzioni di proprietà” affermano i Vescovi del Sud Sudan nel loro messaggio pastorale intitolato “Una voce grida nel deserto” (vedi Fides 24/2/2017).
La guerra civile tra le forze governative e i ribelli si è ormai trasformata in una serie di conflitti a carattere etnico che hanno sconvolto il Paese, causando una gravissima crisi umanitaria.
“Il nostro Paese è in preda ad una crisi umanitaria, alla carestia, all’insicurezza e al disastro economico. La nostra popolazione sta lottando duramente semplicemente per sopravvivere” sottolineano i Vescovi.
“Non c’è dubbio che la carestia è stata causata dall’uomo. È vero che la siccità ha colpito diverse parti del Paese, ma la mancanza di cibo è dovuta all’insicurezza e alla cattiva gestione economica”. La fame accresce l’instabilità perché “l’uomo affamato, specie se ha un fucile, può ricorrere al saccheggio per nutrire se stesso e la sua famiglia”.
Nel loro messaggio i Vescovi hanno ribadito che “la Chiesa non è pro o contro qualcuno, che sia il governo o l’opposizione. Noi siamo per tutte le cose buone - pace, giustizia, amore, perdono, riconciliazione, rispetto della legge, buon governo - e contro tutti i mali - violenza, uccisioni, stupri, tortura, saccheggi, corruzione, detenzioni arbitrarie, tribalismo, discriminazioni, oppressione - senza riguardo per chi commette tali azioni”. “Siamo pronti al dialogo con e tra il governo e l’opposizione in ogni momento”concludono i Vescovi. (L.M.) (Agenzia Fides 1/3/2017)
Juba (Agenzia Fides) - “La Chiesa non è contro il governo” ha affermato Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, in Sud Sudan, che ha ribadito l’impegno dei Vescovi cattolici nell’offrire supporto al governo attraverso iniziative di pace.
La locale Conferenza Episcopale ha di recente denunciato i crimini di guerra commessi da militari governativi e da altri gruppi armati contro i civili. “Nonostante gli appelli di più parti a fermare la guerra, continuano in tutto il Paese le uccisioni, gli stupri, gli sfollamenti forzati, gli assalti alle chiese e le distruzioni di proprietà” affermano i Vescovi del Sud Sudan nel loro messaggio pastorale intitolato “Una voce grida nel deserto” (vedi Fides 24/2/2017).
La guerra civile tra le forze governative e i ribelli si è ormai trasformata in una serie di conflitti a carattere etnico che hanno sconvolto il Paese, causando una gravissima crisi umanitaria.
“Il nostro Paese è in preda ad una crisi umanitaria, alla carestia, all’insicurezza e al disastro economico. La nostra popolazione sta lottando duramente semplicemente per sopravvivere” sottolineano i Vescovi.
“Non c’è dubbio che la carestia è stata causata dall’uomo. È vero che la siccità ha colpito diverse parti del Paese, ma la mancanza di cibo è dovuta all’insicurezza e alla cattiva gestione economica”. La fame accresce l’instabilità perché “l’uomo affamato, specie se ha un fucile, può ricorrere al saccheggio per nutrire se stesso e la sua famiglia”.
Nel loro messaggio i Vescovi hanno ribadito che “la Chiesa non è pro o contro qualcuno, che sia il governo o l’opposizione. Noi siamo per tutte le cose buone - pace, giustizia, amore, perdono, riconciliazione, rispetto della legge, buon governo - e contro tutti i mali - violenza, uccisioni, stupri, tortura, saccheggi, corruzione, detenzioni arbitrarie, tribalismo, discriminazioni, oppressione - senza riguardo per chi commette tali azioni”. “Siamo pronti al dialogo con e tra il governo e l’opposizione in ogni momento”concludono i Vescovi. (L.M.) (Agenzia Fides 1/3/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - “L’esercito è diventato strumento della pulizia etnica del Presidente” denuncia un generale
Juba (Agenzia Fides)- Un alto ufficiale del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) si è dimesso per protesta accusando il Presidente Salva Kiir di alimentare il conflitto etnico in Sud Sudan.
Il generale Thomas Cirillo Swaka, Vice Capo del Reparto logistico dello Stato Maggiore dell’SPLA, ha presentato una lettura di dimissioni nella quale afferma che il Presidente Kiir e il capo di Stato Maggiore Paul Malong hanno orchestrato deliberatamente la violazione dell’accordo di pace firmato nell’agosto 2015, con gli scontri scoppiati nel luglio 2016, nella capitale Juba, che hanno comportato la cacciata del Vice Presidente Riek Machar (vedi Fides 12/7/2016).
Cirillo afferma inoltre che il Presidente Kiir e la leadership Dinka a lui fedele hanno trasformato l’SPLA in un esercito tribale che prende di mira tutti i gruppi e tribù non Dinka, con l’obiettivo della pulizia etnica di intere aree del Paese, attraverso la migrazione forzata di intere popolazioni dalle loro terre ancestrali. (L.M.) (Agenzia Fides 14/2/2017)
Juba (Agenzia Fides)- Un alto ufficiale del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) si è dimesso per protesta accusando il Presidente Salva Kiir di alimentare il conflitto etnico in Sud Sudan.
Il generale Thomas Cirillo Swaka, Vice Capo del Reparto logistico dello Stato Maggiore dell’SPLA, ha presentato una lettura di dimissioni nella quale afferma che il Presidente Kiir e il capo di Stato Maggiore Paul Malong hanno orchestrato deliberatamente la violazione dell’accordo di pace firmato nell’agosto 2015, con gli scontri scoppiati nel luglio 2016, nella capitale Juba, che hanno comportato la cacciata del Vice Presidente Riek Machar (vedi Fides 12/7/2016).
Cirillo afferma inoltre che il Presidente Kiir e la leadership Dinka a lui fedele hanno trasformato l’SPLA in un esercito tribale che prende di mira tutti i gruppi e tribù non Dinka, con l’obiettivo della pulizia etnica di intere aree del Paese, attraverso la migrazione forzata di intere popolazioni dalle loro terre ancestrali. (L.M.) (Agenzia Fides 14/2/2017)
Francesco chiede “aiuti concreti” per il Sud Sudan, colpito da una grave carestia
“Destano particolare apprensione le dolorose notizie che giungono dal martoriato Sud Sudan, dove ad un conflitto fratricida si unisce una grave crisi alimentare che condanna alla morte per fame milioni di persone, tra cui molti bambini”.
Al termine dell’Udienza generale di oggi, 22 febbraio 2017, Papa Francesco rivolge un appello per il Sud Sudan, colpito nei giorni scorsi da una grande carestia che colpisce circa 5milioni di persone, la metà della popolazione. Il flagello è innescato dalle guerre e dalla siccità
“In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti – ha detto il Papa -. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”.
Al termine dell’Udienza generale di oggi, 22 febbraio 2017, Papa Francesco rivolge un appello per il Sud Sudan, colpito nei giorni scorsi da una grande carestia che colpisce circa 5milioni di persone, la metà della popolazione. Il flagello è innescato dalle guerre e dalla siccità
“In questo momento è più che mai necessario l’impegno di tutti a non fermarsi solo a dichiarazioni, ma a rendere concreti gli aiuti alimentari e a permettere che possano giungere alle popolazioni sofferenti – ha detto il Papa -. Il Signore sostenga questi nostri fratelli e quanti operano per aiutarli”.
Can South Sudan Survive Another Year of Civil War?
Articolo completo cliccando qui:
www.southsudannewsagency.com/index.php/2017/02/21/can-south-sudan-survive-another-year-civil-war/
www.southsudannewsagency.com/index.php/2017/02/21/can-south-sudan-survive-another-year-civil-war/
Juba, February 21, 2017 (SSNA) -- A newly established Ugandan gold factory is set to import gold and other gold-related materials from South Sudan.
Per leggere l'articolo completo cliccare qui:
www.southsudannewsagency.com/index.php/2017/02/21/uganda-import-gold-south-sudan/
www.southsudannewsagency.com/index.php/2017/02/21/uganda-import-gold-south-sudan/
Sud Sudan, la carestia è "ufficiale", ma la gente muore di fame già da un po'.
Le agenzie delle Nazioni Unite avvertono che quasi 5 milioni di persone hanno urgente bisogno di cibo, di sostegno all’agricoltura e di assistenza nutrizionale. La peggiore catastrofe della fame dall’inizio dei combattimenti scoppiati più di tre anni fa. E in tutto il Corno d'Africa il rischio si estende a 17 milioni tra uomini, donne e bambini.
Per maggiori informazioni leggete il seguente articolo:
Le agenzie delle Nazioni Unite avvertono che quasi 5 milioni di persone hanno urgente bisogno di cibo, di sostegno all’agricoltura e di assistenza nutrizionale. La peggiore catastrofe della fame dall’inizio dei combattimenti scoppiati più di tre anni fa. E in tutto il Corno d'Africa il rischio si estende a 17 milioni tra uomini, donne e bambini.
Per maggiori informazioni leggete il seguente articolo:
Appello Onu. Guerra, fame, clima: il mix che ucciderà il Sud Sudan
La situazione nel Paese è peggiorata a causa della micidiale combinazione tra conflitto civile, crisi economica e fenomeni legati al cambiamento climatico. Stiamo affrontando una serie di bisogni senza precedenti». Le parole di Eugene Owusu, il rappresentante Onu per il coordinamento umanitario in Sud Sudan, vogliono raggiungere al più presto le coscienze dei Paesi donatori. La popolazione sudsudanese è in preda alla più profonda disperazione. Secondo stime ufficiali, sono almeno 7,5 milioni i civili che hanno bisogno di assistenza e protezione. Le scarse piogge dell’anno scorso hanno ridotto i campi coltivabili in cimiteri per il bestiame. In varie zone del Paese, teatro di una guerra civile dal 2013, i raccolti sono stati minimi e i mercati sono ora vuoti. La gente sta scappando in ogni direzione.
La gente sta scappando in ogni direzione. Le agenzie umanitarie sul campo hanno subito istituito un “Humanitarian response plan (Hrp)” per rispondere il prima possibile alla crisi prendendo di mira le aree più a rischio. E, paradossalmente, il rischio pià grosso, a breve, per queste popolazioni colpite dalla siccità, saranno le piogge.
( Cristina)
La gente sta scappando in ogni direzione. Le agenzie umanitarie sul campo hanno subito istituito un “Humanitarian response plan (Hrp)” per rispondere il prima possibile alla crisi prendendo di mira le aree più a rischio. E, paradossalmente, il rischio pià grosso, a breve, per queste popolazioni colpite dalla siccità, saranno le piogge.
( Cristina)
AFRICA/SUD SUDAN - “I militari hanno assalito un villaggio stuprando donne e bambine” accusa un Vescovo anglicano
mercoledì, 15 febbraio 2017violenza crimini di guerra
SUDAN DEL SUD
Juba (Agenzia Fides)- Un Vescovo anglicano ha accusato l’esercito del Sud Sudan (SPLA) di stupri di massa e di violenze contro i civili nello Stato dell’Eastern Equatoria. “Non conosciamo il numero esatto delle donne che sono state stuprare ma abbiamo cinque donne e ragazze che sono ricoverate al Juba Teaching Hospital” ha dichiarato Paul Yugusuk, della diocesi anglicana di Lomega.
Secondo le testimonianze raccolte sul posto gli autori delle violenze sarebbero i militari del posto di guardia di Nesitu, all’estrema periferia sud della capitale Juba, che sono incaricati di proteggere la circolazione lungo la strada che porta da Juba a Nimule, al confine con l’Uganda.
L’assalto è stato condotto contro il villaggio di Kubi, sull’asse Juba-Nimule. Oltre ad avere violentato donne e ragazze, alcune molto giovani, i militari hanno arrestato e torturato 46 uomini, “dei quali 42 sono stati poi liberati ma quattro risultano scomparsi” dice il Vescovo. Il villaggio è stato completamente saccheggiato e la popolazione si è data alla fuga.
L’ONU e le chiese cristiane in Sud Sudan stanno moltiplicando gli allarmi per le crescenti violenze a sfondo etnico e tribale che caratterizzano la guerra civile tra il governo del Presidente Salva Kiir e le forze fedeli all’ex Vice Presidente Riek Machar. Un alto ufficiale dell’SPLA si è di recente dimesso accusando Kiir di pulizia etnica nei confronti di coloro che non appartengono alla sua etnia, i Dinka (vedi Fides 14/2/2017). (L.M.)
(Agenzia Fides 15/2/2017)
mercoledì, 15 febbraio 2017violenza crimini di guerra
SUDAN DEL SUD
Juba (Agenzia Fides)- Un Vescovo anglicano ha accusato l’esercito del Sud Sudan (SPLA) di stupri di massa e di violenze contro i civili nello Stato dell’Eastern Equatoria. “Non conosciamo il numero esatto delle donne che sono state stuprare ma abbiamo cinque donne e ragazze che sono ricoverate al Juba Teaching Hospital” ha dichiarato Paul Yugusuk, della diocesi anglicana di Lomega.
Secondo le testimonianze raccolte sul posto gli autori delle violenze sarebbero i militari del posto di guardia di Nesitu, all’estrema periferia sud della capitale Juba, che sono incaricati di proteggere la circolazione lungo la strada che porta da Juba a Nimule, al confine con l’Uganda.
L’assalto è stato condotto contro il villaggio di Kubi, sull’asse Juba-Nimule. Oltre ad avere violentato donne e ragazze, alcune molto giovani, i militari hanno arrestato e torturato 46 uomini, “dei quali 42 sono stati poi liberati ma quattro risultano scomparsi” dice il Vescovo. Il villaggio è stato completamente saccheggiato e la popolazione si è data alla fuga.
L’ONU e le chiese cristiane in Sud Sudan stanno moltiplicando gli allarmi per le crescenti violenze a sfondo etnico e tribale che caratterizzano la guerra civile tra il governo del Presidente Salva Kiir e le forze fedeli all’ex Vice Presidente Riek Machar. Un alto ufficiale dell’SPLA si è di recente dimesso accusando Kiir di pulizia etnica nei confronti di coloro che non appartengono alla sua etnia, i Dinka (vedi Fides 14/2/2017). (L.M.)
(Agenzia Fides 15/2/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - “Chiediamo giustizia per suor Veronica” afferma il Vescovo di Yei
venerdì, 10 febbraio 2017 vescovi missionari
SUDAN DEL SUD
Juba (Agenzia Fides)- “Sia resa giustizia a suor Veronica Rackova” ha affermato Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, in Sud Sudan, chiedendo come mai il governo di Juba rimanga in silenzio sulle responsabilità dell’uccisione della religiosa.
Il 16 maggio 2016 Suor Veronica Rackova, religiosa slovacca delle Suore Missionarie dello Spirito Santo (SSP) e Direttrice del St Bakhita’s Medical Centre di Yei, era rimasta gravemente ferita ad un posto di blocco controllato dalle forze armate del Sud Sudan (SPLA). Suor Veronica era spirata il 20 maggio al Nairobi Hospital in Kenya, dove era stata trasportata (vedi Fides 21/5/2016).
L’inchiesta sulla morte della religiosa è bloccata e ora il Vescovo di Yei chiede a nome dei familiari come mai le autorità rimangono in silenzio nonostante in un primo momento erano stati riportati alcuni arresti. (L.M.) (Agenzia Fides 10/2/2017)
venerdì, 10 febbraio 2017 vescovi missionari
SUDAN DEL SUD
Juba (Agenzia Fides)- “Sia resa giustizia a suor Veronica Rackova” ha affermato Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, in Sud Sudan, chiedendo come mai il governo di Juba rimanga in silenzio sulle responsabilità dell’uccisione della religiosa.
Il 16 maggio 2016 Suor Veronica Rackova, religiosa slovacca delle Suore Missionarie dello Spirito Santo (SSP) e Direttrice del St Bakhita’s Medical Centre di Yei, era rimasta gravemente ferita ad un posto di blocco controllato dalle forze armate del Sud Sudan (SPLA). Suor Veronica era spirata il 20 maggio al Nairobi Hospital in Kenya, dove era stata trasportata (vedi Fides 21/5/2016).
L’inchiesta sulla morte della religiosa è bloccata e ora il Vescovo di Yei chiede a nome dei familiari come mai le autorità rimangono in silenzio nonostante in un primo momento erano stati riportati alcuni arresti. (L.M.) (Agenzia Fides 10/2/2017)
I famigliari di Padre Alex sono ora registrati in Uganda come profughi
Civilians flee as violence intensifies in Equatoria region
February 15, 2017Breaking News, News, South Sudan1 comment
“South Sudanese refugees gather at a UNHCR collection center on the South Sudan border in Egelo, Uganda.” Photo: UNHCR
Kampala/Juba, February 15, 2017 (SSNA) — Heavy fighting between South Sudan warring factions intensified in and around Kajo-Keji county of Central Equatoria, resulting in massive displacement of civilians, humanitarian personnel told the South Sudan News Agency (SSNA) in Kampala on Wednesday.
The aid workers also said the number of South Sudanese fleeing the violence in Yei and Kajo-Keji has increased dramatically, saying thousands of refugees arrive in Uganda every day.
New arrivals who identified themselves simply as “citizens of Kajo-Keji County” said government forces are targeting anyone fleeing the violence and that they blocked any main road leading to northern Uganda, adding “government forces round up young people days and nights and take them to the forest or unknown location.”
“My younger brother was taken on February 5 and never returned,” a young woman who appeared to be in her early twenties told the South Sudan News Agency in Ugandan Moyo district.
South Sudanese refugees in Moyo also told the SSNA that a huge number of South Sudanese government soldiers are carrying out summary executions, torture, kidnapping, and raping women and girls in and around Kajo-Keji County.
The UN has recently reported escalation of violence in Yei and Kajo Keji towns and sent peacekeepers to Kajo-Keji County last wee
February 15, 2017Breaking News, News, South Sudan1 comment
“South Sudanese refugees gather at a UNHCR collection center on the South Sudan border in Egelo, Uganda.” Photo: UNHCR
Kampala/Juba, February 15, 2017 (SSNA) — Heavy fighting between South Sudan warring factions intensified in and around Kajo-Keji county of Central Equatoria, resulting in massive displacement of civilians, humanitarian personnel told the South Sudan News Agency (SSNA) in Kampala on Wednesday.
The aid workers also said the number of South Sudanese fleeing the violence in Yei and Kajo-Keji has increased dramatically, saying thousands of refugees arrive in Uganda every day.
New arrivals who identified themselves simply as “citizens of Kajo-Keji County” said government forces are targeting anyone fleeing the violence and that they blocked any main road leading to northern Uganda, adding “government forces round up young people days and nights and take them to the forest or unknown location.”
“My younger brother was taken on February 5 and never returned,” a young woman who appeared to be in her early twenties told the South Sudan News Agency in Ugandan Moyo district.
South Sudanese refugees in Moyo also told the SSNA that a huge number of South Sudanese government soldiers are carrying out summary executions, torture, kidnapping, and raping women and girls in and around Kajo-Keji County.
The UN has recently reported escalation of violence in Yei and Kajo Keji towns and sent peacekeepers to Kajo-Keji County last wee
Padre Alex Sakor - 10 febbraio 2017
This is the Country that many in the world have not yet known.
A Country that many don't dare to know.
A Country that many from within it want to destroy.
South Sudan! The days of your glory are still to come!
And when we reach those days, the birds of the air and the animals of earth will not run away from praising your name!
And those who seek you, only for money, will apologize for having robbed you!
And those who say we fought for your freedom, will cease from being your masters and become servants of your prosperity and fame!
South Sudan, The youngest Nation of the Worl!
Land of Great Abundance, your peace is at hand! Padre Alex Sakor
Solidarity works to accompany and empower the people of South Sudan, helps to heal the wounds of past conflicts and guide the South Sudanese to a better future. Solidarity pays special attention to ensure that South Sudanese girls have equal access to education and training.
TRAINING NURSES AND MIDWIVES
At the Catholic Health Training Institute, run by Solidarity in Wau, students live in and undertake a three year programme of study and clinical practice to become nurses or midwives. There are only 158 registered nurses in all of South Sudan. 49 of them were trained by Solidarity
TEACHER TRAINING
In a country where illiteracy rates are very high and few children have access to primary education, teaching local people how to teach children and young adults basic skills is vital. Solidarity is fully committed to training current and future teachers who will continue to improve literacy in their local communities. The teacher training centre located in Yambio has courses for both teachers and young adults who want to become teachers.
SUSTAINABLE AGRICULTURE
Many people have faced and continue to face the threat of famine. Solidarity works alongside local farmers to provide them with the skills to become more independent. The sustainable agriculture projects also provide fresh produce to the health-training centre in Wau.
PASTORAL WORK
Conflicts past and present mean a need for trauma healing and a peace-building network. Solidarity reaches out to the local people with initiatives that involve clergy and catechists throughout the country by organizing workshops and pastoral visits.
Solidarity volunteers are involved in pastoral work in several locations to promote community-building
16 Dicembre 2016
Suor Yudith Pereira (Direttrice esecutiva)e Angelo Pittaluga (responsabile Funraising) sono stati ospiti graditissimi della nostra associazione (Le casette per l'Equatoria) ci hanno illustrato il loro meraviglioso progetto in armonia con 260 congregazioni religiose per raggiungere l'obiettivo comune,di costruire una Pace duratura nel Sud Sudan, progetto che potrete conoscere meglio ,consultando il loro sito: WWW.SOLIDARITYSSUDAN.ORG.
Con loro abbiamo preso parte alla Cena natalizia del Consorzio S.Pe R.A all'Istituto Alberghiero Nino Bergese.
Suor Yudith e Angelo hanno molto apprezzato il menù preparato dagli allievi.
Rosa Dellepiane
Solidarity South Sudan is searching for a new Fundraising Director in Rome: if you are interested in collaborating with us, please find in our website www.solidarityssudan.org all the details to submit your candidacy. Thanks!
Le ultime notizie che abbiamo potuto avere da una telefonata fatta ad Angelo
Angelo non è più a Yei ma a Juba dalla sua famiglia (dove è possibile telefonare), ci riferisce che il Vescovo è a Yei con la sua Diocesi ma la popolazione continua a scappare come può.
Come suggerisce Angelo non ci resta che pregare.
NEWS DA YEI SUD SUDAN, APPENA ARRIVATA MAIL DA ANGELO DIUK
Carissima Savina, L'interNet e molto problematico qui da noi.
Anche le linee telefoniche si interrobon molto spesso.
Il Vescovo Erkolano sta ora a Juba per una reunione dei vescovi sud
sudanesi sta bene di salute – e appena ritornato da incontro con dei medici a Nairobi.
Qui da noi stanno i medici MSF/Belgium. Ma per ora stanno male perche'
i militari SPLA li hanno arrestati (Km. 13 fuori citta di Yei) e si
stanno ancor negoziando il loro rilascio da priggione in Juba. 4
sudsudanesi e 2 europei sonn stati arrestati.
I medici MSF/Belggio hanno gia visto e studiato il luogo di S. Bakhita ma, hanno dovuto operare fuori centri gia' esistenti.
Io non ho il telefono che ha l'interNet purtroppo!
Abbraccio caro
Angelo
AFRICA/SUD SUDAN - “Lasciatemi incontrare i ribelli per mettere fine alle violenze” chiede il Vescovo di Yei
Juba (Agenzia Fides) - “Ho bisogno del permesso per evitare inutili sospetti ai diversi posti di blocco che dovrò superare” ha detto Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei in Sud Sudan, a Radio Easter, spiegando che ha fatto richiesta al governo di potersi recare nelle aree dei ribelli per cercare una mediazione nelle guerra civile. “La Chiesa non spia per nessuna parte in causa e il suo interesse nel cercare di incontrare i ribelli è quello di ottenere la fine dei combattimenti” ha sottolineato il Vescovo.
L’amministrazione locale ha già approvato la richiesta di Mons. Tombe, ma il Ministro dell’Informazione dello Stato di Yei, Stephen Lado Onesimo, ha dichiarato che le autorità statali stanno aspettando la risposta e il permesso del governo nazionale di Juba. A Yei, città dell’Equatoria, nel Sud Sudan, negli ultimi mesi un’ondata di omicidi e massacri attribuiti a gruppi armati misti militari-civili ha colpito presunti fiancheggiatori dell’ex Vice Presidente Riek Machar. I massacri sono stati più volte denunciati da Mons. Tombe
(vedi Fides 2/12/2016). (L.M.) (Agenzia Fides 11/1/2017)
Juba (Agenzia Fides) - “Ho bisogno del permesso per evitare inutili sospetti ai diversi posti di blocco che dovrò superare” ha detto Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei in Sud Sudan, a Radio Easter, spiegando che ha fatto richiesta al governo di potersi recare nelle aree dei ribelli per cercare una mediazione nelle guerra civile. “La Chiesa non spia per nessuna parte in causa e il suo interesse nel cercare di incontrare i ribelli è quello di ottenere la fine dei combattimenti” ha sottolineato il Vescovo.
L’amministrazione locale ha già approvato la richiesta di Mons. Tombe, ma il Ministro dell’Informazione dello Stato di Yei, Stephen Lado Onesimo, ha dichiarato che le autorità statali stanno aspettando la risposta e il permesso del governo nazionale di Juba. A Yei, città dell’Equatoria, nel Sud Sudan, negli ultimi mesi un’ondata di omicidi e massacri attribuiti a gruppi armati misti militari-civili ha colpito presunti fiancheggiatori dell’ex Vice Presidente Riek Machar. I massacri sono stati più volte denunciati da Mons. Tombe
(vedi Fides 2/12/2016). (L.M.) (Agenzia Fides 11/1/2017)
AFRICA/SUD SUDAN - Rischio massacro etnico: “a Yei la popolazione vive nel terrore” dice il Vescovo
venerdì, 2 dicembre 2016
Mons. Erkolano Ludo Tombe, Vescovo di Yei
SUDAN DEL SUD
2016-12-02
Juba (Agenzia Fides) - “Oltre un centinaio di migliaia di persone vivono nella paura e nell’incertezza e sono impossibilitate a lasciare la città” denuncia a Radio Easter Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, città dell’Equatoria, nel Sud Sudan, colpita da un’ondata di omicidi e massacri attribuiti a gruppi armati misti militari-civili che colpiscono presunti fiancheggiatori dell’ex Vice Presidente Riek Machar (vedi Fides 30/8/2016).
“A Yei non ci sono al momento sparatorie ma la popolazione vive nella costante paura di nuove ondate di violenza e di omicidi” riferisce Mons. Lodu. Il Vescovo ha aggiunto che la popolazione dei villaggi circostanti non può recarsi a Yei, eccetto coloro che vi giungono per via aerea da altre contee e da altri Stati. I contadini non possono andare a curare le loro coltivazioni e la popolazione dovrà continuare a ricorrere all’assistenza umanitaria per sfamarsi fino al 2017.
La guerra civile tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex Vice Presidente Riek Machar ha preso una dimensione etnica, opponendo i Dinka (l’etnia di Kiir) ai Nuer, a cui appartiene Machar. Le altre etnie e tribù si sono alleate a uno dei due contendenti, nella speranza di ottenere vantaggi nei loro conflitti locali, sovente a carattere fondiario.
Il rappresentate americano al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU di Ginevra ha denunciato che il governo sud-sudanese si appresterebbe a sostenere attacchi su vasta scala contro la popolazione nella regione dell’Equatoria centrale. (L.M.) (Agenzia Fides 2/12/2016)
venerdì, 2 dicembre 2016
Mons. Erkolano Ludo Tombe, Vescovo di Yei
SUDAN DEL SUD
2016-12-02
Juba (Agenzia Fides) - “Oltre un centinaio di migliaia di persone vivono nella paura e nell’incertezza e sono impossibilitate a lasciare la città” denuncia a Radio Easter Sua Ecc. Mons. Erkolano Lodu Tombe, Vescovo di Yei, città dell’Equatoria, nel Sud Sudan, colpita da un’ondata di omicidi e massacri attribuiti a gruppi armati misti militari-civili che colpiscono presunti fiancheggiatori dell’ex Vice Presidente Riek Machar (vedi Fides 30/8/2016).
“A Yei non ci sono al momento sparatorie ma la popolazione vive nella costante paura di nuove ondate di violenza e di omicidi” riferisce Mons. Lodu. Il Vescovo ha aggiunto che la popolazione dei villaggi circostanti non può recarsi a Yei, eccetto coloro che vi giungono per via aerea da altre contee e da altri Stati. I contadini non possono andare a curare le loro coltivazioni e la popolazione dovrà continuare a ricorrere all’assistenza umanitaria per sfamarsi fino al 2017.
La guerra civile tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex Vice Presidente Riek Machar ha preso una dimensione etnica, opponendo i Dinka (l’etnia di Kiir) ai Nuer, a cui appartiene Machar. Le altre etnie e tribù si sono alleate a uno dei due contendenti, nella speranza di ottenere vantaggi nei loro conflitti locali, sovente a carattere fondiario.
Il rappresentate americano al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU di Ginevra ha denunciato che il governo sud-sudanese si appresterebbe a sostenere attacchi su vasta scala contro la popolazione nella regione dell’Equatoria centrale. (L.M.) (Agenzia Fides 2/12/2016)
LA SITUAZIONE POLITICA SECONDO PADRE ALEX LODIONG
LA SITUAZIONE POLITICA IN SUD SUDAN
Introduzione
Sud Sudan è diventata una nazione indipendente il 9 luglio 2011 dopo 21 anni di guerra civile contro la discriminazione politica e l'ingiustizia economica perpetrata dal governo islamico del Sudan, che ha ottenuto l'indipendenza dal potere coloniale britannico nel gennaio del 1956. L'indipendenza del Sud Sudan è stata votata in un referendum il 9 gennaio 2011, come previsto dall'Accordo Comprensivo di Pace (CPA), firmato a Naivasha, Kenya, il 9 gennaio 2005 tra il governo della Repubblica di Sudan e l'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA).
Il referendum per la secessione e l'indipendenza è stato condotto con entusiasmo dai cittadini del Sud Sudan. Hanno votato in massa per una nuova dispensa politica sulla base di eguaglianza politica, la trasformazione economica e il principio di legalità. Salva Kiir è diventato automaticamente il primo presidente della nuova nazione basata sulle elezioni nazionali di Sudan svoltesi in Aprile 2010, in cui egli è diventato il primo Vice Presidente della Repubblica di Sudan e il presidente della regione di Sud Sudan.
I primi due anni di indipendenza furono anni di gloria e speranze. I cittadini della nuova nazione hanno iniziato a gustare i frutti della prosperità economica e la stabilità politica, anche se c'erano ancora le tensioni con il Sudan riguardo all'uso di oleodotti e la condivisione delle entrate derivanti dal petrolio. Ci sono state anche accuse di corruzione contro i funzionari del nuovo governo, ma quelle non erano le preoccupazioni del cittadino comune. Il cittadino comune era preoccupato per i problemi di reinsediamento e di ricostruzione.
La genesi del conflitto in corso
Nel 2012, quando la nuova nazione stava contando il suo secondo anno di indipendenza, la lotta politica è iniziata all'interno del partito di governo, il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLM), principalmente tra il Presidente del partito (Salva Kiir) e il Vice Presidente Dr. Riek Machar (che era il vice presidente del paese). Questa lotta all'interno del partito ha influenzato lo svolgimento del governo per il fatto che la maggioranza dei ministri del governo era del partito di SPLM. Alla fine il risultato è stato disastroso. Nel luglio 2013 il presidente Salva Kiir ha licenziato Dr. Riek Machar, il suo Vice Presidente, e l'intero gabinetto del governo. Nel Dicembre 2015, la violenza è scoppiata a Juba (la città capitale della nuova nazione) tra i soldati fedeli a Salva Kiir e quelli fedeli a Riek Machar, costringendo Machar a fuggire dalla città. Le conseguenze di questo incidente sono state disastroso. Le vendette e gli omicidi etnici sono accaduti tra la tribù di Kiir (Dinka) e quella di Machar (Nuer). Il governo ha indicato il numero dei morti durante l'incidente a circa 500 persone, mentre le agenzie di aiuti umanitari parlavano di migliaia di persone.
Gli sforzi di pace da parte delle istituzioni regionali e della comunità internazionale
Il combattimento tra i gruppi rivali si diffuse in altre città, provocando l'intervento del Corpo regionale dell'Africa orientale dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) sostenuto dall'Unione africana (UA) e dalle Nazioni Unite (ONU) per contribuire a contenere la situazione da escalation. Così, nel gennaio 2014 il processo di negoziazione per la pace è stato avviato ad Addis Abeba, in Etiopia, tra il governo della Repubblica del Sud Sudan e la fazione separatista del partito SPLM, che è iniziato ad essere conosciuto, da allora in poi fino ad oggi, come il SPLA in opposizione (SPLA-IO).
Una serie di accordi sono stati mediati come la cessazione delle ostilità firmata il 23 gennaio 2014; l'Istituzione del governo di transizione di unità nazionale nella Repubblica del Sud Sudan firmata il 1° febbraio 2015, ecc, in vista di un accordo di pace finale.
Sforzi di pace da parte della Chiesa
La Chiesa da parte sua, sia a livello ecumenico sia sul piano confessionale, ha aggiunto la sua voce anche invitando le parti in conflitto, in particolare i due leader (il Presidente Salva Kiir e il Dr. Riek Machar), a fermare la guerra e impegnarsi nel dialogo e nel processo di riconciliazione nazionale.
Gli sforzi della Chiesa dal livello nazionale per ridurre le turbolenze politiche e militari in Sud Sudan sono stati sostenuti dalla Chiesa ai livelli regionale e universale. Vescovi e altri dirigenti della Chiesa da parte dell'Associazione delle Conferenze Episcopali in Africa Orientale (AMECEA) hanno visitato il Sud Sudan nel mese di gennaio 2014 e fatto appello "per la cessazione immediata e senza condizioni di tutte le ostilità in tutto il paese del Sud Sudan. Noi crediamo nel fatto che la pace è un valore che tutti devono cercare e un dovere universale fondata su un ordine morale razionale della società."
Papa Francesco, da parte sua attraverso il Pontificio Consiglio Vaticano per la Giustizia e la Pace e nel nome della Chiesa universale, ha inviato il cardinale Turkson nel marzo 2014. In questa visita il Cardinale portava un messaggio di solidarietà, da parte del Papa al popolo del Sud Sudan e una lettera personale del Papa al Presidente (Salva Kiir) e al leader dei ribelli in opposizione (Dr. Riek Machar) per porre fine al conflitto e riportare la pace in Sud Sudan.
Accordo di pace e governo di transizione di unità nazionale
Il 17 agosto 2015, un accordo di pace è stato raggiunto ad Addis Abeba, in Etiopia, tra le parti in conflitto e il Dr. Machar, il leader del SPLA-IO, e le altre parti coinvolte nel processo di negoziazione hanno firmato il documento. Il Presidente Salva Kiir non ha firmato il documento invece ha chiesto altri 15 giorni di tempo per consultare i membri del suo governo prima di firmare. Sono stati concessi i 15 giorni e più tardi, il 26 agosto 2015, è stato firmato l'accordo a Juba, Sud Sudan. Tuttavia l'attuazione della accordo non poteva avvenire immediatamente a causa di vincoli politici e logistici. L'attuazione è iniziata solo 9 mesi dopo, nell'aprile 2016, con la formazione del Governo di Transizione di Unità Nazionale (TGoNu) dove il Dr. Riek Machar è diventato il primo Vice Presidente. Con la formazione dei TGoNu molti cittadini del paese hanno visto un graduale ritorno alla pace.
Ripresa dei combattimenti e il deterioramento della sicurezza.
Purtroppo, in meno di tre mesi del governo transitorio di unità nazionale questa speranza è stata ancora delusa per i combattimenti scoppiati di nuovo a Juba tra i soldati fedeli al Salva Kiir e quelli fedeli al Riek Machar il 7 luglio 2016 a causa di diffidenza tra le due parti nel processo di attuazione dell'accordo di pace. Ci sono state alcune azioni provocatorie da parte del governo, membri importanti delle opposizioni sono stati uccisi a sangue freddo, presumibilmente dal personale di sicurezza del governo e restrizioni di movimenti sono state imposte sui funzionari governativi provenienti dalla parte dell'opposizione. Più di 300 persone hanno perso la vita in questo incidente e molti altri sono stati costretti ad abbandonare le loro case nel timore di armi da fuoco o uccisioni in base all'etnia. La residenza del Primo Vice Presidente, Dr. Riek Machar, è stata vandalizzata durante l' incidente, costringendolo a ritirarsi di nuovo nella boscaglia con molti dei suoi soldati rimanenti.
Ora, mentre parliamo, la sicurezza si è deteriorata e la lotta ha ripreso in molte parti del Sud Sudan, in particolare nella regione di Equatoria. Oltre 1 milione di persone hanno lasciato il paese per l'esilio nei paesi confinanti del Sudan, Etiopia, Kenya, Uganda e la Repubblica Democratica del Congo. Le strade principali delle città sono state bloccate dal SPLA-IO e le milizie del governo continuano a terrorizzare la popolazione civile nei villaggi, bruciando alcuni di questi, con il pretesto che in essi si nascondano i ribelli. I giovani vengono arrestati sulla base del sospetto che essi comunichino con i ribelli. Il movimento dei politici dell'opposizione è condizionato dal sospetto che essi stiano uscendo dal paese per aderire al gruppo ribelle. I pastori delle Chiese non sono ammessi, dal personale di sicurezza del governo, a visitare le loro comunità cristiane nei villaggi, perché i villaggi vengono dichiarati "no zone di accesso" a causa della presenza dei ribelli.
Secondo la recente conferenza del consulente speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione del genocidio, c'è "enorme sfiducia tra la popolazione civile e la popolazione militare. molte persone dell'esercito sono accusate di indisciplina. La gente non vede il militare come loro protettore, ma piuttosto come un'entità che deve essere temuta." Inoltre, la situazione economica è peggiorata. L'inflazione è salita a quasi il 700%, di conseguenza i prezzi di mercato sono aumentati, rendendo le condizioni di vita del cittadino ordinario molto difficili se non impossibili.
In breve, la situazione socio-politica in Sud Sudan ora è una situazione di repressione, di paura e l'economia è in declino. Il personale di sicurezza del governo tende ad intimidire la popolazione civile, creando paura e diffidenza. Non ci sono sforzi fatti per salvare l'economia al collasso.
La mancanza di volontà della comunità internazionale di intervenire
Di fronte a tutto questo le istituzioni regionali (come IGAD) e la cosiddetta comunità internazionale sembrano essere paralizzate per il deterioramento della situazione socio-politica e della sicurezza in Sud Sudan. Nonostante la risoluzione 2004/2016 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di inviare ulteriori 4.000 forze di protezione regionale, nulla si è mosso. I cittadini continuano ad essere uccisi e molti ancora stanno lasciando il paese per l'esilio nei paesi confinanti. Le istituzioni regionali e la comunità internazionale sembrano alzare le mani davanti al governo del Presidente Salva Kiir che rischia di affrontare qualsiasi intervento straniero in difesa della sua sovranità nazionale. La sola cosa che la gente che soffre di Sud Sudan vede nella comunità internazionale e nelle istituzioni regionali è la competenza solo di documentare le informazioni sulle violazioni dei diritti umani, commesse da governo e ribelli, senza un'azione concreta per ritenere responsabili gli autori di queste violazioni.
Conclusione
L'attuale situazione socio-politica in Sud Sudan potrebbe continuare per lungo tempo, aumentando la sofferenza del popolo. Il governo sembra preparato per reprimere i dissidenti, impegnando i paesi vicini ad arrestare anche i politici che sono andati in questi paesi per rifugiarsi. Si vuole porre fine alla ribellione con mezzi militari, che, purtroppo, non accadrà, perché i ribelli vogliono anche far cadere il governo. Ogni parte (il governo o i ribelli) ha fame di potere e di ricchezza economica per i pochi privilegiati nei loro campi.
Quindi, l'avvocatura per una soluzione pacifica del conflitto in Sud Sudan dovrebbe continuare. Le organizzazioni delle società civili, gruppi per i diritti umani e le Chiese fuori di Sud Sudan e nel Sud Sudan devono fare pressione sulle Nazioni Unite o la cosiddetta Comunità Internazionale in modo che possano avviare iniziative concrete per impedire lo spargimento di sangue innocente e consegnare alla giustizia quei politici che perpetuano le violazioni dei diritti umani contro i cittadini innocenti del Sud Sudan.
Introduzione
Sud Sudan è diventata una nazione indipendente il 9 luglio 2011 dopo 21 anni di guerra civile contro la discriminazione politica e l'ingiustizia economica perpetrata dal governo islamico del Sudan, che ha ottenuto l'indipendenza dal potere coloniale britannico nel gennaio del 1956. L'indipendenza del Sud Sudan è stata votata in un referendum il 9 gennaio 2011, come previsto dall'Accordo Comprensivo di Pace (CPA), firmato a Naivasha, Kenya, il 9 gennaio 2005 tra il governo della Repubblica di Sudan e l'Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLA).
Il referendum per la secessione e l'indipendenza è stato condotto con entusiasmo dai cittadini del Sud Sudan. Hanno votato in massa per una nuova dispensa politica sulla base di eguaglianza politica, la trasformazione economica e il principio di legalità. Salva Kiir è diventato automaticamente il primo presidente della nuova nazione basata sulle elezioni nazionali di Sudan svoltesi in Aprile 2010, in cui egli è diventato il primo Vice Presidente della Repubblica di Sudan e il presidente della regione di Sud Sudan.
I primi due anni di indipendenza furono anni di gloria e speranze. I cittadini della nuova nazione hanno iniziato a gustare i frutti della prosperità economica e la stabilità politica, anche se c'erano ancora le tensioni con il Sudan riguardo all'uso di oleodotti e la condivisione delle entrate derivanti dal petrolio. Ci sono state anche accuse di corruzione contro i funzionari del nuovo governo, ma quelle non erano le preoccupazioni del cittadino comune. Il cittadino comune era preoccupato per i problemi di reinsediamento e di ricostruzione.
La genesi del conflitto in corso
Nel 2012, quando la nuova nazione stava contando il suo secondo anno di indipendenza, la lotta politica è iniziata all'interno del partito di governo, il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (SPLM), principalmente tra il Presidente del partito (Salva Kiir) e il Vice Presidente Dr. Riek Machar (che era il vice presidente del paese). Questa lotta all'interno del partito ha influenzato lo svolgimento del governo per il fatto che la maggioranza dei ministri del governo era del partito di SPLM. Alla fine il risultato è stato disastroso. Nel luglio 2013 il presidente Salva Kiir ha licenziato Dr. Riek Machar, il suo Vice Presidente, e l'intero gabinetto del governo. Nel Dicembre 2015, la violenza è scoppiata a Juba (la città capitale della nuova nazione) tra i soldati fedeli a Salva Kiir e quelli fedeli a Riek Machar, costringendo Machar a fuggire dalla città. Le conseguenze di questo incidente sono state disastroso. Le vendette e gli omicidi etnici sono accaduti tra la tribù di Kiir (Dinka) e quella di Machar (Nuer). Il governo ha indicato il numero dei morti durante l'incidente a circa 500 persone, mentre le agenzie di aiuti umanitari parlavano di migliaia di persone.
Gli sforzi di pace da parte delle istituzioni regionali e della comunità internazionale
Il combattimento tra i gruppi rivali si diffuse in altre città, provocando l'intervento del Corpo regionale dell'Africa orientale dell'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD) sostenuto dall'Unione africana (UA) e dalle Nazioni Unite (ONU) per contribuire a contenere la situazione da escalation. Così, nel gennaio 2014 il processo di negoziazione per la pace è stato avviato ad Addis Abeba, in Etiopia, tra il governo della Repubblica del Sud Sudan e la fazione separatista del partito SPLM, che è iniziato ad essere conosciuto, da allora in poi fino ad oggi, come il SPLA in opposizione (SPLA-IO).
Una serie di accordi sono stati mediati come la cessazione delle ostilità firmata il 23 gennaio 2014; l'Istituzione del governo di transizione di unità nazionale nella Repubblica del Sud Sudan firmata il 1° febbraio 2015, ecc, in vista di un accordo di pace finale.
Sforzi di pace da parte della Chiesa
La Chiesa da parte sua, sia a livello ecumenico sia sul piano confessionale, ha aggiunto la sua voce anche invitando le parti in conflitto, in particolare i due leader (il Presidente Salva Kiir e il Dr. Riek Machar), a fermare la guerra e impegnarsi nel dialogo e nel processo di riconciliazione nazionale.
Gli sforzi della Chiesa dal livello nazionale per ridurre le turbolenze politiche e militari in Sud Sudan sono stati sostenuti dalla Chiesa ai livelli regionale e universale. Vescovi e altri dirigenti della Chiesa da parte dell'Associazione delle Conferenze Episcopali in Africa Orientale (AMECEA) hanno visitato il Sud Sudan nel mese di gennaio 2014 e fatto appello "per la cessazione immediata e senza condizioni di tutte le ostilità in tutto il paese del Sud Sudan. Noi crediamo nel fatto che la pace è un valore che tutti devono cercare e un dovere universale fondata su un ordine morale razionale della società."
Papa Francesco, da parte sua attraverso il Pontificio Consiglio Vaticano per la Giustizia e la Pace e nel nome della Chiesa universale, ha inviato il cardinale Turkson nel marzo 2014. In questa visita il Cardinale portava un messaggio di solidarietà, da parte del Papa al popolo del Sud Sudan e una lettera personale del Papa al Presidente (Salva Kiir) e al leader dei ribelli in opposizione (Dr. Riek Machar) per porre fine al conflitto e riportare la pace in Sud Sudan.
Accordo di pace e governo di transizione di unità nazionale
Il 17 agosto 2015, un accordo di pace è stato raggiunto ad Addis Abeba, in Etiopia, tra le parti in conflitto e il Dr. Machar, il leader del SPLA-IO, e le altre parti coinvolte nel processo di negoziazione hanno firmato il documento. Il Presidente Salva Kiir non ha firmato il documento invece ha chiesto altri 15 giorni di tempo per consultare i membri del suo governo prima di firmare. Sono stati concessi i 15 giorni e più tardi, il 26 agosto 2015, è stato firmato l'accordo a Juba, Sud Sudan. Tuttavia l'attuazione della accordo non poteva avvenire immediatamente a causa di vincoli politici e logistici. L'attuazione è iniziata solo 9 mesi dopo, nell'aprile 2016, con la formazione del Governo di Transizione di Unità Nazionale (TGoNu) dove il Dr. Riek Machar è diventato il primo Vice Presidente. Con la formazione dei TGoNu molti cittadini del paese hanno visto un graduale ritorno alla pace.
Ripresa dei combattimenti e il deterioramento della sicurezza.
Purtroppo, in meno di tre mesi del governo transitorio di unità nazionale questa speranza è stata ancora delusa per i combattimenti scoppiati di nuovo a Juba tra i soldati fedeli al Salva Kiir e quelli fedeli al Riek Machar il 7 luglio 2016 a causa di diffidenza tra le due parti nel processo di attuazione dell'accordo di pace. Ci sono state alcune azioni provocatorie da parte del governo, membri importanti delle opposizioni sono stati uccisi a sangue freddo, presumibilmente dal personale di sicurezza del governo e restrizioni di movimenti sono state imposte sui funzionari governativi provenienti dalla parte dell'opposizione. Più di 300 persone hanno perso la vita in questo incidente e molti altri sono stati costretti ad abbandonare le loro case nel timore di armi da fuoco o uccisioni in base all'etnia. La residenza del Primo Vice Presidente, Dr. Riek Machar, è stata vandalizzata durante l' incidente, costringendolo a ritirarsi di nuovo nella boscaglia con molti dei suoi soldati rimanenti.
Ora, mentre parliamo, la sicurezza si è deteriorata e la lotta ha ripreso in molte parti del Sud Sudan, in particolare nella regione di Equatoria. Oltre 1 milione di persone hanno lasciato il paese per l'esilio nei paesi confinanti del Sudan, Etiopia, Kenya, Uganda e la Repubblica Democratica del Congo. Le strade principali delle città sono state bloccate dal SPLA-IO e le milizie del governo continuano a terrorizzare la popolazione civile nei villaggi, bruciando alcuni di questi, con il pretesto che in essi si nascondano i ribelli. I giovani vengono arrestati sulla base del sospetto che essi comunichino con i ribelli. Il movimento dei politici dell'opposizione è condizionato dal sospetto che essi stiano uscendo dal paese per aderire al gruppo ribelle. I pastori delle Chiese non sono ammessi, dal personale di sicurezza del governo, a visitare le loro comunità cristiane nei villaggi, perché i villaggi vengono dichiarati "no zone di accesso" a causa della presenza dei ribelli.
Secondo la recente conferenza del consulente speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione del genocidio, c'è "enorme sfiducia tra la popolazione civile e la popolazione militare. molte persone dell'esercito sono accusate di indisciplina. La gente non vede il militare come loro protettore, ma piuttosto come un'entità che deve essere temuta." Inoltre, la situazione economica è peggiorata. L'inflazione è salita a quasi il 700%, di conseguenza i prezzi di mercato sono aumentati, rendendo le condizioni di vita del cittadino ordinario molto difficili se non impossibili.
In breve, la situazione socio-politica in Sud Sudan ora è una situazione di repressione, di paura e l'economia è in declino. Il personale di sicurezza del governo tende ad intimidire la popolazione civile, creando paura e diffidenza. Non ci sono sforzi fatti per salvare l'economia al collasso.
La mancanza di volontà della comunità internazionale di intervenire
Di fronte a tutto questo le istituzioni regionali (come IGAD) e la cosiddetta comunità internazionale sembrano essere paralizzate per il deterioramento della situazione socio-politica e della sicurezza in Sud Sudan. Nonostante la risoluzione 2004/2016 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di inviare ulteriori 4.000 forze di protezione regionale, nulla si è mosso. I cittadini continuano ad essere uccisi e molti ancora stanno lasciando il paese per l'esilio nei paesi confinanti. Le istituzioni regionali e la comunità internazionale sembrano alzare le mani davanti al governo del Presidente Salva Kiir che rischia di affrontare qualsiasi intervento straniero in difesa della sua sovranità nazionale. La sola cosa che la gente che soffre di Sud Sudan vede nella comunità internazionale e nelle istituzioni regionali è la competenza solo di documentare le informazioni sulle violazioni dei diritti umani, commesse da governo e ribelli, senza un'azione concreta per ritenere responsabili gli autori di queste violazioni.
Conclusione
L'attuale situazione socio-politica in Sud Sudan potrebbe continuare per lungo tempo, aumentando la sofferenza del popolo. Il governo sembra preparato per reprimere i dissidenti, impegnando i paesi vicini ad arrestare anche i politici che sono andati in questi paesi per rifugiarsi. Si vuole porre fine alla ribellione con mezzi militari, che, purtroppo, non accadrà, perché i ribelli vogliono anche far cadere il governo. Ogni parte (il governo o i ribelli) ha fame di potere e di ricchezza economica per i pochi privilegiati nei loro campi.
Quindi, l'avvocatura per una soluzione pacifica del conflitto in Sud Sudan dovrebbe continuare. Le organizzazioni delle società civili, gruppi per i diritti umani e le Chiese fuori di Sud Sudan e nel Sud Sudan devono fare pressione sulle Nazioni Unite o la cosiddetta Comunità Internazionale in modo che possano avviare iniziative concrete per impedire lo spargimento di sangue innocente e consegnare alla giustizia quei politici che perpetuano le violazioni dei diritti umani contro i cittadini innocenti del Sud Sudan.
AFRICA/SUD SUDAN - “La misericordia come via della pace per il Sud Sudan” dice il Vescovo di Tombura-Yambio
Juba (Agenzia Fides) - “Dobbiamo essere misericordiosi gli uni verso gli altri perché la pace prevalga nella nostra società” ha detto Sua Ecc. Mons. Barani Eduardo Hiiboro Kussala, Vescovo di Tombura-Yambio, in Sud Sudan, alla cerimonia di chiusura dell’Anno Santo della Misericordia che ha avuto uno speciale significato in questo Paese, dal dicembre 2013 sconvolto dalla guerra civile.
In una nota inviata all’Agenzia Fides, p. Bazia Boro Elario Zambakari, direttore di Radio Anisa, afferma che migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose e di fedeli hanno preso parte ieri alla solenne celebrazione nel corso della quale si è svolto il rito di chiusura della Porta Santa.
“Tombura-Yambio è una delle diocesi del Sud Sudan dove la violenza è scoppiata fin dal 2013, due anni dopo l’indipendenza, tra le forze fedeli al Presidente Salva Kiir Mayardit e quelle fedeli all’ex Vice Presidente Riek Machar, che si traduce in frequenti scontri con massacri di civili che stanno fuggendo in massa” afferma p. Zambakari.
“L’ultimo attacco, risalente al 10 novembre, ha provocato migliaia di sfollati interni e di rifugiati che hanno attraversato il confine con la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana alla ricerca dell’agognata sicurezza” conclude il direttore di Radio Anisa.
La guerra civile ha attizzato gli odi etnici al punto che una serie di scontri tribali si è ormai sovrapposto allo scontro politico-militare tra Kiir e Machar. (L.M.) (Agenzia Fides 14/11/2016)
In una nota inviata all’Agenzia Fides, p. Bazia Boro Elario Zambakari, direttore di Radio Anisa, afferma che migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose e di fedeli hanno preso parte ieri alla solenne celebrazione nel corso della quale si è svolto il rito di chiusura della Porta Santa.
“Tombura-Yambio è una delle diocesi del Sud Sudan dove la violenza è scoppiata fin dal 2013, due anni dopo l’indipendenza, tra le forze fedeli al Presidente Salva Kiir Mayardit e quelle fedeli all’ex Vice Presidente Riek Machar, che si traduce in frequenti scontri con massacri di civili che stanno fuggendo in massa” afferma p. Zambakari.
“L’ultimo attacco, risalente al 10 novembre, ha provocato migliaia di sfollati interni e di rifugiati che hanno attraversato il confine con la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana alla ricerca dell’agognata sicurezza” conclude il direttore di Radio Anisa.
La guerra civile ha attizzato gli odi etnici al punto che una serie di scontri tribali si è ormai sovrapposto allo scontro politico-militare tra Kiir e Machar. (L.M.) (Agenzia Fides 14/11/2016)
Da: Padre Alex Sakor
A: Rosa Dellepiane
Data: 11/11/16 ore 23:29
Oggetto: Messaggio da P. Lazarus
Per Padre Alex e Rosa Dellepiane.
Saluti a Voi nel Nome di Gesù, spero che stiate tutti bene, sto abbastanza bene nonostante il viaggio faticoso attraverso la fitta boscaglia, la foresta, l'erba alta, attraversando fiumi e paludi da Tore (Sud Sudan) fino ad arrivare alla parrocchia di Aba in Repubblica del Congo, dove mi trovo ora in esilio.
Come me ogni giorno anche la popolazione locale deve intraprendere questo faticoso viaggio per cercare di salvarsi, in particolare bambini, donne e anziani, che sono le principali vittime quotidiane.
Ora Tore è stata catturata dai soldati SPLA-IO.
Continuate a pregare per le persone che soffrono del Sud Sudan a causa della instabilità politica nel paese che ha obbligato le persone a spostarsi in campi sfollati interni e in esilio.
Io continuerò a pregare per Voi.
Possa Dio continuare a benedirvi nelle Vostre attività quotidiane.
Dal Vostro Fratello P. Lazzaro Mundua Leonardo
A: Rosa Dellepiane
Data: 11/11/16 ore 23:29
Oggetto: Messaggio da P. Lazarus
Per Padre Alex e Rosa Dellepiane.
Saluti a Voi nel Nome di Gesù, spero che stiate tutti bene, sto abbastanza bene nonostante il viaggio faticoso attraverso la fitta boscaglia, la foresta, l'erba alta, attraversando fiumi e paludi da Tore (Sud Sudan) fino ad arrivare alla parrocchia di Aba in Repubblica del Congo, dove mi trovo ora in esilio.
Come me ogni giorno anche la popolazione locale deve intraprendere questo faticoso viaggio per cercare di salvarsi, in particolare bambini, donne e anziani, che sono le principali vittime quotidiane.
Ora Tore è stata catturata dai soldati SPLA-IO.
Continuate a pregare per le persone che soffrono del Sud Sudan a causa della instabilità politica nel paese che ha obbligato le persone a spostarsi in campi sfollati interni e in esilio.
Io continuerò a pregare per Voi.
Possa Dio continuare a benedirvi nelle Vostre attività quotidiane.
Dal Vostro Fratello P. Lazzaro Mundua Leonardo
Il documento dell'incontro del Papa con i principali capi Religiosi del South Sudan
South Sudan: UN peacekeeping chief sets up task force after probe into mission’s performance
3 November 2016 – After an independent inquiry found that the United Nations Mission in South Sudan (UNMISS) failed to protect civilians as deadly violence broke out in and around its premises in the capital, Juba, in July, the top UN peacekeeping official today announced that he has established a task force to carry out the probe’s recommendations, which include ensuring greater accountability of the mission’s leadership.
“I have established a task force, with a calendar, to implement all the recommendations that were made. The Secretary-General has approved these recommendations, so we will try to move things forward as quickly as possible,” Hervé Ladsous, the Under-Secretary-General for UN Peacekeeping Operations, told reporters after closed-door consultations with the Security Council.
Mr. Ladsous’ discussions with the Council come after the Secretary-General receivedyesterday a report (summarized here) from the Independent Special Investigation, which revealed “serious shortcomings” in UNMISS’ response to violence that broke out in and around Juba in early July, in which, according to some conservative estimates, at least 73 people were killed, including more than 20 internally displaced persons in the Mission’s civilian protection sites.
Recalling other outbreaks of violence in the young country, including this past February in Malakal, Mr. Ladsous, in his informal comments to the press, stressed: “When we think back on the incidents in July, which were extremely bad, one has to also remember that the primary responsibility for what happened there, lies with the government of South Sudan and various South Sudanese political actors […] In the words of the Secretary-General, these political actors […] are betraying their people by allowing these awful situations to happen.”
The incidents occurred during a spate of clashes between rival forces – the Sudan People's Liberation Army (SPLA) loyal to President Salva Kiir and the SPLA in Opposition backing First Vice-President Riek Machar – that broke out on 7 July, close to the fifth anniversary of the country’s independence.
Per l'articolo completo cliccare sul seguente link:
http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=55471#.WCIPri3hDIU
Buone notizie dalla Chiesa!
The project of the combined Catholic Religious in South Sudan (RSASS) to build a centre for human, pastoral and spiritual formation, peace building and trauma healing for South Sudanese at Kit near Juba, was launched officially by Archbishop Paulino Lukudu Loro on 11th October 2014. On Saturday, 15th October, 2016, this centre, now named the ‘Good Shepherd Peace Centre’ was officially blessed and opened by the Apostolic Nuncio to South Sudan, Archbishop Charles Balvo, assisted by the Archbishop of Juba, three other Bishops, an apostolic administrator and a large number of Diocesan and Religious priests. A crowd or more than 800 people, including several ambassadors and local dignitaries, gathered for this joyful occasion.
Given the conflict within the country and the difficulty this posed in bringing in materials and employing a capable workforce, the completion of this Centre is a remarkable achievement. The project has been built within budget, with most of the funds donated by Italian and German Catholic charities, some international NGOs, on land leased from the St Martin de Porres Brothers and also financially supported by several Catholic religious congregations present in South Sudan… The simple but profound message above the chapel entrance says: ‘Be at Peace’.
By Fr. Daniele Moschetti, MCCJ, Chairperson of the Religious Superiors’ Association of South Sudan
The project of the combined Catholic Religious in South Sudan (RSASS) to build a centre for human, pastoral and spiritual formation, peace building and trauma healing for South Sudanese at Kit near Juba, was launched officially by Archbishop Paulino Lukudu Loro on 11th October 2014. On Saturday, 15th October, 2016, this centre, now named the ‘Good Shepherd Peace Centre’ was officially blessed and opened by the Apostolic Nuncio to South Sudan, Archbishop Charles Balvo, assisted by the Archbishop of Juba, three other Bishops, an apostolic administrator and a large number of Diocesan and Religious priests. A crowd or more than 800 people, including several ambassadors and local dignitaries, gathered for this joyful occasion.
Given the conflict within the country and the difficulty this posed in bringing in materials and employing a capable workforce, the completion of this Centre is a remarkable achievement. The project has been built within budget, with most of the funds donated by Italian and German Catholic charities, some international NGOs, on land leased from the St Martin de Porres Brothers and also financially supported by several Catholic religious congregations present in South Sudan… The simple but profound message above the chapel entrance says: ‘Be at Peace’.
By Fr. Daniele Moschetti, MCCJ, Chairperson of the Religious Superiors’ Association of South Sudan
Ultime notizie - Ottobre 2016
FIDES NEWS
AFRICA/SUD SUDAN - Aiuti bloccati, si teme una forte carestia; popolazione in fuga verso il Sudan
Bar el Gazal (Agenzia Fides) – Il Sudan del Sud vive una delle crisi umanitarie più gravi del mondo. Tra 4 e 5 milioni di persone rischiano di morire se non riceveranno aiuti alimentari. L’allarme è stato lanciato dal Programma Alimentare Mondiale. Particolarmente colpito da questa emergenza è il 60% della popolazione del governatorato sud sudanese di Bar el Gazal del Nord. Si teme che un terzo dei bambini della regione siano gravemente malnutriti e se le risorse continueranno a diminuire moriranno altri bambini. Le organizzazioni di aiuti non sanno a chi rivolgersi per poter intervenire perchè spesso si ritrovano una moltitudine di intermediari del governo, dell’opposizione o milizie regionali.
Secondo le informazioni pervenute a Fides, nelle strade polverose di Aweil abbondano pomodori, cipolle e angurie, ma nessuno può permettersi di comprarle visto che i prezzi sono dieci volte superiori rispetto allo scorso anno. Nonostante il presidente Salva Kiir e il suo governo abbiano garantito l’accesso a questa e altre regioni, le autorità restringono gli aiuti umanitari e si mostrano ostili verso la comunità internazionale per il loro impegno mirato a contenere i combattimenti e proteggere i civili. Paradossalmente, nel mezzo della guerra civile, molti sudsudanesi sono fuggiti verso il vicino Sudan, con il quale sono stati in lotta fino al 2011, anno dell’indipendenza del Sud Sudan. Le Nazioni Unite stimano che quest’anno sono fuggiti in Sudan almeno 50 mila sudsudanesi.
(AP) (Agenzia Fides 15/10/2016)
AFRICA/SUD SUDAN - Le Chiese cristiane varano un progetto di riconciliazione tra le etnie
Juba (Agenzia Fides) - Le principali confessioni cristiane del Sud Sudan, riunite nella South Sudan Council of Churches (SSCC), hanno lanciato un progetto di riconciliazione e pacificazione nello Stato di Jonglei per ridurre le tensioni tra le tribù locali, le cui divisioni si sono accentuate con la guerra civile scoppiata nel dicembre 2013. Il progetto è stato avviato a seguito dell’incontro che le Chiese sud-sudanesi hanno avuto a Kigali nel giugno 2015 (vedi Fides 11/08/2015), quando venticinque leader cristiani del Sud Sudan visitarono il Rwanda per apprendere, dalla drammatica esperienza locale, come riportare la pace, superando i traumi del genocidio.
Il progetto è finanziato dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) attraverso il Catholic Relief Services (CRS). “Dato che vi sono chiese disseminare in tutto il Sud Sudan sarà facile attuare il programma” ha affermato Isaac Nyiding, responsabile per i progetti di riconciliazione dell’Alto Nilo.
La guerra civile tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex Vice Presidente Riek Machar ha assunto fin dai primi momenti una dimensione etnico-tribale, con massacri indiscriminati di civili in base alla loro appartenenza etnica. Il fallimento degli accordi di pace raggiunti a fine agosto ha peggiorato la situazione, e gli scontri su base etnica si sono estesi ad aree che finora erano state risparmiate dal conflitto (vedi Fides 30/8/2016).
(L.M.) (Agenzia Fides 17/10/2016)
AFRICA/SUD SUDAN - Aiuti bloccati, si teme una forte carestia; popolazione in fuga verso il Sudan
Bar el Gazal (Agenzia Fides) – Il Sudan del Sud vive una delle crisi umanitarie più gravi del mondo. Tra 4 e 5 milioni di persone rischiano di morire se non riceveranno aiuti alimentari. L’allarme è stato lanciato dal Programma Alimentare Mondiale. Particolarmente colpito da questa emergenza è il 60% della popolazione del governatorato sud sudanese di Bar el Gazal del Nord. Si teme che un terzo dei bambini della regione siano gravemente malnutriti e se le risorse continueranno a diminuire moriranno altri bambini. Le organizzazioni di aiuti non sanno a chi rivolgersi per poter intervenire perchè spesso si ritrovano una moltitudine di intermediari del governo, dell’opposizione o milizie regionali.
Secondo le informazioni pervenute a Fides, nelle strade polverose di Aweil abbondano pomodori, cipolle e angurie, ma nessuno può permettersi di comprarle visto che i prezzi sono dieci volte superiori rispetto allo scorso anno. Nonostante il presidente Salva Kiir e il suo governo abbiano garantito l’accesso a questa e altre regioni, le autorità restringono gli aiuti umanitari e si mostrano ostili verso la comunità internazionale per il loro impegno mirato a contenere i combattimenti e proteggere i civili. Paradossalmente, nel mezzo della guerra civile, molti sudsudanesi sono fuggiti verso il vicino Sudan, con il quale sono stati in lotta fino al 2011, anno dell’indipendenza del Sud Sudan. Le Nazioni Unite stimano che quest’anno sono fuggiti in Sudan almeno 50 mila sudsudanesi.
(AP) (Agenzia Fides 15/10/2016)
AFRICA/SUD SUDAN - Le Chiese cristiane varano un progetto di riconciliazione tra le etnie
Juba (Agenzia Fides) - Le principali confessioni cristiane del Sud Sudan, riunite nella South Sudan Council of Churches (SSCC), hanno lanciato un progetto di riconciliazione e pacificazione nello Stato di Jonglei per ridurre le tensioni tra le tribù locali, le cui divisioni si sono accentuate con la guerra civile scoppiata nel dicembre 2013. Il progetto è stato avviato a seguito dell’incontro che le Chiese sud-sudanesi hanno avuto a Kigali nel giugno 2015 (vedi Fides 11/08/2015), quando venticinque leader cristiani del Sud Sudan visitarono il Rwanda per apprendere, dalla drammatica esperienza locale, come riportare la pace, superando i traumi del genocidio.
Il progetto è finanziato dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) attraverso il Catholic Relief Services (CRS). “Dato che vi sono chiese disseminare in tutto il Sud Sudan sarà facile attuare il programma” ha affermato Isaac Nyiding, responsabile per i progetti di riconciliazione dell’Alto Nilo.
La guerra civile tra la fazione del Presidente Salva Kiir e quella dell’ex Vice Presidente Riek Machar ha assunto fin dai primi momenti una dimensione etnico-tribale, con massacri indiscriminati di civili in base alla loro appartenenza etnica. Il fallimento degli accordi di pace raggiunti a fine agosto ha peggiorato la situazione, e gli scontri su base etnica si sono estesi ad aree che finora erano state risparmiate dal conflitto (vedi Fides 30/8/2016).
(L.M.) (Agenzia Fides 17/10/2016)
Padre Alex Lodiong Sakor ha passato il mese di Agosto in Equatoria Centrale, ecco un suo resoconto della situazione che ha trovato:
Cara Rosa,
Mi dispiace che non ho potuto tenerti aggiornata sulla situazione nel Sud Sudan. Il fatto è che il sistema di comunicazione in Sud Sudan non è efficiente come in alcune parti del mondo, per esempio nell'Europa. Nei luoghi in cui sono stato, a volte, non si ottiene energia elettrica e la rete di comunicazione. Anche in Yei per l'ultimo mese fino che ho lasciato la città non c'era energia elettrica e la rete per la comunicazione.
Tutto ciò è dovuto alla situazione economica e di insicurezza nel paese. Le principali strade che conducono alla città di Yei sono stati bloccati e di conseguenza nessuna nuova fornitura di beni di prima necessità, come combustibile, possono arrivare nella città.
Grande popolazione di Yei ha disertato la città e corse in Uganda per la sicurezza. Il Vescovo e i sacerdoti sono rimasti in città, in attesa di piccola popolazione in città per lasciare la città. Successivamente loro saranno anche lasciare la città e seguire le persone in Uganda nei campi.
Non è solo Yei che le persone sono andate per la sicurezza nei paesi vicini oppure nei villaggi, ma anche in altre città come Mundri, Lainya, Kajokeji, Juba in Equatoria Centrale e Nimule, Pageri, Loa in Equatoria Orientale.
La ragione principale per cui le persone stanno lasciando queste città è perché essi vengono intimiditi e perfino uccisi dall'esercito del governo. A volte le loro proprietà sono derubati oppure distrutti. In secondo luogo, le condizioni economiche sono diventati difficili che alcune persone non possono permettersi la necessità di base della vita quotidiana.
Le persone che sono rimasti nelle città, in particolare le città di Yei e Juba, sono quelli che non possono permettersi diassumere veicoli per lasciare il paese. Eppure ci sono coloro che hanno deciso di rimanere in città e morire lì perché sono stanchi della vita dei rifugiati.
Dato questo scenario delle cose, le NGOs (cio è le organizzazioni esterni) hanno limitato le loro operazioni solo per l’emergenza. Non c'è pianificazione di nuovi programmi di azione. Tutti i piani sono stati sospesi fino a quando la situazione nel paese migliora. Quindi, anche nella diocesi di Yei i piani per invitare nuovi partner per continuare a sostenere le attività sociali della Diocesi, come i servizi sanitari di Centro medico di Santa Bakhita, non può essere fatto ora. Tutti questi dovranno aspettare fino a quando la situazione di insicurezza nel paese, e nella diocesi di Yei, in particolare, migliora.
Nonostante tutto questo il governo continua a dire che la situazione è calma. Questa è solo una propaganda. La situazione non può essere calmo quando le principali strade che conducono alle città sono insicure.
L'unica speranza dei cittadini ora è nella proposta di distribuire le truppe delle Nazioni Unite per le principali città del Sud Sudan per garantire la sicurezza. Finora, il governo sta resistendo questa distribuzione e quindi la situazione attuale può continuare per un lungo periodo di tempo. La paura è che, se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non riescono nel distribuzione di queste truppe, il Paese scivolerà nuovamente dentro e intensa guerra civile, causando molti morti e l'esodo nei paesi vicini per rifugio.
Spero che questa breve narrazione ti metterà in quadro di ciò che sta accadendo attualmente in Sud Sudan. Non è la situazione migliore che vogliamo vedere in un paese giovane e promettente. Continuiamo a sperare e pregare per il meglio, perché con Dio tutte le difficoltà possono essere superate.
Sono tornato a Roma ed entrerò per esercizio spirituale fino al 24 settembre. Se ho i soldi per l'acquisto di un biglietto verrò a visitarti.
Un caro saluto e Dio ti benedica,
P. Alex Lodiong Sakor
Cara Rosa,
Mi dispiace che non ho potuto tenerti aggiornata sulla situazione nel Sud Sudan. Il fatto è che il sistema di comunicazione in Sud Sudan non è efficiente come in alcune parti del mondo, per esempio nell'Europa. Nei luoghi in cui sono stato, a volte, non si ottiene energia elettrica e la rete di comunicazione. Anche in Yei per l'ultimo mese fino che ho lasciato la città non c'era energia elettrica e la rete per la comunicazione.
Tutto ciò è dovuto alla situazione economica e di insicurezza nel paese. Le principali strade che conducono alla città di Yei sono stati bloccati e di conseguenza nessuna nuova fornitura di beni di prima necessità, come combustibile, possono arrivare nella città.
Grande popolazione di Yei ha disertato la città e corse in Uganda per la sicurezza. Il Vescovo e i sacerdoti sono rimasti in città, in attesa di piccola popolazione in città per lasciare la città. Successivamente loro saranno anche lasciare la città e seguire le persone in Uganda nei campi.
Non è solo Yei che le persone sono andate per la sicurezza nei paesi vicini oppure nei villaggi, ma anche in altre città come Mundri, Lainya, Kajokeji, Juba in Equatoria Centrale e Nimule, Pageri, Loa in Equatoria Orientale.
La ragione principale per cui le persone stanno lasciando queste città è perché essi vengono intimiditi e perfino uccisi dall'esercito del governo. A volte le loro proprietà sono derubati oppure distrutti. In secondo luogo, le condizioni economiche sono diventati difficili che alcune persone non possono permettersi la necessità di base della vita quotidiana.
Le persone che sono rimasti nelle città, in particolare le città di Yei e Juba, sono quelli che non possono permettersi diassumere veicoli per lasciare il paese. Eppure ci sono coloro che hanno deciso di rimanere in città e morire lì perché sono stanchi della vita dei rifugiati.
Dato questo scenario delle cose, le NGOs (cio è le organizzazioni esterni) hanno limitato le loro operazioni solo per l’emergenza. Non c'è pianificazione di nuovi programmi di azione. Tutti i piani sono stati sospesi fino a quando la situazione nel paese migliora. Quindi, anche nella diocesi di Yei i piani per invitare nuovi partner per continuare a sostenere le attività sociali della Diocesi, come i servizi sanitari di Centro medico di Santa Bakhita, non può essere fatto ora. Tutti questi dovranno aspettare fino a quando la situazione di insicurezza nel paese, e nella diocesi di Yei, in particolare, migliora.
Nonostante tutto questo il governo continua a dire che la situazione è calma. Questa è solo una propaganda. La situazione non può essere calmo quando le principali strade che conducono alle città sono insicure.
L'unica speranza dei cittadini ora è nella proposta di distribuire le truppe delle Nazioni Unite per le principali città del Sud Sudan per garantire la sicurezza. Finora, il governo sta resistendo questa distribuzione e quindi la situazione attuale può continuare per un lungo periodo di tempo. La paura è che, se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non riescono nel distribuzione di queste truppe, il Paese scivolerà nuovamente dentro e intensa guerra civile, causando molti morti e l'esodo nei paesi vicini per rifugio.
Spero che questa breve narrazione ti metterà in quadro di ciò che sta accadendo attualmente in Sud Sudan. Non è la situazione migliore che vogliamo vedere in un paese giovane e promettente. Continuiamo a sperare e pregare per il meglio, perché con Dio tutte le difficoltà possono essere superate.
Sono tornato a Roma ed entrerò per esercizio spirituale fino al 24 settembre. Se ho i soldi per l'acquisto di un biglietto verrò a visitarti.
Un caro saluto e Dio ti benedica,
P. Alex Lodiong Sakor
Yei, Sud Sudan 20 maggio 2016
E' con il cuore gonfio di dolore e amarezza che annunciamo la dipartita di Suor Veronika. Le ferite riportate dall'agguato di un gruppo di militari subìto lunedì sera mentre stava tornando dalla visita ad una paziente, si sono rivelate fatali.
Non ci sono parole per descrivere una perdita, e allora preferiamo ricordarla con un'immagine che la racconta perfettamente: in questa foto datata 22 aprile 2015 tiene in braccio la prima nata nel reparto di maternità realizzato all'interno del Santa Bakhita. La vita trionfa sulla morte. La bimba e' stata chiamata Veronika.
E' con il cuore gonfio di dolore e amarezza che annunciamo la dipartita di Suor Veronika. Le ferite riportate dall'agguato di un gruppo di militari subìto lunedì sera mentre stava tornando dalla visita ad una paziente, si sono rivelate fatali.
Non ci sono parole per descrivere una perdita, e allora preferiamo ricordarla con un'immagine che la racconta perfettamente: in questa foto datata 22 aprile 2015 tiene in braccio la prima nata nel reparto di maternità realizzato all'interno del Santa Bakhita. La vita trionfa sulla morte. La bimba e' stata chiamata Veronika.
Yei, Sud Sudan - 17 maggio 2016
Tutti i volontari dell'Associazione Le Casette per l'Equatoria sono profondamente scossi per quanto accaduto due giorni fa a Suor Veronika, medico cecoslovacca e responsabile dell'Ospedale Santa Bakhita, assalita da un gruppo di militari domenica notte mentre faceva ritorno da un ospedale a circa 20 km da Yei, dopo aver accompagnato una partoriente che aveva bisogno di cure speciali per un parto difficile. Hanno sparato con il mitra contro l'auto su cui viaggiava Suor Veronika, e lei è stata colpita in due punti nel fianco. Fortunatamente si è riusciti a trasportarla in ospedale a Nairobi con un aereo ambulanza, e ieri è stata operata d'urgenza all'addome e all'anca. Ora sembra essere fuori pericolo, e speriamo con tutto il cuore che possa rimettersi al meglio e presto. Purtroppo questo è uno dei tanti casi che succedono giornalmente dove operano missionari, Preti, Frati, suore, laici, sempre pronti a mettere a repentaglio la propria vita per aiutare chi ha veramente bisogno. Ci uniamo in solidarietà ai nostri volontari in missione Antonio Carovillano e Giorgio Pizzotti e chiediamo, per chi ha fede, una preghiera per Suor Veronika.
Se la sala operatoria del nostro Ospedale di Santa Bakhita fosse stata operativa avremmo potuto agire ed operarla subito, ma essendo una piccola Onlus facciamo i salti mortali per reperire dei finanziamenti; chi ha voglia e la possibilità di darci un aiuto questo è l'IBAN di Le Casette per l'Equatoria:IT59GO690601400000000022680
Grazie da tutto lo Staff dell'Associazione
Tutti i volontari dell'Associazione Le Casette per l'Equatoria sono profondamente scossi per quanto accaduto due giorni fa a Suor Veronika, medico cecoslovacca e responsabile dell'Ospedale Santa Bakhita, assalita da un gruppo di militari domenica notte mentre faceva ritorno da un ospedale a circa 20 km da Yei, dopo aver accompagnato una partoriente che aveva bisogno di cure speciali per un parto difficile. Hanno sparato con il mitra contro l'auto su cui viaggiava Suor Veronika, e lei è stata colpita in due punti nel fianco. Fortunatamente si è riusciti a trasportarla in ospedale a Nairobi con un aereo ambulanza, e ieri è stata operata d'urgenza all'addome e all'anca. Ora sembra essere fuori pericolo, e speriamo con tutto il cuore che possa rimettersi al meglio e presto. Purtroppo questo è uno dei tanti casi che succedono giornalmente dove operano missionari, Preti, Frati, suore, laici, sempre pronti a mettere a repentaglio la propria vita per aiutare chi ha veramente bisogno. Ci uniamo in solidarietà ai nostri volontari in missione Antonio Carovillano e Giorgio Pizzotti e chiediamo, per chi ha fede, una preghiera per Suor Veronika.
Se la sala operatoria del nostro Ospedale di Santa Bakhita fosse stata operativa avremmo potuto agire ed operarla subito, ma essendo una piccola Onlus facciamo i salti mortali per reperire dei finanziamenti; chi ha voglia e la possibilità di darci un aiuto questo è l'IBAN di Le Casette per l'Equatoria:IT59GO690601400000000022680
Grazie da tutto lo Staff dell'Associazione
Buona Pasqua dalla Comunità di Yei, Sud Sudan!
Celebrazione della festa del Santa Bakhita presso il St. Bakhita Health Center
Tanti cari auguri di Buon Anno anche dall'intero staff del St. Bakhita!
01/12/2015 Ultimi aggiornamenti dal Sud Sudan..
“There is nothing better than forgiveness and joint hands for peace, unity, love and development for our beloved S. Sudan. We must stop that language of division on ethnic lines and call on all commentators to preach the message of peace in any website. The time for war is over the blind has seen the situation and the deaf has already heard the voices of marginalization.”
Peace building process
three historic former provinces (and contemporary regions) of: Bahr el Ghazal (northwest); Equatoria (southern), and Greater Upper Nile (northeast).
Some opposition MPs walked out in protest and the motion was carried by the majority of SPLM MPs present at the assembly.
The amendments also allow the President to appoint governors and MPs for states until the elections are held.
The rebel group lead by Riek Machar had already created 21 states and nominated their governors.
Government is still fixing infrastructures in other areas for the remaining forces.
The peace security arrangement requires demilitarization of Juba City and other major towns.
According to the peace agreement, the JMEC will oversee the implementation of the peace deal and the mandate of the transitional government of national unity.
The head of the commission, Festus Mogae, and senior government officials were at the occasion.
According to the rebels’ spokesman, the newly elected official will begin to organize the rebel movement’s secretariat. With the signed Arusha agreement in January this year, the two SPLM movements (rebels and government) and the group of ex-detainees had decided to set aside their differences and reunify, laying out key steps to be taken. The agreement said SPLM officials who were fired by President Kiir before the civil war would be reinstated in the party. That includes Machar and Pagan Amum, who were deputy chair and secretary general of the party, respectively.
Today it seems the two SPLMs are still walking separately.
Western Equatoria: On 17/11/15 South Sudan government announced the signing of a preliminary peace deal with two separate armed groups in Western Equatoria state, raising hopes for an end of violence between local youth and the army in the area.
The peace agreement was mediated by religious leaders in the presence of the chief mediator, bishop Edward Hiboro of Tombura Yambio Catholic Diocese.
The armed group, made up of youth, accused the government of inequality, human rights abuses and impunity; they asked the government to hold responsible those who will continue to create insecurity in the name of the arrow boys.
The communities in Western Equatoria state were urged to return to their farms for cultivation. Government representatives said they had taken due notice of all grievances and complains.
Abyei: on 26/11/15 a four-year child and an Ethiopian military officer of the United Nations Interim Security Force for Abyei (UNISFA) were killed in Abyei (one of the three disputed or contested areas) when a number of shells were fired from the north towards Abyei town by unidentified people.
Three civilians were wounded. The shells landed close to and inside a Paramount Chief’s compound, and in the vicinity of a primary school.
The incident came at a time the UN mission and other stakeholders are mobilizing efforts to hold a peace conference to address the root causes of the conflict between the two communities of Ngok Dinka and Misseriya.
Sudan and South Sudan failed to hold an agreement over who can participate in a vote to determine the future of the region after the independence of South Sudan. Both communities claim the ownership of the area. (Sudan Tribune)
Wau, Western Bahr El Ghazal
On 30/11/15 fourteen civil society members were arrested in Wau for editing a statement in which they accuse security organs of looting and creating insecurity in some residential areas of the town. Last week civil society organizations had asked for the relocation of SPLA soldiers from those areas, accusing the militaries of looting and beating civilians, harassing traders and customers.
Peace building process
- On 19/11/15 South Sudan National Legislative Assembly amended the Constitution
three historic former provinces (and contemporary regions) of: Bahr el Ghazal (northwest); Equatoria (southern), and Greater Upper Nile (northeast).
Some opposition MPs walked out in protest and the motion was carried by the majority of SPLM MPs present at the assembly.
The amendments also allow the President to appoint governors and MPs for states until the elections are held.
The rebel group lead by Riek Machar had already created 21 states and nominated their governors.
- A regional summit of IGAD member states leaders due to take place in Juba on23/11/15 with the participation of the rebels’leader Riek Machar and president Salva Kiir was cancelled for a second time; different excuses given: clashing engagements, Pope Francis’s visit to Africa. No mention of a postponed date.
- On 23/11/15 the SPLA (the national army) started pulling out of Juba, as required by the
Government is still fixing infrastructures in other areas for the remaining forces.
The peace security arrangement requires demilitarization of Juba City and other major towns.
- On 27/11/15 a group of former political detainees arrived in Juba to take part in the launch
According to the peace agreement, the JMEC will oversee the implementation of the peace deal and the mandate of the transitional government of national unity.
The head of the commission, Festus Mogae, and senior government officials were at the occasion.
- The same day, on 27/11/15, the rebel faction of Riek Machar announced that National
According to the rebels’ spokesman, the newly elected official will begin to organize the rebel movement’s secretariat. With the signed Arusha agreement in January this year, the two SPLM movements (rebels and government) and the group of ex-detainees had decided to set aside their differences and reunify, laying out key steps to be taken. The agreement said SPLM officials who were fired by President Kiir before the civil war would be reinstated in the party. That includes Machar and Pagan Amum, who were deputy chair and secretary general of the party, respectively.
Today it seems the two SPLMs are still walking separately.
- On 29/11/15 the main rebel movement led by Riek Machar again said it is ready to return to
Western Equatoria: On 17/11/15 South Sudan government announced the signing of a preliminary peace deal with two separate armed groups in Western Equatoria state, raising hopes for an end of violence between local youth and the army in the area.
The peace agreement was mediated by religious leaders in the presence of the chief mediator, bishop Edward Hiboro of Tombura Yambio Catholic Diocese.
The armed group, made up of youth, accused the government of inequality, human rights abuses and impunity; they asked the government to hold responsible those who will continue to create insecurity in the name of the arrow boys.
The communities in Western Equatoria state were urged to return to their farms for cultivation. Government representatives said they had taken due notice of all grievances and complains.
Abyei: on 26/11/15 a four-year child and an Ethiopian military officer of the United Nations Interim Security Force for Abyei (UNISFA) were killed in Abyei (one of the three disputed or contested areas) when a number of shells were fired from the north towards Abyei town by unidentified people.
Three civilians were wounded. The shells landed close to and inside a Paramount Chief’s compound, and in the vicinity of a primary school.
The incident came at a time the UN mission and other stakeholders are mobilizing efforts to hold a peace conference to address the root causes of the conflict between the two communities of Ngok Dinka and Misseriya.
Sudan and South Sudan failed to hold an agreement over who can participate in a vote to determine the future of the region after the independence of South Sudan. Both communities claim the ownership of the area. (Sudan Tribune)
Wau, Western Bahr El Ghazal
On 30/11/15 fourteen civil society members were arrested in Wau for editing a statement in which they accuse security organs of looting and creating insecurity in some residential areas of the town. Last week civil society organizations had asked for the relocation of SPLA soldiers from those areas, accusing the militaries of looting and beating civilians, harassing traders and customers.
Women Charity without Borders all'International Day di Abu Dhabi
Le Women Charity without Borders hanno partecipato con successo all'International Day con due stand gastronomici: in poche ore sono riuscite a vendere tantissime torte, biscotti e pizze offerte dalla Pizzeria Italiana Biancorosso. I ricavati sono stati devoluti alla missione attualmente in corso a Yei, Sud Sudan, per sostenere i costi di realizzazione della sala operatoria dell'ospedale Santa Bakhita. Ottimo lavoro!
Photo gallery del bellissimo mercatino di Natale 2014 organizzato dalle Women Charity Without Borders ad Abu Dhabi. I fondi raccolti sono interamente devoluti alla missione umanitaria a Yei che partirà in primavera 2015.
Ed ecco il biglietto di auguri di Buon Natale 2014 inviatoci da Suor Veronika a Yei, Sud Sudan:
SpS Community Yei south Sudan January 21, 2014
Sud Sudan dal 15 dicembre 2013 al 21 gennaio 2014, Comunità SSpS Yei
Il tempo che precede il Natale è un bellissimo tempo di Avvento che mi piace molto: gioia, attesa, silenzio ... La comunità delle Suore Missionarie Serve dello Spirito Santo / Suore SSpS / a Yei si stava preparando per iniziare a pregare le belle preghiere della novena per Natale. Erano a Yei quattro sr. Mercy Benson, Isabela Sabu, Veronika Theresia Rackova e Carmen Silvero. Hanno salutato suor Stella Arul SSpS che dopo 6 anni di servizio presso l'Istituto Cattolico di Insegnamento della Salute a Wau con la comunità di Solidarietà con il Sud Sudan / SSS / sarebbe tornata presto nel suo paese d'origine, l'India. A dicembre. 5 è venuto anche p. Joseph Callistus cmf, direttore di SSS per salutare prima di andare in Germania per la sua nuova missione. Dopo aver lasciato Yei i membri delle SSS si sono fermati a Lainya per salutare la comunità dei Padri SVD (Società del Verbo Divino) e il giorno successivo hanno voluto proseguire per Juba. Sfortunatamente la mattina del 16 dicembre, la strada Yei-Juba è stata bloccata e sono dovuti rimanere a Lainya per altri due giorni. Abbiamo saputo che c'era stato un attentato a Juba e molte persone hanno perso la vita. L'ex vicepresidente Riek Machar ha avviato un movimento ribelle nello stato di Jongley, nello stato di Unity e nello stato del Nilo superiore. I ribelli hanno occupato Bor, Malakal e Bentiu. Il problema politico si è trasformato in scontri etnici tra le tribù di Riek Machar (Nuer) e la tribù del presidente Salva Kiir (Dinka).
La comunità SSpS di Yei ha potuto celebrare il Natale pacificamente, ma tutti sono stati colpiti dalle tristi notizie provenienti dagli altri paese sui combattimenti tra le tribù Nuer e Dinka. Le donne e i bambini che erano in pericolo hanno cercato di salvare la loro vita nei campi delle Nazioni Unite o di correre all'estero nei campi profughi in Uganda, Kenya ed Etiopia.
I membri delle ONG straniere stavano lasciando il paese. L'aeroporto di Juba era congestionato e la gente faticava a trovare un volo per lasciare il Sudan meridionale.
La nostra comunità ha deciso di restare con la popolazione. Ognuna di noi ha fatto il proprio discernimento e abbiamo sentito di non poter lasciare le persone in tale situazione di angoscia e di insicurezza. Avevano bisogno del nostro supporto psicologico, spirituale e materiale. Il 4 gennaio 2014 sabato sera alle 10.30 p. m. prima di andare a letto abbiamo sentito improvvisamente forti spari partire da vicino casa nostra e abbiamo visto proiettili volare come un fuoco dietro il fiume Yei che è a circa 500. Non sapevamo cosa stesse succedendo. Sappiamo solo che quasi tutte le famiglie profughe Nuer, madri con bambini, hanno lasciato il nostro quartiere posto dall'altra parte del fiume.
Immediatamente dopo aver sentito degli spari, abbiamo spento le luci, siamo corsi in una stanza e ci siamo sdraiate sul pavimento. Il nostro parroco ci ha fatto una breve telefonata dicendoci: “Coraggio, sorelle, sdraiatevi per terra, non vi muovete e pregate”. Così abbiamo fatto. La sparatoria è continuata a intervalli fino alle 3 del mattino. Al mattino abbiamo sentito suonare la campana della chiesa per la messa delle 8.00. Le persone che venivano per il servizio erano poche perché avevano paura di perdere la vita.
Gli spari sono ripresi nel giorno della festa dell'Epifania sono state per noi come un incubo. Il commissario ha incoraggiato la gente a non avere paura e ci ha detto che lo SPLA scaccia i ribelli nella boscaglia. Quattro di noi hanno per la prima volta l'esperienza di assistere ad una sparatoria.
Le persone sono state avvertite di prendersi cura dei bambini e di non uscire la sera.
Dopo la messa, una donne Nuer è andata dal vescovo Erkolano Lodu Tombe per ringraziarlo per le sue parole incoraggianti sull'essere una famiglia di diverse tribù nel Sudan meridionale, vivere in pace e fermare i combattimenti. Ed è stata ferita perché è corsa per proteggere i suoi figli che, sentendo sparare, sono usciti di casa. Ma i bambini erano più veloci di lei, quindi non li ha raggiunti. Chiedeva di essere aiutata lanciando un annuncio per trovarli. Tra quei bambini c'era solo un bambino di due mesi che sua sorella di 6 anni ha preso in braccio ed è fuggita per salvargli la vita.
Sono stata chiamata da p. Emmanuel Sebit, il direttore della radio cattolica a venire ad aiutare la madre che ha perso i bambini perché mentre correva a cercare i suoi figli è stata aggredita al ponte e quindi ferita. Radio Easter ha annunciato la scomparsa dei 6 bambini. Abbiamo portato la madre al Centro Sanitario Diocesano St. Bakhita dove ha ricevuto le cure e il cibo necessari. Le sue mani erano completamente vuote. Aveva solo fede che i suoi figli sarebbero stati trovati. Dio ha ascoltato la nostra preghiera e il giorno seguente 4 bambini sono stati portati al centro sanitario. Erano molto felici di vedere la loro mamma. Erano affamati, assetati ed esausti. Uno dei piccoli si ammalò ma iniziò a riprendersi molto presto.
La situazione nella città è simile a quella dell'intero paese tesa a causa del movimento dei ribelli e dalle uccisioni di persone. Il governo ha dovuto proteggere gli sfollati. Hanno deciso di portare i Nuer nel complesso delle Nazioni Unite a Yei. Prima di lasciare la nostra struttura sanitaria alla madre mancava ancora di 2 bambini e ha chiesto di pregare per loro. Il giorno seguente abbiamo avuto la buona notizia che due donne hanno portato un ragazzo di quella famiglia a Radio Easter. La nostra gioia è stata grande perché il figlio perduto è stato ritrovato!
Nel frattempo il complesso delle Nazioni Unite si è riempito di quasi 600 persone che vivono sotto le tende in condizioni critiche dipendenti dall'aiuto di altri. Ricevono cibo, riparo, acqua, medicine dalla nostra gente e da alcune organizzazioni.
La nostra comunità SSpS sta cercando di aiutare i bisognosi portando cibo, acqua e cure mediche sotto l'ombrello della Caritas e in collaborazione con altri.
Di recente qualcuno mi ha chiesto perché rimango qui in tali circostanze.
Perché Gesù ha continuato la sua strada e non si è arreso quando tutto è diventato difficile. Ha accettato le sofferenze, le difficoltà e ha portato la croce fino alla fine. Rimase obbediente alla volontà del Padre.
Era sempre con le persone. Non li ha abbandonati. Era persino pronto ad accettare la morte, perché li amava.
Essendo una discepola di Gesù, seguo le orme di Gesù nella potenza dello Spirito Santo. Non posso lasciare la gente del Sud Sudan perché li amo. Sono felici che restiamo con loro, preghiamo con loro e lavoriamo insieme per costruire questo paese giovane e fragile. Le persone hanno bisogno del nostro sostegno, della nostra preghiera e del nostro aiuto. A questo punto vorrei ringraziare tutti coloro che ci hanno sostenuto con le loro preghiere, i sacrifici e le finanze. Siamo chiamati ad essere un segno di speranza nel tempo dell'oscurità. Dio non ci abbandonerà mai, perché è lui è il nostro Emmanuele che significa Dio è con noi.
Sr. Veronika Theresia Rackova, SSpS
21 gennaio 2014
Il tempo che precede il Natale è un bellissimo tempo di Avvento che mi piace molto: gioia, attesa, silenzio ... La comunità delle Suore Missionarie Serve dello Spirito Santo / Suore SSpS / a Yei si stava preparando per iniziare a pregare le belle preghiere della novena per Natale. Erano a Yei quattro sr. Mercy Benson, Isabela Sabu, Veronika Theresia Rackova e Carmen Silvero. Hanno salutato suor Stella Arul SSpS che dopo 6 anni di servizio presso l'Istituto Cattolico di Insegnamento della Salute a Wau con la comunità di Solidarietà con il Sud Sudan / SSS / sarebbe tornata presto nel suo paese d'origine, l'India. A dicembre. 5 è venuto anche p. Joseph Callistus cmf, direttore di SSS per salutare prima di andare in Germania per la sua nuova missione. Dopo aver lasciato Yei i membri delle SSS si sono fermati a Lainya per salutare la comunità dei Padri SVD (Società del Verbo Divino) e il giorno successivo hanno voluto proseguire per Juba. Sfortunatamente la mattina del 16 dicembre, la strada Yei-Juba è stata bloccata e sono dovuti rimanere a Lainya per altri due giorni. Abbiamo saputo che c'era stato un attentato a Juba e molte persone hanno perso la vita. L'ex vicepresidente Riek Machar ha avviato un movimento ribelle nello stato di Jongley, nello stato di Unity e nello stato del Nilo superiore. I ribelli hanno occupato Bor, Malakal e Bentiu. Il problema politico si è trasformato in scontri etnici tra le tribù di Riek Machar (Nuer) e la tribù del presidente Salva Kiir (Dinka).
La comunità SSpS di Yei ha potuto celebrare il Natale pacificamente, ma tutti sono stati colpiti dalle tristi notizie provenienti dagli altri paese sui combattimenti tra le tribù Nuer e Dinka. Le donne e i bambini che erano in pericolo hanno cercato di salvare la loro vita nei campi delle Nazioni Unite o di correre all'estero nei campi profughi in Uganda, Kenya ed Etiopia.
I membri delle ONG straniere stavano lasciando il paese. L'aeroporto di Juba era congestionato e la gente faticava a trovare un volo per lasciare il Sudan meridionale.
La nostra comunità ha deciso di restare con la popolazione. Ognuna di noi ha fatto il proprio discernimento e abbiamo sentito di non poter lasciare le persone in tale situazione di angoscia e di insicurezza. Avevano bisogno del nostro supporto psicologico, spirituale e materiale. Il 4 gennaio 2014 sabato sera alle 10.30 p. m. prima di andare a letto abbiamo sentito improvvisamente forti spari partire da vicino casa nostra e abbiamo visto proiettili volare come un fuoco dietro il fiume Yei che è a circa 500. Non sapevamo cosa stesse succedendo. Sappiamo solo che quasi tutte le famiglie profughe Nuer, madri con bambini, hanno lasciato il nostro quartiere posto dall'altra parte del fiume.
Immediatamente dopo aver sentito degli spari, abbiamo spento le luci, siamo corsi in una stanza e ci siamo sdraiate sul pavimento. Il nostro parroco ci ha fatto una breve telefonata dicendoci: “Coraggio, sorelle, sdraiatevi per terra, non vi muovete e pregate”. Così abbiamo fatto. La sparatoria è continuata a intervalli fino alle 3 del mattino. Al mattino abbiamo sentito suonare la campana della chiesa per la messa delle 8.00. Le persone che venivano per il servizio erano poche perché avevano paura di perdere la vita.
Gli spari sono ripresi nel giorno della festa dell'Epifania sono state per noi come un incubo. Il commissario ha incoraggiato la gente a non avere paura e ci ha detto che lo SPLA scaccia i ribelli nella boscaglia. Quattro di noi hanno per la prima volta l'esperienza di assistere ad una sparatoria.
Le persone sono state avvertite di prendersi cura dei bambini e di non uscire la sera.
Dopo la messa, una donne Nuer è andata dal vescovo Erkolano Lodu Tombe per ringraziarlo per le sue parole incoraggianti sull'essere una famiglia di diverse tribù nel Sudan meridionale, vivere in pace e fermare i combattimenti. Ed è stata ferita perché è corsa per proteggere i suoi figli che, sentendo sparare, sono usciti di casa. Ma i bambini erano più veloci di lei, quindi non li ha raggiunti. Chiedeva di essere aiutata lanciando un annuncio per trovarli. Tra quei bambini c'era solo un bambino di due mesi che sua sorella di 6 anni ha preso in braccio ed è fuggita per salvargli la vita.
Sono stata chiamata da p. Emmanuel Sebit, il direttore della radio cattolica a venire ad aiutare la madre che ha perso i bambini perché mentre correva a cercare i suoi figli è stata aggredita al ponte e quindi ferita. Radio Easter ha annunciato la scomparsa dei 6 bambini. Abbiamo portato la madre al Centro Sanitario Diocesano St. Bakhita dove ha ricevuto le cure e il cibo necessari. Le sue mani erano completamente vuote. Aveva solo fede che i suoi figli sarebbero stati trovati. Dio ha ascoltato la nostra preghiera e il giorno seguente 4 bambini sono stati portati al centro sanitario. Erano molto felici di vedere la loro mamma. Erano affamati, assetati ed esausti. Uno dei piccoli si ammalò ma iniziò a riprendersi molto presto.
La situazione nella città è simile a quella dell'intero paese tesa a causa del movimento dei ribelli e dalle uccisioni di persone. Il governo ha dovuto proteggere gli sfollati. Hanno deciso di portare i Nuer nel complesso delle Nazioni Unite a Yei. Prima di lasciare la nostra struttura sanitaria alla madre mancava ancora di 2 bambini e ha chiesto di pregare per loro. Il giorno seguente abbiamo avuto la buona notizia che due donne hanno portato un ragazzo di quella famiglia a Radio Easter. La nostra gioia è stata grande perché il figlio perduto è stato ritrovato!
Nel frattempo il complesso delle Nazioni Unite si è riempito di quasi 600 persone che vivono sotto le tende in condizioni critiche dipendenti dall'aiuto di altri. Ricevono cibo, riparo, acqua, medicine dalla nostra gente e da alcune organizzazioni.
La nostra comunità SSpS sta cercando di aiutare i bisognosi portando cibo, acqua e cure mediche sotto l'ombrello della Caritas e in collaborazione con altri.
Di recente qualcuno mi ha chiesto perché rimango qui in tali circostanze.
Perché Gesù ha continuato la sua strada e non si è arreso quando tutto è diventato difficile. Ha accettato le sofferenze, le difficoltà e ha portato la croce fino alla fine. Rimase obbediente alla volontà del Padre.
Era sempre con le persone. Non li ha abbandonati. Era persino pronto ad accettare la morte, perché li amava.
Essendo una discepola di Gesù, seguo le orme di Gesù nella potenza dello Spirito Santo. Non posso lasciare la gente del Sud Sudan perché li amo. Sono felici che restiamo con loro, preghiamo con loro e lavoriamo insieme per costruire questo paese giovane e fragile. Le persone hanno bisogno del nostro sostegno, della nostra preghiera e del nostro aiuto. A questo punto vorrei ringraziare tutti coloro che ci hanno sostenuto con le loro preghiere, i sacrifici e le finanze. Siamo chiamati ad essere un segno di speranza nel tempo dell'oscurità. Dio non ci abbandonerà mai, perché è lui è il nostro Emmanuele che significa Dio è con noi.
Sr. Veronika Theresia Rackova, SSpS
21 gennaio 2014
Mother with children before leaving St. Bakhita Health Centre for the UN camp
Sr.Veronika Theresia with the Nuer family before the leaving St. Bakhita Health Centre
Two water tanks donated by SSpS Sisters to the IDP at UN camp Yei, Central Equatoria State
UN IDP Camp,Yei with about 536 people
Srs. Isabela and Carmen greeting people at UN camp in Yei
The youngest member of the family rescued by her little sister
5° Congresso nazionale SPeRA: Italia & Africa - Volontariato e Lavoro
Il 20, 21 e 22 novembre si è tenuto a Genova, presso il Galata Museo del Mare, il 5° Congresso SPeRA (Solidarietà, Progetti e Risorse per l'Africa). Come ogni anno, l'evento ha rappresentato un'occasione di incontro per tutti coloro che si occupano di solidarietà in Africa.
In allegato il programma del Congresso.
In allegato il programma del Congresso.
L'Associazione Le Casette per l'Equatoria vi invita a partecipare numerosi alla seguente conferenza!
IV° Congresso nazionale SPeRA: Solidarietà Italiana in Africa
Le Casette per l'Equatoria è anche su Facebook! Vieni a trovarci!
Aggiornamento da Yei
south_sudan_from_dec_15.pdf | |
File Size: | 826 kb |
File Type: |
Parlano di noi.... su "Tam Tam Volontariato"
il_viaggio_avventuroso_1.jpg | |
File Size: | 644 kb |
File Type: | jpg |
L'Associazione Le Casette per l'Equatoria Onlus
e l'Associazione Medici in Africa presentano:
PROIEZIONE FILMATO - CONVEGNO
"UN AVVENTUROSO VIAGGIO VERSO L'OSPEDALE"
con la collaborazione
del Prof. Edoardo Berti Riboli
presso la Sala Doria dello Starhotel President
in Corte Lambruschini 4
MARTEDÌ 9 APRILE alle ore 15.oo
Ingresso libero - Seguirà rinfresco
-------------------------------------
e l'Associazione Medici in Africa presentano:
PROIEZIONE FILMATO - CONVEGNO
"UN AVVENTUROSO VIAGGIO VERSO L'OSPEDALE"
con la collaborazione
del Prof. Edoardo Berti Riboli
presso la Sala Doria dello Starhotel President
in Corte Lambruschini 4
MARTEDÌ 9 APRILE alle ore 15.oo
Ingresso libero - Seguirà rinfresco
-------------------------------------
RAPPORTO MISSIONE UMANITARIA presso la Diocesi di YEI
Il giorno MARTEDÌ 13 NOVEMBRE, alle ore 16.30, nella sede di Via XII Ottobre 14 (Genova),
il Dott. MAURO ZANNA, Direttore del reparto di Medicina d'Urgenza dell'Ospedale Villa Scassi,
parlerà della sua missione in Sud Sudan presso la Diocesi di Yei durante il mese di agosto 2012.
Saranno proiettate diapositive illustrative ed un filmato.
Ingresso gratuito.
Per informazioni telefonare a Marta 340/5849889 o scrivere a [email protected]
Vi aspettiamo numerosi!
-----------------------
III° Congresso nazionale SPeRA: Italia per Africa
Anche quest'anno le Casette per l'Equatoria Onlus ha partecipato alla terza edizione del congresso "Italia per Africa". Ecco cosa ci racconta il nostro missionario Antonio Carovillano.
"Nei giorni 14-15-16 giugno ho partecipato al convegno organizzato dal Consorzio SPERA e tenutosi a Genova presso il Museo del mare: ho sempre sostenuto che questi convegni siano molto importanti perchè permettono alle varie ONLUS o ONG operanti in Africa di conoscersi e prendere contatti per poi collaborare insieme ad eventuali progetti. Personalmente ritengo che il convegno sia stato molto utile e proficuo; il primo giorno, dedicato alla sanità e all'agricoltura, ho avuto modo di conoscere meglio il medico che verrà con me in Sud Sudan ad agosto, oltre a stabilire un primo contatto con un architetto di Alessandria che si occupa di costruzioni in Africa: ci siamo scambiati il numero di telefono e l'email, e lui si è gentilmente offerto di aiutarci in futuro.
Nel pomeriggio una commissione ha esaminato i filmini realizzati dalle Onlus e ONG partecipanti al convegno, e ne ha poi giudicato i migliori.
Il secondo giorno ho partecipato ad un convegno sulla lebbra, la cosa è stata molto interessante in quanto coinvolge direttamente la nostra organizzazione con il lebbrosario di Santa Bakhita a Yei. Durante questo convegno ho avuto l'opportunità di conoscere una cooperante dell'ONG Raul Follerou che opera in tutto il mondo ed è una delle massime autorità nel campo specifico della lebbra. Per un fortunato caso questa signora si troverà per tutto il mese di agosto a Nzara, Sud Sudan (Diocesi di Yambio) e, dal momento che sarò a Yei, l'ho invitata a visitare il centro di Santa Bakhita.
Insomma, sono molto soddisfatto di queste tre giornate dedicate all'Africa e alla cooperazione: spero che i contatti presi avranno un esito positivo e saranno di aiuto all'Associazione Le Casette per l'Equatoria Onlus".
"Nei giorni 14-15-16 giugno ho partecipato al convegno organizzato dal Consorzio SPERA e tenutosi a Genova presso il Museo del mare: ho sempre sostenuto che questi convegni siano molto importanti perchè permettono alle varie ONLUS o ONG operanti in Africa di conoscersi e prendere contatti per poi collaborare insieme ad eventuali progetti. Personalmente ritengo che il convegno sia stato molto utile e proficuo; il primo giorno, dedicato alla sanità e all'agricoltura, ho avuto modo di conoscere meglio il medico che verrà con me in Sud Sudan ad agosto, oltre a stabilire un primo contatto con un architetto di Alessandria che si occupa di costruzioni in Africa: ci siamo scambiati il numero di telefono e l'email, e lui si è gentilmente offerto di aiutarci in futuro.
Nel pomeriggio una commissione ha esaminato i filmini realizzati dalle Onlus e ONG partecipanti al convegno, e ne ha poi giudicato i migliori.
Il secondo giorno ho partecipato ad un convegno sulla lebbra, la cosa è stata molto interessante in quanto coinvolge direttamente la nostra organizzazione con il lebbrosario di Santa Bakhita a Yei. Durante questo convegno ho avuto l'opportunità di conoscere una cooperante dell'ONG Raul Follerou che opera in tutto il mondo ed è una delle massime autorità nel campo specifico della lebbra. Per un fortunato caso questa signora si troverà per tutto il mese di agosto a Nzara, Sud Sudan (Diocesi di Yambio) e, dal momento che sarò a Yei, l'ho invitata a visitare il centro di Santa Bakhita.
Insomma, sono molto soddisfatto di queste tre giornate dedicate all'Africa e alla cooperazione: spero che i contatti presi avranno un esito positivo e saranno di aiuto all'Associazione Le Casette per l'Equatoria Onlus".